Nord e Sud - anno VII - n. 11-12 - dicembre 1960

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Gli anni di Comunità della ciii Europea NUMERO SPECIALE DEDICATO ALLA MEMORIA DI RENATO GIORDANO Scritti di JEAN MoNNET,UGoLAMALFA,ALTIEROSPINELLI,ALno CARosc1,VIrroruo DE CAPRARIIS,HERBERT LUTHY, LEOPOLDOELIA, DOMENICOBARTOLI, GrusEPPECALAsso,Curno MACERAM, ICHELECIFARELLIS,TEFANROonoTÀ, MANLIORossi DoRIA,FRANcEscoCOMPAGNAC,urno CALOGEROG,ENNARO SASSO, GIOVANNFI ERRARA,RAFFAELLOFRANCHINIL, UIGI AMIRANTE, G1ovANNIRusso, CILMO ARNALD1N, ICOLA PIERRI, G1usEPPE CIRANNA ANNO VII • NUOVA .SERIE • DI,CEMBRE 1960 • N. 11-12 (72-73) EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE • NAPOLI I s·, liotecaginobianco

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NORD. E S·UD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco /

SOMMARIO Avvenenza [5] .. RICORDO DI RENATO GIORDANO Jean Monnet Ugo La Malfa Altiero Spinelli Aldo Garosci Vittorio de Ca1Jrariis Herbert Li.ithy Leopoldo Elia Domenico Bartoli Giuseppe Galasso Guido Macera Michele Cif arelli Stefano Rodotà Manlio Rossi Doria Francesco Compagna Bibliotecaginobianco L'europeista [7] Il meridionalista [9] Il vino r1uovo negli otri vecchi [ 13] I Nazionalismo 1960 [31] I cc liberali » e l'Europa [ 4,'3] Quando Giove si decise a voler bene ad Etlropa [60] Struttura giuridica e realtà politica della Coniitnità europea [ 89] La diplomazia irt Europa [98] Sociologia e integrazione europea [106] L'Inghilterra e l'Europa [119] La Barica Europea per gli I nvestinienti [ 130] L' -università europea [ 138] Considerazioni sull'agricoltura europea [ 144] Migrazioni e proble1ni di sviluppo regiortale nella Co11iunità europea [164]

I Guido Calogero Gennaro Sasso Giovanni Ferrara Raffaello Franchini Luigi A.mira11te Giovanni Russo Gilmo Arnaldi Nicola Pierri Giuseppe Ciranna Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti Sostenitore L. 20.000 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 RECENSIONI L. KoHR, Il crollo delle nazioni [ 183] W. KAEGI, Meditazioni storiche [193] ~1. BELOFF, L'Europa e gli europei [204] I-I. BRuc~~A,Ns, Panorania del pensiero federalista [212] ì\1. ALBERTINI, Lo Stato nazioriale [215] VV. AA., L'Europe au déefi [221] A. SPINELLI, Tedeschi al bivio [226] A. SPINELLI, L'Europa non cade dal cielo [229] II. CLAUDE, Gaullis1ne et grand capital [236] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 semestrale L. 2.200 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato a EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. ·Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Via Roma, n. -406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Bibliotecaginobianco

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Avvertenza Questo numero di « Nord e Sud » interamente dedic(.lto ai problemi delrEuropa appare ad un anno di distanza, giorno più giorno meno, dalla morte di Renato Giordano. E vorrebbe essere un'altra, e certo non l'ultima, testimonianza dell'affetto che abbiamo avuto per lui, della stima in cui l'abbiamo teriuto, ed anche del vuoto che la sua scomparsa ha prodotto nelle nostre fila. Già all'indomani di quel trine gennaio _ 1960 ricordammo cosa Renato Giorrdano sia stato per noi tutti, come · amico fraterno innanzi tutto, e poi anche come energia morale e politica; già allora ricordammo quanta parte egli fasse della nostra rivista, perchè si debbano oggi schiarire le ragioni che ci hanno indotto a preparare questo fascicolo dedicato alla sua memoria. E pensiamo, altresì, che siano evidenti anche le ragioni per cui il fascicolo di « Nord e Sud » che onora la memoria di Renato Giordano sia stato cancepito nel modo in cui l'abbiamo concepito. L'Europa, resigenza europeistica, di una comunità federale dell'occidente europeo, fu per Renato Giordano una battaglia politica quotidiana, nella quale egli logorò tutte le sue energie fisiche, e fu, insieme, il punto di partenza ed il punto di arrivo di tutta la sua meditazione storico-politica. Il gusto vivo delle dimensioni storiche dei pro·blemi attuali gli faceva intravvedere la koinè europea come la conclusione di un processo che veniva di lontano; il sentimento che il mondo degli uomini è spinto dalle forze morali gli faceva vedere nell'ideale europeistico il solo mito etico capace di suscitare entusiasmi nell'Europa stanca ed avvilita dei giorni successivi all'epilogo nibelungico della seconda guerra mondiale; il senso acuto delle realtà politiche lo induceva a ritenere che per la sopravvivenza politica ed economica del vecchio continente non vi fossero alternative aliintegrazione. E dunque, per ricordarlo ed onorarlo degnamente, bisognava parlare appunto delle cose che gli erano state veramente a cuore ed a cui aveva dato tutto, o quasi tutto, 5 Bibliotecaginobianco

se stesso, bisognava parlare clell'Europa, chinarsi ancora una volta,, come egli aveva fatto tante volte, ad esaminare la . « situaziorie », per trarne i presagi e le regole clelrazione. Questo fascicolo cc europeistico » è, naturalmerite, un coro a ta11te voci, e non, poteva rion essere tale. E al lettore avvertito non sfuggi- · ranno certo i contrasti che vi sono tra questo o quel contributo, le diversità cli sfumature e di accentuazione dei giudizi; e neppure sfuggirà la differenza che v'è tra la. linea politica suggerita od adombrata in alcuni degli articoli e quella che è sempre stata, da sei anni a questa pa,rte, la linea politica di cc Nord e Sud » su questi problemi,' itn,a linea politica che proprio Renato Giordano aveva enormemente contribuito a definire. Pure, da tutti i saggi qui raccolti v'è una cosa almena che risulta chiara: che il problema della costruzio·ne di una comunità federale europea è il problema fondamenta.le del nostro tempo. Si potrà essere più o meno pessimisti sulla situazione attuale, più o meno critici su ciò che è stato fatto, più o meno ottimisti sul valore delle istituzioni esistenti ai fini delle creazioni future (ed è in certo senso, positivo che una diversità cli opinioni su tali questioni emerga qu'i, per alimentare ulteriori approfon,climenti); ma 1iessuno cfubita clella semplice verità che r Europa sopravvive solo nell' 1.1,nità,che solo un tetto politico comune potrà salvarci clai nembi che Giove lia addensato sul riostro capo. Questa è la lezio-ne che si trae cla tutti i saggi politici che qui si pubblicano·: una leziorie che Renato Giordano non p,erdeva mai occasi,one di ribadire, che noi non smetteremo mai d-i ricordare ai tiepicli, agli incerti, agli avversari. 6 Bibliotecaginobianco

