Giornale a più voci dice. Perché mai l'uomo di governo il cui nome doveva rimanere legato alla raccolta di leggi, fu così ostinato? Rocco indubbiamente si uniformò ad un parere del quale, come ministro fascista, doveva tenere conto: al parere di Mussolini che non poteva cer- .tamente essere sfavorevole all'accoglimento nel nuovo codice dell'art. 587 se nel 1932, in una delle interviste concesse a Ludwig, ebbe a dichiarare: « Mi ìnteressa uno solo dei miei antenati: fu un Mussolini che in ' quei tempi ' a Venezia uccise sua moglie perché lo aveva ingannato e le mise poi, prima di fuggire, due scudi veneziani sul petto per pagarle il funerale. Così è la gente di Romagna, dalla quale io provengo». Il romagnolo uxoricida di cui parlò Mussolini visse in epoca remota. Ai nostri giorni i delitti d'onore vengono compiuti quasi esclusivamente dai meridionali. Più a Sud si va, più se ne trovano. Ma per fortuna la cronaca in passato ne registrava assai di più, e registrava anche episodi delittuosi di maggiore gravità come quello, per esempio, rievocato da Giovanni Arpino nel suo ultimo romanzo Un delitto d'onore. Si tratta di un caso di duplice omicidio che, il 1° aprile del 1922, ebbe per scena Lapio, un piccolo centro dell'Avellinese. Ne fu protagonista il medico Lucio Carbone la cui confessione troviamo riprodotta interan1ente nel libro che contiene la sceneggiatura di Divorzio all'italiana. Il Carbone uccise la giovane moglie dopo aver scoperto che ella, prima di sposarlo, aveva avuto un amante; ed ammazzò, per rendere più completa la sua vendetta, anche la sorella di quest'ultimo. Constatato senza possibilità di errore, durante la prima notte, che Belinda Campanile, la ragazza che il giorno prima aveva condotto all'altare, no11 era nuova all'amore, il Carbone vide subito nell'uxoricidio la sola possibilità di uscire « con onore» dalla penosa situazione nella quale era venuto a trovarsi. Egli riuscì ad ottenere la confessione della moglie che gli rivelò anche il nome del suo seduttore, Oreste Fusco, un giovane di Lapio. « Allora - dichiarò il Carbone in Corte di Assise - la mia ira esplose; ma non levai la mano su mia moglie, imprecai contro il seduttore. Alla dichiarazione di lei sentii crollare tutto dinanzi a me; pensai alla mia povera mamma, ai consigli dello zio, alle lettere che mi mettevano in gua:rdia. Il disastro del n1io amore mi rese stordito, sconfortato. Cominciò a sorgere in me l'idea di uscire nuovamente dal fango in cui ero caduto. Decisi di partire immediatamente per tornare ad Atripalda, allo scopo di prendere gli oggetti di nostra pertinenza e di ritornare in paese. Infatti prendemmo il treno delle ore 17,45. Durante il viaggio essa mi pregava di non dire nulla agli zii, chiedeva perdono promettendo di essere buona per l'avvenire, ma io l'avvertii che doveva essa stessa rendere confessione ai st1oi parenti, altrimenti l'avrei fatto io. Durante il viaggio, esclusa l'idea del perdono perché io tutto avevo a lei dato ed essa a me niente altro che una bellezza corrotta, pensai che né poteva trascorrere la vita con gli zii, né era possibile per lei ritornare nell'esercizio della cugina a distribuire il vino agli avventori: in tal caso colei che portava il n1io nome sarebbe finita abbandonata a se stessa per discendere 31 Bibli~tecaginobianco
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