Nord e Sud - anno VII - n. 10 - novembre 1960

Nitti fu e rimane, anche dopo la parentesi fascista, uomo della vecchia classe dirigente liberale: consapevole dell'importanza dei nuovi strumenti di lotta politica che il socialismo aveva portato con sé e tuttavia incapace di dominarli. E questo, se fu, specie nel dopoguerra, dal '18 al '22, il dramma di tutta la vecchia classe politica liberale, ed in primo luogo di Giolitti, in Nitti appare addirittura il tratto saliente di tutta la sua vita politica: egli ebbe. infatti vivo il senso dei problemi politici, ma non la forza e la capacità del leader, che non si limita a creare i programmi, ma trova anche le forze necessarie a realizzarli. E se rifuggì dalla prassi giolittiana della. manipolazione delle maggioranze, ncn ebbe una visione concreta del fondamentale problema politico italiano, che era, ieri come oggi, quello della formazione di una salda compagine di sinistra democratica, capace di opporsi ·agli opposti estremismi di destra e di sinistra. Inoltre, a differenza di Giolitti, cui solo dopo le elezioni del '21 sfuggì definitivamente il controllo della vita politica itaHana, Nitti rimase sempre isolato. Una idea della complessa personalità dello statista lucano ci è data dalla sua opera di capo del governo nel 1919-20, il periodo più discusso. e pii1 significativo della sua vita politica. Salito alla suprema responsabilità di governo quando il Paese toccava l'acme della crisi economica del dopoguerra (la crisi politica, già in atto, raggiungerà più tardi, alla vigilia della marcia su Roma, il suo momento più drammatico), Nitti si propose due obiettivi, tutt'altro che modesti: realizzare una politica estera di ricostruzione e di solidarietà europee, restaurare l'economia del Paese. Egli ebbe come maggiori obiettivi un'equa soluzione del problema delle riparazioni tedesche, la ripresa dei rapporti economici con la Russia rivoluzionaria, la lotta contro i nazionalismi, la creazione insomma di un'Europa politicamente ed economicamente unita, da una parte; la restaurazione delle finanze italiane dissestate, mediante una politica di austerità, di rapida riconversione delle industrie beBiche e soprattutto di normalizzazione della vita pubblica, dall'altra. Non aver saputo raccogliere una stabile maggioranza sulla base di questo programma di governo fu senza dubbio l'errore politico più grave di Nitti (non bisogna però dimenticare la grave crisi in cui versava allora tutto lo schieramento politico italiano). Il programma di Nitti non era a nostro avviso - contrariamente a quanto afferma il Rizzo - conservatore, ed avrebbe potuto costituire una valida piattaforma per uno schieramento di sinistra democratica. Ebbe invece contrarj i socialisti, impreparati ad affrontare l'usura di una politica non demagogica, non massimalistica e che esigeva dal Paese grande senso di responsabilità e spirito di sacrificio. Le destre d'altronde furono irritate forse più dal programma econo1nico di Nitti che non dal suo atteggiamento (sostanzialmente debole) riguardo alla questione fiumana; mentre Giolitti non esitò a scavalcarlo e a sostituirglisi, con un programma più radicale, ma non privo di accenti demagogici. L'ostilità - che fu determinante - di Giolitti e dei liberali giolittiani nei confronti dello statista lucano è ancora una delle questioni più oscure e più interessanti della storia di quegli anni, e meriterebbe in.dubbiamente un esame approfondito. In quell'occasione Nitti ebbe anche molte critiche per aver escluso dal 120 Bibliotecaginobianco

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