~ ---- • A o • ~ : ---•-- - • • • - I • -- -, Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Leo Valiani, Alleanza atlantica e apertura a sinistra - Marco Cesarini Sforza, Le regioni - Pasquale Saraceno, « Schema Vanoni» e Mezzogiorno - Francesco Compagna, Epigoni del meridionalismocomunista - Augusto Graziani, Il pensiero economicodel Novecento e scritti di Luigi Amirante, Mario Caciagli, Piero Craveri, Elena Croce, Giorgio Granata, Anna Grappone, Gennaro Magliulo, Gastone Orefice, Giuseppe Sacco, Gianni. Toti, Antonio Vitiello. • ANNO IX - NUOVA SERIE - APRILE 1962 - N. 28 (89) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobiaco "
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NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO IX - APRILE 1962 - N. 28 (89) DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via G. -Carducci, 19 - Telef. 392.918 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità . EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Roma, n. 406 - Napoli - Telef. 312.540- 313.568 Una copia L.. 300 - Estero L. 360 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 - Italia annuale L. 3.300, semestrale L. 1.700 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i. versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Roma 406, Napoli Bibliotecaginobianco
SOMMARIO Marco Cesarini Sforza Pasquale Saraceno Francesco Compagna Luigi Amirante Gastone Orefice Giuseppe Sacco Gennaro Magliulo Editoriale [ 3] Le regioni [7] « Schema Vanoni » e Mezzogiorno [ 15] Epigoni del meridionalismo comunista [21] Note della Redazione L'Algeria dopo Evian - Una zattera alla deriva - L'esame di giugno [33] Giornale a più voci La barca pericolante dell'Università italiana [ 40] Il quarto piano economico francese [ 45] Israele e il MEC [ 49] Il teatro è di moda [51] Documenti Leo Valiani Alleanza atlantica e copertura a sinistra [55] Argomenti Antonio Vitiello L'italiano diverso [75] Augusto Graziani Mario Caciagli Piero Craveri Anna Grappone Recensioni Il pensiero economico del Novecento (C. Napo-· leoni) [88] Salvemini a Londra e alla Harvard University (G. Salvemini) [95] Educazione e storiografia (AA. VV.) [104] Le donne di Cassala (C. Cassola) [108] Testimonianze Elena Croc~ Ritratto di Fausto Nicolini [113] Lettere al Direttore Gianni Toti Il paradiso in terra [125] e Giorgio Granata BibliotecaGino Bianco
Editoriale Crediamo di non dire nulla di nuovo e di originale affermando che il governo di centro-sinistra è espressione di un nuovo allineamento delle forze politiche nel Parla1nento e nel paese. Il sistema tradizionale delle alleanze nell'ambito dei quattro partiti democratici, che le elezioni del 1953 avevano profondamente incrinato .e che l'involuzione conservatrice nel PLI e l'evoluzione democratica nel PSI avevano posto in crisi prof onda, sembra, ormai, appartenere definitivamente al passato. Le tendenze centrifughe implicite nel « nitovo corso » dei liberali e quelle parimerzti centrifughe che la lenta maturazione socialista in-iponeva a repubblicani e socialdemocratici avevano sostanzialmente reso impossibile l'arroccamento dietro il quadrilatero; e poiché gli elementari dati della geografia elettorale del paese non consentivano il ripiegamento sulla scelta di una delle due mezze-ali, il partito che aveva rappresentato il fulcro del vecchio schieramento, la Democrazia Cristiana, sollecitato dalle forze della sinistra democratica ed insieme da un processo di evoluzione interna che veniva da lontano, ha dovuto uscire allo scoperto. Di qui, appunto, il 1iuovo allineamento delle forze politiche che ha dato vita al governo di centro-sinistra. Pure, a nostro giudizio sbaglierebbe chi credesse che il discorso sulle forze politiche che hanno dato vita al nuovo governo si ferma a questo punto. Il governo di centro-sinistra non è soltanto la conseguenza di un mutamento profondo degli schieramenti politici del nostro paese. O meglio, se si guarda al passato esso è soltanto conseguenza; ma se si guarda all'avvenire il g·overno di centro-sinistra diventa a sua volta un fattore attivo dell'evoluzione dei partiti e dei rapporti tra i . partiti, una forza capace di determinare e di condizionare tale evoluzione. Si illude chi crede che dopo un anno di un'esperienza di governo del tipo di quella che ha avuto inizio a marzo la Democrazia Cristiana o il Partito Socialista (per parlare di due soltanto dei contraenti) possano essere esattamente quello che erano al momento in cui l'esperienza ha avuto inizio. Ed è appena necessario aggiungere che maggiore sarà la durata dell'esperienza, più vasti e profondi saranno i mutamenti che si verificheranno nei partiti: questi, in effetti, non esi3 B"bli_otecaginobianco
Editoriale . . .. stono in uno spazio astratto, ma nella società italiana, e non possono, pertanto, non subire il contraccolpo delle modificazioni che una certa _ azione di governo produce a scadenza più o meno breve nella società. Se tutto ciò è vero, è evidente che nell'analisi dell'atteggiamento delle varie forze politiche innanzi al centro-sinistra· (anche ed anzi soprattutto di quelle che hanno contribuito a dare vita al nuovo governo) si pongono due ordini di proble1ni: quello dei mutamenti che tali forze politiche subiranno in forza delle modificazioni prodotte dall'opera del governo stesso nella realtà italiana; e gli altri mutamenti che . queste f 9rze politiche medes_ime dovranno imporsi da se ste$se per conservare efficienza e vitalità al centro-sinistra. Lasciando da parte per il momento il primo ordine di problemi e fermandoci piuttosto al secondo, ci sembra necessario puntualizzare sommariamente la posizione della Democrazia. Cristiana che re:sta il maggiore partito italiano e che resta in consegitenza quello _su cui gravano la maggior parte delle responsabilità per la riitscita od il f alli11'zento dell' espe_rienza che ' . e zn corso. . Ora ci pare necessario rilevare innanzi tutto che il Congresso napo-· letano della DC, che tanta parte ha avuto nel consentire la realizzazione del governo di centro-sinistra, h.a dato luogo, altresì, a due equivoci, di cui bisogna sgomb-erare il terreno. Ed aggiungeremo tra parentesi che di- questi equivoci non hanno o non sembrano avere responsabilità g.li attuali dirigenti democristiani. Il primo eqitivoco .