Nord e Sud - anno IX - n. 25 - gennaio 1962

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Ugo La Malfa, Mezzogiorno e centro-sinistra - Manlio Rossi Doria, Lo sviluppo agricolo dei paesi mediterranei Marco Cesarini Sforza, "Inviato,, a Sud - Vittorio de Caprariis, Le élites e la democrazia - Giuseppe Ciranna, I complici - Francesco Compagna, Manodopera italiarta e Mercato comune. e scritti di Rosellina Balbi, Giancarlo Barberis, Raffaello Franchini, Mirella Galdenzi, Giorgio Granata, Augusto Graziani, Eduardo Guglielmi, Luigi Mazzillo, Gaetano Orlandi, Antonio Palermo, Franco Simoncini, Nicola Tranfaglia. ANNO IX - NUOVA SERIE - GENNAIO 1962 - N. 25 (86) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - NAPOLI Bibliotecaginobianco

cedola di commissione libraria bulletin de commande de librarie-biicherzettel Edizioni Scientifiche Italiane Via Roma, 406 (Spirito Santo) • • • • : ........................... : . . . • • • . . : : . . . • • • . . : : . . . : : . i L. 20 i • . . . . . . . . . . . . . . . . . : : . . . • • • . . : : . . . . . . .. . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . • IMPORTANTE: • a tutti coloro che s. p. a. • • • : verserannola quota • • entro il 31 marzo • .. • • la E.S.I. concederà - • lo sconto del 10 % • • • : su tutti Ì volumi - • • - di propria edizione. • NAPOLI • • • BibliotecaginobiaAco • •

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO IX - GENNAIO 1962 - N. 25 (86) DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via G. Carducci, 19 - Telef. 392.918 Amministrazione, Distribuzione e Pubblicità : EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. Via Roma, n. 406 - Napoli - Telef. 312.540- 313.568 Una copia L. 300 - Estero L. 360 - Abbonamenti: Sostenitore L. 20.000 ~ Italia annuale L. 3.300, semestrale L. 1.700 - Estero annuale L. 4.000, semestrale L. 2.200 - Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 Edizioni Scientifiche Italiane - Via Roma 406, Napoli Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Ugo La Malfa Giuseppe Ciranna Vittorio de Caprariis Franco Simoncini Giancarlo Barberis Gaetano Orlandi Nicola Tranf aglia Rosellina Balbi Editoriale [3 J Mezzogiorno e centro-sinistra [7] I complici [ 12] Le élites e la democrazia [22] Note della Redazione Scartamento ridotto - Il Caso Hirsch - Nono anno [35] Giornale a più voci Riflessi italiani del Congresso sindacale mondiale [ 43] Il più lungo 14 luglio [ 48] L'OCSE e gli aiuti ai paesi sottosviluppati [51] La Corte Costituzionale e l'adulterio [54 J Napoli 1-T-X [60] Documenti Manlio Rossi Daria Lo sviluppo agricolo dei paesi mediterranei [69] Relazioni Francesco Compagna La riserva italiana di manodopera e il Mercato con1une [76] Raffaello Franchini Mirella Galdenzi Giorgio Granata Augusto Graziani In corsivo [87] Recensioni Storia e Sociologia (R. Aron) [90] Il tecnico del puro sguardo (A. Robbe-Grillet) [93] Il paradiso in terra (G. Toti) [99] La concentrazione industriale (L. Bruni) [ 104] Cronache e Memorie Marco Cesarini Sforza « Iriviato » a Sud [110] Bibliotecaginobianco Cronaca Libraria a cura di Antonio Palermo, Nicola Tranfaglia, Eduardo Guglielmi, Luigi Mazzillo [ 123]

Editòriale • Se si dovesse dare una caratterizzazione rapida delle reazioni dei comunisti italiani al XXII Congresso del PCUS e delle reazioni di altri partiti e della maggior parte della stampa italiana alle reazioni dei comunisti, crediamo che ancora una volta tutto si potrebbe esprimere col vecchio titolo scespiriano: molto rumore per nulla! Vogliamo dire, cioè, che quello che nell'Unione Sovietica è un fenomeno serio ed importante diventa, trasferito al Partito comunista italiano, una vicenda poco meno che ridicola. Sarebbe assurdo credere, infatti, che la scomunica f armale di Stalin e dello stalinismo sia da tenere per segno certo di un'evoluzione del totalitarisnio sovietico verso quelle forme di convivenza politica democratica che agli uomini liberi paiono le migliori. Gli attuali dirigenti del Cremlino harino da fare ancora molta strada in questo senso, devono approfondire il dibattito ideologico, chiamare in causa le dottrine leriiniste (e non marxiste) della dittatura del proletariato, del partito unico e del centralismo democratico. E non v'è nulla che faccia pensare che la strada che i sovietici hanno innanzi sia rettilinea o che essi abbiano intenzione di porre con chiarezza e coerenza il problema della compatibilità di leni11ismo e democrazia: semmai certi sofismi che la « Pravda » pubblicò il mese scorso e che « l'Unità » si è affrettata a ristampare fanno pensare il contrario. Tuttavia sarebbe assurdo affermare che la destalinizzazione sia o possa restare soltanto una manovra di vertici e negare che nel contesto in cui essa si dà, ossia nel contesto di uno stato fondamentalmente totalitario, essa non dia l'avvio ad un processo sul cui sbocco è difficile fare previsioni ma sulla cui importanza è difficile avere dubbi. Trasferita al PCI la destalinizzazione appare, invece, l'ultima metafora dietro la quale la classe dirigente comunista italiana cela le sue contraddizioni e la sua volontà di non mutare i princìpi ispiratori della sua politica. In effetti è stato proprio Riccardo Lombardi a rilevare che i comunisti italiani parlano ed agiscono oggi come se l'ideologia e la politica del PCI e l'ide·ologia staliniana ed il culto di Stalin fossero due cose ben distinte, che non interferivano l'una con l'altra, sì che liberata la coscienza del peso dei delitti di Stalin essi possono conti3 • Bibliotecaginobianco