Ricordo di · Renato Giordano L'europeista Lorsque nous avons célébré le dixième anniversaire ·de la déclaration du 9 mai 1950 qui donna naissance à la Communau'té Européenne du Cl1arbon et de l'Acier, nous avons aussi célébré le souvenir du petit groupe d'hommes courageux et lucides qui; bien avant cet acte politique, avaient annoncé la Fédératio11 Européenne. Ces hommes avaient une vision doctrinale juste, mais la faculté de réaliser leur manquait. Il n' était pas en leur pouvoir d' ailleurs de devancer le moment de l'action, et la rencontre de circonstances favorables qui a permis la proposition Schuman ne s'était pas encore présentée. Mais avec quel sens aigu des réalités ils ont salué cette propositiòn et quelle part ils ont pris da11s la campagne qui l' a portée à travers l'opinio11 jusqu'à la ratification parlementaire ! Parmi ces hommes était, tout jeune encore, Renato Giordano. Lorsqu'il est devenu des nòtres, aux premiers jours de la Haute Autorité, en 1952, il avait d'éjà beaucoup travaillé pour nous, _sansque nous le sachions, au sein du Mouvement Fédéraliste. C' est Altiero Spinelli qui' l'avait dirigé v~rs notre petit groupe en formation à Luxembourg. Il était imprégné de la pensée gé11éreuse de son aìné. Il reve11ait d'un séjour d'étude aux États-Unis où il avait étudié le fédéralisme en action. Je crois qu'il eut quelque peine tout d'abord à faire plier son imagination et sa fougue dans les formes de la vie i11stitutionnelle. Mais il ne douta jamais que e'était à travers ces formes, et par les règles communes dans lesquelles elles 7 Bibliotecaginobianco

s'exprimaient, que se réaliserait la vraie solidarité qu~il avait A I revee. Il prit, aux cotés de notre ami Giacchero, une piace volontairement modeste. Vivre loin des courants intellectuels de .Rome, loin de la chaleur de Naples était dur à son esprit et à son corps. Mais il se rendit utile dans les premières années de Luxembourg, où notre souci principal était de démontrer par l'exemple pratique et la réalisation du marché commun du charbon e de l'acier, qu'une Institution nouvelle fusionnant l'autorité des différents gouvernements qui y participent et agissant sous les contròles d' une Assemblée et d' une Cou1· et1ropéenne, était capable de fonctionner pratiquement pour le plus grand bien des pays membres. En meme temps que cette preuve était portée, et à mesure que la première Communauté se concrétisait dans des domaines de plus en plus vastes, les difficultés s'accroissaient naturellement et les résistances, celles des choses et celles des hommes, devenaient plus opiniàtres. Les forces de conservation se coalisèrent dans nos pays. En France notamment elles réussirent à f aire échec, en 1954, au projet d' armée européenne qui tendait à appliquer les memes principes commt111autaires à la défence de nos pays, qui ne peut etre que commune. À travers ce projet, e'est toute l'oeuvre déjà accomplie que l'on cherchait à abatt:J;e. Renato Giordano, chez qui l'intuition politique devançait l'àge, avait vu les dangers que connait la première Commu-nauté Européenne si elle demeurait isolée, ainsi que ses adversaires souhaitaient qu' elle le fut. Il nous dit' ce qu'il croyait pouvoir faire auprès de l'opinion de son pays et nous décidàmes de l'envoyer à Rome. Il fut un des témoins de la « relance » qui résulta de la Conf érence de Messine en 1954 et il s'attacha à expliquer à l'opinion italienne, et dans tous les milieux politiques où il comptait de nombreux amis, la nécessité de voter les traités de Marché Commun et d'Euratom. Au Comité d'Action pour les États- U nis d'Europe, j' eus alors de nombreuses occasions d'apprécier son intelligence efficace. En effet, dès cette épo~ que, le Comité réunit les représentants des grands partis politiques et des syndicats des six pays afìn de promouvoir par les moyens appropriés, et notamment par la mise au point et 8 Bibliotecaginobianco

le votè des ..deux nouveaux Traités de Communauté, l'oeuvre entreprise avec la CECA. Renato Giordano comprit immédiatement la valeur d'un tel instrument d' action et il ne cessa de nous apporter son aide bénévole. L' étudiant doctrinaire de 1952 était devenu un ètre d' action. Sa conversation brillante tendait toujours à un bt1t concret, mais par des voies qui lui étaient propres : il ne perdait jamais de vue l'essentiel, qui était pour lui la construction européenne. Il se portait avec un instinct très sùr, aux endroits où l'on construisait. En d' autres circostances peutètre son l'intelligence très souple, son goùt des idées l'eussentils entraìné dans un monde de pure spéculation. Mais les évènements lui avaient proposé une action positive, et il avait choisi cette action. J e puis dire qu' elle était contraire à son tempérament physique qui se fut mieux accomodé d'une vie contemplative. Sa santé très tòt compromise eut à souffrir plus que nous ne le savions des efforts qu'il s'imposait pour convaincre, pour retrouver ses amis dispersés en Europe. Il n'ignorait pas qu'il fut très malade, mais jamais nous ne l'avons entendu se plaindre. C' est lui, au contraire, qui répandait les encouragements. · Il aura vu les premiers et décisif s succès de l' oeuvre au lancement de laquelle il a contribué. Il pensait, avec nous, aux étapes suivantes lorsque la mort l'a frappé. Il travaillait à l' accélération, et au développement du processus irrésistiblement engagé avec le Marché Commun. Ses projets d'avenir, dont il était plein, ne concernaient pas sa propre destinée, mais notre oeuvre commune. La leçon que laisse ce jeu11e homme, à nous tous, quelque soit notre age, quelles que soient notre origine et nos responsabilités, est une leçon de courage et de foi dans un avenir de paix pour nos peuples réunis. JEAN MoNNET · Il meridionalista Renato Giordano, non appena l'età gli pose il problema di una scelta politica, abbracciò la causa del Partito d'Azione. Questa iniziale vocazione politica, per chi conosca quale im9 Bib iotecaginobianco