è -che la destra della DC abbia subito· a Napoli una disfatta definitiva, dalla quale non si solleverà più. Qitesta è veramente piiL un'illusione o una speranza che una valutazione realistica dei fatti: i novantanove voti a Scalf aro nelle elezioni del presidente del gruppo democristiano alla Camera e le trentatrè schede bianche. per quelle del presidente del gruppo al Senato .hanno dimostrato tempestivamente quale fosse la realtà effettuale. Certo, come ha notato qualche settimana fa il « Mondo », l'on. Scelba è uscito alquanto diminuito dalla vicenda dei novantanove voti all'on. Scalfaro: poiché quella vicenda aveva un chiaro significato politico, aveva il fine evidente di -sitscitare difficoltà al govérno ed alla maggioranza vittoriosa in congresso, ·e quindi era contraddittoria alle nobili promesse che .l'on·.,Scelba aveva fatte proprio in. sede congressuale a chiusura del suo discorso. Ma, appunto, il fatto .che colui che al Congresso era diventato il leader dell'opposizione nel partito abbia dimenticato così presto le sue parole, . dimostra. come la destra democristiana consideri la sconfitta subita a Napoli soltanto il risitltato _di un'effimera scaramuccia e non una disfatta seria ed importante. D'altro canto, proprio questa vicenda nei gruppi parlamentari democristigni al Senato ed alla :4 Bibliotecaginobianco
Editoriale Camera mostra come in qitesti gruppi il rapporto di forze tra .maggioranza ed opposizione sia diverso che nel partito. La minoranza· democristiana è sovrarappresentata in Parlamento: e questo è un fatto che non solo potrà avere conseguenzé sul.l'efficienza del governo di centrosinistra, ma che anche fornisce un'ulteriore· dimostrazione della durezza della resistenza che la destra opporrà alla ·maggioranza del partito. L'altro equivoco cui abbiamo accennato è. quello in cui sono· incorsi taluni osservatori politici ed una parte dell'opiniòrze democratica, che t!oppo frettolosamente hanno esaltato nell' 011: Moro l'unico pro·tago .. nista ed· eroe della svolta democristiana ed hanno contrapposto l'astro sorgente del segretario del partito a quello decli11ante del presidente del Consiglio. Tutto questo ci sembra ingeneroso e fallace: l'on. Fanfani - i cui limiti sare1no noi gli ultimi a negare _o a dimenticare - resta l'uomo che all'ùidomani delle dimissioni d~lla segreteria del partito e dal governo ha irnpegnato una battaglia a fondo nella DC, precostititendo i11 questa delle posizioni di forza che dovevano facilitare la vittoria di Moro. E questo non bisogna dimenticarlo non solo per onorare il dovere di attribitire ad ognuno quella parte dei meriti che gli tocca, ma anche, ed anzi soprattittto, perché dimenticarlo equivale a prescindere dai rapporti di forza reali esistenti all'interno della DC, equivale a trascurare l' effettiva composizione della Den1ocrazia Cristiana medesima e rischia finalmente di forni re itna visione sbagliata delle lotte ancora in corso nel partito cattolico. Vogliamo dire, cioè, che quel processo di n1atitrazione e di trasf ormazione, durato già tanti anni nella DC, da partito a struttura prevalentemente clientelare a partito tnoderno, da partito dei cattolici a partito il più possibile omogeneo alla società italiana a tutti i suoi livelli, questo processo (che nel 1958 parve a noi, in parte erroneamente, già avviato alla sua conclusione) non è ancora terminato. Ora, è proprio col portare a termine questa evoluzione che si batte definitivamente la destra in seno alla Democrazia Cristiana: e ci sembra chiaro che tale evoluzione non si conditce certo a buon fine contrapponendo Moro a Fanfani o rifiutando l'azio11e che Fanfani ha svolto tra il '54 ed il '59 nel partito e per il partito. All'on. Moro va certamente riconosciuto il merito di itn'azione tenace e lungimirante per la realizzazione del nU:ovo allineamento politico e dell'allargamento dell'area democratica: egli ha guidato la DC in questa lunga marcia con prudenza (a momenti perfino eccessiva), ma anche con precisa consapevolezza dei fini da raggiungere. E tuttavia v'è un lirnite anche alla sua azione, che sarebbe erroneo perdere di vista · proprio da parte di chi vuole quei fini medesimi: ed è il lin1ite di una demiurgia in bilico in uno schieramento di forze S· Bibliotecaginobianco
.. Editoriale contrapposte ali' interno del partito. La ricostituzione dell' unità di « Iniziativa Democratica » riscatta solo fino ad un certo punto da questo limite demiurgico, tanto più che e' è il rischio che essa resti un'unità precaria, col sottinteso dell'antitesi Moro-Fanfani o con l'altro sottin- · teso dell'antitesi tra «Iniziativa» stessa e le· altre correnti della sinistra democristiana. L'interesse della democrazia italiana è che nella DC non si addivenga ad una contrapposizione di « riti» morotei e fanfaniani e di Base, ma che si crei ·un'unità organica a tutti i livelli del partito: poiché solo a questo modo l'evoluzione della Democrazia Cristiana a partito moderno avrà compimento e la battaglia definitiva con la destra potrà essere vinta. 6 Bibliotecaginobianco I I I
.. Le Regioni di Marco Cesarini Sforza Il governo Fanfani non farà le Regioni. Gli impegni programmatici da esso assunti in relazione al problema, come è noto, sono semplicemente due. ·Primo: sollecita attuazione delrultima delle Regioni a statuto speciale prevista dal Titolo V della Costituzione (Friuli-Venezia Giulia). Secondo: presentazione al Parlamento, entro il 31 ottobre prossimo, dell'impalcatura legislativa (legge « qt1adro », legge finanziaria, ecc.) che renderà possibile, in un secondo tempo, la formazione delle quattordici regioni a statuto norn1ale, che sono quelle cl1e contano. I tre partiti della coalizione governativa e il PSI, inso1nma, si sono trovati d'accordo sull'opportunità di rinviare le elezioni regionali a dopo quelle politiche della primavera-estate del prossimo anno ( 1963), vale a dire di fare delle Regioni un problema attuale soltanto per la futura Legislatura. Tutto qui. Un passo avanti, ma niente più che un passo avanti dopo quindici anni di im1nobilis1no. Tanto è bastato per indurre tutte le destre a scatenare la campagna anti-regionalista a cui abbiamo assistito e ancora assistiamo, nonché per convincere la destra socialdemocratica (vedi le dichiarazioni dell'on. Paolo Rossi in data 3 marzo scorso) addirittura ad anticipare il suo voto sfavorevole a quella che sarà la legge istitutiva dei nuovi, odiati enti autarcl1ici. C'è da prevedere che la polemica anti-regionalistica sarà portata alle sue estreme conseguenze nel corso dei prossimi mesi sia in quanto tema politico generale sia in quanto argomentazione strumentalistica anti-governativa. È infine più che probabile che la polemica anti-regionalistica costituirà il tema propagandistico centrale di t11tte le destre in occasione della prossima campagna elettorale politica. Si tratta, diciamolo subito, d'un tema largamente popolare e il cui impiego spregiudicato può riservare delle sorprese. Ci sembra inutile farci illusioni su questo punto. In primo luogo, la mancanza d'informazioni, o la disinformazione, sul problema regionale è pressoché totale. Il regionalismo non ha toccato che strati superficialissimi dell'opinione pubblica nazionale. Esso si configura, del resto, come un 7 Bibliotecaginobianco
