Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

volessimo stabilirne delle altre, dovremmo di nuovo risalire al « Mastro-don Gesualdo », alla sua ambientazione più distesa, dal mondo contadino a quello borghese e nobiliare, al.senso ivi vivissimo dei pregiudizi e delle insuperabili distinzioni sociali.. Ed è appunto per la medesima via che Rea ritrova più pienamente il suo ancoraggio al Sud. L'essersi collocato al centro d'una famiglia di minuta borghesia gli ha permesso di spaziare in alto e in basso nel tessuto d'una società cosi aperta in apparenza ai rapporti umani tra le classi, ma poi psicologicamente così stratificata e incapace di ricambio. La pessimistica visione ch'egli ci fornisce di questo nostro Sud di classi immobili, dove, ancor più che la roba, è la nascita il segno della personalità, trova poi il suo sbocco, per dir così, saggistico, nella lettera di Scida a Maria, riportata a piè di pagina. Se si è detto quanto si è detto, è perchè, mentre per tanti libri il discorso d'un critico può limitarsi all'indicazione del loro valore estetico, per un libro come questo, che è libro di rottura, bisognava tener conto della sua incidenza nella vita; mettere cioè in evidenza il particolare tipo di «verità» al quale Rea ha voluto legarsi nel suo passaggio dai tempi della pura rappresentazione, che era il limite dei suoi racconti, a quelli d'un altro tipo di rappresentazione che salisse anche a farsi giudizio morale e sociale dell'uomo nell' hic et nunc d'un certo ambiente. A questo punto il nostro discorso dovrebbe farsi più minuzioso, parlare del valore dei singoli episodi e della riuscita dei personaggi, e tra questi anche di certe figure minori, da Trofomena a Cristina, da Egidio a ·Scida e don Locu, fatte balenare di scorcio con la non dimenticata bravura del Rea novelliere. Bisognerebbe pure discutere da vicino delle varie storie, e in primo luogo dell'opportunità di quella di Beppe e Chele, che ad alcuni è appars~ superflua, mentre a noi sembra necessaria alla resa generale, perchè introduce più visibilmente che altrove i temi della colpa e delle responsabilità (oltre tutto, è personaggio ben «vero» anche Beppe, col suo cinismo e la sua · insoddisfazione sessuale, dietro i quali sta il peso d'altre meridionali insoddisfazioni e inibizioni). A esimerci tuttavia dal nostro compito basterà riferirsi all'unità sostanziale d'un'opera dove, se vari momenti si fanno isolare per una loro commozione più alta (i tempi dell'agonia e della morte di Rita, la visita del dottore, la confessione, la veglia funebre), appena qualche pagina denunzia ristagni o cadute. E dove insomma la stessa compresenzialità drammatica della vicenda comporta come equivalente una carica poetica ovunque d'alta qualità. E ci sono poi immagini vivissime o dolcissime e abbandoni lirici di grande efficacia in un tessuto stilistico di estrema libertà che non si rifiuta ad alcuna presa. Per l'appunto, a voler definire le misure stilistiche del Rea della « Vampata», dovremmo parlare di nuovo di libertà. Dall'aulico al popolaresco, dalla parola di lontana origine libresca restituita a nuova efficacia a quella [69] Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==