pegno intendeva portare quel partito nella vita italiana, dice già molto del giovane caro amico, così dolorosamente ed immaturamente scomparso. Nel Partito d'Azione, Re11ato Giordano portava la sua coscie11za di giovane meridionale e meridionalista, a cui non era110 certo estranei gli studi, il travaglio o la passione di un Giustino Fortu11ato, di un Gaetano Salvemini, di t1n Francesco Saverio Nitti, di un Guido Dorso, per citare i maggiori. Ma vi portava altresì quella visione di un democraticismo moderno che grazie al liberalismo di Benedetto Croce, rivissuto attraverso le meditazioni e l'impegno mazzinia110 di Adolfo Omodeo, e alla conoscenza della letteratura politica e dell'esperienza anglosassoni, doveva rapprese11tare caratteristica originale degli an11i fra la Resiste11za e la Repubblica. Chiusasi la parentesi azionista, che fu per tutti i militanti di quel partito, e a11che per Renato Giorda110, esperienza spirituale e politica completa, Renato Giordano trasferì il suo fondame11tale i11teresse nella battaglia per l' Et1ropa. E i11 questo, egli battè la strada che azio11isti come Altiero Spinelli ed Er11esto Rossi avevano già segnata: la milizia nel partito più moderno che l'Europa della Resiste11za avesse visto sorgere durante i duri anni della lotta; il collegamento di questa moderna concezione con problemi osservati, non più soltanto in un ristretto ambito 11azionale, ma su scala europea. Questa collocazio11e del Partito d'Azio11e11el quadro, non soltanto nazionale ma europeo, 11011è stata a11cora approfondita come merita, ma chi voglia capire qualche cosa di Renato Giordano e degli uomi11i maggiori e minori di età, che accanto a lui vissero ed operarono, da questa collocazione deve partire per impostare u11a giusta a11alisi. D'altra parte, rispetto ad un Altiero Spinelli e ad un Ernesto Rossi,. Renato Giordano portava 11ella battaglia europeista un dato che a lui derivava dalla sua origi11e meridionale e napoleta11a: l'aspirazione ad un'Europa unita, come elemento decisivo per l'evoluzio11e i11senso pienamente occidentale della depressa vita meridio11ale. Soltanto dalla Napoli · di Giambattista Vico e di Be11edetto Croce, dalla Napoli culturalmente europea, forse pit\ europea di ogni altra città d'Italia, poteva venire quel totale i,mpeg110europeistico, capace 10 Bibliotecaginobianco

di redimere tutto il Mezzogiorno dalla miseria, dalla disoccupazione e dall'arretratezza economica e sociale che l' hanno per secoli caratterizzato. È vero infatti che la civiltà occidentale non potrà dirsi pienamente tale se non sarà capace di sollevare é trasf armare, al di là delle possibilità stesse di una politica nazionale, Mezzogiorno d'Italia, Spagna o Grecia. D'altra parte Grecia, Spagna, Mezzogiorno d'Italia non possono essere redenti economicamente e socialmente, e quindi politicamente, se non nell'ambito di quella civiltà, di cui quei territori sono stati, in epoche diverse della storia, simbolo ed • espressione. Così attraverso una sommaria, frettolosa ed imperfetta delineazio11e della breve vita spirituale di Renato Giordano, è possibile constatare quello che egli ha rappresentato fra gli uomini della più giovane generazione e che cosa è stato, con lui, da tutti perduto. Uno spirito 011esto, attivo e moderno, estremamente consapevole dei problemi dell'oggi e perciò totalme11te impegnato nelle battaglie più dure che la civiltà occidentale deve. sostenere, per essere ali' altezza delle sue grandi tradizioni. · Democratico convinto, e quindi i11posizio11edi lotta e di contrasto verso la ideologia comunista, Renato Giordano sentì drammaticamente tutti i valori dell'Occidente. Ma sentì anche le debolezze e le lacune di tale civiltà, nella difficile lotta competitiva cui il comunismo la sottopone. Come meridionale e come italiano, di quell'Italia che ha purtroppo sopportato l'esperienza fascista, egli era in grado di valutare le deficienze e di avvertire l'urgenza di quello che andava fatto. Da ciò la totalità del suo impegno europeistico che, mirante al più rapido consolidamento della posizione politica e spirituale dei maggiori Paesi del vecchio continente, non gli fece sempre vedere o gli fece sottovalutare, negli ultimi anni di sua vita, alcune manifestazioni gravi di inv9luzione, di deviazione e di opportunismo 11ella politica diretta a creare l' Europa. Alcuni nostri fraterni dissensi ebbero origine da questa diversa valutazione della situazione europea ed occidentale. La sua giovinezza entusiasta lo portava a minimizzare fenomeni di involuzione o di dege:Qerazione, che non potevano sfuggire ad una, ahimè, più vecchia e provata esperienza. Il Bibliotecaginobianco

suo totale impegno europeistico veniva tradito dalla persistenza di tradizionali sovrastrutture e dalla miopia di vecchie classi dirigenti, com'era stato tradito il suo azionismo. Ma la bat- . taglia deve continuare nel suo ricordo, nel ricordo di un giovane uomo, esemplare nell'impersonare gli ideali di una assai impegnata generazione di democratici. Uco LA MALFA 12 Bibliotecaginobianco

Il vino nuovo negli otri vecchi di Altiero Spinelli Il « gran disegno » del passaggio dal vecchio sistema europeo delle sovranità nazionali a quello nuovo della democrazia federale europea - l'unica idea nuova emersa in Europa dal cataclisma della seconda guerra mondiale - è stato accolto fin verso il 1948 dai governi delle restaurate democrazie dell'Europa occidentale con la benevola indifferenza con cui i realisti della politica accolgono qualsiasi idea nuova: bella, naturalmente, ma impossibile a realizzare e perciò utopia. A partire dal 1948 questi stessi governi sono però stati costretti dalla forza delle cose a porsi il tema dell'unificazione europea come un oggetto reale della loro politica, e, bene o male, hanno operato per favorirne qualche realizzazione o per ostacolarla. Molte cose hanno progettato, e tt1tti ricordiamo il gran parlare che si fece di pools europei nel decennio scorso; alcune ne hanno tentate lasciandole poi cadere a mezza strada, quali l'esercito europeo e la comunità politica; altre ne hanno portate a compimento, cominciando dal Consiglio d'Europa, passando per la CECA e l'U.E.O., approdando infine all'Eurato,m e al Mercato Comune. ~n questi ultimi anni quel che è stato ~ che non è stato realizzato sprona i dirigenti delle istituzioni europee ed i movimenti federalisti a porre in modi vari e non sempre coerenti l'esigenza della creazione di un potere politico europeo, ma i governi sono ricaduti nell'indifferenza, e se si occupano del Mercato comune, della CECA e dell'Euratom, li considerano non più come elementi costitutivi di una nascente unità federale, ma come forme di cooperazione interstatale entro le quali essi conducono le loro politiche economiche nazionali, o come punti di partenza o strumenti di politiche estere miranti al consolidamento ed al potenziamento nazionale. 13 Bibliotecaginobianco ..