Marco Cesarini Sforza interesse squisitamente politico, vale a dire come un problema la cui soluzione può interessare soltanto chi ha una· concezione e una posizione politicamente attiva, mentre appare lontano, astratto e irrilevante alla gran massa passiva dell'elettorato. Per di più, l'ideale regionalistico. sembra, in questi ultimi tempi, aver perduto terre~o anche presso l'ambiente dei suoi iniziali assertori. È facile incontrare, oggi, un certo . numero di buoni democratici che si dichiarano ancora regionalisti per principio o per tendenza ideale; ma che in concreto, davanti alle cattive prove che il regionalismo ·pratico avrebbe fin qui fornite, si mostrano dubbiosi, se non contrari, alla continuazione dell'esperimento. Ed occorre riconoscere che è, questo, un atteggiamento suggestivo, come ogni scelta che si presenti maggiormel)te basata sull'esperienza pratica che sull'ideologia preconcetta e quasi imposta al soggetto, inizialmente riluttante nella sua fedeltà all'idea, dalla forza stessa delle cose. Allo stesso modo, sono di due tipi (si potrebbe dire « di principio » e « di esperienza ») le obiezioni e i motivi di pole1nica anti-;regionalistica fin qui messi innanzi. Vediamo anzitutto le obiezioni di principio. ... 1. Obiezione « risorgin1entale ». Le Regioni sono l'anti-risorgimento, la negazione, la sconfessione e il tradimento degli ideali che resero possibile l'unificazione nazionale. Esse, infatti, sono volute principalmente dai cattolici e dai marxisti, cioè da _quelle forze politiche la cui collusione nel centro-sinistra starebbe a minacciare la fine dello Stato italiano quale, laico e liberale, sarebbe uscito dal Risorgimento, come esse entrambe sono, storicamente, forze .anti-laiche, anti-liberali e antirisorgimentali. Si può obiettare che, a parte l'evidente forzatura anacronistica delle attuali posizioni cattoliche e socialiste verso lo Stato laico e liberale, se~bra, per la verità, che tutto ciò che di nuovo e di positivo è stato fatto in Italia negli ultimi quindici anni abbia un significato apertamente anti-risorgimentale, sia stato cioè compiuto in direzione della revisione dell'eredità risorgimentale. Stiamo vivendo i tempi accelerati d'un anti-risorgimento collettivo, nel senso che il paese sta rinnovandosi positivamente soltanto nella misura in cui gli riesce di ripudiare le soluzioni dei suoi problemi. date dal Risorgimento, per sostituirle con altre di tipo nuovo e opposto a quelle (liberalizzazione degli scambi invece che protezionismo, industrializzazione invece che colonialismo nel Mezzogiorno, regionalismo - da ultimo - invece che accentramento statola trico e burocratico). 2. Obiezione « finanziaria ». Si tratta soltanto d'una rimasticatura 8 Bibliotecaginobianco
Le Regioni del vecchio calcolo dell'Einaudi, secondo cui le Regioni verrebbero a costare la cifra esorbitante di 500 miliardi all'anno."Secondo i calcoli della Commissione Tupini, al contrario, il costo delle Regioni viene determinato in 220 miliardi, di cui 113 di spese trasferite e 57 per le spese d'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi locali. In questo calcolo non sono comprese, come ha fatto recentemente rilevare Vincenzo Mazzei, le riduzioni di spesa che potrebbero derivare da una abolizione delle. Prefetture o, quanto meno, da un ridimensionamento organico di esse conseguente al passaggio alla Regione di talune fondamentali competenze prefettizie. In conclusione, si ha ragione di ritenere che non esistano ragioni finanziarie che rendano inattuabile la creazione delle Regioni a statuto normale. Senza dubbio le Regioni faranno spendere di più, poiché nessuna di esse, come ha detto Mario Missiroli, vorrà rinunciare a quelle opere di sviluppo e di miglioramento che rispondono ad esigenze vecchie e nuove. Ma appunto questo, di far spendere più e meglio in ordine alle esigenze di sviluppo generale e locale, è .uno dei compiti delle Regioni. 3. Obiezione << politica ». Si riassume in una frase dell'on. Mario Scelba: « L'Italia ~a Piacenza alle porte di Roma sarà governata prat~camente dal PCI e lo Stato non avrà alcun potere ». Si risponde: i poteri della Regione sono delimitati e precisati dalla Costituzione in modo tale che la loro esplicazione non possa pregiudicare in alcun modo l'efficace esercizio dei poteri dello Stato, quale che sia il colore politico della Giunta Regionale. I· poteri legislativi della Regione, in altre parole, s_ono costituzionalmente circoscritti, per materia e per ampiezza, in maniera tale da non poter in alcun caso rappresentare un pericolo per il potere dello Stato. La Regione a sta-- tuta normale, in altre parole ancora, non « governerà ». niente; ma amministrerà alcune poche, precise e limitate materie nei limiti tracciati dalla Costjtuzione e sotto l'egida della Corte Costituzionale. Tutto ciò in linea pratica. Ma l'obiezione « politica » non è accettabile, in primo -luogo, proprio nella sua stessa · linea di principio. Citiamo ancora Vincenzo Mazzei: « L'argomento del pericolo comunista è assolutamente inaccettabile. Seguendo un ragionamento del genere, si può giungere dritti alla conclusione che debba essere abolito il Parlamento se si corre il rischio di una maggioran·za non gradita; che per decidere, ad esempio, se creare o no una nuova provi11cia, si debba aver riguardo alle forze politiche dominanti nella zona interessata; e così via. La Costituzione prevede l'ordinamentq regionale. 9 Bibliotecaginobianco - ✓
