Nord e Sud - anno VI - n. 52 - marzo 1959

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO VI * NUMERO 52 * ~IARZO 1959 Bibliotecç:1ginobianco

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ORO ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibliotecaginobianco

SOMMARIO Editoriale f. 3] Michele Tito Sciovinisti, qualunquisti e tecnocrati nel partito di Soustelle [8] Francesco Compagna Il timore della «scristianizzazione>> [ 31] MIGRAZIONI E INSEDIAMENTI NELL'ITALIAMERIDIONALE Giuseppe Galasso Prime conclusioni: aspetti generali del movimento migratorio [ 48] n.d.r. n.d.r. Ferdinando Isabella Corrado Beguinot Gennaro Magliulo Riccardo Barletta Giulio Salvi Aristide Gunnella Gino Coccioli Gennaro Sasso Dora Marra Antonio Marando Ennio Ceccarini Una copia L, 300 • Eetero L, 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L, 3.300 aemeatrale L. 1.700 Eatero annuale L. ,.ooo aemeatrale L, 2.200 Eflettoare I nnameotl ■ul C.c.P. o. 3/MS52 lote■tato a &nsol•• Mvadadori &litoro • Milano Bibliotecaginobianco GIORNALEA PIÙ VOCI L'amministrazione del Municipio di Napoli [61] L'amministrazione del Banco di Napoli [63] Un nuovo Piano Regolatore [ 65] La «decompressione» e il Piano Regolatore napoletano [70] Il teatro depresso [77] Mostre e cultura artistica a Napoli [80 j La li,1 ostra d'Oltremare I. 86] PROPOSTEE COMMENTI La politica petrolifera siciliana al Convegno di Gela [90] RASSEGNE La sottoccupazione in agricoltura [ 102] RECENSIONI L'unità di Gaetano Salvemini [116] Il Gattopardo [121] Memoriale dal carcere [125] La calda vita [ 127] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI: Amministrazione Rivista « Nord e Sud » Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Telefono 851.140

Editoriale Abbiamo, dunque, un governo di destra: ed abbiamo il peggiore governo di destra che ci potesse mai capitare, poichè esso è un governo cui la persona del suo Presidente dà un'impronta di dignitosa civiltà e cui il Partito Liberale ha offerto, con incauta generosità, un alibi pseudo-centrista. Ma nella sostanza delle cose nessuno può essere ingannato: nessuno che abbia un minimo di informazione e di capacità di giudizio può essere tratto in inganno dalle intei'essate e sottili distinzioni, che si possono leggere in tutta la stampa cosiddetta d'informazione: tra i partiti monarchici e il par- , tito neo-fascista. Poichè in verità non si può distinguere tra questi parti.ti e salvare gli uni e condannare l'altro: tutti sono espress1:onedel peggiore costume politico che mai abbia avuto l'Italia, tutti sono espressione di piccoli interessi sezionali e personali, e tutti serviranno zelantemente i grandi interessi conservatori. E quando il segretarjo del PLI ha affermato che l'appoggio dei liberali era il solo modo di evitare la formazione della « grande destra», o commetteva un gravissimo errore di valutazione, non rendendosi conto che il suo partito dava a questo modo al nuovo governo una vernice di candore centrista, o pensava effettivamente di realizzare quel!'operazione che diceva di voler evitare ad ogni costo. Nell'un caso come nell'altro il risultato è il medesimo: i liberali si sono prestati a essere quella famosa « foglia di fico >> che dovrebbe contribuire a salvare il pudore della DC; e non trarranno dalla manovra alcun giovamento politico. Il primo risultato di questo. governo sarà di rilanciare la politica di destra nel paese. Che questo serva o non ai futuri destini elettorali dei mona1·- chici e dei neofascisti è cosa che c'interessa relativamente: è certo, però, che oggi i voti monarchici sono necessari e, dunque, hanno un prezzo, che si [3] Bibliotecaginobianco ·'