A determinare questo corso, tutf ora aperto e perciò di esito ig110to, del processo di unificazione europea hanno contribuito co11giunture di politica mondiale, interessi economici e politici vari, forza d'inerzia delle istituzioni e forza propulsiva delle idee, ma anche il modo in cui di fronte a questo problema si sono venute atteggiando le correnti politiche che in questo perio-do hanno dominato la scena dei vari paesi • europei. L'idea della federazione europea - che è l'unica forma di comu11ità sovranazionale democratica che si possa escogitare per l'Europa, poichè accanto ad essa non si possono scorgere come alternative che l'unità imperiale sotto t1na potenza egemonica o la lega di stati sovrani - è nata e non poteva non nascere da quell'atteggiamento politico che nella terminologia politica anglosassone è chiamata radical o liberal, e che 11aturalmente nulla ha a che fare con quel che queste parole indicano in Francia o in Italia: « A liberal or radical, ricordava recentemente cc The Econ,omist », is somebody who seeks alivays to probe to the roots of present society and to propound experiments whenever he thinks that these 1night do good ». Il peso politico dei liberals - di quelli et1ropei non meno che di quelli orientati verso i problemi interni - è però stato assai scarso nel clima di pigrizia intellettuale che è stato finora caratteristico delle restaurate democrazie europee, e la responsabilità per quel che è stato fatto od omesso in materia europea pesa perciò essenzialmente sulle correnti tradizionali, che hanno tenuto occupato lo scacchiere politico in Et1ropa occidentale. Nullo è stato il contributo dei comunisti. Legati all'idea dell'espansione dell'impero sovietico, e condannati perciò a restare fuori del regolare giuoco della vita politica democratica persino nei due paesi, Francia e Italia, in cui sono forti, essi sono stati sempre decisamente ostili all'idea dell'unificazione. Ma tutto quel che hanno saputo e potuto fare è consistito nel mettere i voti di cui disponevano in parlamento a disposizione di quelle qualsiasi forze antieuropee cl1e volta a volta si sono manifestate nel campo democratico. Al polo opposto dello schieramento politico europeo incontriamo la corrente della reazione antiliberale. Erede del nazionalismo d'anteguerra, tendenzialmente antidemocratica e fascistizzante, sostenitrice nel campo sociale delle forme più autqritarie e corporative del capita14 Bibliotecaginobianco

lismo, questa corrente è rimasta a lungo ai margini della restat1razione democratica, la quale avveniva, sì, nei vecchi quadri nazionali, ma si fondava su una avversione profonda verso le ideologie nazionaliste del1' anteguerra. In Germania questa corrente non è riuscita finora nem1neno a darsi forme politiche consistenti. In Italia ha raggruppato i nostalgici del fascismo e della monarchia ed ha potuto solo recentemente reinserirsi nel giuoco politico grazie alla crisi democristiana. In Francia è stata permanentemente più forte che altrove, fondandosi su quel proteiforme settore di destra, cocardier e antirepubblicano, che dopo essere stato successivamente petainista, R.P.F., poujadista e ultra, ha infine trovato la sua espressione migliore nel generale De Gaulle, ed è riuscita con costui a sbalzar dalla sella, due anni fa, le altre correnti politiche. Questa corrente è per sua natura del tutto contraria alla prospettiva di una federazione europea, che segnerebbe insieme la fine del nazionalismo, il consolidamento della democrazia e la liquidazione di qt1elle arretrate forme economiche e sociali che l'alimentano. In Francia, ove questa corrente aveva la consapevolezza di contare politicamente, ed era perciò più conscia della propria natura, essa è stata tenacemente contraria a tutte le iniziative europee, nelle quali ha sempre ravvisato altrettanti tradimenti nazionali; ed ha validamente contribuito a far fallire quella della C.E.D., cioè la più importante di esse. Ma nei suoi rappresentanti più sensibili al corso delle cose appare anche regolarmente il tentativo di rivestire il proprio nazionalismo con drappi europei. I fascisti inglesi di Mosley, quelli tedeschi e italìani, memori di quella sorta di europeismo razzista e totalitario cl1e era stato l'impero hitleriano, fantasticano spesso di un nazionalismo europeo che dovrebbe riassorbire in sè quelli più antichi, e avere come missione ora l'affermazione della superiorità dell'uomo bianco, ora la crociata contro la barbarie comunista, ora la liquidazione delle corrotte e corruttrici istituzioni democratiche. Naturalmente cias~uno pensa di assegnare in quest'Europa un primato al proprio paese. Più fine, più civile, ma non sostanzialmente differente è la visione gaullista deII'Europe des patries raggruppata intorno alla grande e possente nazione francese. Il contributo di questa corrente all'azione europea, negativo o nel migliore dei casi nullo fìnchè ci sono state sul tappeto iniziative governative europee, è consistito, da quando essa è giunta al potere in Francia e si è di conseguenza rianimata anche altrove, nel metter fuori formule europee, adattate alla moda del tempo, ma destinate a coprire ben diversi sogni di rinascita nazionalista. 15 • Bibliotecaginobianco