• Marco Cesarini Sforza Non si può mutarla, prima di averla attuata, in relàzione a considerazioni di partito ». 4. Obiezione « militare ». È l'ultima in ordine di tempo, ma nari d'importanza. I comunisti, prevedibilmente, avrebbero la maggioranza in seno alle giunte regionali dell'Emilia, Toscana e Umbria, cioè nelle Regioni il cui controllo sarebbe probabilmente decisivo in caso di conflitto. Le domande poste ·dagli obiettori sono due. Che avverrebbe se, in quelle regioni, si verificassero disordini al momento della emergenza? (Il governo regionale « rosso » sarebbe in grado di affrontare e sedare i disordini « rossi », a beneficio degli « azzurri »?). Che avverrebbe se in quelle zone, a cavallo dell'Appennino tosco-emiliano, si verificasse uno sbarco improvviso e la conseguente organizzazione d'una testa di ponte che tagliasse in due la nazione? (Il governo regionale « rosso » sarebbe in grado di respingere i paracadutisti o gli sbarchi « rossi » sulla costa aperta della Romagna, in attesa dell'arrivo degli « azzurri »?) .. Così come sono stati posti dal Missiroli questi problemi fanno sol- ,..,_. tanto ridere. È troppo evidente che non rientra né nelle competenze · né nelle possibilità dei consigli regionali, che in sede di organizzazione armata possono soltanto istituire corpi di polizia urbana e rurale, respingere o bloccare invasioni e sbarchi aereo-navali, affroi1tare e reprimere disordini. Il mantenimento dell'ordine pubblico non rientra tra le materie, minuziosamente elencate dall'art. 117 della Costituzione, per le quali la Regione può emanare norme legislative. Sono compiti e responsabilità che spettano alle forze armate nazionali e, del resto, i consigli regionali possono essere sciolti (art. 126) anche « per ragioni di sicurezza nazionale ». - Occorre, però, aggiungere, a questo pt111to, che, non ostante le sciocchezze di cui sopra, un problema militare in relazione all'ordinamento regionale esiste, e può a11che apparir grave. Quello che può preoccupare, in vista del verificarsi di certe ipotesi, non è tanto l'atteg; giamento attivo cl1e una amministrazione regionale potrebbe assumere, quanto il suo atteggiamento passivo. L'obiezione « militare », in sostanza, richiede qualcosa di più che non una battuta o un'alzata di spalle. Le democrazie, del resto, sono o sembrano essere fisiologicamente incapaci di occuparsi con serietà di problemi militari e occorre appena ricordare come queste loro debolezze e antipatie, questa loro inèapacità ad esprimere quadri democratici ed insieme aperti in direzione dei problemi militari, siano spesso costate loro assai care. Vogliamo dire che, per ogni epoca e paese, esistono problemi militari obiettivamente aperti, e che è una debolezza ignorarli o sottovalutarli. 10 Bibliotecaginobianco \ I
Le Regioni Non si vede, d'altra parte, perché l'Italia non dovrebbe preoccuparsi di problemi di natura tattica e strategica a breve e a lunga scadenza e perché il suo Stato Maggiore non dovrebbe lavorare su tutte le possibili ipotesi. Ora, sembra evidente che l'esistenza di Regioni a determinato colore politico (di minoranza nella nazione) possa correttamente, e senza scandalo per nessuno, essere presa in considerazione come uno degli elementi che possono, in certe determinate ipotesi, caratterizzare la situazione strategica. Sarebbe strano se fosse il contrario. · Il problema è, comunque, di ordine tecnico-militare, e i tecnici militari debbono risolverlo. Certo esso tenderà sempre a presentarsi come un'incognita e, in definitiva, come un ricatto per la democrazia, finché la nostra organizzazione militare non si sarà messa al passo coi tempi. In altre parole: i generali continueranno ad esercitare le loro pressioni in sede politica e di formazione dell'opinione pubblica, chiedendo in definitiva che si soprassieda alla formazione delle Regioni, fino a che essi non sapranno con quali molle rigirare questi nuovi elementi della situazione politico-strategica, finché, cioè, non disporranno degli strumenti tecnici capaci di risolvere i problemi dei cosidetti « fronti interni ». In altre parole, è la strutturazio11e difensiva tecnico-militare (comandi di «fronte», dislocazione, ecc.) che deve adeguarsi alla struttura della nazione e non questa a quella. Seguono, a questo punto, le obiezioni « di esperienza ». Si riassumono in una conclusione di carattere generale: la Regione, là dove è stata creata e funziona, non ha risolto i problemi specifici per la cui risoluzione era stata creata. Essa in particolare non ha snellito i rapporti tra lo Stato e il cittadino, non ha contribuito al miglioramento dell'ordinamento amministrativo dello Stato, non ha eliminato i diaframmi burocratici e non ha garantito l'amministrato contro la corruzione. Al contrario, ha creato altri diaframmi, altre strozzature amministrative e nuove centrali di corruzione. Sembra evidente che questa conclusione ge11erale non sia basata su tutta l'esperienza disponibile, ma soltanto su una parte di essa. Ci si riferisce, ovviamente, unicamente all'esperienza siciliana e, anzi, soltanto alla parte negativa di essa. Bisogna dire due cose. Che quanto accade in Sicilia, dai vistosi fenomeni di corruzione e di sottogoverno fino al folklore assembleare e alla mafia, non ci può condurre a un giudizio sull'istituzione in sé. « Esista o non esista la Regione in Sicilia - ha scritto Ugo La Malfa - certi fenomeni degenerativi della vita associata saranno caratteristici di alcune disgraziate zone di quest'isola; e non si può trarre, pertanto_, da una condizione particolare una conclusione di ordine generale ». 11 Bibliotecaginobianco
.. Marco Cesarini Sforza L'educazione all'autogoverno sembra costituire, al· contrario, l'unico tentativo che ancora possiamo porre in essere prima di giungere alla conclusione, evidentemente assurda, che quelle caratteristiche degenerative siano ineliminabili. In secondo luogo, non esiste soltanto l'esperienza siciliana, ma quella sarda, ad essa profondamente contrastante, e quella valdaostana, ancora diversa sia dalla prima sia dalla seconda tanto in sede di risultati politici quanto in sede di risultati economicosociali e di progresso ci~ile. La stessa esperienza siciliana, infine,· è fatta di positivo e di negativo, di ombre e di luci. Ma queste sono le più vecchie e più grossolane ·delle obiezioni « di esperienza » che oggi si fanno alla Regione. Sono stati recentemente portati argomenti nuovi e, in accordo con essi, sono state elaborate nuove linee pratiche di attacco anti-regionalistico. · La Regione, è stato detto ad esempio, è quanto meno inutile, visto che, non disponendo di poteri in materia, appare negata all'assolvimento d'uno dei compiti principali che i suoi sostenitori gli assegnano, e cioè al riordino e riammodernamento dei poteri e dei sistemi amministrativi dello Stato. Già. Ma il sistema regionale non è altro che la premessa e il fondamento di un