Nord e Sud - anno VII - n. 4 - maggio 1960

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna CARLO TURCO, L>«industrializzazione » del Norcl GrusEPPE GALAsso, PCI 1960 MANLIO Rossi DoRIA, La scuola e lo sviluppo del Mezzogiorno ARNALDO VENDITTI, cc Italia nostra », la stampa e le amministrazioni NINO NovAcco, Regionalismo dei democratici FEDERICO Gozzi, Einaudi e i partiti e scritti di R1ccARDo BARLETTA, Gumo BorrA, GrusEPPE CIRANNA, FRANCESCO COMPAGNA, TULLIO DI MAURO, FEDERICO FRASCANI, CESARE ,MANNUCCI, ANTONIO Nrrro, FEDERICO ORLANDO, ANTONIO PALERMO, .ANTONIO VITIELLO AN NO V I I . N U O V A S ERI E • MAGGI O 19 6 O • N . 4 (6 5) EDIZIONI SCIENTIFICH.E ITALIANE • NAPOLI Bibiiotecaginobianco

Biblioteca Gino Bianco

NORD E SUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco •

SOMMARIO Giuseppe Galasso Carlo Turco N.d.R. Riccardo Barletta Antonio Nitto Arnaldo Venditti Federico Frascani Cesare Ma11nucci Federico Gozzi Manlio Rossi Doria Nino Novacco Federico Orlando Tommaso e Giovanni Pelosi Editoriale [ 3] PCI 1960 [8] L' cc industrializzaziorie >> del Nord [ 30] GIORNALE A PIO VOCI .. Il partito liberale e il Mezzogiorno [38] Uria Minerva in esilio [ 40] La finanza locale [ 47] « Italia nostra », la stanipa, l'edilizia, le amministrazioni [ 52] "f..1afiae ca1norra in Assise [57] Diffusione della cult1,ra e progresso civile [59] Einaudi e i JJartiti [ 68] DOCUMENTI La scuola e lo svilitppo del Mezzogiorno [72] IN CORSIVO [85] LETTEREAL DIRETTORE Regionalismo dei den1ocratici [9,5] Le acque del Biferno [ 99] Turismo di niassa e Mezzogiorrio [101] CRONACA LIBRARIA (102] Una copia L. 300 · Estero L. 360 DIREZIONE E REDAZIONE: Abbonamenti So st enitore L. 20.000 Napoli - Via Carducci, 19 - Telef. 392.918 Itali a annuale L. 3 .300 semestrale L. 1. iOO Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Abbonamenti, distribuzione e pubblicità: Effettuare i versamenti sul C.C.P. 6.19585 intestato a EDIZIONI SCIENTIFICHE ITALIANE - S.p.A. - Ed. Scientifiche Italiane S.p.A. Via Roma, 406 Napoli Via Roma, n. 406 - Napoli - telef. 312.540 - 313.568 Bibiiotecaginobianco

Editoriale Uno degli aspetti più preoccupanti - e protremmo dire più mortificanti - della lunga crisi ministeriale apertasi nel febbraio scorso con le dimissioni del gabinetto Segni è consistito nell' attegg-iamento, anzi, nel comportamento di quelle fazioni e di quei gruppi del partito di maggioranza che si oppongono tenacemente, non diciamo ad ogni prospettiva di « apertura a sinistra», bensì alla stessa caratterizzazione della Democrazia cristiana come partito interamente e genuinamente democratico nel senso - l'unico senso possibile - ad essa segnato dal complesso del suo patrimonio ideologico e dalla funzione storica che è venuta svolge11do nella vita politica e riella società italiana. I gruppi e le fazio11,idi cui parliarno si collocano a destra nella topografia interna del partito di maggioranza e nello schieramento delle opinioni e degli -interessi presenti nel paese; e agiscono chiaramente sul piano della sovversione quando il loro co1n1Jortamento viene confrontato in base al criterio di legittimità che deve valere in ogni partito come in ogni istituzione e in ogni ordinamento giuridico. Sarebbe st,perfiuo ricordare qui gli episodi che inducono a formulare un così. drastico giudizio: la stampa quotidiana li ha ampiamente registrati e commentati, mentre la soluzione della crisi ne è stata in vario modo disturbata e ritardata. Non è il caso pertanto di riprendere il discorso sugli interventi occulti di certi ambienti privi di responsabilità pubbliche nella vita 7Jolitica italiana. Ma una constatazione si rende necessaria: taluni gruppi e taluni esporienti del partito di maggioranza si mostrano più solleciti di certe ubbidienze esterne che delle regole interne del partito, giungono al punto di contestare la validità delle decisioni di quest'ultimo in riome di investiture che trarrebbero la loro origine fuori della volontà del partito democraticamente espressa e _ in sostanza disconoscono la legittimità della stessa linea politica decisa nei congressi e nelle assemblee. E tuttavia essi non si portano, ... 3 Bibliotecaginobianco .....

come sarebbe logico, fuori del partito; ma vi restan.o dentro, per an.- nullare o condizionare la volorità della maggioranza. L'episodio non di1nent-icato dei « franchi tiratori)) rappresenta il caso limite, l'esempio più clamoroso della volontà di sovversione interna da cui sono animati certi gruppi che hanno cittadirianza nella Democrazia cristiana. Ma non è il solo; altri più recenti episodi sono venuti a dar conferma del fatto che si può agire anche alla luce del sole ed ottenere i medesimi risultati; sono gli episodi, per fare un esempio, di cui sono stati protagonisti gl,i onn. Berry e 11iviani i quali hanno avuto per lo merio il merito della franchezza; sono gli oscuri e misteriosi episodi che hanno avuto per protagonisti i riunierosi deputati e senatori che per indurre Fanfani a rinunciare alla for1nazione del governo di centro-sinistra voluto dalla maggioranza della D.C. hanno sollevato « ·un problema di coscienza ». Rilevava un giorriale della sinistra democristiana, << Politica », nel numero del 1° aprile, clie costoro rion rischiano riemrneno il deferimento al collegio dei probiviri, che sernbra riservato solo_ agli esponenti delle sinistre, che _ pure hanno rispettato senipre la disciplina di partito e votato, alla Camera, in compagnia delle maggioranze più sgradevoli. Carne si spiega questo cornporta1nento di debolezza degli organi dirigenti della D.C. nei rigiiardi di gruppi e cli ito111ini che agiscono apertamente al di fuori di quella che è stata chia1nata la legittimità del partito? Può la preoccupazione per l'unità dei cattolici far tollerare una sititazione che altera la vita interna del partito di maggioranza e consente - come ha rilevato la « Voce Repubblicana » - che cc la battaglia fra la sinistra e la destra sia condotta con 1netodo democratico dalla sinistra, e sia condotta, invece, con qi1alunqi1,e rriezzo, salvo quello delle decisioni democratiche, dalla destra »? E d altra parte fino a che punto è lecito ten~re oggi tutti i cattolici uniti in un solo partito, senza correre il rischio di alterare la fisionomia più genuina, il carattere democratico e la vocazione antitotalitaria e popolare della D.C.? Esiste poi davvero il pericolo della rottura delf unità dei cattolici? Sono domande che abbia1no visto pro7Jorre spesso, nelle ultime settimane, sulla stanipa della sinistra dernocristiana e alle quali si è cercato di dare una risposta. i\ noi se1nbra clie abbiano ragione coloro i quali hanno giudicato severarnente il co1ìiporta1nento dei gruppi di destra del partito ricordando conie esso ponga continuarriente in discussione l'essenza - e potremmo dire l'esistenza -- stessa della De·mocrazia cristiana. Esiste u,na legittiniita dernocristiaria - essi dicono - 4 Bibiiotecaginobianco

