• Giuseppe Sacco L' inquietante sentenza di Liegi L'uccisione della piccola Corinne Vandeput, nata deforme a causa di t1n preparato tranquillante ingerito dalla madre durante· 1a gravidanza, il processo e l'assoluzione che ne sono seguiti, riproponendo in termini estremamente drammatici e pietosi il problema dell'eutanasia, hanno suscitato, e non mancheranno di suscitare per lungo tempo ancora, vivaci e contrastanti reazioni. Sotto la spinta di fattori eminentemente emotivi, la massa dell'opinione pubblica ha reagito, e non poteva essere diversamente, in favore degli imputati e dell'assoluzione. Un giudizio più ponderato non può tuttavia non tenere presente quale grave precedente costituisca la sentenza di Liegi nei riguardi di casi più o meno analoghi che possono presentarsi in futuro. Non si vuol qui prendere posizione a fianco di quelli che hanno affermato, spesso in perfetta malafede o per basso opportunismo, che la morale cristiana non ammette in alcun modo e per alcuna ragione che una vita umana venga soppressa. La piccola Corinne era un essere vivente co,sì come può esserlo una pianta, con in più delle semplici « potenzialità umane ». La sua personalità umana, quella vera, quella che si forma in rapporto e sotto l'influsso della società umana « adulta», sarebbe venuta molto più tardi; e, quando fosse venuta, sarebbe stata atrocemente deformata, contorta e sofferente della deformità che la « scienza » umana le aveva procurato. Il nostro pt1nto è un altro. Ciò che ci allarma è l'evidente connessione logica che lega l'accettazione, e il consenso, della soppressione della piccola ad un atteggiamento psicologico più generale che si può definire senz'altro patriarcale e razzista. Una volta accettato che il neonato deforme può, e deve, perché non divenga un atroce sotto-uomo, essere sop-presso, chi segnerà il limite dell'applicazione di questo principio? Non c'è risposta a questo interrogativo che non ripugni alla coscienza e alla ragione dell'uomo moderno. È certo che nessun privato può arrogarsi tale diritto. Una regola elementare di sopravvivenza del potere statuale impedisce a chiunque, fossero anche il padre e la madre, di giudicare della vita e della morte di un uomo che, per nascita, è soggetto al solo potere dello stato. La sentenza di Liegi in questo senso non può non essere inquietante. In essa è contenuto l'embrione di una concezione dei rapporti familiari capace di mettere in crisi e di negare la figura dello stato moderno, il cui potere ha varcato da lungo tempo la soglia della casa patriarcale. Non si equivochi. Ciò non significa che a questo potere, e ai tribunali in cui esso si esprime, sia riconoscibile un diritto di disposizione sui cittadini assoluto al punto da consentirgli di determinare chi, fra essi, sia meritevole di sopravvivere. Ammettere questo significherebbe ritornare a Sparta o al III Reich, forme storiche che qualcuno, forse, rimpiange, ma che la coscienza civile del mondo occidentale sembra avere ormai definitivamente superato e condannato. E poi, una volta ammesso il principio, chi impedirà 66 \ \ Bibliotecaginobianco
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