Editoriale nuare a fare tranquillamente quello che hanno fatto ·fino ad ieri. Troppo facile, troppo semplice, e troppo comodo anche: perché l'ideologia e la politica di tipo staliniano hanno conf armato anche l'ideologia e la politica del PCI e non basta condannarle per liberarsene. La cosiddetta via italiana al socialismo non era altro pei comunisti del PCI che una tecnica di conquista del potere, che una volta realizzata avrebbe dato luogo ad una costruzione statale dello stesso tipo di quella sovietica e dunque staliniana. Pertanto, una volta negato a fior di labbra lo schema staliniano, può restare valida la formula della « via italiana », può restare valida come tecnica di conqitista del potere; ma essa non illumina affatto sitl tipo di stato che si vorrà costruire una volta che si sia conquistato il potere. Per in,dicare quale sia questo tipo di stato bisogna condurre a fondo l'analisi del rapporto tra stalinismo e stato sovietico, porsi il problema del leninismo e l'altro problema dell'accordo di democrazia e libertà da una parte e partito unico e centralismo democratico dall'altra. Insomma i comunisti italiani dovrebbero porsi le stesse questioni che i loro compagni sovietici tendono ad evitare: e il contesto nel quale i sovietici pensano ed agiscono può far comprendere che essi tendano ad evitare quelle questioni, il contesto in cui pensano ed agiscono i comunisti italiani, che è un contesto democratico, agevola invece la meditazione e la discussione dei temi che si sono detti. Il fatto, perciò, che i comunisti italiani continuino a menare il can per l'aia è itna prova di più dell'immobilità ideologica e politica dell'attuale classe dirigente del PCI. In effetti, dopo una prin1a discussione in sede di Comitato Centrale, nel corso della quale da qualche parte si era accennato alla volontà di conditrre una revisione prof onda delle vecchie posizioni, i dirigenti comunisti hanno riportato la situazione al punto di partenza, trasf ormando il processo di revisione in una sorta di gesto liturgico, senza nessun significato politico. E le risoluzioni e le conferenze-stampa che si sono registrate nell'ultimo mese non hanno fatto che confermare la volontà ferma di evitare ogni discussione di fondo. Si deve dire, anzi, che posti innanzi al problema: verità o rivoluzione, il loro riaffermato compiacimento di essere stati dalla parte della rivoluzione rLa mostrato come in sostanza la vecchia impalcatura ideologica coi cui schemi si erano difesi fino ad ieri i delitti di Stalin è restata al suo posto. E si deve aggiungere che il fatto che essi abbiano continuato ad adoperare il termi11e « rivoluzione » invece di quello di « stato totalitario » ha mostrato quanto superficiale sia stata l'incidenza su loro del processo di destalinizzazione. Tutto ciò porta, a nostro giudizio, alla semplice conclusione che l'attuale classe dirigente del PCI continua 4 • Bibliotecaginobianco

Editoriale a pagarsi ed a pagarci con parole: porta cioè alla conclusione che i dirigenti comunisti si tengono ancora al di fuori di un _reale dialogo democratico. Essi intrecceratzno questo dialogo solo nel momento in cui cominceranno a uscire fuori dalle loro metafore e cominceranno a discutere i problemi posti dal leninismo e stalinismo e la conformità dello stato creato da Stalin ai princìpi di Lenin. Questa ci sembra una considerazione che nessun democratico dovrebbe mai dimenticare: la critica spontanea del verbo leninista è la prima delle condizioni fondamentali di una democratizzazione del PCI. Ci si obietterà che negli ulti1ni due mesi al contrasto tra conservatori e revisionisti nel Partito comunista italiano si è mescolata ed intrecciata anche la lotta per il potere nel partito stesso; e che Togliatti ha ancora itna volta giocato di abilità « chiudendo », come suol dirsi, i suoi avversari nella trappola della difesa del partito dagli attacchi dall'esterno e dunque bloccando, nella sostanza, ogni tentativo di rinnovamento. Sarà anche vero: ma se fosse vero bisognerebbe spiegare come una tal cosa abbia potuto verificarsi. Sublime ingegno, diabolica abilità di Togliatti? sterilità e velleitarismo dei suoi avversari? o, come pure è stato detto, orientamento stalinista della base? Tutte queste sembrano spiegazioni troppo parziali per essere veramente spiegazioni. Ed è invece probabile che la spiegazione più vicina alla verità sia l'altra, che cioè l'on. Togliatti è ancora, malgrado tutto, dell'intero ceto dirigente del PCI l'uomo che il Cremlino ritiene il più adatto a dirigere il comunis1no italiano. Ma co1nunque ciò sia, queste considerazioni ci portano a sottolineare che il limite più forte contro cui si spezzano i timidi tentativi di autonomia ideologica e politica dei comunisti italiani è costituito oggi come ieri da Mosca. Nel 1956 bastò che Togliatti, con Lln marxismo appena meno cervellotico di quello di Krusciov, accennasse al fatto che il « culto della personalità » poneva problemi di degenerazione burocratica, perché il Comitato Centrale del PCUS lanciasse come un fulmine la sita condanna. Così nel 1961 è stato sufficiente che si avviasse nel Comitato Cetztrale del PCI un tentativo di dibattito sugli avvenimenti del XXII Congresso perché la « Pravda » ammonisse che il « sistema », la « struttura » era stata sana malgrado il cancro dello stalinismo, e quiridi il dibattito fosse troncato. È Mosca, è la fedeltà alla città santa del socialismo che condiziona l'autonomia del PCI: e dunque la capacità di essere autonomi da Mosca è la seconda condizione pregiudiziale perché si possa avviare un dialogo effettivo nel PCI e tra il PCI e le altre forze politiche della democrazia italiana. Da ciò si possono dedurre conseguenze non prive di rilievo per la definizione di un atteggiamento dei democratici verso i comunisti 5 _Bibliotecaginobianco