definita dal lungo inipegno con, cui il partito sin dai tenipi di De G~- speri, e sulla via tracciata da q·uest'ultimo, ha ritenuto suo compito primario di contribuire all'edificazione dello Stato democratico e alla soluzione dei problerrii della società italiana. La D.C. si è venuta pertanto caratterizzando berisì corne un partito di cattolici, ma di cattolici democratici; da De Gasperi a Fanfani ha cessato di essere una federazione di clieritele e di seziorii e di gruppi di iriteresse ed è diventata un fatto moderno; la federazione elettorale de-i cattolici del 1946 è diventata il partito dei cattolici de,mocratici del 1959 e del 1960, degli anni cioè che hanno visto Moro, a Firenze, vincere il congresso su di ·una piattaforma « antifascista, democratica e popolare», e Fanfarii chiamato a dar corpo, col governo di centro-sinistra, alla scelta implicitarnente operata dal JJartito approvando la piattaforma proposta da Moro. Ora non è lecito ignorare la realtà del partito, la sua fisionomia, il suo patrimonio ideologico; non è lecito alle minoranze sottrarsi alla disciplina di partito, ·non rispettare le regole clel gioco democratico. Il disa• gio attuale del partito di 1naggioranza lia origine dal fatto che si è formata una fazione interna, i cui collegamenti con le forze della destra econo1nica e a11,tidemocratica sono evidenti, e questa f aziorie, - 1nentre non si muove sul piano ideologico del partito, pretende di presicliarne l'organizzazione e di piegarla a ubbidienze estranee. Ove quindi la D.C. conti-nuasse a rnostrarsi arrendevole di fronte ai disegni di questa fazione, verrebbe 11ie1iola funzione stessa di un partito democristiano; la sua organizzazione verrebbe prima o poi riassorbita entro un indiscrirninato blocco d'ordine, arcaico, illiberale. Porre così il proble·ma significa già porre, a nostro avviso, la questio·ne dell'opportunità o 1ne110dell'·uriità politica dei cattolici. E che si tratti di una questione ben chiara alla coscienza di esponenti qualificati del mondo cattolico e denzocristiano prova quanto Bartolo Ciccardini ha scritto rece11temente su « Il Punto )) : « L'unità dei cattolici è possibile solo su basi democratiche cristiane. È cioè convenierite pagare il prezzo che l'unità dei cattolici in politica comporta, se questo prezzo serve ad edificare una società democratica, senza privilegi e senza disordini. Se questo non è il compito storico che ci si propone, se esso deve essere sostituito dalla pura conservazione dello stato esistente, tanto converrebbe che i cattolici militassero in tutti i partiti, salvo restando la loro lealtà di fronte ai fondamentali principi della morale cattolica. Oggi sempre più spesso si pensa clie sianio alla vigilia della rottu,ra dell'unità dei cattolici, perchè di fatto essa no1i riesce a · garan,tire lo sviluppo della società de1nocratica. La D.C. è oggi alialtez5 Bibliotecaginobianco \

za di dare un, compito storico alt unità dei cattolici, in modo da respingere ai margini i ricatti e ai tentativi di rottura della destra clericale? ». Non v'è d-ubbio che la speranza del Ciccardini - che è poi la speranza degli a1nbienti responsabili della Democrazia cristiana - è di far partecipare il maggior numero possibile di cattolici alla vita dello Stato de1nocratico, di sottrarre alla destra - che è quanto dire al pericolo dell'involuzione totalitaria e clericale - quegli ambienti 1noderati e quegli strati dell'elettorato scarsamente politicizzati che sono tradizionalmente inclini a orientare le proprie preferenze più in base a considerazioni di ordine religioso che a precise scelte politiche. In fondo il successo di un partito democristiano dovrebbe basarsi, come in effetti è stato finora, sulla capacità di egemonizzare l'opinione cattolica senza rinunciare alle proprie caratteristiche e al proprio programma politico. Il corisenso dell'opinione cattolica ad un programma democristiano è condizione indispensabile per il su,ccesso di quest'ultimo; e la consapevolezza di ciò può pertanto spiegare la caut~la con cui i dirigenti della D.C. hanno sempre trattato il problema dei difficili rapporti con i gruppi interni di cui si diceva all'inizio di questa riota. Senonchè la destra clericale, di cui quei gruppi sono fiduciari e portavoce all'interno della D.C., si è irripadronita clel 1nito dell'unità dei cattolici clie solo essa ]Jotrebbe garantire, e se ne serve per bloccare le scelte democraticlie del partito: in sostanza la presenza dei gruppi çhe 1ninacciano ad ogni occasione di rompere l'unità politica dei cattolici rischia di creare un diaframma tra la vocazione democratica del partito e la sua capacità di azione politica. Ora una obiettiva considerazione dello stato reale clell' opinione pubblica del paese e del coniplesso degli interessi in gioco dovrebbe, a nostro avviso, far conclitdere eh.e, mentre il proble1na dell'unità dei cattolici ha scarsa ·rilevanza in sè, in un paese che dà appena il 40 per cento dei voti all'unico partito che si richiarria esplicita niente a,i pri1icipi della scuola sociale cristiana e alle tradizioni de-1nocratiche del cattolicesimo politico, l'urtico pericolo reale per la D.C. non consiste nella eventualità senipre 1riinacciata dalla destra clericale di farle perdere alcune frange di elettorato, bensì nel fatto che il mito dell'unità dei cattolici (chè di 1nito, in definitiva, si tratta) si diniostri un peso troppo i-ngombrante riella situazione presente del partito, perchè esso con.sente alla destra clericale e ai gruppi di pressione di giocare r elettorato co11troil partito, gli interessi di ambienti ristretti contro gli inte6 Bibliotecaginobianco

