Giuseppe Galasso angustie della cronica insufficienza o addirittura privazione di beni materiali in cui l'umanità era solita dibattersi fin dalla sua origine. Questa definizione si può ritenere come la communis opinio in materia e proprio perciò non ha nulla di originale. Di solito, tuttavia, gli auto~i che se ne interessano o indugiano a descrivere in tono panegiristico le meraviglie della nuova società co1ne il palazzo principesco che ha sostituito la vecchia catapeccl1ia di Cenerentola o (e ciò accade più spesso e ai migliori) danno per scontate alcune rilevanti implicazioni della definizione e si affrettano all'analisi degli aspetti più propriamente e complessamente sociali del problema. Noi vorremmo, invece, fermarci qui un attimo proprio ad esaminare codeste implicazioni. Che ci sembrano, poi, sostanzialmente due: a) la « società opulenta» ha alla propria origine una complessa evoluzione tecnico-scientifica; b) essa è, innanzitutto, per l'uomo singolo e per la comunità, una vittoria sulla povertà di beni materiali e sulle sofferenze che sono connesse alla povertà. Cerchiamo, perciò, di svolgere a fondo queste due implicazioni. E precisiamo, innanzitutto, che il richiamo alla matrice tecnicoscientifica della « società opulenta » non va inteso qui come riconoscimento de11a primazia o del ruolo determinante di una particolare dimensione dell'attività umana. Se c'è t1na conquista della filosofia e del pensiero moderni che continuamente venga perduta e che perciò valga la pena di continuamente riaffermare e ribadire, essa è, per l'appunto, il riconoscimento della inscindibile globalità dell'esperienza umana, e perciò anche del movimento storico. Sta qui il senso di ql1elle correnti variamente irrazionalistiche o spiritualistiche che dalla fine del secolo scorso ad oggi hanno combattuto l'egemonia ottocentesca della ragione celebrata dall'idealismo e dal positivismo; sta qui anche il significato delle molte revisioni che, nello stesso periodo di tempo, hanno subito sia l'idealismo che il positivismo. Certo, ancor oggi sussistono resistenze notevoli alla retta intelligenza della globalità dell'esperienza. Quanta parte del pensiero marxistico, ad esempio, nonostante tutte le revisioni post-marxiane, è disposta a disconoscere il posto centrale nella genesi dell'esperienza assegnato dal caposcuola al momento economico e dell'organizzazione dei rapporti rispetto ai mezzi di produzione? E per stare più vicini alle nostre vicende italiane, a che punto è pervenuta, nel~a discussione e nella continuazione del pensiero crociano, l'analisi del significato che il Croce attribuiva al momento etico-politico come momento centrale ed eminente della generale vicenda storica? D'altra parte, si deve pur convenire che, specialmente nel marxismo e nel crocianesimo, la preoccupazione di fissare un punto di riferimento univoco e circostanziato nell'analisi dell'attività e dell'esperienza umana non è 8 Bibliotecaginobianco
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