La corrente conservatrice liberale occupa una posizione preminente in Inghilterra, ove è al governo fin dal 1952, e ne ha oc-cupata una assai forte prima del colpo di stato del 1958 in Francia, ove ha regolarmente partecipato, sotto il nome di partito radicale e di partito degli indipen- . denti, a tutte le coalizioni governative della IV Repubblica. Assai modeste sono invece le sue dimensioni ed il suo peso politico in Germania e in Italia, ove si è contentata di vivere all'ombra della democrazia cristiana, ora partecipando ai suoi governi, ora stando all'opposizione, sempre influenzandone l'ala più moderata. È la corrente politica sotto la cui lunga direzione o ispirazione politica si sono formati nel secolo XIX i moderni stati nazionali d'Europa, e che più di ogni altra se ne sente custode e quasi nume tutelare. Il liberalismo conservatore è disposto ad accettare, pur senza averlo desiderato, ma senza troppo recriminare, quanto è stato realizzato dalla fine della guerra in poi nel campo istituzionale, economico, sociale e di politica estera, di ogni singolo paese e perciò anche nel campo europeo, ma è diffidente per sua 11atura verso tutte le innovazioni. È questa, in un certo senso, la corrente più tipicamente rappresentativa delle attuali restaurazioni democratiche europee, tutte pigramente inclini ad accogliere solo quel minimo che è proprio jmposto dalla forza delle cose, tutte intimamente desiderose di conservare il più possibile del passato. L'idea dell'Europa non è in genere dispiaciuta alla maggior parte dei liberali conservatori, che però in essa hanno visto una formula di conservazione delle vecchie strutture statali, cioè precisamente il contrario di quel che era. È stato anzi proprio il più geniale uomo politico di questa corrente, sir Winston Churchill, a lanciar per primo l'idea dell'europeismo, di quel surrogato della reale t1nità che consiste nella visione di un'Europa conservatrice, la quale, senza alterare in realtà nessuna delle sue strutture tradizionali, si sente tuttavia solidale contro la minaccia imperiale comunista, tiene moderatamente a bada le tendenze disgregatrici dei vari nazio11alismi, ed in particolare di quello francese e tedesco, facilita l'esercizio della protezione americana, e riveste il tutto con belle frasi europee e occidentali. È assai caratteristico che, a conti fatti, quel che di europeo è stato finora realizzato è stato proprio questo europeismo churchilliano. Ma a questa rappresentatività ideale del liberalismo conservatore non ha corrisposto una uguale rappresentatività politica nè nel campo della politica europea, nè negli altri. I conservatori inglesi amministrano ancor oggi oculatamente, ma senza idee, l'Inghilterra quale l'hanno fatta nell'interno e verso l'estero i laburisti. Nell'Europa continentale sono 16 • Bibliotecaginobianco

stati invece i democratici-cristiani ad assumere la direzione politica - completa in Germania e in Italia, parziale ma decisiva in Francia - ed hanno avuto ovunque come principali interlocutori i socialisti. Vale perciò la pena di soffermarci u11po' più a lungo sull'atteggiamento che queste due correnti hanno avuto verso la prospettiva dell'unità europea. A prima vista si sarebbe potuto credere che il progetto di unire le varie nazioni europee in una federazione avrebbe suscitato un'eco assai favorevole fra i socialisti, la cui dottrina contrapponeva la solidarietà internazionale dei lavoratori al nazionalismo, al militarismo e al colonialismo della borghesia e dei suoi governi. Si aggiunga che avendo i socialisti, soprattutto dopo la secessione comunista del primo dopoguerra, accettato definitivamente la democrazia come il normale quadro istituzionale delle loro battaglie, essi avrebbero dovuto attendersi da una vasta e at1tentica democrazia federale l'utilizzazione più piena e più redditizia dei loro legami internazionali e perciò il raggiungimento di una forza politica europea maggiore della somma delle loro forze nazionali. Ma in ogni partito bisogna sernpre distinguere accuratament~ fra quelle affermazioni ideali o programmatiche che l1anno una corrispondenza nei suoi impegni e interessi quotidiani, e quelle che esprimono sentimenti magari sinceri, ma privi di riscontro nell'operosità effettiva del partito in questione e perciò del tutto superficiali. Le prime affermazioni, anche se confusamente for1nulate, caratterizzano realmente il partito, n1entre le seconde si traducono in azione politica solo occasionalmente, e sono tacitamente messe da parte non solo quando sono in contraddizione con l'azione politica reale del partito, ma anche quando esigono semplicemente un troppo forte impegno e distrarrebbero perciò troppe energie dai temi dell'azione quotidiana. Tale è stato per i partiti socialisti il caso dell'internazionalismo. Esso era stato l'ideale risposta che i socialisti avevano data al fatto che « gli operai non avevano patria », e non sentivano perciò nessun particolare interesse allo sviluppo della potenza nazionale. Un secolo fa o poco più, era vero che le classi lavoratrici, prive di diritti politici, condannate a fornir solo lavoro manuale allo scopo di permettere alle classi ricche di assaporare le dolcezze del potere, del benessere, della cultura, delle tradizioni, vivevano come popolazioni straniere e oppresse in patrie cl1e per loro non erano tali. Se l'internazionalismo, la solidarietà umana degli. sfruttati, è stata la risposta sen17 Bibliotecaginobianco

timentale dei socialisti a questa condizione, la loro risposta pratica, l'unica che effettivamente contava, non è però stata affatto il tentativo di dar vita ad una comunità politica internazionale che i lavoratori, per averla suscitata, avrebbero sentita come propria. L'azione socialista è consistita ovunque nell'organizzare gli operai in modo da permettere loro di conquistare un posto e t1n peso cresce11ti nelle lotte economiche, nei parlamenti nei governi, nelle legislazio11i, nella politica di ogni singolo stato nazionale, nel farli cioè diventare ovunque una forza politica nazionale. Questo processo di inserzione nelle strutture politiche esiste~ti si è enormemente accelerato in tutti i paesi democratici in questo dopoguerra, al punto che nei paesi socialmente più progrediti i partiti socialisti hanno praticamente realizzato tutto quel che nei loro programmi era realizzabile, sono diventati un fattore di conservazione dello status quo e si trovano nella necessità di cercare nuovi programmi se vogliono continuare ad avere successi elettorali. Ma il processo di nazionalizzazione dei movimenti socialisti era già decisame11te avviato fin dallo scorcio del secolo scorso, ed è venuto togliendo sempre più significato all'affermazione secondo cui gli operai non avevano patria. Cominciavano ormai ad essere legati alla sorte del proprio stato mediante una rete crescente di interessi economici e politici, ad essere interessati alla sua sicurezza ed alla sua espansione, a diventare diffide11ti non solo verso la concorrenza delle merci straniere, ma anche verso quella degli operai stranieri. L'internazionalismo, che continuava ad essere proclamato, era i11 sottile contrasto con qt1esto processo, e tendeva a ridursi ad una « sovrastruttura ideologica » ogni giorno più evanescente. Ma in genere i partiti socialisti non se ne sono accorti ed hanno contjnuato ad essere, ancor fino ad oggi retoricamente internazio11alisti nelle loro astratte affermazioni e grettamente nazionali nella loro azione effettiva. Condivideva110 inizialme11te l'illusione del liberalismo manchesteriano circa gli effetti inevitabili dello sviluppo capitalista. cc Le limitare zioni e gli antagonismi dei popoli - aveva scritto Marx nel Manifesto cc dei comunisti - vanno via via sparendo, per lo stesso sviluppo della « borghesia, per la libertà del commercio, per l'azione del mercato moncc diale, per l'uniformità della produzione industriale e per le condizioni « di esistenza cl1e ne derivano. Quelle differenze e quegli antagonismi « spariran110 ancor di più per effetto della s11premazia del proletariato. cc L'azione co1nbinata per lo meno dei proletari dei paesi civilizzati è cc una delle condizioni prime della libertà del proletariato ». Ma nessuna 18 Bibliotecaginobianco