ressi popolari.· la carica di questo 1nito sta tutta nella funzione negativ_a che esso svolge carne elemento di disturbo e di freno alla politica della maggioranza de1riocristiana. La rinuncia della D. C. ad operare conseguentemente le proprie scelte politiche per il timore di non scon.tentare la destra clericale, potrebbe insomma alla lunga richiedere un costo maggiore cli quello che deriverebbe dalla minacciata rottura della cosiddetta un,ità dei cattolici. Del resto, una volta che la D.C. avesse fatto scelte definitive, conformi alla sua tradizione e alla sua vocazione democratica, il pericolo di una scissione della destra democristiana o rientrerebbe o si rivelerebbe - quantitativamente e qualitativamente - assai meno grave di quanto non sembri a taluni osservatori quando un Evangelisti o un'agenzia «Dies>>minacciano e ricattano. È già accaduto, del resto, in più di un'occasione che qualche migliaio di voti e q1,alche deputato meridionale della D.C. siano emigrati a destra; ed è accaduto tutte le volte che la D.C. ha imboccato la strada delle rifornie. Ma la perdita temporanea di qualche frangia è stata largamente compensata dal prestigio e dai meriti che la D.C. ha acqu,isito in quelle occasioni, anche e proprio sul piano della « lotta al co1nitnismo ». Questo discorso sulle minacce e sui ricatti della destra democristiana va fatto e va portato avanti dagli anibienti responsabili della D.C., soprattutto ora che la crisi di governo è diven.tata la crisi del partito, e la rinuncia di Fanfani a formare il governo di centro-sinistra ha niesso in luce lo stato di paralisi e di confusione che regna nelle file democristiane, dove non c'è più legge o disciplina che tenga e i « franchi tiratori » di ieri si sono camuffati da cc obiettori di coscienza » . Questo discorso va fatto senza infingimenti e senza debolezze, se s-i vuole evitare che le forze di cui si deplorava che possano esercitare tanta pressione sulla D.C. riescano a far ririviare ancora una volta una scelta a cui il partito non può però sottrarsi a lungo. Gli cc obiettori di coscienza» irnbaldanziti dal s11ccessoparleranno ancora - è facile prevederlo - di unità dei cattolici minata daì rapporti fra de1nocristiani e socialisti, e in no1ne di questa unità vorranno sopraffare e umiliare la volontà della 1naggiorariza de·mocristiana; spetta a quest'ultima non prestarsi al gioco, ricondurre il discorso e la lotta sul piano della normalità democratica e delle scelte politiche, reagire cioè senza lasciarsi impressionare dal costo della tanta minacciata rottura della cosiddetta unità dei cattolici, che forse i dirigenti democristiani hanno finora trop- ·po sopravvalutato. 7 Bibiiotecaginobianco

P. C. I. 1960 di Giuseppe Galasso Il PCI l1a tenuto all'EUR, a 11oma, dal 30 ger1naio al 4 febbraio scorsi, il suo IX Congresso nazionale. Organizzato con la solita meticolosa cura, salutato da numerosissime rappresenta11ze del comu1tismo internazionale, affollato di 948 delegati ra1)presentanti di circa 1 milione ed 800 mila iscritti, preparato da una serie innumerevole di riunioni delle organizzazioni locali del partito, il Congresso è stato certamente la più imponente manifestazione e n1obilitazione comunista che si sia avuta nel nostro paese dopo le elezioni del 1958. Og11i discorso sulla realtà attuale ,del comunismo jtaliano e sulla {isio11omia con la quale esso si presenta al paese non può che partire dall'esame del Congresso, _facilitato per noi dalla 11umerosa serie di comn1enti finora fioriti intorno ad esso, oltre cl1e sulla starr1pa quotidiana, anche sui settimanali e sulle riviste 1 • Il primo problema che si poneva al Co11gresso con1u11istaera quello di fissare la linea politica del partito nella presente congiu11tura politica. Naturalmente, qt1ando si dice « fissare », non si intende dire che il Co11gresso dovesse procedere ad una elaborazione autonoma, mediante il 1 Specialmente notevole l'attenzione che al congresso co1nunista hanno dedicato le riviste cattoìiche. ·rra queìle che sia1no riusciti a vedere, scgnalian10: « La Civiltà Cattolica » del 20 febbraio, pg. 431 segg.; « Concretezza » del 16 febbraio, pgg. 8-9; « Civitas », febbraio-n1arzo, pg. 23 segg.; « Prospettive 1neri<lionali }>, febbraio, pgg. 6-8. Ma anche le riviste di varia ispirazione socialista hanno scritto sull'argomento: cfr. cc Proble1ni del socialismo », febbraio, pg. 99 segg. (L. Basso); << 11 Ponte », febbraio, pg. 141 segg. (U. Segre) e pg. 168 segg. (G. Arfè); « Critica Sociale » del 20 febbraio, pgg. 83-84 (P. C. Masini), dove è pure un'interessante aggiunta della redazione di codesta rivista; « Corrispondenza socialista », marzo 1 8 Bibiiotecaginobianco

co1rlronto e il dibattito su prese di posizio11e diverse, se no11propr~o opposte; si vuol dire soltanto che al Congresso doveva essere comunicata, per la consacrazione di rito, la linea politica scelta, e già da tempo in via di adozione, da parte dell' oligarclua che regge e dirige il partito: libero poi quest'ultimo di ricamare, i11tor110a quella comunicazione, una serie di interventi che mostrassero la pertinenza e l' opportunità della linea politica prescelta nei confronti delle più disparate situazioni locali e dei più diversi problemi del Paese. Questa volta i dirigenti potevano indicare al partito una linea che aveva condotto i comunisti a due successi che è difficile sottovalutare : f inserimento, cioè, nella maggioranza e nelle leve di comando di due amministrazioni regionali, quelle della Sicilia e della Valle d'Aosta, entrambe, per diversi rispetti, importanti e significative. Le due situazioni presentavano caratteri comuni abbastanza apparisce11ti: in entrambi i casi il potere, o la periferia del potere, era stato raggiunto mediante un'intesa, conclusa assai più facilmente di quanto fosse lecito pe11sare, con l'ala conservatrice dello schieramento politico locale. Nella realtà, invece, la situazione aostana era estremamente diversa da quella siciliana. Ad Aosta i conservatori locali sono una classe politica e sociale intesa, con la gelosa ed orgogliosa diffide11za della gente di montag11a, a mantenere il governo della sua « piccola patria » nella linea di una tradizione di autonomia che istituzionalmente l1a un breve passato, ma nel costume e nella psicologia della Valle ha radici profon,de. Non è lecito disconoscere agli autonomisti aostani onestà e austerità di concezione della lotta politica e del governo. Il loro polo spirituale è nella tradizione di quei corps intermediaires, di quel self-gflt>oernment, in cui il pensiero politico liberale ha se1npre riconosciuto e individuato un fermento e uno strumento di autentica democrazia. Si può essere sicuri che le loro concessioni ai comunisti non andranno al di là di lln limite segnato naturalmente dal loro « istinto » politico. In ultima analisi, l'intesa tra « Union Valdotaine » e PCI resta un avvenimento senza serie prospettive di sviluppo: deprecabile, se si vuole, 1Jer la ristrettezza della visione meramente regio11alistica che lo ha ispirato; non certo per motivi di pubblica moralità o di pubblico grave pericolo. pg. 11 segg. (A. D'Ambrosio) e pgg. 20-22 (E. Rocco); « Mondo Operaio», marzo, pg. 27 segg. (C. Bovero). Si veda, inoltre, il Taccuino de « Il Mondo ,, in data 2, 9 e 16 febbraio; e sullo stesso periodico, in data 1 marzo l'articolo: La _giraffa e il traghelafo di G. Calogero. Infine, « L'Espresso » del 13 marzo. . .. .9 Bibliotecagiriobianco ..