Editoriale e nei confronti di ciò che accade nel PCI. La prima è che sbagliano quanti pensano e parlano già di una sinistra italiana dai repubblicani ai comunisti. La sinistra italiana, ad onta degli auguri di Togliatti al partito unico della classe operaia, è a,zcora profondamente divisa e resterà divisa fino a quando non si verificheranno nel ca111po comunista quelle cose cu,i abbiamo accennato. Questa è la realtà di fatto con cui dobbiamo fare i conti. V'è ancora oggi una sinistra democratica ed una sinistra comunista, le quali sono separate da una distanza immensa, quali che possano essere le esigenze (tattiche o non) che inducono oggi i socialisti a non troncare del tutto certi rapporti coi comunisti. E la battaglia che questa sinistra democratica sta combattendo oggi in Italia per una svolta nel governo del paese è una battaglia che essa combatte senza i comunisti e contro i comunisti, quali che siano le apparenze e quali che siano le improvvisazioni tatticistiche degli Amendola e dei Togliatti. In realtà, l'improvviso interessamento comunista al centro-sinistra, la corsa di Amendola e di Togliatti, appunto, verso l'aggancio al centro-sinistra è poco più di una torbida manovra, nella quale s'accordano comunisti conservatori nemici del · centro-sinistra ( che sperano di ammazzarlo definitivamente con l'ab- . braccio comunista) e revisionisti, che avendo perso la loro battaglia di partito tentano di rifarsi con una diversione. Sarebbe un errore grave pensare che l'ultima manovra dei dirigenti del PCI rafforzi la posizione d'attacco della sinistra democratica: semmai essa la rallenta con la zavorra di un'azione non richiesta ed inutile. Un'ultima considerazione vorremmo fare: e riguarda le critiche che sono emerse in questi ultimi tempi nei confronti di quanti nel '56 o prima o dopo abbandonarono il PCI e che sono considerati adesso quasi dei disertori. Finché si tratta di Paietta cne polemizza contro costoro e chiede provocatoriamente quale apporto i « ribelli » hanno dato alla «causa», la critica si può comprendere. Quando è fatta da altri che si muovono nel campo democratico o addirittura da qualcuno di questi « ribelli » stessi, allora la si comprende meno : in un recente dibattito nell'« Espresso>> perfino Deutscher è caduto in una trappola simile. Ora, l'alternativa non è quella che i comunisti vogliono dare ad intendere (con noi per la rivoluzione o contro di noi contro la rivoluzione), ma è un'altra: si può restare ancora in un partito in cui l'avvilimento ideologico ha toccato le bassure che le recenti reazioni del XXII Congresso del PCUS hanno 1nesso in rilievo, o piuttosto si deve uscirne per combattere da altre trincee l'autentica battaglia democratica? E questa è una domanda cui gli uomini liberi non possono che rispondere in un modo soltanto. Per sé e per gli a_ltri. 6 Bibliotecaginobianco

Mezzogiorno • • e centro-s1n1stra di Ugo La Malfa Non so se la politica di centro-sinistra, quale da me è stata concepita in questi sette anni di strenua lotta per realizzarla, andrà in porto e a quali condizioni. Il fatto che la crisi di chiarificazione sia rimandata a dopo il congresso della Democrazia cristiana, cioè a una data prossima all'elezione del Presidente della Repubblica e, di conseguenza, a una data prossima a possibili elezioni politiche primaverili, mi rende scettico sulla realizzabilità di quella politica nella presente legislatura, anche se uomini come Moro e Fanfani, sollecitati all'esterno da Saragat e Reale, sembrano impegnati a immediatamente concretarla. Quel che, però, in questo articolo vorrei sottolineare, non è l'aspetto più propriamente politico della questione, con riguardo, quindi, alla maggiore o minore probabilità di realizzazione del centro-sinistra, ma il rapporto che quella politica ha avuto ed ha con i problemi del Mezzogiorno: in altri termini, il legame che può unire il Mezzogiorno alla politica di centro-sinistra. Intanto, e partendo dal preliminare esame dello schieramento politico, è evidente che una politica di centro-sinistra, presupponendo la collaborazione del PSI, introduce, nella vita meridionale, un elemento innovativo, che essa ha quasi del tutto ignorato dal periodo dell'Unità in poi. Come molte volte ha rilevato questa rivista, ingrata tradizione politica del Mezzogiorno è stata quella, non solo del suo generale governo amministrativo da parte della destra più retriva che potesse esistere in Italia, ma del costante sostegno che tale destra ha dato alle tendenze più conservative dei governi nazionali. Se tali governi non si sono mai aperti alla collaborazione con autentiche forze popolari di sinistra, figuratevi se di una politica illuminata potesse esservi traccia_ nel Mezzogiorno, dove i governi nazionali trovavano l'ancoraggio maggiore al loro moderatismo. Giolitti poteva pure essere un liberale riformista in sede nazionale, ma si trasformava nel Mezzogiorno in quel politico che Salvemini ha così ben dipinto. E sempre il Mezzogiorno, nel suo complesso, non solo si è alimentato esso ~tesso delle forze più reazionarie, ma, come dicevo, ha fornito i rincalzi necessari a rendere più moderati del necessario i governi nazionali. 7 Bibliotecaginobianco

Ugo La Malfa La DC non si è sottratta, nel Mezzogiorno, a questa legge che aveva caratterizzato i governi liberali dall'Unità in poi. E sebbene essa avesse chiesto la collaborazione di repubblicani e socialdemocratici, la sua forza, rispetto a questi due partiti, e, soprattutto, la scarsa presenza -di repubblicani e socialdemocratici nella vita meridio~ale, non ha servito a correggere una vecchia e consolidata tradizione politica. Con la politica di centro-sinistra si può sperare, per la prima volta nella storia d'Italia e del Mezzogiorno, che una forza democratica e popolare relativamente massiccia entri in giuoco, non come forza di opposizione, ma di maggioranza, sì da modificare, in senso democratico, non solo l'equilibrio nazionale, ma l'equilibrio meridionale. Sarebbe un fatto straordinariamente nuovo nella vita meridionale, sempreché il soffocante clima chiuso di tale vita politica non riesca anche a debilitare questa 11ltima vasta riserva di forze democratiche, portandoci all'estrema alternativa politica: conservatorismo e trasformismo meridionale-comunismo. Ma andando ben oltre il problema delle forze politìche, vi è altresì l'aspetto programmatico, che lega strettamente la questione meridionale alla politica di centro-sinistra; ed è questo aspetto programmatico, quando sia seriamente vissuto, a prometterci un definitivo superamento dell'arretratezza meridio11ale e del trasformismo politico che l'ha finora caratterizzata. Si può anzi dire che le linee programmatiche proprie del centro-sinistra, quali risultano dalle indicazioni finora disponibili, derivano direttamente da una esperienza meridionalistica o, se non si voglia dare una delimitazione storico-geografica così ristretta, dall'esperienza relativa all'esistenza, nel nostro Paese, di vastissime aree depresse. In altri termini, il problema da cui la politica di centrosinistra ha preso programmaticamente le mosse è l'esistenza di una società a struttura dualistica, qual'è, appunto, la società italiana. Ciò non vuole dire che non si possa fare politica di centro-sinistra in una società che non abbia aspetti dualistici: vuol dire soltanto che la politica di centro-sinistra in Italia è nata, come esigenza, da una condizione storica particolare. Ed è, appunto, questo elemento caratterizzante originario, la struttura dualistica, che mi ha fatto preferire, sul terreno economico, come strumento di pianificazione, la Cassa per il Mezzogiorno a qualsiasi altro organo, fosse esso ministeriale o rneno. Perché la Cassa per il Mezzogiorno accanto ai suoi innegabili difetti, ha il pregio di un'esperienza accumulata sul terreno delle aree depresse, che nessun'altra struttura tecnica e amministrativa ha mai avuto. D'altra parte, se consideriamo che il programma di centro-sinistra è stato articolato in tre grandi campi: politico-costituzionale, economico8 Bibliotecaginobianco