azione combinata aveva fatto seguito a quelle affermazioni, fuorchè quella del rituale sciopero del 1 ° maggio; tutto il resto dell'anno i socialisti si occupavano della conquista di un posto nella politica nazionale. Quando risultò che i liberi commerci ed il mercato mondiale non , riuscivano a togliere significato alle frontiere, e che l'economia capitalista, lungi dall'annullare progressivamente le rivalità fra stati nazionali, si metteva al loro servizio, i socialisti capovolsero le loro tesi precedenti ed accusarono la borghesia di essere essa stessa, con la sua brama di profitti, la causa del sempre più forte e più diffuso imperialismo. Di anno in a~no rinnovarono nei consessi dell'Internazionale l'impegno a rispondere con lo sciopero generale alla guerra ove essa fosse scoppiata. Ma quando scoppiò, i socialisti, salvo poche eccezioni, fra le quali quella del partito italiano, riconobbero in ogni singolo stato che la loro patria era in pericolo, misero da parte Internazionale e internazionalismo e collaborarono al grande sforzo nazionale. Quando, fra la prima e la seconda guerra mondiale, un nazionalis1no duro e minaccioso travagliò tutti i paesi d'Eur9pa, i socialisti lo co11dannarono sempre senza esitazioni; ma, intenti alle loro lotte sociali, - non seppero mai uscire dai loro gusci nazionali e contrapporre una politica europea socialista a quelle dei nazionalisti. Nel 1919 i socialdemocratici tedeschi mantennero in piedi lo stato tedesco salvando dalla rovina le più pericolose delle sue istituzioni e delle sue classi sociali. Nel 1929 il cancelliere dello scacchiere Snowden, laburista, si distinse alla conferenza dell'Aja sulle riparazioni tedesche per l'asprezza con cui difese gli interessi inglesi nella distribuzione dei pagamenti tedescl1i incondizionati, assai poco curante di ogni altro più vasto problema. Nel 1936 il governo socialista di Léon Blum rispose co11 il non-intervento all'aggressione di Franco e dei suoi alleati fascisti contro la Repubblica spagnuola. Alla lunga crisi economica iniziatasi nel 1929 i socialisti reagirono aggiungendo al loro tradizionale programma di nazionalizzazioni la nuova idea della pianificazione; non si trattava però di una pianificazione inten1azionale che avrebbe implicato anche la lotta per la creazione di un potere sovranazionale, bensì della pianificazione nazionale che necessariamente avrebbe rafforzato lo stato nazionale ed arricchito di un nuovo significato la sua sovranità. Durante la seconda guerra mondiale i socialisti ebbero un atteggiamento ideale decisamente antinazionalista, e parlarono molto della futura necessaria cooperazione internazionale, giungendo, per bocca di Attlee a lanciare per l'Europa la formuia federate or perish. Ma quando 19 Bibliotecaginobianco

ottennero la maggioranza assoluta nel principale paese europeo, l'Inghilterra, e poterono perciò tradurre in realtà i loro programmi, si impegnarono a fondo in una ben riuscita pianificazione nazionale, il cui prezzo era, e fu pagato con la massima determinazione e consapevolezza, la chiusura dell'Inghilterra in sè stessa e il suo distacco dal moto verso l'unificazione europea che allora cominciava a delinearsi. Alla fine della guerra l'Inghilterra disponeva di 1un incontestato e incontestabile leadership morale; facendosi promotrice dell't1nificazione europea, ne avrebbe facilitato enormemente la realizzazione, poichè la preoccupazione di trovarsi soli con i tedeschi costitt1iva il più grande ostacolo psicologico per i francesi, i quali perciò ripetutamente e insistentemente chiedeyano la partecipazione inglese alla costruzione dell'Europa. Ma il governo laburista fu irremovibile. Per il piatto di lenticchie del welf are state, che stava pronto e caldo sulla tavola, rinunziarono al diritto di primogenitura europea che l'Inghilterra aveva grazie alla sua vittoria contro Hitler. Quando gli americani proposero jl piano Marshall suggerendo di costituire una forte autorità europea capace di prendere decisioni comuni per vincere il nazionalismo economico, il governo lab11rista indusse tutti gli altri governi europei occidentali a metter su l'OECE, impotente organismo di ripartizione degli ai11ti americani e di consultazione fra governi, ciascuno dei quali avrebbe tuttavia proceduto in piena sovranità alla propria ricostr11zione nazionale, accettando le assai lievi condizioni imposte dagli Stati Uniti, ma ignorando, anzi rendendo impossibile, qualsiasi piano europeo. Q11a11doil governo francese propose la convocazione di un'assemblea europea che fosse incaricata di studiare le possibilità di t1nificazione europea, il governo laburista non si diede pace fino a che non ebbe trasformato la proposta francese nell'insulso Consiglio d'Europa. Ai più impegnativi piani di Schuman e di Pleven lo stesso governo rispose con un non possumus puro e semplice, non sentendosi disposto a prender parte ad imprese che avrebbero potuto portare a limitazioni della sovranità inglese, ed avviò quella politica di tacito e tenace sabotaggio di ogni iniziativa sovranazionale, alla quale i successivi governi conservatori si attennero così brillantemente negli anni successivi. Sul continente t1n altro forte partito socialista ha assunto una posizione ancor più antieuropea di quello inglese, senza però poterla tradurre in azione governativa, poichè è rimasto fino ad oggi costantemente all'opposizione. La socialdemocrazia tedesca fece un assai significativo passo innanzi in senso nazionalista rispetto a quella inglese, 20 Bibliotecaginobianco