Tutt'altra la situazione siciliana. Certo, anche nell'Isola esiste, e ab antiquo, una fortissima ·vocazione autonomistica. Ma, quando si faccia astrazione dall'ingenuo sentimento popolare che nello stretto di Messina vede veramente un segno del destino e il confine del « continente », si scoprirà che i ceti in cui oggi l'autonomismo siciliano raggiunge il parossismo sono quanto di peggio la società isolana possa esprimere : un'aristocrazia ed una borghesia prevalentemente agrarie, talvolta latifondistiche; senza nessuna seria tradizione politica, o, meglio, con una precisa tradizione politica che è quella del trasformismo ridotto ad arte e a costume; con una concezione della cosa pubblica di stile puramente levantino 2 • La irresponsabilità e l'anarcl1ismo di queste classi sono uguagliati soltanto dalla loro ignoranza e dalla loro mancanza di capacità costruttive. Con alleati di questo genere anche un partito meno bene organizzato e meno rotto a tutti i ripieghi della lotta politica di quanto sia il partito comunista, puo ragio11evolmente sperare di giungere in breve periodo ad un completo controllo della situazione. È comprensibile quindi che i dirigenti comunisti mettessero nel massimo rilievo il successo riportato co11 l'inserimento in queste nuove maggioranze locali anzichè le profonde differenze cl1e danno conto del significato e dei limiti di ciascuna situazione. Tanto più che nel frattempo, e proprio poco tempo prima del Congresso comunista, la rottura fra destre e DC ed una improvvisa decisio11e dell'unico consigliere socialdemocratico facevano in modo che anche al comune di Bari si insediasse un sindaco socialista {il sen. Papalia) con giunta socialcomunista; e in Umbria e altrove si aveva una serie di manifestazioni « t1nitarie », che andavano cioè dai rept1bblicani e da certi settori della DC fino ai comunisti e che sul tema della costituzione delle regioni sembravano anticipare altri tipi di 11uove n1aggioranze in cui i comunisti si troverebbero a giocare un ruolo di primaria importanza. Il Congresso si è reso subito conto delle opportunità che una sin1ile impostazione della linea del partito può offrire ad una organizzazione forte ed articolata come quella comunista; ed ha anche capito perfettamente il nesso tra lo sforzo per la formazione delle nuove mag2 Non poche sintomatiche ammissioni in questo senso è possibile legger~ in un articolo di fonte - almeno da parte comunista - non sospetta: cfr. R. MIELI, La contrastata evoluzione della Sicilia, jn « Nuovi argomenti », nn. 42-43, genn.-apr. 1960, pg. 114 segg., e particolarmente pgg. 155-162. Tutto l'articolo del Mieli è inoltre una miniera di interessanti, anche se qua e là discutibili, osservazioni e informazioni. 10 Bibliotecaginobianco

I gioranze e la lotta per la costituzione delle regioni. a Nuova maggioranza » e « regioni » sono stati così i temi sui quali si è capito ch·e batterà soprattutto il partito nel prossimo futuro 3 così come ha fatto nel prossimo passato. Qualche riserva avanzata sulla liceità dell'alleanza perfino eventualmente con gli ex-fascisti di Salò è stata accolta con fredda indifferenza: il sen. Fausto Cullo che se ne era fatto portatore è apparso chiaramente ai margini della dirigenza, se non della vita, attiva del partito. Il miraggio di un'eventuale « nuova maggioranza » addirittura sul piano nazionale è apparso come obbiettivo concretamente realizzabile qualora il partito operi con la necessaria prudenza e il necessario òpportunismo. Alla luce di questa presa di posizione va anche giudicato quanto _ il Congresso ha lasciato intendere circa l'atteggiamento del partito nei confronti di sviìuppi e problemi politici quali qt1elli posti dalla eventualità di un incontro tra DC e PSI, dalla formazione di un governo di centro-sinistra e simili. In sviluppi di questo genere « è assurdo domandare se noi dobbiamo o non dobbiamo essere inseriti», ha detto Togliatti: « noi ci siamo inseriti da tempo e ci siamo già, perchè in tutte le direzioni in cui l'opinione pubblica si muove per chiedere nuovi indirizzi economici e politici, noi siamo presenti, noi siamo, anzi, i più attivi, i più ricchi di iniziativa, di capacità di lavoro e di collegamenti con le masse »; nè tra il PSI ed il PCI « esistono differenze di orientamento tali che debbano impedire un contatto ed un'intesa ». E l'on. Amendola aggiunse che in Parlamento i comunisti avrebbero 3 Non bisogna sottolineare con eccessivo ottimismo il fatto che proprio nei giorni del Congresso dell'EUR cadeva a Palermo la « nuova maggiaranza » esaltata a Roma e concluderne che, ricevuta una salutare lezione, i comunisti hanno rinunciato alla tentazione di ibridi, ma utili connubi. Non solo essi non hanno sconfessato l'esperienza siciliana, ma insistono su una valutazione nettamente positiva di essa, anche se tendono a limitare al solo Milazzo e ai soli cristiano-sociali l'alleanza che avevano precedentemente estesa fino ai monarchici. e ai fascisti (cfr. l'articolo di E. Macaluso nel numero di marzo di « Rinascita »). Inoltre, le due parole d'ordine del Congresso («nuova maggioranza>) e regioni), strettamente connesse nell'impostazione comunista, riassumono, ancor oggi tutta la posizione del partito. Vorremmo sbagliarci, ma a noi sembra, ad es., che anche oggi una certa sordina alla loro polemica, se non contro Lauro, contro il !aurismo i comunisti napoletani continuino a mantenerla. Se a Roma si avesse un governo severamente schierato contro l'ex sindaco, e questi si trovasse perciò un'altra volta in aspra contrapposizione alla DC, chissà a che cosa potremmo assistere. E accenni in questo senso non mancarono neppure al Congresso: se ne fece espositore il delegato napoletano G. Chiaromonte. 11 ... Bibliotecaginobianco