sistema politico e amministrativo profondamente nuovo e diverso da. quello tradizionale (è· l'anti-risorgimento). La Regione sorge come l'infrastruttura istituzionale di base per la creazione d'una nuova strutturazione. democratica generale. Senza di essa l'ordinamento amministrativo e politico-amministrativo dello Stato non potrà che subire mediocri aggiustamenti mentre sarà la sua presenza a rendere indilazionabile, a un certo punto, il rinnovamento profondo delle istituzioni generali. In accordo con questa obiezione, comunque, è stata rec~ntemente elaborata la linea di resistenza antiregionalistica consistente nell'abbinamento del problema dell'attuazione delle Regioni con quello della riforma burocratico-amministrativa dello Stato. È vero, naturalmente, che le Regioni sono un elemento della riforma generale; ma è anche vero che, mentre le Regioni possono stare anche senza la riforma generale, quest'ultima non può stare senza le Regioni e che, dunque, è dalle Regioni cl1e occorre cominciare se si vuol davvero riformare lo Stato. · Forse ancora più interessante e sollecitatrice è l'altra obiezione, secondo cui la Regione sarebbe già divenuta, nel corso del quindicennio « in frigorifero », una entità economico-sociale inadeguata alle nuove realtà maturate nel frattempo, cioè a dire, con Scelba, uno strumento « incapace di risolvere autonomamente i problemi economici di una società moderna dominata dai grandi spazi della tecnica ». È stato risposto a questa indubbiamente abile obiezione, che nessun 12 Bibliotecaginobianco
Le Regioni regionalista serio ha lontanamente pensato che la Regione possa risolvere autonomamente i problemi economici di fondo della società nazionale o anche i suoi propri e particolari; anche perché la Regione, così come è prevista dalla Costituzione, non ha neppure i poteri e l'ambito di competenze adatti allo scopo. È stato aggiunto che, viceversa, la Regione può ottimamente servire come valido strumento di collaborazione periferica tanto nel momento dell'elaborazione come nel momento dell'attuazione decentrata del piano economico generale. · Bisognerà forse aggiungere qualche altra cosa, e cioè che accanto ai. regionalisti seri ci sono anche quelli allegri e che, accanto a questi, ci sono infine anche i regionalisti seri, ma che della Regione intendono utilizzare soltanto gli aspetti strumentalisticamente produçenti ai loro fini generali. I guai della Regione siciliana. cominciarono quando, dopo .Restivo e con gente come Alessi, che adesso capeggia la destra, o come i comunisti, che già covavano il milazzismo, si cominciò a parlare di « soluzioni autonome e originali » dei problemi dell'Isola, e lo slogan « la Sicilia farà da sé » venne assunto a simbolo di neo-autonomismo davvero ridicolo in questi tempi di « grandi spazi » della tecnica e del1' economia. Tutto ciò, comunque, ci serve per ricordare che esiste il pericolo d'una visione equivocamente autono1nistica delle future Regioni, e che ~i questo autonomismo più o meno artificiosamente sollevato ci sì varrà sia come d'un elemento di polemica anti-regionalistica sia come d'una piattaforma strumentalistica per operazioni politiche di vertice . . D'altra parte, poiché la tecnica e l'economia si muovono ormai per grandi spazi, sembrerebbe che la .Regione sia lo strumento di giusta ampiezza al quale ricorrere per l'identificazione dei problemi di base e, sucecessivamente, per la loro risoluzione decentrata. Strumenti ancora troppo piccoli, dice l'on. Scelba. Certo, in ogni caso, maggiori che non quelli ai quali siamo costretti a ricorrere attualmente per le stesse esigenze, Camere di commercio provinciali, uffici tecnici comunali e provinciali, ecc. Ci sembra, con ciò, di aver praticamente esaurito il panorama delle obiezioni che caratterizzano la fase attuale della polemica antiregionalistica. Qual'è, adesso, il compito dei regionalisti? È un compito difficile che, seco·ndo noi, si articola su due esigenze . .· La prima è quella che consiste nel fare il punto dell'evoluzione che, in questi anni di polemica e, spesso, di silenzio da parte dei regionalisti, ha subìto l'idea regionalistica presso i regionalisti stessi. La seconda corrisponde al nuovo impegno pratico che sta davanti ai regio13 Bibliotecaginobianco ;,
Marco Cesarini Sforza nalisti. Non si tratta più di discutere astrattamente- pro e contro; ma di elaborare, in questa fase, leggi e regolamenti, e, nella fase immediatamente successiva, di impostare la campagna elettorale regionalistica, e cioè di condurre una concreta lotta politica contro quanti tenderanno a dare alle Regioni forme e contenuti limitativi o variamente strumentalistici, mentre, domani, tenderanno ad impadronirsene in sede politica e burocratico-amministrativa. · Sembra possibile affermare che molti dei silenzi e persino dei dubbi che hanno caratterizzato il campo dei regionalisti in questi ultimi mesi siano dovuti, più che ad una crisi, a un ripensamento e una risistemazione di fondo degli ideali di auto-governo che si diffusero nell'immediato dopoguerra. Abbiamo già accennato come, ormai, sia a nostro avviso necessario chiarire i limiti rispettivi del regionalismo e dell'autonomismo, che son due cose diverse. In fondo, come è un retaggio risorgimentale il feroce accentram.ento burocratico-amministrativo e politicoamministrativo del paese, così, per reazione, è un negativo retaggio risorgimentale la visione federalistica o autonomistica, centrifuga e, infine, parrocchiale o corporativa della Regione come opposizione alla . Nazione. Anche la visione d'una Regione come tocca-sana di tutti i mali è stata convenientemente ridimensionata. Come c'era, nella visione dei regionalisti più sinceri e democratici, un _residuo di federalismo, così c'era, a ben guardare, un'ampia sottovalutazione deì problemi di grande spazio, ma di tempo breve, che son propri dei nostri giorni. Esistono altri motivi di ripensamento, di ridimensionamento. Tutti insieme fanno un'evoluzione degli ideali regionalistici, presso gli stessi ambienti favorevoli all'esperimento, che occorre portare chiaramente alla luce, confrontando il vecchio regionalismo (di appena quindici anni fa!) con quello odierno, in modo da dotare quest'ultimo di tutte le armi e tutti gli argomenti necessari per resistere alla prova del fuoco delle realtà. In altre parole: i rappresentanti della nazione si accingono ormai a discutere quelle che saranno le leggi entro i cui disposti sorgeranno e vivranno le Regioni, e noi non vorremmo che si andasse a questa discussione, da parte. dei regionalisti democratici, in condizioni di inferiorità almeno psicologica, non avendo cioè risolto i dubbi e le crisi affiorate nell'ultimo periodo ed essendo, in sostanza, rimasti fermi alle istanze e ai motivi del « vecchio regionalismo », quando l'antiregionalismo si è rinnovato e riarmato sulla base della nuova situazione generale economica, sociale e politica. Ne approfitterebbero subito i due nemici del regionalismo, che son coloro che non vogliono le autonomie regionali e coloro che le vogliono soltanto in funzione strumentalistica. - MARCO CESARINI SFORZA 14 Bibliotecaginobianco I \