Mezzogiorno e centro-sinistra sociale, scolastico-culturale, noi troviamo che in tutti e tre questi campi, il Mezzogiorno appare come il più vasto ed essenziale, anche se non esclusivo, punto di riferimento. Prendiamo, ad es., il problema politico-costituzionale, che è il pro-- blema dell'attuazione della Costituzione per quel che riguarda le autonomie regionali e locali. Si tratta di un problema che, se ha interesse per le zone più evolute d'Italia, ha fondamentale interesse per il Mezzogiorno e per le zone depresse in genere. Il governo centrale è più lontano, amministrativamente e politicamente, dal Lazio che non dalla Lombardia: ci si può figurare quanto sia lontano dalla Calabria o dalla Lucania. Checché ne dicano i conservatori, l'esperienza regionalistica è stata nel complesso positiva, e non bastano i casi dell'Assemblea regionale siciliana a sme11tire questo consuntivo. Del resto, il fatto che esista tuttora la mafia in Sicilia non ci porta a nessun particolare giudizio istituzionale e strutturale, che non sia la necessità di affrontare una situazione delinquenziale particolare. Esista o non esista la regione in Sicilia, certi fenomeni degenerativi della vita associata saranno caratteristici di alcune disgraziate zone di quell'isola; e non si può trarre, pertanto, da una condizione particolare una conclusione di ordine generale. Lo sviluppo autonon1istico è la sola arma che noi abbiamo per abituare le popolazioni meridionali, e le popolazioni depresse in genere, all'autogoverno. E se non vi è altra via, oggi, per risolvere democraticamente il problema dei popoli già colonizzati, figuriamoci se esista altra via per risolvere il problema della depressione politica del Mezzogiorno. Lo sviluppo a11tonon1istico, nella politica di centro-sinistra, è uno dei bisturi cl1e sara11110 usati per gradualmente eliminare i cancri della tradizione politica e amministrativa meridionale. Sul terreno econo1nico-sociale, la pianificazione non ha diverso scopo. Vi è certamente un aspetto della politica di centro-sinistra, che riguarda il rapporto fra le varie classi e ceti ovunque tali classi e ceti operino: in aree soprasviluppate o sottosviluppate. Si tratta della politica di accostamento delle condizioni economiche generali, per cui il divario fra le varie classi ed i vari ceti si attenui. È la politica che i laburisti vogliono spingere più a fondo in Inghilterra, dopo il felice esperimento di alcuni anni fa, o i democratici americani negli S.U. d'America. Ma accanto a questo obiettivo comune di tutte le politiche di sinistra democratica in Occidente, v'è la politica propria di un Paese a struttura dualistica come l'Italia. La pianificazione, con i suoi addentellati come la nazionalizzazione delle fonti di energia, ha, in Italia, lo scopo precipuo di raggiungere una perequazione economica territoriale; ed è da questo angolo visuale che il Mezzogiorno viene 9 Bibliote~aginobianco

Ugo La Malfa fuori con tutti i suoi complessi problemi. Si guardi al problema della mano d'opera, e della sua emigrazione sul mercato interno od estero, si guardi al rapporto agricoltura-industria, si guardi alla necessità di non rendere patologico, accanto al sottosviluppo economico, lo stesso · sviluppo o sovrasviluppo economico, ed il Mezzogiorno viene in prima linea. Ho sempre detto che uomini come Vanoni passarono dalla concezione della Cassa per il Mezzogiorno alla concezione della pianificazione generale in funzione della vastità stessa del problema delle aree depresse nel nostro Paese. C'è da rammaricarsi soltanto che questo passaggio da una concezione particolare a una concezione generale non sia avvenuto prima, nel corso stesso dello sviluppo dell'economia italiana di questi anni, così da avviare razionalmente tale sviluppo. Il ritardo ha complicato enormemente le cose, aggravando, qualche volta, gli stessi problemi da risolvere, e potrebbe essere fatale, se esso dovesse perdurare, allontanando nel tempo ogni prospettiva di centrosinistra. · Quando dal campo politico-costituzionale o economico-sociale si passi infine al campo scolastico-culturale, forse che ci troviamo incondizioni diverse? Non solo l'autogoverno amministrativo, non solo l'industrializzazione e una moderna agricoltura, ma la diffusione della scuola rappresenta la più acuta e urgente necessità del Mezzogiorno. E se è vero che la mano d'opera meridionale rappresenta per gli ottimisti la grande riserva per il Mercato comune, è chiaro che, senza una qualificazione scolastica e professionale, 1nodernamente intesa, nessuna disponibilità d'energie umane può essere utilizzata come il mondo moderno comporta. Ecco dunque dimostrato, sia pure per brevi cenni, il rapporto stretto che passa fra problemi secolari del Mezzogiorno e politica di centro-sinistra. Ecco il grandioso lavoro, grandioso perché coordinato da uria· visione unitaria, che spetta alle forze politiche che lottano per il centro-sinistra. Quando la destra si domanda in che cosa si contraddistinguerà una politica di centro-sinistra, bisogna rispondere che si caratterizzerà per una visione finalmente chiara dei problemi storici della società dualistica italiana e per un tentativo di soluzione unitaria di tali problemi. Se la politica di centro-sinistra non è questa v1s1one unitaria, non è nulla: essa sarà un'ennesima esperienza parziale, frammentaria, deludente. Il problema è se essa troverà le forze e le energie morali per la sua attuazione, e se essa opererà in tempo. L'Italia è stata sempre in ritardo nella comprensione e soluzione dei problemi che il corso della storia e degli eventi pone. Il suo spirito conservativo si afferma, 10 Bibliotecaginobianco

Mezzogiorno e centro-sinistra strano a dirsi, in ragione diretta dei suoi cronici ritardi. Ma la presenza, nel suo seno, del più forte partito comunista dell'Occidente prova che questo eccessivo spirito conservativo si paga con una radicalizzazione progressiva della lotta politica e sociale. Per arrestare questo processo, l'Italia deve fare uno sforzo estremo di democratizzazione delle sue strutture politiche, economiche e sociali, culturali, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle aree depresse. Speriamo che riesca a farlo in tempo. È questo il significato che vuole avere, oggi, la battaglia di centro-sinistra. UGO LA MALFA 11 Bibliotecaginobianco

