Nord e Sud - anno VII - n. 10 - novembre 1960

sollevato clamore di polemica per la sua mancata 1Jremiazione alla Biennale di Venezia, ed altro e maggior clamore di scandalo è venl1to poi sollevando ancora, per le denunce contro di esso presentate a1le procure della Repubblica da privati cittadini offesi nel loro senso di pt1dore. Strano a dirsi: quella sera, il palcoscenico che si stende sotto lo schermo, e la cornice dello schermo stesso, erano infiorati :fittamente di fiori bianchi, certo per dare rilievo al carattere di cc serata di gala >> dello spettacolo; e fu dentro quell'aiuola di candida decorazione floreale, per cui la sala prendeva un'aria da salone di istituto di suore per la festa della prima comunione, che venne proiettato quel film, così poco adatto ad occhi di educande. Alla Bne della proiezione, cui aveva assistito un pubblico folto ed intento, si levò un applauso abbastanza nutrito; ed io me ne uscii, trascinato dalla corrente della folla, nella quale si intrecciavano i primi commenti e consensi; e tutti mi parve, avevano un'espressione un po' turbata e soddisfatta insieme. E dico tutto questo per dire, che le impressioni da me ricevute non sono state condivise dalla generale opinione, almeno nell'ambiente che mi circonda ed in cui vivo; prudente e necessaria premessa, questa, alle considerazioni che seguiranno, e cl1e non vogliono essere una « stroncatura », dettata da pregiudizi di carattere personale, e giustificata facendo appello al pubblico sentimento del pudore, come hanno fatto quegli zelanti cittadini sopra ricordati. Prescindo qui anzi da ogni giudizio tecnico e moralistico sul film : ossia, riconosco senz'altro la maestria artigianale di Visconti, e faccio questione di ethos civico, e non già di situazioni oscene e di fatti raccapriccianti. Tuttavia, debbo anzitutto chiarire quali sono i motivi del senso di insoddisfazione estetica, oltre che etica, che m'ha lasciato la visione di quel film. Malgrado che l'intitolazione della pellicola, mettendo subito l'accento sul nome di uno dei protagonisti, riecheggi quella del romanzo di Th. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, il suo contenuto s'ispira piuttosto a quello· del romanzo di Dostoievskij, I fratelli Karamàzov, in cui tutt'e tre i fratelli hanno, nell'intelaiatura del libro, funzione complementare ed importanza non subordinata l'uno all'altro; e così pure avviene nel film. Ma tra la capacità d'invenzione del ron1anziere russo e quella del regista italiano, c' è una differenza fondamentale, che è quella che corre fra un classico e un decadente, fra ur{opera d'arte originale e il suo pastiche. Occorre precisare che non va attribuita alla qualifica di decadente alcun significato spregiativo; come i termini di alessandrino, gotico, barocco, etc., anche la designazione di decadente ha acquistato ormai (in un'epoca, per l'appunto, di decandentismo) t1n significato positivo. D'Annunzio, per esempio, è indubbiamente un cc decadente», confrontato ai -suoi modelli greci, rinascimentali e ottocenteschi (fra cui sta lo stesso Dostoievskij); ciò non toglie cl1e la sua opera sia degna di studio e, nel suo genere, di ammirazione anche se, almeno a giudizio sensato, essa non possa reggere il confronto con quella di un Goethe, autore anch'egli di romanzi, poesie e drammi ispirati talora a modelli ellenici o rinascimentali. La differenza tra il classico e il deca69 Bibliotecaginobianco

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