Recensioni disprezzo dell'aula sorda e grigia; disegno di un governo forte e spietato; invocazione di un duce appoggiato da 'uomini di parte ' risoluti e maneschi; dialoghi con la folla oceanica, e irrisione dei pavidi socialisti; squadre d'azione e fasci littori; beffe politiche e marcia su Roma ... » ). Ma come non dire altrettanto dei protagonisti delle manifestazioni di piazza del maggio 1915 contro Giolitti e contro il Parlamento, cl1e provocarono, come scrisse Croce, una « incrinatura nel rispetto per la legale rappresentanza nazionale»? E dei sindacalisti imbevuti di mistica soreliana, che dovevano capeggiare le squadre d'azione del dopoguerra o ricoprire i seggi dei governi di Mussolini o del Gran Consiglio del fascismo? Nè chiameremo «inconsci» Ardengo Soffici - di cui qui si ricorda il « Lemmonio Borea », e il personaggio è definito « primo squadrista antemarcia » - o Giuseppe Prezzolini o Vilfredo Pareto. Uomini tutti che non solo prepararono il terreno, ma approvarono e sostennero la dittatura fascista. Occorre rilevare anche come nel Prezzolini, e non solo nel Prezzolini, la polemica antidemocratica non fosse sollecitata soltanto da suggestioni letterarie o da motivi di costume, quanto piuttosto da concreti obbiettivi di classe. Il Prezzolini su IL REGNO, ma anche su LA VOCE, aveva sempre sostenuto la necessità che la borghesia organizzasse la sua difesa di classe e ritrovasse il sentimento di forza cl1e aveva perduto, e la sua lotta contro la « menzogna parlamentare » trovava fondamento nel fatto che il Parlamento non appariva più adatto a quella difesa. Il parlame11tarismo - che significava poi giolittismo e turatianesimo - segnava la decadenza delle capacità di resistenza delle classi dominanti, che avrebbero invece dovuto opporsi con la forza al socialismo avanzante. E in questo un pubblicista come Prezzolini si trovava ben vicino a scienziati come Mosca e Pareto. Anche Pareto sostenne la necessità che la borghesia accettasse la lotta di classe sul terreno più duro, senza essere vile e rinunciataria. La sua critica alla democrazia e la sua teoria delle èlites dominanti significavano sopratutto difesa della egemonia della classe borghese, sostegno della ' mitica ' Proprietà Privata, giustificazione dell'uso della violenza contro gli operai organizzati. Meno intransingente di Pareto fu forse Mosca - e nel 1925 dichiarò infatti alla Camera di dover quasi rimpiangere, ora che era tramontato, il regime parlamentare - ma come quello era avversario del suffragio universale, del socialismo, delle teorie rousseauiane, della sovranità popolare. La sua « classe politica» era concetto molto vicino alla « èlite » paretiana, e concetto autocratico. Mosca diceva di essere un vero liberale e quindi antidemocratico. Era l'apparizione delle masse sulla scena politica, o almeno la loro pressione ai margini della stessa, che preoccupava questi campioni della scienza politica conservatrice. Nei confronti del nuovo soggetto di storia, quello che venti o trent'anni prima poteva apparire uomo aperto e liberale diveniva un reazionario, un sognatore di oligarchie che mantenessero la loro supremazia con la forza. Il liberalismo di Mosca si trasformava quindi, come ha osservato Mario Delle Piane, in « liberalismo alla Pelloux ». Non era quindi scetticismo o sfiducia a far rinnegare a questi scrittori il 75 Biblioecaginobianco •
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