I complici di Giuseppe Ciranna Se c'è un settore politico, nel nostro paese, che meno di tutti avrebbe il diritto di gridare allo scandalo per la sconcertante questione dell'aeroporto intercontinentale di Fiumicino e di meravigliarsi per il comportamento poco ortodosso, dal punto di vista delle norme che regolano il funzionamento degli organi statali, di ministri, alti ufficiali, burocrati implicati nella faccenda - comportamento per lo meno disinvolto, stando al giudizio che ne dà la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta presieduta dall'on. Bozzi - questo è il settore che comprende gli uomini e i partiti che si definiscono di destra o che agli interessi della destra politica ed economica sono legati, indipendentemente dalla sigla sotto cui si presentano in pubblico: laica o cattolica, monarchica o democristiana, liberale o missina. E meno che mai avrebbero il diritto di presentarsi in veste di moralizzatori e di censori quegli organi di stampa, e sono la stragrande maggioranza, che in tutti questi a11ni, quando più necessaria si manifestava l'esigenza del controllo della pubblica opinione sull'operato dei governi e dei partiti, hanno sistematicamente ignorato quel che avveniva nella pubblica amministrazione, hanno eluso ogni dovere di critica e di controllo dell'operato dei gover11i, hanno messo la sordina agli scandali quando questi minacciavano di scoppiare, oppure hanno ignorato quel che sul comportamento poco corretto degli organi pubblici pur giungeva a farsi sentire in Parlamento, hanno cioè disteso a protezione della pubblica amrninistrazione e dei governi una cortina di silenzio che in definitiva era una vera e propria cortina di omertà: e ciò per un meschino, miope _calcolo politico, nell'esclusivo interesse di ceti economicamente e socialmente privilegiati. Ha scritto recentemente « Il Messaggero », a commento dell'affare di Fiumicino, e riferendosi alle conclusioni della Commissione di inchiesta: « Di fronte a fatti di tale gravità è apparso palese sin dal primo momento che un ' caso ' così sconcertante non può concludersi con una nota di biasimo per questo o quel ministro e con la proposta di procedere in via disciplinare, contabile e penale contro un funzionario e tre colonnelli. Le conclusioni dell'inchiesta banno elencato abusi 12 Bibliotecaginobianco \

I complici tanto numerosi e disfunzioni tanto gravi nell'apparato politico-amministrativo dell'esecutivo, che il parlare di una crisi delle istituzioni non è in alcun modo fuori di luogo. Lo scandalo di Fiumicino, nei precisi termini accertati e denunciati dall'inchiesta Bozzi, riproduce 'in vitro' tutti i vecchi e nuovi màli della macchina statale e getta su di essa un discredito la cui risonanza va molto più in là delle 'strane' vicende dell'aeroporto della Capitale ». E di rincalzo, il « Corriere della Sera », per la penna di Panfilo Gentile: « La lettura della relazione della Commissione di inchiesta presieduta dall'onorevole Bozzi, sulla costruzione dell'aeroporto di Fiumicino, consente, senza possibilità di dubbio, una conclusione generale poco confortante: ed è lo scarso senso dello Stato, o, per essere più precisi, dello Stato di diritto. Per Stato di diritto si inte11de, come è ben noto ai giuristi, l'autodisciplina che lo Stato dà a se stesso e agli organi che lo rappresentano. Lo Stato di diritto, in parole povere, è il contrario dell'abuso, dell'arbitrio, del disordine, dello sperpero ». E la diagnosi si può tranquillamente accettare, perché episodi del genere di quelli verificatisi a proposito della costruzione del nuovo aeroporto di Roma avvengono quando lo Stato è ammalato e le manchevolezze sono del sistema più che dei singoli uomini. Ma ai due giornali di Roma e di Milano che tanta capacità di influenza hanno sulla vita politica e quindi amministrativa italiana bisognerebbe chiedere perché accade che diagnosi come quella che abbiamo riportata e che qualcuno potrebbe giudicare perfino coraggiosa si possono leggere soltanto molto dopo che una situazione anormale è stata denunciata dagli oppositori; perché tanto coraggio, negli organi di informazione italiana, si ha soltanto quando la condanna di u11a situazione scandalosa ha l'avallo autorevolissimo di una commissione di inchiesta parlamentare. Si potrebbe e si dovrebbe • chiedere perché, se lo Stato italia110, o n1eglio, l'apparato statale politicoamministrativo è « vecchio, fatiscente, tarato, e per miracolo si tiene ancora in piedi » - sono parole del direttore de « La Nazione » - essi, i maggiori giornali di informazione, se ne accorgono soltanto ora. Biso~ gnerebbe in sostanza domandare che cosa l1anno fatto, i giornali che si proclamano indipendenti e quindi dovrebbero tenere alla libertà di giudicare di tutti liberamente, dei governi come dell'opposizione, per evitare questo progressivo decadimento dello Stato, e il deterioramento della macchina burocratico-amministrativa sino al punto che oggi che sono costretti ad occupars~ne perché i risultati di un'inchiesta parlamentare fanno cronaca politica e nessuno può quindi ignorarli, non possono fare a meno di parlarne con tanto nero pessimismo ( c'è stato perfino chi, non resistendo alla tentazione della citazione erudita, ha 13 Bibliotecaginobianco

• Giuseppe Ciranna tracciato un parallelo tra la situazione odierna dello Stato italiano e la. burocrazia dell'impero bizantino). Ma temiamo che domande come queste che abbiamo formulate . resterebbero senza risposta; non si può pretendere, infatti, che coloro che hanno avuto infinite possibilità •di determinare un raddrizzamento, una correzione di tutte le situazioni anormali che si andavano via via manifestando in questo o in quel ministero, in questo o in quel settore della pubblica amministrazione, ammettano lealmente la propria parte di colpa; non si può pretendere, insomma, che sia la stessa stampa di informazione a confessare la sua sostanziale arrendevolezza ai poteri costituiti e agli interessi della conservazione politica ed economica, arrendevolezza che ha portato giornali e giornalisti, salvo naturalmente pochissime eccezioni, a disertare regolarmente in tutti questi anni la battaglia per la democrazia nel nostro paese che si combatteva soprattutto sul terreno della denuncia di ogni caso, di ogni episodio di scorretto funzionamento dell'apparato burocratico-statale, e del richiamo al rispetto della legge da parte di tutti, dei governanti specialmente, i quali avevano tutte le possibilità e perfino tutti i pretesti per prevari-· care. Così come non si può pretendere che la destra politica ed economica non cerchi di approfittare anche dello scandalo di Fiumicino. I giornali, come gli uomini e i gruppi politici _della destra, continueranno a fare il loro mestiere e a giocarè le loro carte; sta agli altri impedire che, nel gioco, essi riescano ancora una volta a rimescolare fraudolentemente le carte. E che si stia tentando ancora una volta di barare, di confondere le idee per nascondere le effettive responsabilità del deterioramento della macchina dello Stato, è provato dalle polemiche che si sono accese dopo la pubblicazione della relazione della Commissione di inchiesta; è provato dal ridicolo te11tativo di dedurre, come hanno fatto appunto organi ·di stampa ed esponenti politici di destra e di centro-destra, dalla poco allegra e poco confortante vicenda dell'aeroporto di Roma, una dimostrazione della incapacità dello Stato a sopportare senza pericolo dt definitiva catastrofe un allargamento dei propri compiti; è provato dal tentativo di addebitare alle forze politiche che inclinerebbero allo « statalismo » la responsabilità morale dell'accaduto. Vogliamo un esempio? È sempre Enrico Mattei, direttore della « Na7.ione » e giornalista che ha avuto un ruolo di primo piano nella pubblicistica politica dalla Liberazione in poi, che scrive, dopo aver attribuito alle forze di centro-sinistra l'incauto disegno di volere uno Stato come quello che si è rivelato in questi giorni: i risultati dell'inchiesta parlamentare sono « la cartella clinica __delle gravi malattie 14 Bibliotecaginobianco