poichè i laburisti avevano vinto la battaglia elettorale nel 1945 grazie al loro programma di pianificazione nazionale, e la politica di isola~ mento anti-europeo era stata solo la co11seguenza dell'applicazione di quel programma, mentre i socialisti tedeschi decisero di adottare una impostazione politica nazionalista allo scopo di ottenere una vittoria elettorale che desse poi loro la possibilità di fare la pianificazione nazionale. Decisi a non mostrare questa volta la moderazione nazionale che avevano avuta nella Repubblica di Weimar, ed a presentarsi come il più coerente e deciso partito patriottico, i socjalisti tedeschi hanno sostenuto le tesi centraliste quando si è trattato di costruire la repubblica di Bonn, si sono fatti portavoce di una politica fortemente rivendicativa rispetto alle potenze occupanti, co11trapponendo sempre le esigenze della dignità e dell'indipendenza nazionale alla politica di adempimento e di collaborazione con l'occidente seguita da Adenauer, hanno iscritto sulla loro bandiera la riunificazione nazionale come obiettivo fondamentale della politica tedesca, ct1i si sarebbe dovuto subordinare ogni altro impegno ed ogni altra prospettiva. Nelle loro fila non sono mancati uomini memori della velenosità contenuta nel nazionalismo in genere ed in quello tedesco in particolare, e che seppero perciò sormontare la loro opposizione interna ad Adenauer sostenendo la sua politica europea, ma il partito socialdemocratico come tale è stato ostinatamente e meschinamente avverso alla CECA, alla CED, alla Comunità politica, poichè tutto ciò non rientrava nella prospettiva di un solido stato nazionale, nel quale solo erano capaci di concepire la realizzazione della loro politica sociale. Solo quando la saziale Markt,wirtschaft di Erhart ebbe svuotato il loro programma di nazionalizzazioni e di pianificazioni, realizzando praticamente quel benessere e quella sicurezza sociale per cui essi si battevano, e quando apparve evidente che il nazion~lismo popolare non esisteva quasi più e non dava perciò i grossi frutti elettorali sperati, la socialdemocrazia tedesca si ~ decisa a lasciarsi rimorchiare dall'ormai assai vago europeismo succeduto a quello della CED, ed a votare per il Mercato Comun·e e per l'Euratom. Il calcolo politico dei socialisti tedeschi si è rivelato oltrechè meschino anche sbagliato, ma, prima di tirar le somme, essi avevano potuto almeno sperare di raggiungere la maggioranza assoluta e governare come avevano governato i socialisti inglesi. Negli altri paesi dell'Europa democratica i socialisti non potevano avere nè l'ambizione, nè le tentazioni dei loro compagni tedeschi. Dovevano rassegnarsi a governi di coalizione e ad una politica di compromessi e di ordinaria amministra21 Bibliotecaginobianco

zione, nel corso della quale potevano promuovere questa o quella riforma sociale, ma non potevano mai nemmeno proporsi la realizzazione di programmi cl1e investissero tutt'intera la vita nazionale. Con questo spirito aderirono ancl1e alla politica europea. Alcuni capi socialisti belgi e olandesi, come Spaak, Vorrink, Mansholt ne sentirono fortemente il significato innovatore, e ne furono in determinate circostanze vigorosi promotori, ma l'adesione dei partiti socialisti fu sostanzialmente passiva, limitandosi essi ad accettare, come si conviene in ogni coalizione politica, progetti che erano in genere sostenuti e promossi dai democristiani e nei termini in cui costoro li presentavano. Se nel 1952-53 Spaak diresse un'azione che andava oltre i progetti governativi, il suo partito si limitò a lasciarlo fare, ed egli cercò e trovò appoggi non fra i socialisti, ma tra i federalisti, ed ebbe un successo, sia pure parziale ed in ultima istanza effimero, perchè riuscì a conquistare ai st1oi progetti De Gasperi, Adenauer e Schuman. L'adesione socialista alla politica europea fu permanentemente accompagnata da uno stato d'animo pieno di reticenze e di incomprensione. La più caratteristica manifestazione di questo atteggiamento si ebbe nel partito francese, la cui politica in questo campo fu un continuo volere e disvolere, osare e retrocedere. Le git1stificazioni addotte furono volta a volta diverse, ma sempre di tipo nazionale, e nazionale fu la ragione che nel '54 portò al grande spacco fra cedisti e anticedisti, e di conseguenza alla ìiquidazione del progetto di esercito europeo. In Italia, ove il socialismo è scisso in due tronconi, qt1ello socialdemocratico è stato genericamente europeista senza infamia e senza lode, mentre quello che ha conservato il nome di partito socialista, dopo essere stato a lungo antieuropeista perchè questa era la politica dettatagli dai comunisti, ha cominciato a mostrare un crescente interesse positivo verso i problemi dell'unificazione europea da quando ha separato la sua politica da quella comunista. No11si può però in alcun modo dire che abbia compreso che l'unificazione europea è un obbiettivo politico da volere ed in cui perciò occorra impegnarsi. In essa non vede altro che un capitolo relativamente secondario delle manovre di politica interna, un dato di fatto occasionale che può essere adoperato per facilitare l'avvicinamento alla democrazia cristiana e il distacco dai comunisti. Opposizione, reticenze, incomprensione, ed in ultima istanza accettazione passiva di quel tanto che volta a volta viene realizzato da altri, - tutto ciò corrisponde ad una defici~nza organica del pensiero politico 22 Bibliotecaginobianco

' socialista, che si è manifestata in molte altre occasioni, e che, avendola analizzata più a lungo altrove (v. La mort du socialisme européen - « Preuves », ottobre 1958), mi limiterò qui a riassumere assai brevemente. Quale che sia l'opinione che i socialisti hanno avuto ed in parte hanno ancora nel proprio ruolo nella storia moderna, essi sono di fatto quella corrente delle democrazie europee che ha avuto, e nei paesi più arretrati ha ancora, il compito di immettere nella vita politica le masse lavoratrici allo scopo di imporre all'economia i vincoli necessari ad assicurare una crescente giustizia e sicurezza sociale. Asssai sensibile a quest'ordine di problemi, è viceversa sempre stato estr_emamente ottuso di fronte ai problemi del potere politico, della sua natura, dei suoi istituti, dei suoi pericoli e drammi. · Poichè organizza vaste masse, il socialismo ha finito per comprendere che le forme democratiche della vita politica, nelle quali il numero conta molto, sono quelle che gli danno le maggio_ri probabilità di successo. Ma ha sempre considerato l'instaurazione dello stato democratico come un compito che spetta essenzialmente ad altre forze - alla borghesia, secondo la terminologia marxista. Perciò i socialisti appoggiano sì le lotte per la conquista della democrazia o per il suo allargomento, ma sempre in una posizione sussidiaria e non rilevante, poichè considerano che il loro compito vero e proprio, comincia realmente dopo che esse sono finite, nell'ambito di quell'organizzazione statale democratica che in un modo o nell'altro si è infìn.e costit11ita_.Questo atteggiamento, che dal punto di vista politico può essere definito parassitario, spiega come accada regolarmente che i socialisti abbiano saputo dare il meglio di sè ogni volta che la democrazia aveva un alto grado di stabilità, cioè ogni volta che il problema della migliore organizzazione del potere politico era di fatto risolto e perciò non attuale; mentre, la loro forza sindacale, elettorale e parlamentare, combinata con l'assenza di idee politiche vere e proprie ha fatto di loro altrettanto regolarmente un fattore di incertezza, di confusione, talvolta addirittura di azione politica falsa, ogni volta che è entrato in crisi lo stato nel cui ambito essi vivevano, ignari della sua natura, e le questioni sociali sono passate in secondo piano rispetto a quelle dell'organizzazione del potere politico. Tale, ancora una volta, è stato il loro atteggiamento quando si sono trovati dinanzi al tema della unificazione europea, che è per l'ap·punto essenzialmente un problema di svuotamento parziale delle democrazie nazionali e di costruzione di una nuova democrazia europea, cioè un problema di organizzazione del pot~re P<?litico. 23 Bibliotecaginobianco