« Schema Vanoni» e Mezzogiorno . di Pasquale Saraceno ·In un articolo dedicato all'esame della dinamica della popolazione, del reddito e dei consumi del Mezzogiorno nel corso dell'ultimo decennio 1 , il Prof. Tagliacarne afferma che le delusioni e le critiche circa i progressi, pur ragguardevoli, compiuti dall'economia meridionale sono riconducibili alla mancata realizzazione delle aspettative, di un ravvicinamento tra il reddito del Sud e quello del Nord, che si erano venute determinando in base alle previsioni di sviluppo regionale avanzate dallo « Schema Vanoni ». D'altra parte, secondo il Tagliacarne, tali previsioni sarebbero state viziate da un errore fondamentale, consistente in una valutazione troppo ottimistica delle possibilità di sviluppo del Mezzogiorno, fatta, come dice il Tagliacarne, con il metro dei « tempi brevi » mentre un mutamento di struttura co1ne quello ipotizzato avrebbe dovuto richiedere il metro dei « tempi lunghi ». Queste affermazioni sollecita110 almeno un commento, in ordine sia alle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno lndicate dallo « Schema Vanoni », sia alle aspettative cui lo stesso « Schema» avrebbe potuto dar luogo, sia infine all'effettiva lunghezza dei « tempi » necessari per affrontare e risolvere il problema del Mezzogiorno; sembra tuttavia opportuno rivolgere una particolare attenzione al primo punto, cui sono legati in maggiore o minor misura gli altri due. Ora, quanto agli obiettivi posti dallo « Schema » in ordine allo sviluppo del Mezzogiorno e alla •riduzione delle distanze nei confronti del Nord, è da ricordare, innanzitutto, che tali obiettivi non erano stati determinati astrattamente, ma venivano a configurarsi in un quadro strettamente condizionato dall'insieme delle « politiche » previste nello « Schema » stesso e da un meccanismo di sviluppo che implicava delle scelte ben precise e di grande rilievo; in altre parole, lo « Schema Vanoni » riteneva che solo la realizzazione di un certo meccanismo di sviluppo - diverso da quello che fin'allora aveva determinato la ripartizione regionale degli investimenti, dell'occupazione e della produttività - avrebbe potuto _ « consentire e favorire insieme la riduzione t G. TAGLIACARNE, Il Sud fra due Censimenti, in « Nuovo Mezzogiorno», n. 12, dicembre 1961, pp. 5-10. 15 Bibliotecaginobianco . •
• Pasquale Saraceno degli scarti esistenti tra Nord e Mezzogiorno » 2 ; dovrebbe quindi essere ovvio che ogni giudizio sul raggiungimento degli obiettivi prefissi non possa prescindere dalla verifica della rispondenza a tali obiettivi delle politiche e del meccanismo che in concreto si sono avuti. Tale richiamo al « quadro » in cui ha avuto luogo l'evoluzione della società italiana negli anni successivi allo « Schema Vanoni » non deve essere considerato un espediente dialettico: in effetti, il meccanismo di sviluppo e gli stimoli di cui ha goduto l'economia italiana sono risultati tanto diversi da quelli previsti dallo « Schema » da porre in discussione, già dai primi tempi, le possibilità di realizzazione di alcuni importanti obiettivi che lo « Schema » si proponeva e in particolare delle linee di sviluppo indicate per il Mezzogiorno 3 ; l'analisi del Prof. Tagliacarne non tiene conto di detti elementi e quindi non può non essere giudicata incompleta. Si ricorderà che lo « Schema » supponeva che, finita la ricostruzione post-bellica, un ulteriore e adeguato sviluppo dell'economia italiana dovesse trovare gli stirr1oli più rilevanti nell'accelerazione degli investimenti in alcuni settori, considerati « settori propulsivi », ai quali era peraltro affidato il compito non solo di dare impulso, attraverso il processo moltiplicativo e l'utilizzo di risorse naturali, all'incremento del reddito globale, ma anche di introdurre nel nostro processo di sviluppo elementi di riequilibrio settoriale e zonale. Veniva infatti previsto che i programmi di interv½nto nei « settori propulsivi » dovessero dar luogo alla creazione di opere ambientali e di altre economie esterne che sono pregiudiziali ad ogni processo di sviluppo e che avrebbero dovuto modificare in favore delle zone meno progredite del Paese i termini di convenienza agli investimenti direttamente produttivi; il fatto che oltre il 45 % degli investimenti ritenuti necessari nei « settori propulsivi » per il decennio 1955-64 fosse destinato alle regioni meridionali indica chiaramente l'importanza che a tali investimenti si attribuiva nel quadro del processo di riequilibramento della sit11azione economica delle diverse zone del Paese. Tuttavia lo stesso « Schema Vanoni » metteva in guardia dal cre2 Cfr.: Schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964 in « Documenti sul programma di sviluppo economico », a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1957, I ediz. p. 83. 3 Cfr. la risposta del Presidente del « Comitato per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito» al discorso pronunciato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 13 dicembre 1956 nel corso della seduta di insediamento del Comitato stesso , in « Documenti sul programma di sviluppo economico», op. cit. pagg. XVI-XVII. Cfr. inoltre: Schema di sviluppo e Mercato comune Europeo, rapporto del Presidente del « Comitato per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito » al Presidente del Consiglio dei Ministri, Roma, 1957, pagg. 3-4. 16 Bibliotecaginobianco