I complici dello Stato italiano, di questo organismo così bello, così sfolgorante, così maestoso nelle parole dei tanti statalisti che vorrebbero caricarlo di compiti impegnativi e farne la 11ostra balia asciutta e il nostro angelo custode ». E potremmo continuare, negli esempi e nelle citazioni. Ma, a questo punto, var;rebbe la pena di cercare di spiegarsi come stiano effettivamente le cose, di indagare a chi vadano attribuite le maggiori responsabilità del deterioramento della macchina dello Stato, che è quanto dire delle strutture fondamentali su cui poggia tutta la vita politica e civile, se questo deterioramento esiste veramente ed è grave, come a noi sembra. Varrebbe la pena, soprattutto perché sarebbe doveroso oltre che indilazionabile, da parte di chiunque ne abbia la possibilità, contribuire alla restaurazione della verità proprio in questo momento, mentre cioè si ·possono determinare condizioni politiche capaci di promuovere e favorire le riforme necessarie a risanare lo Stato in tutte le sue articolazioni politiche e burocratiche. La ricerca delle cause dei malanni che affliggono lo Stato italiano non potrebbe esaurirsi facilmente, e sarebbe ovviamente una ricerca complessa, che chiamerebbe in causa moltissime questioni e problemi per cui non abbiamo competenza; più che tentare di svolgerla compiutamente, come sarebbe necessario, accenneremo alle linee su cui andrebbe condotta, limitandoci a mettere l'accento sui punti già acquisiti al giudizio obiettivo di qua11ti hanno guardato e guardano alle cose politiche del nostro paese con il distacco della comprensione storica, punti dai quali non si potrebbe in ogni caso prescindere per giudicare serenamente della presente situazione italiana. Il primo di questi punti riguarda il rapporto tra le destre e lo Stato, la posizione assunta da questo settore dello schieramento politico italiano nei riguardi dei problemi della efficienza della macchina statale-burocratica, e non soltanto di questa, dei problemi cioè che si sono posti nel momento stesso in cui crollava l'impalcatura dello Stato totalitario. È luogo comune abusatissimo nella pubblicistica politica e nella propaganda di parte 1noderata che nel patrimonio politico ed ideologico della destra ci sia u11 forte senso dello Stato, una coscienza dei doveri individuali nei riguardi della collettività di cui difettereb .. bero invece le altre forze politiche. Questo potrebbe essere stato vero, semmai, per il passato; e, in ogni caso, bisognerebbe distinguere tra i momenti in cui il senso qello Stato veniva inteso correttamente, in armonia con la concezione liberale, e i momenti della degenerazione della concezione stessa dello Stato ad opera delle forze reazionarie e totalitarie; il senso dello Stato come lo sentì Silvio Spaventa è ben altra 15 ·Bib iotecaginobianco

Giuseppe Ciranna cosa dall'esaltazione fascista dello Stato. Ma, a prescindere da queste considerazioni, e tralasciando ogni riferimento ideologico, la verità è un'altra: se c'è una parte politica che meno di tutte ha sentito, _in qu~sto dopoguerra, il dovere di contribuire al rafforzamento dello Stato e non ha avuto, quindi, quel senso dello Stato che si vanta di possedere, questa è la destra, in tutte le sue varie coloriture. Non abbiamo bisogno, per questo, per convalidare la nostra asserzione, di riferirci al sovversivismo che è tradizionale di talune forze di destra in Italia, né all~ posizione assunta dai monarchici e dai fascisti nei confronti della Costituzione repubblicana e democratica, perché il problema e il giudizio, più che i fascisti e i monarchici, investono le forze della destra moderata, laica e cattolica; riguardano in primo luogo i liberali non meno cl1e certi settori della destra cattolica; e riguardano una « costante » dell'atteggiamento del partito democristiano nella sua opera ormai quasi ventennale di partito al governo. Basta, per convincersene, dare uno sguardo alla cronaca politica di questi anni e considerare l'atteggiame11to tenuto dalla destra moderata tutte· 1e volte che si poneva il problema dell'adeguamento della macchina burocratico-statale, non diciamo alle esigenze di rinnovamento democratico postulate dalla Costituzione, ma alle esigenze stesse della vita moderna profondamente modificat~ rispetto ad appena qualche. anno fa. Oggi si scopre, anche da organi di stampa moderata, che gran parte della nostra legislazione in materia di lavori pubblici, di intervento statale, di controlli pubblici, è fonte di intralci, di lentezza, di anchilosi burocratica; si scopre che la macchina statale così com'è non può andare più avanti; ma intanto la destra moderata continua ad opporsi ad ogni discorso serio sù di una riforma sostanziale dei metodi e delle strutture della pubblica amministrazione in Italia, rifiuta perfino di discutere le indicazioni che per la soluzione di un siffatto problema sor10 implicite nella Costituzione e che non si dovrebbe più trascurare di prendere in considerazio11e. Come un simile atteggiamento possa aver contribuito a dare prestigio allo Stato, come esso provi l'asserita superiore coscien~a della forza e dei diritti dello Stato in coloro che l'hanno espresso costantemente tutte le volte che il problema della decrepitezza di ordinamenti e strutture veniva riproposto dalle forze della sinistra democratica, è cosa difficile da capire. In verità, come ha scritto giustamente « La Voce Repubblicana», è mancata, negli anni scorsi, la volontà politica di riformare lo Stato, di attuare l'adeguamento di questo alle nuove e non più prorogabili esigenze. 11 conservatorismo, la paura delle novità, ma soprattutto il 16 Bibliotecaginobianco I I

