Nord e Sud - anno IX - n. 33 - settembre 1962

CRONA.CA LIBRARIA STORIA • RAFFAELE COLAPIETRA: Vita pubblica e classi politiche del V ice regno Napoletano (1656-1734), Roma, Edizioni di storia e di letteratura, 1961, pp. 277). Affrontando un arco molto ampio della storia napoletana, dal 1655 (data della tragica peste che sembra interrompere la crisi che aveva portato alla congiura di Masaniello, a accelerare un processo di sviluppo intellettuale che corrisponde largamente a un nuovo rapporto con la cultura italiana ed europea), al 1734 (la caduta del Viceregno austriaco), il Colapietra ha voluto indagare sulle forze sociali e poli ti che che agiscono in quel periodo, e i cui ,mpulsi si intrecciano, variamente determinando lo spirito pubblico, il rapporto con lo stato, il vario peso delle classi politiche in contrasto. Mentre si inserisce in una quasi generale e ormai concorde reazione della storiografia con temporanea alla tesi di Croce sulla fondamentale posi ti vi tà del dominio spagnolo su Napoli, a cui Colapietra dedica osservazioni particolarmente apprezzabili, risente l'influenza dell'opera intelligente, ma spesso discutibile di Gabriele Pepe, soprattutto nel vero centro del suo libro, la polemica continua e puntigliosa contro una tradizione storiografica che avrebbe unilateralmente esaltato la funzione di classe politica dei forensi e dei giurisdizionalisti, perdendo di vista i limiti, gli interessi di casta e l'egoismo politico dei giuristi napoletani. 124 Bibliotecaginobianco Dopo aver tracciato un quadro dello spirito pubblico nela seconda metà del Seicento, in cui emergono le contraddizioni e i particolarismi di uno stato in cui i rappresentanti del potere centrale o sono conniventi, o impotenti, o vengono irrimediabilmente schiacciati, l'interesse dell'autore si sposta al centro del regno, dove vivono e prosperano i forensi. Nel suo ardore polemico, Colapietra se la prende con il maestro di tutta la generazione del primo Settecento, da Auli-. s10 a Biscardi, delle due scuole giuridiche da cui nascono Giannone e Gravina. In Francesco d'Andrea, e soprattutto nei suoi Ricordi, si mostrano, allo stato embrionale, tutti i difetti del ceto forense come classe politica: egoismo, scarso interesse per lo sviluppo economico, anzi interesse che le cose rimangano tali e quali, per non perdere l'occasione cli arricchirsi, volontà di acquistare feudi, non di combattere il sistema. Sfugge però al Colapietra il senso dinamico della ricchezza che il d'Andrea ha presente e quindi il carattere pedagogico nei confronti dei nobili fuori seggio, cioè praticamente della borghesia, che ha . questo libro, di incitamento a inserirsi in un processo che ha come fine la sostituzione dell'aristocrazia; così anche l'infeudamento non è visto come un pigro assestarsi sulle proprie conquiste di rapina per vivere oziosamente, ma ne è sottolineata la precarietà se non si continua a difendere la raggiunta ricchezza con il lavoro.

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