Nord e Sud - anno VIII - n. 24 - dicembre 1961

·•. che gli deriva dai co11vergere verso di esso di oneri e funzioni, che prima avevano soluzione alla periferia. La grande capitale europea ebbe la sua epoca d'oro in coincidenza con il fiorire degli stati nazionali fortemente accentrati sotto un potere unitario. Nella capitale convivevano la dinastia e la corte, il potere politico e quello economico. Oggi i poteri dello Stato moderno so110spezzati e i baroni dell'economia contempora11ea, se ricorrono volentieri alla protezione e al favoritismo .dello Stato, pure preferiscono aver lontane le proprie sedi, così da ritagliarsi nel corpo del paese una propria isola quasi feudale, con privilegi particolari. Le città, svuotate di potere politico a be11eficio del centro, vedono rinascere nel proprio seno altri potentanti, che sono qtrelli econon1ici, industriali e talvolta ancora agrari: ma questi potentati minacciano spesso la vera vita -della città, non meno di quanto facciano la pseudopolitica elettoralistica e demagogica e la speculazione sfrenata. Il castello feudale era nemico della città-comune medievale; non diversamente il feudo economico moderno nasce ed opera avverso alla città moderna, ·poiché tende ad asservir11e le e11ergie nìateriali e spirituali ad un fine che (almeno istituzionalmente) è ancl1e esso particolare e condizionato all'interesse dell'oligarchia padronale. Pure questa deformazione è visibile nella forma che, sotto l'impulso di tali insediamenti di potere economico, tende ad assumere la città contemporanea. Bisognosi di vasti spazi e .di rapidi allacciamenti viarii, i grossi impianti industriali si dispongono preferenzialmente alla periferia, lungo le maggiori linee di comtrnicazione. Intorno ad essi si creano rapida1nente i primi nuclei di abitazione, o promossi dalla stessa industria o realizzati da una· disordinata iniziativa esterna, e i primi servizi a carattere commerciale o ricreativo: lo spaccio di alimentari, la tabaccheria, il bar. Ma no11si profila un vero ntrcleo di vita associata: questa sembra esaurirsi e11tro le mura della fabbrica, nel grandioso ritmo collettivo che . è dominato dalle leggi della produttività. Il lavoratore della grande in- ,dustria tende spontaneamente, per reazione alla standardizzazione e al rigore dell'inquadrame11to sul lavoro, a una vita privata anonima e difesa; il datore di lavoro, cl1e paventa soprattutto la solidarietà e la colleganza da parte dei suoi dipendenti, non può che f~vorire questa tendenza alla segregazione. Di origine diversa, ma -di conseguenze analoghe, sono le tendenze di costume che si rivelano laddove, anziché la grande, domina la piccola industria. Qui il superlavoro, o imposto ad un op,eraiato che non può difendersi' o accettato dal piccolo imprendi27 Bibliotecaginobianco \ I I \

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