I complici timore che mettendo le mani nella macchina dello Stato e svelandone i difetti e le magagne si scoprissero gli interessi della conservazione politica ed economica che è la maggiore beneficiaria del mantenimento dello statu quo, hanno giocato un brutto scherzo ai detentori professionali del « senso dello Stato »: essi so110 diventati i complici, anzi i primi e veri responsabili della sclerosi della macchina statale. Tutto questo, naturalmente, deriva dalla logica delle posizioni politiche che la destra moderata in primo luogo, laica o cattolica che fosse, ha assunto dalla caduta del fascismo in poi. L'efficienza della macchina statale non poteva non essere compromessa quando riuscivano sempre a prevalere gli interessi e la volontà di chi gridava allo scandalo tutte le volte che una razionalizzazione dei servizi burocratici ed amministrativi ed una nuova disciplina di fondamentali settori della pubblica amministrazione avrebbero implicato un allargamento dei compiti dello Stato, a danno dei privilegi di taluni gruppi economici e politici. È stato giustamente ricordato che ha arrecato più nocumento allo Stato, sia sul piano del prestigio che sul piano dell'efficienza, l'assurda ed anacronistica campagna contro il cosiddetto « statalismo » di quanto non ne abbiano arrecato i burocrati corrotti e i governanti • • 1ncapac1. Ma con questo siamo appena ai margini, alla periferia del problema della responsabilità delle destre, da quella reazionaria e sovversiva a quella moderata, nel deterioramento dell'apparato politico-amministrativo dello Stato, e nella perdita di prestigio che quest'ultimo ha subito nella considerazione dei si11goli cittadini. Il secondo punto da prendere in considerazione concerne l'esercizio del potere statale a fini di conservazione di parte a cui ci hanno abituato molti governanti sotto la pressione delle forze della destra, moderata e non; riguarda il modo in cui lo Stato è stato fatto servire, in tutti questi a11ni, a consolidare e difendere determinati interessi politici ed economici in contrasto con l'interesse generale della collettività; concerne, in sostanza, quel divorzio tra Stato e giustizia, tra Stato e diritto che una tale condotta ha determinato nella coscienza di larga parte dei cittadini. Situazioni scandalose come quella di Fiumicino nascono di qui, dalla maniera disinvolta di concepire i rapporti tra i cittadini e lo Stato che si è andata diffondendo negli ultimi tempi. Quando si sono manifestati i primi sintomi di un siffatto, disinvolto costume? E chiaro che, a questo proposito, il discorso dovrebbe cominciare da lontano. Per limitarci agli anni a noi più vicini non possiamo dimenticare che ha inizio con il 18 aprile del 1948 una sta17 Bibliotecaginobianco

Giuseppe Ciranna gione politica che è dominata dalla preoccupazione del ristabilimento della autorità dello Stato a tutti i costi, a prezzo di concessioni continue ad una tradizione che sarebbe stato meglio lasciar perdere, a prezzo di concessioni a metodi e concezioni che sono inconciliabili con la filosofia politica ed il corretto costume democratici; metodi e concezioni che, manco a dirlo, piacciono alla destra politica ed economica. Paradossalmente, la restaurazione dell'autorità in Italia va di pari passo con il processo di scadimento del senso dello Stato. Questo ha cominciato a venir meno quando, per un malinteso calcolo politico, si è creduto di dover mettere al riparo dalle critiche l'apparato politicoamministrativo statale per accrescerne il prestigio e l'efficienza. Su questa china è stato poi difficile arrestarsi; e poi il carattere di guerra di religione che la lotta politica ha assunto in Italia ha fatto il resto. È certo che lo Stato e la situazione politica italiana hanno cominciato a gravitare a destra quando si è confuso il problema della vera autorità, che nasce dal consenso dei più verso le istituzioni, con la questione del prestigio delle istituzioni da difendere a torto o a ragione; quando una nuova forma di « ragion di Stato » ha fatto la sua apparizione ed ha dominato i rapporti tra i cittadini e la cosa pubblica: diciamo di più, ha dominato i rapporti tra i governi e le opposizioni, al punto che i primi hanno visto in ogni critica, anche la più legittima e la più giustificata dalla realtà dei fatti, un pericolo per le proprie fortune politiche, identificando se stessi con lo Stato tout-court. Gli esempi, gli episodi in cui un tale ·costume si è manifestato in tutti gli anni dopo il 18 aprile, non si contano; basta del resto riferirsi ad alcuni dei più clamorosi. Tutti ricordano che tra i più gravi problemi del dopoguerra c'era quello della lotta al banditismo siciliano; ma tutti sanno che l'eliminazione del bandito Salvatore Giuliano, che il paese chiedeva a gran voce, fu possibile all'autorità soltanto dopo che venne a patti con l'ambiente locale. Già questo comportava una diminuzione di prestigio, rivelava una tendenza al compromesso sommamente riprovevole quando sono in gioco i principi stessi su cui si regge la convivenza civile e che non si possono barattare per un calcolo di convenienza di partito. Ma l'aspetto più grave dell'episodio si ebbe nel momento in cui il ministro dell'Interno, l'on. Scelba, avallò con il suo nome una versione di tutta l'operazione che si doveva rivelare poi inesatta: e ciò davanti al Parlamento! Del resto, non è il primo, questo, e non è nemm~no l'ultimo dei peccati di Scelba ministro dell'Interno, dell'esponente democristiano che ha coltivato l'ambizione di legare il suo nome proprio alla restaurazione dell'autorità e del prestigio dello Stato .. Dobbiamo ricordare, 18 BibliotecaGino Bianco