esprime in termini di favoreggiamento per talune clientele locali, in termini di generale politica conservatrice, e, last but not least, in termini di ulte-riore deterioramento della politica meridionalista e dei suoi strumenti istituzionali. In questo senso uoi saremmo più cauti di quei nostri amici clze hanno interpretato le -recentivicende politiche come una « chiarificazione», di cui, in quanto tale, ci si dovrebbe comunque compiacere. Può darsi che «chiarificazione>>ci sia stata, o che sia in corso; ma, allo stato attuale delle cose, questa «chiarificazione» potrebbe riuscire dannosa proprio alle forze di più schietta ispirazione democratica. E potrebbe riuscire dannosa anche per l'on. Nenni, se fosse vero (e potrebbe essere vero) che, cristallizzandosi la situazione parlamentare e politica cui il governo Segni ha dato luogo, il PSI dovesse essere condannato a predicare per quattro anni l'alternativa, magari a guadag11arepoi mezzo milione di voti, ma comunque disporsi a predicar.e ancora l'alternativa,· almeno per altri cinque anni. Non vorremmo, cioè, che per aver respinto a Napoli l'apertura, i socialisti si trovassero conda11nati al ruolo· di oppositori permanenti: nel senso che non avremmo alcuna alternativa a breve termine; e quanto all'alternativa a lungo termine, che sembrava costituire /'.indicazione più rilevante fra quelle fornite dalla maggior parte degli oratori avvicendatisi al congresso di Napoli, essa potrebbe esaurirsi in una situazione politica nella quale al socialismo non sarebbe riservata altra parte se non quella di rimanere permanen 4 temente sui banchi di un'opposizione che sarebbe « a lungo termine» fra dieci anni così come lo è oggi. Del che la situazione tedesca dal 1949 ad oggi fornisce un esempio concreto e ammonitore. Il più immediato fra i problemi politici che oggi si propone alle forze democratiche, laiche e cattoliche, liberali e socialiste, ci sembra quindi quello di impedire che la situazione parlamentare e politica cui ha dato luogo il governo Segni abbia a cristallizzarsi. Ma non ci si deve nascondere che questa crisi e il governo che n'è venuto fuori hanno sfiancato la parte migliore della DC, ciò che in essa v'era di moderno e di positivo, sia pure, in parte, allo stato velleitario. Il primo sconfitto dalla crisi di gennaio è il partito democristiano medesimo, come partito con una sua capacità di sviluppo, con una sua classedirigente, con una sua vocazione programmatica; il partito, insomma, come strumento della lotta politica moderna. Hanno vinto, invece, i cosiddetti notabili (e ciò si vedrà ancora meglio quando sarà caduta la polvere [4] Bibliotecaginobianco

dell'episodio della cosiddetta crisi costituzionale che stava nascendo all'interno della crisi politica), ha vinto la loro concezione del partito come singolare e strana alleanza di pseudo-cervelli e di pseudo-popolarità: fatto veramente deteriore della vita sociale. E, piaccia o no ai loro numerosi estimatori, gli uomini che hanno inferto il colpo decisivo al partito sono stati proprio i Cui e i Piccioni (e facciamo i loro nomi poichè sono essi e non altri i principali eroi eponimi del governo Segni): quando si è assistito allo spettacolo stupefacente di due leaders parlamentari che si recavano dal Presidente della RepubMica per dirgli che il partito democristiano era disposto a fare un governo di centro-sinistra, un governo di centro quadripartit?, un governo di centro tripartito, un governo di centro bipartito, un bipartito orientato a destra, un monocolore programmatico, un monocolore appoggiato a destra, tutto insomma e il contrario di tutto, è stato evidente che il partito democristiano rinunciava ad essere un partito. Così non è senza significato - ed è da parte nostra doveroso e doloroso rilevarlo.- che il ruolo ricoperto dal!'on. Colombo nella recente crisi non è certo un ruolo conforme alle posizioni per le quali abbiamo altre volte consentito con lui: è sembrato piuttosto un ruolo di quelli che si addicono all'on. Carmine De Martino, che non il ruolo che era lecito sperare dall'« uomo nuovo» che al Congresso di Napoli della DC pronunciò un applaudito discorso meridionalista. L'involuzione della DC da partito a «palude>>,da strumento moderno di lotta politica ad alleanza trasformistica, è un fatto quanto mai inquietante. E tuttavia il governo di destra si è ottenuto umiliando il partito e i suoi quadri più efficienti, costringendo i militanti e le basi a subire il ricatto e le pressioni dei più diversi ambienti conservatori, dei più reazionari interessi costituiti. Sarebbe lecito perciò prevedere a più o meno breve scadenza una reazione efficace del « patriottismo di partito», un rilancio di Fanfani, che, questa volta, è caduto su una seria posizione politica e non per una manovra trasformistica mal condotta, una riorganizzazione delle correuti della sinistra democristiana: una riorganizzazione per· realizzare l'unità di queJte correnti, sulla base di poch!, pregiudiziali obiettivi di politica interna e di politica economica, e con l'accantonamento di quei velleitari motivi revisionistici di politica estera che finora sono serviti soltanto a dividerle e ~ indebolirle, a im.pedire il conseguimento degli obiettivi che esse si erano p,:oposte in politica interna e in pQli~icaeconomica, a favorir~ il gioco dei Bibliot~ca_ginobianco