dato i loro voti ad tin gover110 di centro-sinistra, graditi o sgraditi che fossero. Di fronte a questa volontà di essere presenti, anzi di sentirsi già presenti in un eventuale nuovo corso dell~ vita politica nazionale finivano per 110n assumere !)iÙ nessu11 rilievo neppure quei punti che la mozione conclusiva del Congresso definiva come punti « non rinunciabili » di ogni azione comunista a livello nazionale (regioni, in prin10 luogo; e poi, naturalmente, libertà per gli operai, pianificazione economica, nazionalizzazione dell'energia, riforma della scuola, distensione). Tuttavia si resterebbe ben lontani - crediamo - dalla realtà se si vedesse nella « 11uova maggioranza » un tema dettato soltanto o anche soprattutto dal desiderio di giungere comu11c1ueal potere 4 • Il disegno comunista ci sembra assai più complesso; e ciò proprio 11ellamisura in cui, nonostante Aosta e la Sicilia, il PCI sente ancora profondamente 110n solo la continuazione del vecchio isolamento cui lo costrinsero nel 1947 le scelte democratiche dei democristiani, dei repubblicani e dei socialdemocratici, ma anzi il pericolo di u11a estensione dell'area isolante qualora dovesse giungere in porto l'operazione di centro-sinistra. E da questo punto di vìsta concordiamo pienamente con chi ha osservato cl1e al Congresso « la più forte ipoteca che Togliatti veniva ad accendere, non era tar1to quella su una irreale '' nuova maggioranza", quanto quella sulla ' 11 vecchia minoranza , : la minoranza compatta, cioè, formata dall'antico blocco tra comt1nisti e socialisti. È chiaro infatti che nella 1nisura in cui Togliatti aveva cercato di accreditare una disponibilità nuova dei comunisti al gioco democratico, accogliendo alcune tesi nennia11e e introducendo correzioni e duttilità inedite perfino in campi di tradizionale intransigenza e chiusura, come quello della politica estera o della persecuzio11e religiosa nei paesi comunisti, egli aveva te11tato di ridurre il n1argine di azione dell'autonomismo socialista, scavandogli il terreno sotto i piedi e contestandone la giustificazione polemica » 5 • Ma, d'altra parte, la protezione della cc vecchia minoranza » non esclude, ed anzi favorisce quelle operazioni di « rottura del monopolio politico della Democrazia cristiana », che la cc convergenza di forze sociali diverse per obiettivi a cui tutte sono interessate » permette di realizzare: non le esclude ed anzi le favorisce perchè è difficile per i socialisti resistere ed opporsi al raggiungiinento di posizioni di preminenza locale insieme con i compagni di molti a11ni 4 Così cc La Civiltà Cattolica », cit. 5 R. La Valle, in« Civitas », cit., pg.· 29. 12 Bibiiotecaginobianco

di -lotta e propugnare invece· il passaggio all'intesa tra socialisti e de~ mocristiani assai spesso divisi, sul piano locale, da fierissime rivalità. Così la lotta per le regioni mantiene l'egemonia comunista sullo schiera1nento di sinistra; e nello stesso tempo - poichè gli interessi locali sono sempre molteplici e non sempre facilmente coordinabili con l'interesse generale; e poichè fermenti particolari di rinnovamento (si pensi all'atteggiamento della Sicindustria verso la Confindustria e alle relazioni della prima con il gov-erno Milazzo) non mancano mai - permette di approfondire, non di rado all'insegna di valide giustifìcazioni, le divisioni interne delle forze avversarie e specialmente della DC e di portarne al punto critico le contraddizioni, sicchè resti preparato anche, per ogni evenienza, un forte indebolin1ento di tutta la struttura politica che al comunis1no si oppone. E infine, last but not least, il tema della « nuova maggioranza » con le sue possibilità di immediata, anche se spicciola, realizzazione offre finalmente ai dirigenti comunisti la possibilità di una vitalizzazione dei quadri e della base del partito che giunge quanto mai opportuna dopo che anni di dure lotte e di conclamate vittorie si sono quasi sempre conclusi con l'eliminazione progressiva del P,CI dai vari centri periferici di potere: la sensazione di poter ~scire, e subito, dal tradizionale isolamento e di poter dare il cambio agli avversari è un risultato così benefico per l'organismo di un partito costretto da anni ad una logorante attesa che anche da solo esso vale tutti i rischi delle concessioni che la tattica impone di offrire agli avversari. Una complessa operazione, dunque, .quella volta a realizzare le « nuove maggioranze » : difensiva ed offensiva, politica e psicologica, volta all'interno non meno che all'esterno del PCI; anche se forse essa rappresentava ormai un passaggio quasi obbligato per i comunisti, i cui movimenti verso l'area della sinistra democratica e socialista sono stati da tempo arginati e resi poco efficaci. Solo per convenienza espositiva è possibile posporre, tra i· problemi che il Congresso comunista si è trovato di fronte, quello dell'orientamento ideologico a quello della linea politica: in realtà, quest,ultima è per l'azione comunista un postulato del primo, e una linea politica in tanto è funzionale in quanto è partorita dal rapporto esattamente colto della dottrina con la realtà di fatto. Dall'empirismo e dal1~ innovazione spregiudicata, così congeniali al metodo delle grandi d,emocrazie, il comunismo rilutta per una vera e propria impotentia 13 Bibiiotecaginobianco