« Schema Vanoni» e Mezzogiorno dere che gli investimenti nei « settori propulsivi » fossero sufficienti a determinare l'atteso cambiamento nella posizione del Mezzogiorno rispetto al Nord, e precisava esplicitamente che i capitali che si sarebbero investiti in detti settori, per sortire gli effetti desiderati, avrebbero dovuto essere integrati dalla creazione di un'attrezzatura produttiva, fonte permanente di reddito e di occupazione, e tale da dar luogo ad un meccanismo di sviluppo autopropulsivo ancora mancante nel Mezzogiorno e in assenza del quale era da attendersi il mantenin1ento della situazione di squilibrio nei confronti del Nord 4 • Ora, quanto agli investime11ti direttamente produttivi, la cui intensificazione, come effetto anche degli interventi nei « settori propulsivi », rappresentava di per sé uno dei presupposti dello « Schema Vanoni », è da ricordare che lo « Schema » stesso prevedeva che gli investimenti netti addizionali del decennio 1955-64 dovessero concentrarsi per il 49 % nel Mezzogiorno, con percentuali che andavano dal 50 % per il settore industriale al 45 % previsto per i servizi. Dovrebbe essere superfluo ribadire, ma forse il caso lo richiede, che lo « Schema » precisava 5 che il raggiungi1nento degli obiettivi indicati avrebbe comportato che gli investime11ti direttamente produttivi si ripartissero tra Nord e Mezzogior110 in funzione degli sviluppi di reddito e di occupazione previsti. U11 esame degli svolgimenti cl1e ha11no avuto luogo nell'economia italiana dopo la presentazione dello « Scl1ema Vanoni » sarebbe di notevole interesse, ma richiederebbe ovviamente spazio maggiore di quello che può essere qui consentito. Basterà forse, ai fini dell'argomento, individuare il tipo di meccanismo e le politiche che hanno presieduto all'impetuoso sviluppo che indubbiamente si è avuto. A tal riguardo si può affermare che, se il quadro dei risultati di detto svilt1ppo si presenta sotto molti aspetti conforme a quello indicato nello «Schema», profondamente diversi sono stati gli stimoli cl1e hanno operato nel nostro sistema economico e quindi la natura del meccanismo di sviluppo; e innanzitutto si deve rico11oscere, che per il conseguimento del saggio di sviluppo previsto, non è stata necessaria, e comunque non si è avuta, la politica di propulsione che lo « Schema » immaginava doversi perseguire in diversi settori dell'economia pubblica. In effetti, l'importanza e la continuità della favorevole congiuntura internazionale, l'inserimento dell'Italia nella C.E.E., l'aumento della domanda interna di beni di consumo i11misura anche superiore 4 Cfr.: Schema di sviluppo, ecc. op. cit. pag. 77. s Cfr.: Schema di sviluppo, ecc., op. cit., pag. 83. 1.7 Bibliotecaginobianco
Pasquale Saraceno a quella prevista dallo « Schema», hanno insieme determinato un notevole cambiamento nei tipi di impulsi che si riteneva avrebbero operato in Italia. Una rilevante espansione si è invero avuta anche nei settori cosid .. ·detti « propulsivi »; essa ci appare però oggi essenzialmente come l'effetto della crescita della nostra economia, anziché una delle principali determinanti dello sviluppo che si è avuto. In ·altri termini, l'azione svolta nei « settori prop~lsivi » si può dire si sia estrinsecata essenzialmente nel provvedere alla dotazione del capitale occorrente per uno sviluppo che ha trovato altrove i suoi stimoli e, come diremo, non poteva non favorire ancora una volta i centri e le zone, già progrediti, in cui. tale sviluppo quasi automaticamente si produceva. A questo andamento ha indubbiamente contribuito il convincimento che l'azione pubblica non dovesse. sovra porre nuovi stimoli a quelli che autonomamente produceva il mercato, e, soprattutto, non dovesse frenare il movimento di espansione econo1nica suscitato direttamente dal mercato, per ottenere le risorse occorrenti all'intensificazione degli investimenti nelle zone in cui lo sviluppo era minore 6 • Se quindi la proporzione degli investimenti nei settori propulsivi del Mezzogiorno non ha corrisposto alle indicazioni avanzate al riguardo dallo « Schema », di bene maggiore importanza è il fatto che i vari stimoli di sviluppo, cui si è accennato, pur consentendo per il con1plesso dell'economia italiana progressi più rilevanti di produttività e quindi di benessere, hanno operato soprattutto a vantaggio delle zone dove era situata gran parte dell'industria italiana e quindi del Nord; è comune constatazione che gli incrementi di produzione giustificati dal mercato sono stati il risultato più di aumenti di dimensione delle unità esistenti - e quindi del sistema industriale settentrionale - che no11 l'effetto della costituzione di nuove unità di produzione, eventualmente ubicabili nelle regioni meridionali. Non si vuole qui affermare che il processo di allargamento delle dimensioni produttive e di aumento del grado di meccanizzazione non sia stato determinato in parte rilevante dalle esigenze connesse al più spinto inserimento dell'economia italiana nell'economia mondiale e in particolare nella C.E.E., anzi è da rilevare che le unità che ora si costituiscono al Sud hanno strutture più a1npie e più moderne di quelle di cui sarebbero state dotate se concepite nel quadro di un'economia 6 È da notare che l'entità e le direzioni della spesa pubblica sono state condizionate in questo periodo dal fatto che la tendenza ad aumentare le spese correnti si è manifestata in misura così rilevante da assorbire la più gran parte dei mezzi liquidi addizionali forniti, pur in misura considerevole, dal meccanismo fiscale. 18 Bibliotecaginobianco
« Schema Vanoni» e Mezzogiorno italiana non integrata nel Mercato Europeo; tuttavia non ·sembra dubbio che il diverso quadro che ha presieduto allo sviluppo dell'economia italiana, rispetto _a quello previsto dallo « Schema », è venuto a ritar- .dare l'estensione al Mezzogiorno del sistema industriale italiano, estensione ritenuta possibile nelle condizioni indicate dallo « Schema». Per concludere, il fatto che gli investimenti, sia quelli nei « settori propulsivi » sia quelli direttamente produttivi, non abbiano seguito per il Mezzogiorno le proporzioni indicate dallo « Schema Vanoni» e, in genere, i diversi rapporti che si sono avuti e dal lato della formazione del reddito nazionale, per quanto riguarda l'incremento della produttività rispetto all'aumento dell'occupazione, e da quello della distribuzione delle risorse, sono venuti a modificare sostanzialmente il « quadro » in cui si supponeva avrebbero potuto aver luogo lo sviluppo dell'economia nel Mezzogiorno e l'inserimento delle forze di lavoro meridionali nel mercato nazionale. Questa constatazione, dei diversi termini in cui si è venuto a svolgere, rispetto al previsto, lo sviluppo della economia italiana, e del Mezzogiorno in particolare, non è il frutto di un esame statistico effettuato a tanti anni di distanza, ma rappresenta il risultato di una continua