Nord e Sud - anno VII - n. 1 - febbraio 1960

dere al suolo una testimonianza visibile dello spirito nazionale polacco: Io· strumento bellico era direttamente al servizio di una idea politica. Al termine della guerra, ai Polacchi si pose il dilemma di ricostruire la città così come essa era, perpetrando in tal guisa un falso storico, oppure di rifare tutto daccapo ed in altra sede, ignorando il passato e creando una città del tutto nuova. In questo caso ai Polacchi non si presentava scelta, circa il linguaggio architettonico da utilizzare: la ricostruzione ex novo implicava l'accettazione dei canoni del cosidetto cc realismo socialista ». Era, questa, una soluzione che per altra via perveniva allo stesso risultato conseguito già dai tedeschi, la snaturalizzazione o meglio la cancellazione di un ambiente che esaltava il carattere nazionale e la tradizione polacca. La scelta fatta dai Polacchi ha il senso di una scelta religiosa, ed i suoi risultati, detestabili che possano essere sul piano metodologico ed estetico, hanno piena validità e devono essere accettati per il loro significato particolare. Naturalmente, si tratta di un caso limite (ma ne abbiamo avuto anche noi, anche se non della stessa portata, in Italia, a Firenze per esempio, con il Ponte a S. Trinita): Varsavia fu ricostruita come era e dove era, con il rifacimento minuzioso dell'antico ambiente storico. Ma, oltre il problema particolare del restauro, ha assunto in questi ultimi anni proporzioni veramente drammatiche quello, più generale, della conservazione dell'ambiente antico minacciato dalla speculazione edilizia o dalla decadenza strutturale conseguenza dell'abbandono cui esso (come a Venezia) è fatalmente destinato. Giustamente il Pane si don1anda se la conservazione della città antica debba essere statica o dinamica, poiché una conservazione --che non preveda l'inserimento della città antica nel tessuto economico della città nuova la minaccia di estinzione. Un ambiente antico, non più sostenuto da una rete di interessi economici ivi realmente e non artificiosamente viventi può andare incontro a deteriorazione, di cui finirà sempre per profittare la speculazione edilizia pronta ad inserirsi in maniera massiccia e disordinata nella sopravvissuta struttura edilizia antica, così da distruggerne del tutto quei rapporti volumetrici e spaziali che ne erano la caratteristica. Il Pane propone pertanto che la conservazione dell'ambiente antico non rifiuti eventuali nuovi inserimenti, ma rigidamente vincolati da norme edilizie che non consentano l'alterazione dei volumi preesistenti. Questa sola soluzione potrebbe essere sufficiente a scoraggiare la speculazione edilizia, non più allettata da incentivi di profitto eccezionale. Crediamo di aver riassunto brevemente il significato generale del volume di Roberto Pane. A questo punto sentiamo però l'esigenza di porci alcune domande, che la lettura del suo libro ha sollevato. Il Pane giustamente ha rilevato le incongruenze delle enunciazioni estetiche del Le Corbusier, e gli è stato facile confutarle. Ma, al di là delle sue stesse affermazioni, c'è l'opera del Le Corbusier, che esige una diversa valutazione, come del resto lo stesso Pane volentieri ammette, elogiando l'urbaniskl e l'autore felice della cappella di Ronchamp. Vorremmo spingerci per nostro conto un po' più avanti, con alcune considerazioni che crediamo non irrilevanti, proprio oggi che in Italia l'architettura (ed in certo senso l'urba121 lbliotecaginobianco

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