coeundi. Ma questa volta la situazione era diversa da quella in cui cadde il precedente Congresso del PCI, e cioè l'VIII, il quale sopravvenne alla brusca liquidazione dello stalinismo., o meglio del mito staliniano, attuata nel XX Congresso del PCUS, e alla dura repressione sovietica della rivoluzione ungherese. Questa volta la nuova impostazione kruscioviana della lotta politica internazionale, il nuovo disgelo della vita inter11a sovietica (meno effimero, a quanto sembra, di quel primo di cui si parlò immediatamente dopo la morte di Stalin), i successi scientifici dell'Unione Sovietica e la sicura certezza con la quale essa ripropone ad ogni piè sospinto la st1a sfida economica all'Occidente assicuravano ai dirigenti comunisti italiani una piattaforma assai più so- .lida che nel passato prossimo per organizzare quell' adaequatio doctrinae et rerum che è fra le primissime esigenze della metodologia comunista. Non sarebbe difficile, e certamente non è interessante, sottolineare le innumerevoli contraddizioni, le mediazioni generiche e superficiali, le contorte e ipocrite esercitazioni dialettiche con le quali i comunisti hanno stabilito di aver risolto i loro cc problemi di dottrina » nel momento attuale: da quel primo che Togliatti sottolineò nella relazione d'apertura, e relativo alla conciliabilità di una politica di distensione con l'asserita natura imperialistica e bellicistica delle forze capitalistiche che dominerebbero il mondo occidentale; a quelli più ardui della collusione con i monarchici e i fascisti, della funzione dei ceti medi nel sistema delle alleanze proletarie, della collaborazione non solo con i cattolici ma con le organizzazioni dei cattolici, del dovere di predicare il fallimento di un sistema economico come quello italiano che si trova da anni in una fase di complessivo e innegabile sviluppo. Qui ci interessa soprattutto fissare qualche punto fermo di importanza maggiore. E innanzitutto questo: che per la prima volta dalla fine della guerra ·ad oggi, sebbene ancora timidamente, i comunisti hanno innovato lo schema gramsciano dell'alleanza tra contadini ed operai, tra sottoproletariato meridionale (o di tipo meridionale) e proletariato settentrionale (o di tipo settentrionale), come strumento unico e sufficiente per marciare verso l'istaurazione di un potere socialista nel nostro paese. La form11lazione forse più netta di questa innovazione è stata quella offerta dall' on. Mario Alicata nel suo intervento, pur senza fare parola (e il fatto è sintomatico) di Gramsci e della sua formula: cc ••• Parte essenziale del leninismo (è) proprio la teoria dell'egemonia della classe operaia, vale a dire la teoria della costruzione del sistema di alleanze necessario alla classe operaia per avanzare verso 14 Bibiiotecaginobianco

il socialismo e per costruire il socialismo - sistema d' alleanze la cui larghezza dev'essere determinata appunto in relazione alle condizioni storiche in cui la classe operaia agisce. Perciò i marxisti, i leninisti, rimangono intransigentemente legati ai principi, nella misura in cui intransigentemente lottano per la costruzione di questo sistema di alleanze che in un paese come il nostro comporta uno schieramento ben diverso dal sistema tradizionale 'operai-contadini' ,, 6 • Beninteso, digressioni dalla rigida formula gramsciana i comunisti ne avevano già fatte negli anni scorsi, soprattutto per quanto riguarda il movimento contadino ed in relazione prima con la struttura della base comunista in molte province dell'Italia centrale e padana e poi con le esigenze della espansione elettorale ed organizzativa nelle regioni meridionali. Ma si tratta~va di digressioni periferiche e complementari che restavano sempre saldamente agganciate allo schema fondamentale e tradizionale e che oltretutto furono ampiamente giustificate dai concreti risultati di forza e di prestigio in cui, senza grande fatica, vennero a tradursi. Ben diverso è il passo che attualmente si tende a fare : qui si tratta di passare ad eventuali alleanze organiche con ceti di pretto e chiaro carattere borghese, con tutta una propria viva se non vitale apparecchiatura ideologica, ·con capi che sono da anni e talvolta da decenni ben caratterizzati per il tipo di azione politica da essi svolta. Tentando una alleanza di questa fatta il rischio che si corre è ben maggiore di quello presentato dall'allargamento della propria azione tra ceti disorganizzati, incerti e tradizionalmente passivi come quelli del bracciantato e della piccola proprietà meridionale dieci anni or sono. L'inqualificabile comportamento di alcuni deputati regionali siciliani offre solo uno dei mille esempi di naufragio politico e morale in cui l'allenza con i ceti medi può risolversi per un partito che, come il PCI, non cessa di essere e di proclamarsi un movimento rivoluzionario. E sul terreno dottrinale le difficoltà di composizione sono comparabili solo con quelle che la nuova linea prescelta è suscettibile. di avere sulla psicologia dei più ingenui militanti di base 1 • 6 L'intervento dell' on. Alicata è stato riprodotto nel numero di febbraio de « Il Contemporaneo ». 7 Con la sua consueta aria di sufficienza l'on. Giorgio Napolitano, polemizzando con uno scritto del nostro Cervigni, apparso su « La Voce Repubblicana ,, del 10-11 febbraio, ha preteso di dimostrare ( « Cronache Meridionali », genn.-febb., pg. 4 e segg.) che la u nuova maggioranza» siciliana è solo una nuova articolazione dèlla vecchia linea comunista, che perciò rimane affatto immutata. A noi di di15 Bibliotecaginobianco

Tuttavia, i dirigenti comunisti non hanno esitato a muovere - e sia pure ancora con notevole incertezza - il passo sopra accennato. ~1a, d'altronde, non si vede come avrebbero potuto fare a meno di muoverlo t1na volta che essi hanno posto con· tanta chiarezza e decisione il problema della possibile collaborazione con le forze politiche dell'estrema destra. Non sarebbe stata una prova sovrana di incoerenza marx-leninista, prima ancora che un grossolano errore di tattica, il proporre la propria allea11za a determinate forze politiche e rifiutarsi poi all' allea11za con gli strati sociali che di quelle forze politiche sono il supporto? N è il problema era soltanto di astratta e formale coerenza. Ragioni assai più sostanziali sembrano aver giocato un ruolo decisivo. Le si può ravvisare sjnteticamente e linearmente nel processo di progressiva ascesa sociale e di lento 1na co11tinuo imborghesimento e deruralizzazione che contrassegna da anni la vita italiana e al quale l'analisi comunista non appare essersi adeguata con sufficiente intelligenza e percezione dei fattori in gioco. La asserita possibilità di una cc rottura del mol)opoljo po]jtico della Democrazia çristiana » e di alleanza con zone anche vaste dei ceti medi rappresenta probabilmente anche un primo (e per la verità assai rozzo) sforzo di mettersi al passo con il paese che dimostra di essere più agile e spedito del partito e della sua dottrina. La massima contraddittorietà o, se si vt1ole, la perfidia di questo sforzo sta probabilmente nel fatto che esso, invece di rivolgersi, come in parte faceva il vecchio frontismo, iI1 direzione unica verso le forze più avanzate del movimento sociale e quelle che più seriamente ne interpretano le esigenze sul piano politico, si rivolge indiscriminatamente verso tutti i settori politici e mostra anzi una particolare sollecitudine proprio verso i settori politici più tradizionali e retrivi, nella presunzione, evidentemente, che - logorati dal movimento generale della società e da un'annosa decadenza - essi siano i più facili a cedere e a lasciarsi catturare. Sul ·terreno programmatico il risultato è stato ad,dirittura sconcertante. È stato detto a ragione cl1e « il programma comunista è diventato una vasta casistica in c11isono elencate categorie e sottocategorie, mostrato nello scritto dell' on. Napolitano non è sembrato altro che la ingenuità, se così vogliamo chiamarla, del parlamentare comunista nel sostenere che l'alleanza con l'on. Milazzo e con i monarchici suoi amici (Milazzo si congratulò vivamente con l'on. Maiorana della Nicchiara quando questi fu eletto a suo successore) significa alleanza con i rappresentanti di « larghi strati di piccola e media borghesia produttiva meridionale, urbana e rurale », oppressi dagli immancabili monopoli. 16 Bibliotecaginobianco

