• Nello Ajello O almeno - per dirla in termini più precisi e attinenti al tema - va sempre più attenuandosi l'importanza del lavoro letterario come elemento costitutivo del giornale moderno, come suo legittimo ingrediente. · La terza pagina nel suo periodo corporativo rappresentò una trovata ideale per far sopportare al lettore dei quotidiani « tutto il peso degli esercizi e il modo stesso della funzione creatrice » 3 dei prosatori italiani. Essa fu, nell'intima. coscienza degli scrittori, un facile sbocco per la loro produzione minore, un ritrovato utilitaristico. Ma ebbe a sua volta il potere di dimensionarli a sua immagine e somiglianza, di adattarli ai propri limiti, anche perché - come noterà poi Montale 4 - la sua « caduca gloria » era allora « la sola gloria possibile ». Ci si trovava, insomma, di fronte ad un fenomeno evidente di ibridismo, sviluppatosi in un Paese nel quale la cultura come fatto di comunicazione sociale era appena per nascere, e nel quale tradizionalmente lo scrivere bene era stato identificato e confuso col « bello scrivere ». La maniera letteraria che questo stato di cose produsse, o suggerì, non fu esente, nel suo insieme, da manifestazioni positive sul piano dell'arte: sarebbe sbrigativo e farisaico sostenere il contrario. Tuttavia, quanto essa aveva a che fare col giornale, con le sue esigenze, con le sue funzioni? Quel tipo di terza pagina fu, in una certa misura, un prodotto della disoccupazione letteraria esistente ·allora in Italia. Oggi quella situazione si è modificata sostanzialmente. Le glorie a disposizione dei letterati sono molteplici, aperte e concorrenziali. L'industria culturale crea gli scrittori, li sorregge, li mitizza. Stimola, suggerisce, e1nenda, taglia e cuce il pro·dotto, elabora la. condotta di gara per dare spicco al nome, individua i lettori o gli spettatori. potenziali, cerca il tono giusto per conquistarli e conservarli, dosa con cura i « silenzi » e i « ritorni ». Gli scrittori che oggi « giocano in nazionale » sono parecchi, tutti gli altri vi aspirano deliberatamente. La libera concorrenza ha allentato tra loro il legame corporativo, che è un sintomo di tempesta. I general managers dei letterati militanti - quelli che, come diceva Croce, « si mettono attorno ai poeti per aiutarli e consigliarli » - sono degli altri letterati tin po' meno « militanti » dei primi, che hanno scelto, cioè, il cursus honorum funzionariale a preferenza della carriera artistica: il potere culturale è nelle loro mani, e le loro vedute devono essere, per esigenze di servizio, apertissime, e i loro occhi vigili, attenti, e perfino indulgenti. L'Italia, paese tradizionalmente sovrapopolato di letterati refoulés, ne sta quasi perdendo la memoria. Il circolo « auto recensorio » si è allargato anch'esso, no·n è più come un tempo specia3 Carlo Bo, in Milano-sera, 19-20 nov. 1952. 4 In La Lettura, 12 ott. 1946. 102 \ I Bibliotecaginobianco
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