Nord e Sud - anno VI - n. 59 - ottobre 1959

Questo il dramma del'la Siczìlia che ha sentito ed espresso il Torna si, fiorendolo d'una poesia il cui violento profumo rivela sempre nel fondo, anche negli episodi e colori apparentemente pi·ù trionfanti e carnalmente gioiosi, un odor di putredine, come in una caniera ardente. E le const atazioni, o meglio i1lsentirn,ento del suo protagonista: che la tanto esaltata i mpresa garibaldina e l'avvento di un nuovo regime non hanno in realtà cambiato nien.te in Sicilia, non è altro che la pro~ezione nel passato (lo si intende benissimo) della delusione estrema, della disperr:,nte constatazione dell'autore s'.tesso, che la cadutllli del fascismo, gl!i esiti di u.na apocalittira g uerra mondiale, il diffondersi di nuove ideologie, l'essere entrata anche la S ici,lia a far parte della nu,ova Repubblica Italiana « fondata sul lavoro », non avevano servito a mutar nulla della vera realtà della sua te.rra, sempre sc hiava della sua sensualità, immobile nelle sue strutture e nei suoi pregiudizi; dove chi ' sente di valere qualcosa di più degli altri non trova altro sfogo che in amb_izioni o interessi perseguiti come pura soddisfazione individuale , senza il minimo sentim.ento co1nunitario, come è in Tancredi e nel padre di Angelica (che non per nulla assomiglia tarito, con maggiore limitatezz a, al Don Gesualdo di Verga), o nella scienza quasi fine a se stessa, come un a specie di egoistica ed effimera evasione, qual'è l'astronomia per il barone Fabrizio. E questo transfer, come la perfetta identificazione dell'autore nel suo ero e, fa anche (a dispetto di alcune compiacenze letterarie specie sull'inizio che han -- no ingannato i critici superficiali) tutta la autentica modernità del romanzo. Il quale in realtà non è già stato concepito, come appunto « trent'anni fa» « Il Mulino del Po» di Bacchelli, con 'Uno sforzo di obbiettivazione storica sul tipo dei graridi rornanzi ottocenteschi (basterebbe rifietter e che chi non sapesse niente per parte sua di Garibal'di e dei iWille non capir ebbe mai, dalla lettura del « Gattopardo », che cosa in realtà essi sono stati), ma è tutto personali.zzato, allusivo, assolutamente autobiografico come una lirica: un ìungo e cocent·e sfogo sentimentale poeticarnente espresso in figure. Che poi questa visione della Sicilia del Tornasi corrisponda perfetta mentJe alla realtà, a tutto quello che fit la Sicilia allora o che è la Si cilia oggi, lo stesso aittore possiam credere che non avrebbe osato sostenerlo. Certo però (e putroppo!) essa appare tutt'altro che ininiotivata, e racchiude una note-- vole parte di verità: quel tanto che basta a garantire il « realismo » e (non dispiaccia ai troppo esclusivi fautori di un certo neorealismo più o meno . « impegn.ato ») anche il valore sociale dell'opera. E che d'altronde questa amarissima verità che egli sapeva di avere così duramente pronunci ata sulla stia ~erra non andasse, nel principe Tornasi, senza una sua profonda sofferenza, basterebbe a dimostrarlo queltla -pagina dove si esprime que llo che il piemontese Chevalley vede e sente, nella livida luce dell'alba, qua ndo se ne parte da Donnafugata: pagina più che degna d'essere messa a raff ronto, per , [107] ibliote_caGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==