con l'indicazione per ognuna del rimedio ai mali e delle acconce parole che confortano e rassicurano. Urio sforzo veramente grande è stato · fatto dal partito per volgere gli occhi dovunque, su ogni aggregato sociale del Mezzogiorno alla Valle Padana, dalla montagna ai mari per scoprirvi i segni di insoddisfazione e suggerire i rimedi del caso » 8 • Oltre a ciò il programma comunista garantisce la scelta del partito per una ortodossa applicazione del metodo democratico stabilito nella no- . stra costituzione, per una politica estera di prudente equilibrio tra il blocco occidentale e quello orientale, per la permanenza dell'Italia nel sistema della civiltà occidentale, per t1n atteggiamento di cordiale rispetto verso la Chiesa cattolica e le sue organizzazioni. Sarebbe proprio il caso di concludere) come è stato scritto, che cc il IX Congresso non ha rinnovato le idee » ed e< ha umiliato il dibattito e la ricerca teorica » 9 se non fosse più pertinente osservare cl1e nel calderone delle sperticate concessioni ed ammissioni il solo elemento chiaro e com- · prensibile ai profani della dialettica rivoluzionaria è costituito dall'evidente finalismo col quale tutta la nuova tattica comunista è stata disegnata. Anche un osservatore parziale e benevolo come l' on. Lelio Basso ha dichiarato che del Congresso comunista gli è sembrata cc di notevole importanza » più la delineazione di cc una strategia socialista nel mondo occidentale » anzichè « le affermazioni di principio sulla democrazia, sul rispetto della Costituzione, sulle possibilità o meno di un futuro regime socialista con pluralità di partiti » 10 • Ci rendiamo conto che - tutto inteso a giudicare « in termini di concretezza storica » il comunismo italiano ed internazionale; tutto timoroso che si facciano cc assurgere degli esempi reali di conquista e di gestion,e del potere (riferibili a determinate situazioni ben diverse da quella italiana di oggi) a modelli del metodo comunista» e che li si contrapponga cc a un ideale astratto, mai fino ad aggi verificatosi, che sarebbe il modello del metodo socialista »; tutto sdegnoso verso chi si propone di cc fare di questa disputa astratta il problema centrale dei rapporti fra socialisti e comunisti », - l'autorevole esponente del PSI possa vedere i problemi di un futuro eventuale e non prossimo come in una lontana prospettiva • A. D' Ambrosio, in « Corrispondenza socialista », cit., pg. 16. 9 P. C. Masini, in « Critica Sociale », cit., pg. 83. 10 « Problemi del socialismo », cit., pg. 104. 17 Bibliotecaginobianco

senza interesse 11 • Ma anche qui preferiamo essere d'accordo con quanti hanno osservato che cc evidentemente, per chi intenda difendere la de· mocrazia e gli ordinamenti, il problema non è di vedere se questa prospettiva sia più o meno lontana, patteggiàndo con i comunisti sulla durata della proroga da questi accordata allo Stato democratico, ma di impedire che sia imboccata la strada, che sia iniziata la procedura al cui termine è la fine· dell'esperienza democratica» 12 • E infatti sul fermo proposito comunista di giungere, al di là di ogni ~oncessione for1nale e tattica, a quella cc modifica radicale degli ordinamenti » e a qt1el cc cambio » delle classi dirigenti che del comunismo costituiscono la vera ragion ,d'essere, Togliatti -- come del resto era suo stretto diritto - non ha lasciato dubbio alcuno. Il Congresso comunista si è svolto certamente in un clima di apparente concordia e, tranne qualche episodio, come quello della gelida accoglienza fatta alle dichiarazioni del sen. Fausto Cullo, nulla lo ha turbato: ·tanto meno la polemica svoltasi ai m8;rgini del Congresso stille notizie allora pervenute di esecuzioni di giovani un.gheresi rivoluzionari, e 1neno ancora la lettera dell' on. ·Saragat al presidente del Congresso sullo stesso argomento. Ma che frattur~ e dissensi ancl1e vivaci stessero dietro la facciata, e che il loro peso fosse in qt1alche modo incombente, è fuori di dubbio. Alla vigilia del Congresso si dava per certo che esso avrebbe segnato. il definitivo trionfo d,ei sostenitori di t1na linea politica più duttile e moderata, raccolti intorno all'on. Giorgio Amendola. Quest't1l11 L' on. Lelio Basso trova invece estremamente . interessante, dopo decenni e dece:qni di sviluppo del pensiero socialista democratico, che il Congresso comunista abbia, a suo giudizio, apportato un prezioso contributo alla soluzione della seguente, per lui inedita, altérnativa: « Se concepissimo il potere come immutabihnente appartenente in toto alla classe qominante fino al dì della rivoluzione, saremmo in grave imbarazzo a progettare una via pacifica al socialismo; se invece pensiamo il potere come la risultante di un gioco di forze contrastanti, fra cui noi pure siamo presenti, allora possiamo veramente ritenere che usando tutti gli strumenti di potere possibili nella società attuale (che non sono, beninteso, solo quelli parlamentari, ma sono soprattutto quelli di una vigorosa presenza in tutte le sedi, ivi comprese le lotte di massa), i lavoratori, purchè siano coscienti degli scopi che vogliono conseguire e siano uniti per conseguirli, possono influire seriamente fin d'ora sullo sviluppo della società in senso democratico e socialista » .· ( « Problemi ·ael socialismo >>, cit., pg. 105). 1 2 R. La Valle, in cc C'ivitas », cit., pg. 4'3. 18 Bibliotecaginobianco

