Nord e Sud - anno VIII - n. 24 - dicembre 1961

posito più chiaro; e, proprio perchè necessari alla formulazione di tale rapporto, tutta una serie di interrogativi collaterali - e non meno importanti - sono stati studiati e analizzati, come mai si era fatto in precedenza. Prima di tutto, si è tentato un consuntivo, sia pure per sommi capi, della ricerca sociale in Italia e degli sforzi operati in questi anni dagli studiosi per dimostrare all'opinione pubblica e ai politici la necessità dell'impiego della nuova scienza nell'affrontare i problemi più gravi dello stato moderno. Si è cercato, poi, di raggruppare e ordinare i casi in cui già una collaborazione c'è stata tra centri di decisione e sociologi nell'industria, nell'amministrazione, nelle organizzazioni culturali. Infine - e qui è venuto in luce il significato essenzialmente politico del convegno e il valore di scelta che avrebbero avuto le risoluzioni degli studiosi - sono stati esaminati non solo i motivi per cui, perlopiù, è mancata qualsiasi forma di « integrazione » tra le ricerche dei sociologi e le decisioni dei policy-makers, ma anche le responsabilità degli uni e degli altri per una carenza riconosciuta ormai da tutti come sicuramente dannosa agli interessi della collettività e al processo di sviluppo economico e sociale del paese. Nel corso di quest'analisi, che ha rappresentato il contributo più nuovo e più originale del convegno, è emersa con estrema chiarezza l'alternativa che ormai si pone al sociologo : di fronte alla tendenza della classe dirigente ad ignorare del tutto la ricerca sociale, o a servirsene come strumento di governo piuttosto che di conoscenza obbiettiva della realtà, due sono gli atteggiamenti possibili. Si cercherà, cioè, di conservare la propria autonomia resistendo alle pressioni dei politici e non permettendo un'utilizzazione dei propri studi per fini diversi da quelli che li hanno originati. · Ma una posizione così ferma e risoluta sarà possibile soltanto quando nelle Università sarà introdotto lo studio della sociologia, almeno nella misura in cui già esiste negli altri paesi europei, e gli studiosi avranno i mezzi e l'indipendenza necessaria per condurre in piena libertà le proprie ricerche. Fin quando ciò non avverrà, i sociologi potranno agire soltanto seguendo le direttive impartite da enti politici ed economici. L'altro atteggiamento che i ricercatori possono adottare è ancor meno accettabile: e consiste nel mantenere una netta separazione tra il campo d'indagine e la valutazione della realtà politica e ambientale in cui le ricerche sono svolte. È, in altri termini, la fuga nel tecnicismo, evitando di fornire qualsiasi orientamento alle proprie indagini o meglio ancora lasciando che siano i politici ad emettere giudizi e a ricavare un senso dai fatti presi in esame. Per questa via - ci sembra perfino superfl~o sottolinearlo - si perverrebbe all'asservimento completo dei sociologi sul piano politico e a risultati di scarsissimo o di nessun valore su quello pratico e scientifico. Di un rischio così serio e fondato si sono resi conto, in realtà, quasi tutti i relatori del convegno di Ancona e il documento approvato alla fine dei lavori non consente dubbi al riguardo. Il presidente dell'A.I.S.S., 42 BibliotecaGino Bianco

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