attenzione dedicata ai vari elementi e alle tendenze della nostra evoluzione economica. . Tale continuo riesame delle prospettive indicate nello « Schema » risale ai primi tempi dello « Schema » stesso 7 e trova compiuta espressione nei Rapporti predisposti dal « Comitato per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito », il quale, come si è detto, non ha mancato di indicare, fin dall'inizio della sua attività, le divergenze di andamento e soprattutto la diversità degli stimoli e del meccanismo di sviluppo dell'economia italiana rispetto a quelli previsti dallo « Schema » 8 • Tali Rapporti erano quindi già da soli in grado di ridimensione ogni aspettativa, anche quelle di coloro che dalla logica dello « Schema Vanoni » avessero avuto un'idea alquanto approssimativa, sulle possibilità di realizzazione degli obiettivi indicati dallo « Schema » per lo sviluppo. del Mezzogiorno e per la riduzione delle distanze nei confronti del Nord. 7 Sembra opportuno segnalare che già nel 1955 una indagine effettuata presso il Ministero dell'Industria fece rilevare una notevole rispondenza degli investimenti industriali, previsti nel periodo successivo, ai valori indicati dallo « S~hema », ma una tendenza diversa da quella ipotizzata per quel che riguarda la localizzazione geografica di tali investimenti. s Cfr.: Schema di sviluppo e Mercato Comune Europeo, op. cit. e La situazione economica italiana all'atto dell'entrata in vigore del Trattato di Roma, Roma, · settembre 1958. 19 Bibljotecaginobianco
Pasquale Saraceno Ancora più esplicito a questo riguardo è stato, tuttavia, nel luglio del 1959, l'ultimo Rapporto del Comitato, nel quale si indicava chiaramente che gli elementi nuovi della s"ituazione italiana erano ormai talmente rilevanti da richiedere una profonda rielaborazione del sistema dei valori contenuto nello « Schema», specie in materi.a di sviluppo del Mezzogiorno 9 • Sembra che non si possa chiudere questa nota senza un accenno al problema dei tempi n~cessari allo svolgimento di un processo di sviluppo quale quello del Mezzogiorno. Ora non vi è dubbio cl1e lo « Schema Vanoni » ha tenuto conto del fatto che non ci si potesse attendere una crescita contemporanea in tutti i settori dell'economia del Mezzogior110 e che in un primo tempo avrebbero dovuto asumere una proporzione relativamente più rilevante gli investimenti nelle « infrastrutture », che 110n sono destinate a fornire direttamente reddito; tuttavia ciò non poteva impedire di ipotizzare che, una volta provveduto ad una certa accumulazione di capitale sociale, potesse aver luogo, nel quadro di stimoli e di politiche indicate dallo « Schen1a », una este11sione al Sud del sistema industriale_ italiano, e quindi u11 aumento del reddito del lVIezzogiorno, a saggi che sarebbero risultati rilevanti dato il basso livello di partenza. Quando si parla di « tempo lungo » bisogna però guardarsi dal pensare che una soluzione del proble1na del. Mezzogiorno possa avvenire automaticamente con il passare del tempo. Al contrario, la stessa intensità e rapidità del progresso del nostro sistema economico, progresso che si concentra ancor oggi nelle zone già sviluppate, fa sì che il problema del Mezzogiorno debba essere affrontato in « tempo breve » ove si voglia che le distanze non si accrescano ad un punto tale da porre del tutto « fuori mercato » le nostre regioni meridionali. È quindi necessario introdurre nel processo di sviluppo economico in atto nuovi elementi capaci di accelerare l'eliminazione degli squilibri esistenti tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, e fare in modo che la politica di sviluppo del Mezzogiorno diventi una delle co1nponenti più importanti del nostro ulteriore sviluppo economico e sociale: è quanto lo « Schen1a Vanoni » si era proposto di fare, ed è ciò che di sempre valido resta di tale « Schema », indipendenten1ente dall'ordine di grandezza dei valori adottati e dal~e ipotesi assunte. PASQUALESARACENO 9 Cfr.: Riconsiderazione dello « Schema Vanoni » nel quinto anno dalla sua presentazione, Roma, 1959, pagg. 24-26. 20 Bibliotecaginobianco I I I
• Epigoni del meridionalismo cori1unista di Francesco Compagna · È stata pubblicata nella « Collezione storica » di Laterza una nuova antologia della questione meridionale: Il Sud nella storia d'Italia, a cura di Rosario Villari. È un'opera cl1e, per le tradizioni illt1stri della « collezione » di cui è venuta a far parte e per la veste molto attraente con cui si presenta, avrà certamente, e in buona parte ha già avuto, un ampio successo editoriale. Non sembra, però, che, almeno fino ad oggi, essa abbia avuio grande successo presso i critici più autorevoli: alcu11i hanno taciuto, altri ha11110for111ulato qualche riserva, altri ancora non hanno risparmiato giudizi severi. Anche noi, naturalmente, abbiamo qualche cosa da dire a proposito di questa nuova antologia della questione meridionale; e anche per noi si tratta essenzialmente di illustrare le ragioni di un dissenso rispetto ai criterii di cui si è servito il curatore per la scelta e per lé\ presentazione dei testi: un dissenso di cui non c'è da stupirsi, visto e considerato che da anni andiamo interpretando i dati della questione mericlionale in u11 modo diverso da come li interpretano Villari ed i . . . SUOI am1c1. Diciamo subito, quindi, che il c11ratore della rece11te antologia di Laterza è un giovane e valente storico di scuola comunista, e anche un attivo militante del PCI; e che, incaricato di preparare questo libro, per questa « collezione », egli ha dovu.to pertanto affrontare difficili problemi di dosaggio - per così dire -. sia per essere coerente con la sua formazione e co11 la sua militanza nel PCI, sia per non investire direttamente i lettori con le tesi comuniste, come avrebbe potuto e dovuto fare se si fosse trattato di preparare l'antologia per una casa editrice dichiaratamente comunista. Cosi ci troviamo ora in presenza di un libro cl1e rappresenta il massimo limite cui possono spingersi i comunisti nell'interpretazione della questione meridionale per non essere acc11sati di « revisionismo » da altri comunisti, e per accreditare in pari tempo le tesi del loro partito presso lettori non comunisti, a11che mediante una sapiente scelta dei termini di confronto con le tesi avanzate da altre correnti politiche e di pensiero. Questo limite, però, risulta alla prova assai rigido e ristretto. Può · 21 Bibliotecaginobianco
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