Nord e Sud - anno IX - n. 35 - novembre 1962

Recensioni della dello spirito custodita dai grandi del passato, Goethe e Ranke, lontano dal « grido e sinistro ... meccanismo causale storico»; ma era oramai chiaro, dopo la catastrofe, che anche quella sua seconda e in un certo senso fittizia vita stava per cessare. E ciò non può sorprendere se si tiene presente che l'Historismus, in Meinecke, più che dallo sforzo critico di comprendere nella sua complessità la storia, nasceva dall'adesione, quasi religiosa ad u11a tradizione accademica di stampo ottocentesco (M. Weber ha parlato di « devozione » del Treitschke, uno dei maestri di Meinecke, verso il suo ideale ·storiografico); e che esso veniva imposto ed applicato, co,me criterio interpretativo, agli avvenimenti, i quali ora sembrano confermarlo (nell'agosto del '14), ora smentirlo (durante la sconfitta e la rivoluzione), ma in realtà si sviluppavano per proprio conto, secondo una logica impreveduta, così da riuscire sempre più oscuri e demo11iaci. Perciò non può sorprendere nemmeno la staticità della visione meineckiana della stqria, perché in lui quella storicistica era in realtà una fede, praticata coerentemente, finché fu possibile. Infatti la Weltanschauung storica e storiografica cui Meinecke stesso ricono-bbe di essere stato sempre fedele, non mutò sostanzialmente durante mezzo secolo, fin da quando, nel 1887, egli ne aveva tracciate le linee essenziali in Willensfreiheit u11d Geschichtswissenschaft; e già allora si può dire che fosse già in qualche modo formata, nella sua ispirazione romantica e statal-nazionale, legata allo spirito eroico della Reichsgrundung, nelle Università tedesche e in modo speciale in seno alla co,iporazione degli storici della Berlino bismarckiana. Così, nei decenni successivi, lo storicismo di Meinecke si sviluppò fedele alle preme~se, senza pervenire mai ad una visione realistica e critica delle forze sociali che si agitavano in Germania e in Europa, libera dal cliché interpretativo e sotto molti aspetti _deformante dello statal-nazionalismo di derivazione nazionaJ-liberale e nat1manniana; né mai si discostò dalla concezione storiografica irrazionalistica che quella visione esprimeva, sul piano teoretico. Su queste radici del credo storicistico di Meinecke, anche per comprenderne meglio l'esito, converrà forse fare qualche breve considerazione. Quando a venticinque anni Meinecke entrò nell'Archivio di Stato tedesco, aveva un orientamento politico e ideologico più che conservatore: egli aveva respirato il clima cristiano-germanico dell'ambiente del padre che era un « ardente partigiano» di Stocker. E a lui stesso il credo nazional-sociale e antisemita del pastore sembrò « vero, genuino, necessario e doveroso pet ognuno»; così pure il fanatico antisocialismo di Stocker gli dovette sembrare un giusto rimedio contro « le ombre scure » della socialdemocrazia nella paura della quale egli era cresciuto. Egli entrò, nel 1887, nel mondo arcano dell'Archivio, allora diretto dal Sybel, dove lavorava Treitschke, e ancora viva era la memoria di Ranke, e vi restò per quindici anni. Ma in realtà quel sacrario di una tradizione prestjgiosa na~condeva una casta chiusa, paralizzata da un fanatico realismo verso lo Stato, trincerata a difendere, insieme con l'impalcatura dello Stato bismqrckiano, la tradizione storiografica piccolo-tedesca, contro ogni tentativo di revisione critica. Era un mondo in 97 Bibliqtecaginobianco

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