. . timo aveva avuto già occasione di invocare alcuni mesi prima la definitiva liquidazione dei « ritardatari », di coloro cioè che erano rimasti· legati ai metodi e alle concezioni del periodo staliniano. Al Congresso invece gli attacchi sono stati equamente ripartiti sia contro il cc revisionismo » che contro il cc settarismo »; e per giunta vi è stata la tendenza a vedere nei due deprecati cc ismi » più uno stato d'animo possibile in ciascuno dei militanti che delle vere e proprie posizioni politiche. In tal modo anche quel minimo di lotta interna che gli osservatori pensavano di poter cogliere è andato dissolto nell'atmosfera di appariscente unanimità che la Direzione ha voluto creare intorno all'assemblea congressuale. Ed è diventato così estremamente difficile interpretare anche i mutamenti apportati, nelle votazioni congressuali e nelle successive riunioni del Comitato Centrale e della Direzione, alla composizione degli organi direttivi del partito. Se nelle votazioni congressuali era sembrato che gli cc amendoliani » fossero riusciti ad imporre la propria prevalenza, il fatto che poi all'on. Amendola sia stata tolta la responsabilità dell'organizzazione ha rimesso in discussione il valore della prima indicazione. In ultima analisi tutto sembra essersi concluso con una 11etta riconferma della leadersh,ip togliattiana o forse dal binomio Togliatti-Longo. È inutile sottolineare quanto questo fatto possa giovare ad una valutazione positiva degli indirizzi e delle scelte democratiche tanto sbandierate come motivo nuovo e definitivo di caratterizzazione impresso dal suo IX Congresso nazionale al PCI. Del resto tutti gli osservatori hanno messo in rilievo come sia « mancato a Roma il confronto e lo scontro delle opinioni, che solo avrebbe per1nesso di fondare su basi di fatto iI giudizio st1lla entità e la portata dei contrasti, sugli eventuali limiti di natura tattica delle posizioni prese » 13 • Il che, aggiungiamo noi, rende anche legittimo quel processo alle intenzioni di cui tanto si sdegnano gli esponenti comunisti nei confronti di chi è costretto ad occuparsi delle loro cose sulla base di documenti così anodini, e insignificanti nella loro qualunquistica onnivalenza, qual' è il programma-fiume varato dal Congresso di Roma. Sarà meglio perciò passare ad un rapido esame della stn1ttura organizzativa del partito quale emerge dai dati fomiti per il 1959 rispetto a queli del precedente Congresso. Ecco innanzitutto come è variata la consistenza delle varie organizzazioni. · 13 G. Arfè, ne « Il Ponte », cit., pg. 170. 19 Bibliotecaginobianco

1956 1959 + Federazioni provinciali o equiparate 99 113 + 14 Comitati di zona 100 226 + 126 Comitati cittadini o 91 + 91 Comitati comunali 471 435 - 36 Sezioni o nuclei 11.262 11.097 -165 Il numero delle organizzazioni territoriali è così passato da 11.932 a 11.962. È i11teressante notare che, se è dimint1ito, sia pure di pochissiffio, ìl numero dei nuclei e delle sezioni e quello dei comitati comunali, è invece cresciuto sensibilmente il numero delle organizzazioni maggiori: il che attesta una esigenza di maggiore articolazione del1' azione direttiva che, non essendo in relazione (come vedremo) con un accresciuto numero di iscritti, è probabile che sia o di stretta funzionalità o di più vigile controllo della base. Ad ogni modo si tratta di una organizzazjone numerosa e (è bene aggiungere) costosa. Vi sono, l f infatti, cc dat9 il principio di dotare ciascuna sezione di almeno un funzionario stipendiato ben 11.962 organismi del PCI che l1anno bisogno di stipendiare degli impiegati. Calcolando cl1e ciascuna sezione e ciascun comitato comunale abbiano bisogno di un impiegato, ciascun comitato cittadino o di zona di cinque, ciascu·na federazione di dieci, si può dire che il PCI ha bjsogno attualmente di almeno 15 mila funzionari stipe11diati. Se si aggiungono la Direzione, i giornali, gli organismi paralleli, si ha una esigenza di almeno 20 mila ft1nzionari. Anche ad una media, modesta, di 50 mila lire mensili si ha t1n costo di almeno un miliardo al mese)> 14 • Ed è chiaro anche che, se il calcolo da noi citato pecca per eccesso il margine di errore si può considerare in ogni caso non grandissimo. Si aggiungano, inoltre, le spese per locali o mant1tenzione di_locali, per stampa delle numerose pubblicazioni t1fficiali ed ufficiose del partito, per le sue numerose manifestazioni e così via, e si giungerà ad un costo annt10 di gestione dell'apparato e dell'attività comunista in Italia non inferiore ai 20 miliardi. Passando ora alla organizzazione di base del PCI, ossia alle cellule, si nota fra i due anni in questione un forte calo assoluto e peri centuale, come si può notare dal seguente prospetto. 14 E. Rocco, in « Corrispondenza socialista », cit., pg. 20. 20 Bibiiotecaginobianco

1956 1959 ± ±o/o Cellule di strada 32.143 24.173 7.970 -24,7 Cellule femminili 13.169 8.564 4.605 -34,9 Cellule aziendali 10.732 7.115 3.617 -33,7 Totale 56.044 39.852 -16.192 · iW Le cifre autorizzerebbero a parlare di una frana di questo settore dell'organjzzazione comunista, tanto più se si tiene presente che, mentre il numero delle cellule è diminuito nella percentuale .._gel 28,29; quello .. ~egli iscritti è diminuito solo del 12% circ~. Ancora nel 1956 si aveva I una media di 36 iscritti per ogni cellula; oggi questa media appare essere salita a 44 iscritti per cellula. La capillarità e l'efficacia penetrativa dell'azione comunista non può non essere compromessa, in una certa misura, da questo depauperamento della rete delle cellule, par- 1 ticolarmente grave n,el settore femminile e in quello aziendale. E infatti un'analisi del partito nella composizione per anzianità, per ripartizione territoriale e per categoria sociale conferma notevolmente tali indicazioni. Al Congresso il PCI ha denunciato L.789.269 iscritti. Si tenga presente che nell'ultimo quindicen11io gli iscritti al partito hanno variato , come segue: luglio 1944 400.000 circa dltt8Rlèll liti lil"'i;8 ggg • i • dicembre 1945 1.718.000 1955 2.143.317 1946 2.068.282 1956 2.035.353 1949 2.242.719 1959 1.789.269 Dopo oltre un decennio ir1 cui la cifra degli ·iscritti ha costantemente superato i due milioni, si è dunque tornati al livello del 1945. Sarebbe troppo facile vedere nella diminuzione degli iscritti soltanto l'e~etto dei fatti d'Ungheria e del XX Congresso del PCUS. Non si può negare che una forte influenza nel determinare la flessione abbia avuto anche il clima di sfiducia nella politica e nei politici che si è andato formando nel nostro paese durante gli ultimi anni: soprassalto qualunquistico di cui tutti i partiti ha11no un po' sofferto e di cui si sono avute molte manifestazioni anche clamorose. Tuttavia per la caratterizzazione che l'iscrizione di massa era venuta dando al PCI dalla fine della guerra in poi non si può nemmeno negare che una flessione del ) 16% rispetto al 1955 e del 12% rispetto al 1956 sia un fatto notevole ed J 21 Bibliotecaginobianco

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