Note della Redazione Dobbiamo dire che anche oggi conserviamo in gran parte queste preoccupazioni. Non saremo certo noi a sottovalutare ciò che dal punto di vista della cultura politica significhi, nel PSDI, un Tremelloni o ciò che uomini come Pellicani e i suoi amici abbiamo apportato al PSDI e, attraverso esso, al dibattito politico italiano, rafforzando e dando una nuova interessante voce alla parte democratica italiana nella sua difficile battaglia contro le insidie del conformismo, del provincialismo, del totalitarismo. Ma, tutto sommato, il panorama che da questo punto di vista offre il PSDI ci appare ancora troppo poco articolato, troppo poco ricco rispetto a quel che esso, per la funzione che alla socialdemocrazia si può riconoscere, dovrebbe essere. Dove, tuttavia, a nostro avviso, le cose stanno sempre nel peggiore dei modi è - ancora una volta - nella fisionomia che la socialdemocrazia italiana è andata assumendo nel Mezzogiorno durante il corso di questi anni. Non è possibile costruire un partito - vogliamo dire un partito moderno ed efficiente, garanzia democratica e motore animoso dello sviluppo del Mezzogiorno - quando i suoi uomini, come gli Ottieri e i Cafiero, sono pronti a passare nelle file del partito di Lauro; quando troppi interessi connessi alla progettazione e alla esecuzione dei lavori pubblici sono presenti nelle anticamere delle segreterie provinciali; quando la preoccupazione di « far voti » assolve tutte le cure e quella di preparare o reperire una serie di quadri intelligenti e dinamici quasi non sussiste; quando l'aspirazione massima di troppe ramificazioni periferiche è quella di sostituire al sottogoverno democristiano un diverso e non migliore sottogoverno; quando a diventare sottosegretari, e magari ministri, sono uomini che fanno la propria campagna elettorale girando con un gallo ammaestrato sulla spalla. Non è possibile 1 così costruire un partito nuovo, e non è nemmeno possibile portare un reale e serio contributo alla elevazione del livello - generalmente scadente - della vita politica e civile di queste regioni. Ecco perché non ci siamo sorpresi del modo (come dire?) poco ortodosso col quale l'on. sottosegretario Angrisani ha ritenuto di dover impostare la sua lotta con l'on. ministro Sullo per la massima mungitura elettorale possibile dell'Avellinese. L'on. Angrisani (ci si dirà) era stato provocato, e nori era stato _provocato con amabilità e delicatezza. Bene: noi non siamo, non possiamo e non vogliamo essere i difensori dell'on. Sullo. Ed anche se non possiamo dimenticare che a muovere all'attacco dell'on. Angrisani è stato un ex-monanrchico ed ex-socialdeniocratico, ora democristiano, siamo tuttavia dell'opinione che alle provocazioni (quali che siano) degli avversari ci sono molti modi di rispondere e che il modo scelto dall'on. Angrisani è stato a dir poco il peggiore. · Speriamo, peraltro, che l'episodio possa almeno servire come pretesto, agli interessati, per una severa revisione dello stato del personale politico e organizzativo del PSDI nel Mezzogiorno. Non è un bene _per nessuno che questo partito possa, in Puglia, fungere da forte e attivo protagonista di alcuni fra i più importanti aspetti della lotta politica locale; e in Campania, invece, provocare una tale degradazione del costume politico e civile. 41 Bibliotecaginobianco
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