Nord e Sud - anno VII - n. 4 - maggio 1960

fare da sè - raddrizzare la grafia di De Santis (p. 104) o di Kirkegaard {p; 213) -o correggere titoli di libri: 1895 di Orwell (p. 165), e persino uno dello stesso Alvaro: L'amante alla finestra (p. 218) -; interessa invece mettere in guardia contro la ellitticità di certi frammenti, per non dire della inintelligibilità di qualche altro, che si prestano, isolati dal contesto, isolati da tutta l'opera di Alvaro, a una facile deformazione. Prendiamone uno : cc Io vidi la fine del mondo patriarcale e so di che si tratta ecc. » (p. 34). Se si dimentica quanto Alvaro ci dice in questo stesso libro, nel corso di un frammento programmatico: « Sono appunti di lavoro e non una storja personale », sarà lecito perfino di cogliervi un senso di fastidio verso il lettore, almanaccare di un ultimo Alvaro rinchiuso in se stesso, che abdicava alla socialità, e così via. Ma il fraintendimento è possibile anche in una direzione opposta. Vi è qualche altro frammento che, a patto di essere isolato, naturalmente, - ennesima riprova, cioè, della pericolosità dei florilegi - potrebbe far parlare di un « leggerezza » di questo Alvaro. cc Avete stampato un libro nuovo. L'amico più o meno letterato v'incontra e vi domanda: "Che cosa ci prep·ari? Quando uscirà un altro tuo libro nuovo?"» (p. 110). cc Thomas Mann ha chiesto udienza al Papa per dirgli che il cattolicesimo deve tornare cristiano. Non si sa che cosa gli abbia risposto lui » (p. 119). Occo1Te avvertire che non bisogna pensare a Flaiano? O, in un'altra direzione ancora, che non si deve richiamare lo Svevo della Coscienza di Zeno se Alvaro ci confessa: cc Prima vittoria dopo diciotto giorni <lacchè non fumo: cioè scrivo con piacere e abbastanza facilmente» (p. 102). Alvaro è uno scrittore a direzione lineare, non semplice, non povero, ma complesso sempre in maniera ostensibile. Vogliamo quindi innanzi tutto dire· che in questo Ultimo diario Alvaro è più che mai fedele ai suoi temi, alla sua poetica, a se stesso. E se la sua opera è stata sempre contrassegnata da una compresenza di ragioni saggistiche e di toni lirici e narrativi, quest'Ultimo diario ce li presenta tutti, in boccio, in una indissolubile commistione, a riprova definitiva della loro duplice, ineliminabile, originaria natura. Certo, questo libro non ha un suo volto particolare, non è soltanto una nuova rassegna dei temi alvariani. E questo volto ha forse tratti più cupi, c'è certamente più « il nostro tempo » che cc la speranza ». Ma ciò si spiega se teniamo conto degli anni che l'Ultimo diario postilla: dal '48 al '56. Passata la cc poesia » della resistenza al fascismo, na- ~ceva, o piuttosto rinasceva la cc prosa» del conformismo italiano di sempre. L'Italia della sconsiderata corsa alla ricchezza, al cc posto », senza badare ai mezzi, e dimentica con fastidio di tutto il resto, compreso il suo imminente, civile passato, mostrava il suo sgradevole aspetto. Il 1948 fu l'anno del Fronte popolare. Uomini come Alvaro sceglievano di stare da una parte o dall'altra, e continuavano a pagare come negli anni peggiori della dittatura. Annota l'otto aprile di quell'anno : « In difesa della mia dignità offesa, ho lasciato oggi il "Corriere della Sera". Non ho avuto un solo segno di solidarietà degli scrittori, e non dico da colleghi, se non quelli che si servono dell'incidente a scopi politici. Difendevo la mia dignità, ho difeso anche la dignità della categoria. Ma questo richiamo ai termini' di una vita civile è riuscito sgradito 109 Bibliotecaginobianco

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