I c,amplici infatti, che con lui viene assunta a regola di governo la difesa ad oltranza, in ogni caso, anche contro l'evidenza dei fatti, dell'operato dei pubblici funzionari allorché questi vengono criticati per il loro comportamento scorretto o parziale. È stato Scelba a far valere il principio secondo il quale il funzionario, la pubblica amministrazione hanno sempre ragione; e ciò nei dibattiti parlamentari, nella polemica con le opposizioni che così veniva ridotta ad un dialogo tra sordi. La sua lezione venne presto seguita da tutti gli altri ministri ed uomini di governo democristiani, fino ad Andreotti che ha garantito or non è molto al Parlamento sull'irreprensibile comportamento del colonnello Amici, del quale si è dovuto occupare la Commissione di inchiesta per l'affare di Fiumicino. La regola è stata tanto scrupolosamente osservata che è difficile trovare, agli atti del Parlamento, un caso in cui il ministro abbia dato ragione al deputato o al senatore interrogante e abbia dato torto, poniamo, alla polizia, al funzionario dei lavori pubblici o al prefetto di questa o di quella provincia. Alla regola, val la pena di avvertire, non si sono sottratti nemmeno gli esponenti progressisti o di sinistra della Democrazia cristiana, dimostratisi anche essi arrendevoli all'egemonia delle forze che tradizionalmente dominano questo terreno, e non meno preoccupati di consolidare, mediante compromessi con tali forze, le posizioni di partito. Una polizia, una burocrazia, una amministrazione che vengono sottratte al controllo della pubblica opinione, finiranno col non obbedire nemmeno al proprio ministro quando quest'ultimo abbia lasciato intendere che non sta in carica per rappresentare e tutelare l'interesse collettivo - interesse che si tutela in primo luogo assoggettando l'amministrazione alla legge -, ma soltanto per tutelare gli interessi e i privilegi della sua parte; esse finiranno per avere una loro politica, per opporre resistenza a tutti i tentativi di innova_zione; finiranno in sostanza con il sentirsi solidali con la conservazione politica ed economica. Quando abbiamo detto sopra che la pubblica amministrazione tende a gravitare a des_tra, volevamo sottolineare questa sostanziale concordanza di interessi che si viene determinando tra la burocrazia, gli uomini della macchina politico-amministrativa dello Stato e le forze politiche di destra, allorché vien meno nella classe dirigente democratica il senso degli interessi collettivi, il dovere di rispettare e di far rispettare la legge: perché tanto le forze di destra che gli apparati burocratici tendono al particolarismo, alla difesa dei privilegi comunque acquisiti. Non è a caso che le burocrazie, nell'attuale congiuntura europea, manifestano spesso le proprie preferenze per le soluzioni autoritarie e antidemocratiche, come l'esempio francese dimostra; non 19 BibliotecaGino Bianco

Giuseppe Ciranna è a caso che nella vicenda di Fiumicino gli uomini chiamati in causa appartengono alla destra cattolica, o propendono per quelle soluzioni del problema politico italiano che sono gradite alle forze conservatric~. Così siamo venuti al terzo punto che ci premeva di mettere in risalto: ed è il punto che concerne tutti gli attentati, tutte le umiliazioni al prestigio dello Stato di cui si s0110 rese complici le forze politiche conservatrici in alleanza con gli ambienti più retrivi dello schieramento cattolico. Sta di fatto che lo Stato ha subito una perdita di potere a favore di quei gruppi di interesse e di pressione che sono rappresentati politicamente dai partiti e dagli uomini che nel panorama politico italiano sono schierati a destra o al centro-destra. Questi ultimi non hanno battuto ciglio di fronte alle frequenti manomissioni delle funzioni dello Stato che i gruppi di interesse hanno perpetrato. Anche qui potremmo citare numero esempi: i più clamorosi sono certamente quelli della usurpazione delle funzioni di pubblica assistenza da parte di organizzazioni private cattoliche come la POA e l'ONARMO, l'atteggiamento tenuto dalle destre di fronte al problema della scuola, minacciata sempre di privatizzazione, le incredibili concessioni fatte all' organizzazio11e corporativa dell' 011. Bonomi e alla Federconsorzi, e via dicendo. Tutto questo è avvenuto perché gli interessi della conservazione di certi privilegi prevalgono sempre, nella considerazione delle forze di destra, sugli interessi collettivi, come abbiamo già avuto occasione di sottolineare. E non è da riportarsi alla stessa logica l'assurda, irrazionale, ingiustificata lotta contro la creazione delle regioni che pure ci è imposta da un preciso articolo della Costituzione? Sarebbe difficile, infatti, spiegare che cosa avrebbe da perdere in efficienza e saldezza lo Stato italiano da una riforma che si propone di avvicinare il cittadino allo Stato, di porre su nuove ed efficienti basi tutta la macchina dell'amministrazione pubblica, di adeguare l'apparato politico-amministrativo ai compiti, sen1pre nuovi e sempre più complessi, che la società affida allo Stato moderno. Il fatto è che nella misura in cui le forze politiche di destra di tutte le coloriture hanno identificato la loro funzione con la difesa degli interessi di gruppi ristretti ed hanno così lasciato capire di perseguire una serrata conservatrice a favore dei ceti possidenti, sono venuti perfezionando una concezione dello Stato che non ha più nulla a che fare con lo Stato di diritto. La concezione che esse hanno dello Stato è una concezione che potremmo chiamare patrimoniale; lo sentono proprio perché possono assoggettarlo ai propri disegni e ai propri 20. Bibliotecaginobianco

I complici voleri; e così facendo ne provocano irrimediabilmente, inesorabilmente la decadenza. Ciò spiega perché in tutti questi anni tali forze politiche non hanno mai scoperto abusi e inefficienze della pubblica amministrazione e della macchina statale; ciò spiega perché hanno imposto alla stampa quella cortina di silenzio e di omertà cui si accennava al principio; ciò spiega perché hanno assecondato la Democrazia cristiana in tutte le deviazioni illiberali di cui si è resa fino ad oggi responsabile. Le destre, infatti, non hanno da difendere gli interessi democratici, che sono gli interessi dei più; hanno da tutelare ristretti privilegi, e allo scopo si servono di qualsiasi strumento; sono disposti a barattare i primi per conservare meglio i secondi, come abbiamo anche recentemente visto a proposito del dibattito sulla censura; sono disposti, in ogni occasione, a dimenticarsi dello Stato, e a consentirne l'abbassamento del prestigio o la manomissio11e, come abbiamo visto nei casi più sopra citati, e nell'atteggiamento tenuto riguardo ai problemi della mafia siciliana. È lecito, perciò, agli uomini ed ai giornali che rispecchiano le idee della destra, moderata e non, scandalizzarsi quando vengono alla luce episodi come quello di Fiumicino? Se da quell'episodio viene fuori che il prestigio, il senso dello Stato, - per dirla con Panfilo Gentile - so~o irrimediabilmente compromessi, sono caduti, come suol dirsi, nella polvere, non è tempo, per essi, di recriminazioni e di sermoni più o meno moraleggianti: è tempo di esame di coscienza. Il discorso naturalmente vale per quegli uomini e per quei partiti che, pur gravitando a destra, fanno mostra di tenere ancora ai valori della nostra civiltà democratica e liberale; vale per i Malagodi, per i liberali, e, perché no?, per gli editorialisti della grande stampa di informazione che hanno scoperto, improvvisame11te, una propria vocazione moralizzatrice dopo anni di colpevole silenzio. GIUSEPPE CIRANNA 21 Bibliotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==