Se dal passato ci volgiamo al presente e al futuro i11combente, possiamo constatare che in Italia, e domani ancora in Spagna, i socialisti hanno ancora da portare a termine il loro compito di riformisti sociali, ma che nel resto dell'Europa occidentale il grosso del lavoro è ormai fatto, e quel che resta e resterà perpetuamente da fare non è più che ordinaria amministrazione di un qualsiasi moderno governo democratico, e può essere eseguito dai Macmillan e dagli Erhart altrettanto bene quanto da ministri socialisti. I partiti socialisti hanno in questi paesi una dottrina che li obbliga, come constatava ironicamente cc The Economist » qualche mese fa, to fight bitter mock battles to change a society that is past. Nelle loro file si sta perciò svolgendo un non trascurabile lavorio intellettuale ,diretto a gettare a mare questa inutile dottrina, ed a presentare il partito come un bravo e moderato partito di amministrazione del raggiu11to beness·ere sociale. È invece assai caratteristicamente assente ogni serio tentativo i11tellettuale di dare una risposta soddisfacente a quello che è il problema della creazione di un potere federale europeo. Questo problema è posto dal Mercato comune che deve essere accelerato, esteso all'Inghilterra e fondato su istituzioni politiche; è posto dalla necessità di dare una politica estera e militare autonoma all'Europa occidentale. ~1a partiti che chiedono il suffragio dei cittadi11i solo perchè e in quanto si presentano come partiti capaci di ordinaria amministrazione di quel che esiste, questo problema non riescono nemmeno a vederlo. Giunti alla fine del loro lavoro di riforma sociale, i partiti socialisti sono diventati una delle grandi compo-nenti dell'immobilismo europeo. Sono per la conservazione di quel che esiste. Quel che deve esistere non li concer11e. Non li concerne ad un punto tale che persino nei due paesi centrali dell'Europa che hanno una costituzio·ne politica notoriamente ed evidentemente provvisoria, i socialisti non riescono a pensare che alla restaurazione, in Francia di un'ennesima repubblica nazionale, in Germania di t111ennesimo Reich nazionale. Il punto dell'orizzonte politico dal quale proviene il cattolicesimo politico è assai differente da quello del socialismo. Questo era nel secolo XIX una forza politica nuova che nasceva dall'inco11tro delle grandi masse degli outsiders sociali della società industriale con piccoli gruppi di outsiders intellettuali della politica democratica. Il cattolicesimo era la più antica e la più possente delle forze tradizionali europee, era collegato con le classi sociali più conservatrici, aveva occupato per s·ecoli una posizione di primissimo piano nella vita e nelle istituzioni 24 Bibliotecaginobianco

; politiche di tutta l'Europa, l'occupava ancora nelle parti di essa rimaste cattoliche, era stato dietro a tutti i tentativi e sogni di restaurazione del vecchio regime, e nel corso del XIX secolo aveva pagato questo suo atteggiamento reazionario perdendo un'ingente massa di antichi privilegi ed essendo spinto al margine della vita politica dal1' avanzata della democrazia e del nazionalisn10. I tre principali stati continentali dell'attuale Et1ropa occidentale si erano l'uno consolidato e gli altri due formati in polemica con il cattolicesimo. La repubblica francese era diventata qualcosa di definitivo grazie alla distruzione del secolare legame fra stato francese e chiesa cattolica, ed alla laicizzazio·ne non solo dello stato ma anche di assai larghi strati della popolazione. Il Reich tedesco era sorto per opera di una potenza protestante, aveva espulso dalla Germania la secolare influenza del cattolico imperatore di Vienna, era passato attraverso il Kultt1r-Kampf. Lo stato italiano, fondato dai liberali, aveva distrutto non solo un'ingente massa di privilegi ecclesiastici, ma addirittura lo stesso potere temporale del papa ed aveva impiantato la sua capitale in Roma stessa. Non si può certo dire che i cattolici siano rimasti immuni dal largo e profondo processo di nazionalizzazione degli spiriti, effettuato nel XIX e XX secolo da questi stati. Durante la prima guerra mondiale le chiese avevano arruolato Dio nei rispettivi eserciti nazionali, ed i cattolici avevano tenuto ad essere e ad apparire buoni patrioti. Essendo sempre disposta a patteggiare con il potere esistente se questo non l'attacca di fronte, la chiesa ha concluso una alleanza assai fruttuosa con il fascis~o accettando il rango di instrumentum regni ed ottenendo in cambio la restituzione di molti e non lievi privilegi. Ha tentato ancl1e un accordo con il governo nazista, che non ha potuto svilupparsi per cattiva volontà di questo e non della chiesa. Ma la tendenza a fare della nazione una nuova ed invadente divinità e dello stato la sua chiesa militante, restava in sottile contrad,dizione con l'universalismo della dottrina e delle gerarchie supreme della chiesa cattolica. La riserva ideale verso la nazione e lo stato era inoltre rafforzata dal fatto che uomini politici cattolici non mancavano nel seno delle classi dirigenti laiche, prima liberali e poi fasciste, naziste e petainiste, ma il cattolicesimo come dire forza politica era rimasto praticamente escluso dalla partecipazione alla direzione politica di questi stati fino alla fine della seconda guerra mondiale, salvo la breve esperienza governativa del partito popolare in Italia e quella più lunga del Zentrum nella repubblica di Weimar, 25 Bibliotecaginobianco

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