Pella, Andreotti, Gedda, i veri vincitori di questo round precongressuale ·della battaglia all'interno della DC e di questa fase della lotta politica tra fautori del!'apertura a destra e fautori dell'apertura a sinistra. Sarebbe lecito prevedere tutto ciò, ma intanto, perchè una reazione nel senso giusto possa verificarsi, è necessario non indulgere a pericolosi stati d'animo ottimistici. Con il governo Segni la DC ha fatto non uno, ma molti passi indietro; e molti passi indietro ha fatto anche la causa dell'ali argamento a sinistra dello spazio democratico. Non a caso Il Tempo, l'organo più qualificato delle forze conservatrici e reazionarie italiane, canta trionfalmente vittoria: il partito dei Pella e degli Andreotti che, con la benedizione dei Cui e dei Piccioni, ha dato vita al governo Segni, è partito «omogeneo» con quello dei monarchici e con quello dei fascisti; un partito che ha avuto finalmente il coraggio e la possibilità di costituire quella maggioranza, <<omogenea», che esso, Il Tempo, aveva da tanti anni auspicato. Questo dice Il Tempo oggi, e non dimentica di aggiungere che,. di fronte a tale maggioranza « omo gene a », può bene organizzar si l' opposizion~ socialista. I socialisti all'opposizi.zone, si sa, non danno fastidio a monopolisti e a clericali, i quali, anzi, pur di riuscire a mantenere al governo del paese maggioranze <<omogenee» come quella che ha dato la fiducia al governo Segni, possono perfino auspicare l'avvento del bipartitismo: magari con l'aiuto di qualche riforma elettorale. Ma possono mai accettare una situazione come questa, e soluzioni come quella suggerita da Il Tempo ( e che Panfilo Gentile chiamarebbe comunque «centriste»), gli uomini di « Iniziativa democratica» della «Base» e di «Rinnovamento»? Fino a che punto le correnti che fino a ieri controllavano come maggioranza la DC sono ridotte oggi a essere il partito ... del silenzio? I notabili della DC hanno suonato le trombe e le mura di Gerico paiono cadute: in una siffatta congiuntura è forse difficile, quando si danno le nostre valutazioni, non cedere al pessimismo. Noi, per esempio, abbiamo sempre ritenuto che i partiti di democrazia laica, sia pure a costo di gravissimi sacrifici, siano spesso riusciti, e·possano ancora riuscire, a contenere e a correggere le spinte reazionarie che ad opera di potenti gruppi di pressione il partito cattolico è costretto continuamente a subire. Ma questi partiti, stretti fra una formazione cattolica centrifugata a destra e l'opposizione non più Bibliotecaginobianco

frontista> ma tuttora massimalista del PSI, paiono ora condannati a una maggiore usura. E al tempo stesso, nei confronti del PSDI, che resta il prùzcipale di tali partiti, certo un fattore di stabilità democratica e forse il ponte su cui devono passare DC e PSI qualora si delineasse una concreta possibilità di apertura a sinistra, c'è « uno scatenamento insensato di ostilità» (sono parole d,!. Luigi Salvatore/li). Tutto ciò, è evidente, non può non destare . nuove preoccupazioni. Guai se fra DC e PSI dovesse rimanere soltanto terra bruciata. Ma terra bruciata avremmo, se le correnti di sinistra della Democrazia Cristiana non si riorganiz.zassero subito per la rivincita e se i partiti del centro-sinistra laico non trovassero contemporaneamente il modo di sanare le troppe divisioni che ne hanno profondamente agitato la vita interna e i reciproci rapporti_in questi ultimi anni. Mai come ora, dunque, si deve fare appello a tutti gli uomini della st·- nisira democratica - laici, socialisti, e soprattutto cattolici, da coloro, fra questi ultimi, che si richiamano all'eredità degasperiana ai f anfaniani, dai· cosiddetti gronchiani fino a coloro che veramente dimostrano di voler tenere presenti gli insegnamenti di Vanoni - affinchè si rendano conto del pericolo che corre il paese e affinchè reagiscano tempestivamente, che è quanto dire subito. Vogliamo di questo pericolo ricordare la definizione che ne ha dato uno scrittore americano di cose italiane, l'Hughes: « Pericolo fascista inteso nel senso di una evoluzione che trasformi Democrazia Cristiana e Neofascismo in qualcosa di mezzo fra i due. Sotto la infiuenza lievitant~ dell'Azione Cattolica, l'ala conservatrice della DC,. i gruppi moderati del MSI e le forze più o meno fluide dei monarchici potrebbero fondersi in un movimento clerical-corporativo>>L.o Hughes considerava nel 1953 questo pericolo· come « presente e reale». Ora è diventato, ci sembra, assai più « presente e reale » di allora, anche e proprio perchè la combinazione dell' apertura a destra si presenta oggi, apparentemente, con aspetti meno vistosi di quelli che colorivano l'operazione Sturzo del 1952. Ma apertura a destra è: e a destra, nella DC, ci sono i clericali e, fuori della DC, ci sono i fascisti. Bibliotecaginobianco

Sciovinisti, qualunquisti e tecnocrati nel partito di Soustelle di Michele Tito Non è stato ancora individuato il n1etodo più adatto a penetrare nella nuova realtà politica francese. A metà gennaio, i risultati delle elezioni legislative del 23 e del 30 nove_mbre rimangono ancora da approfondire. Gli studiosi francesi seguono, per queste cose, due indirizzi: uno, praticamente empirico, che fa capo ad André Siegfried, parte dal presupposto deUa stabilità fonda1nentale della geografia elettorale in Francia, stabilità assicurata dalla realtà storica e psicologica del paese; l'altro, praticato con maggiore o minore ortodossia dalle scuole di estrema sinistra fino ad alcuni cenacoli di destra, si avvale dei canoni marxisti. Ma quel che, appunto, c'è di nuovo nelle elezioni del novembre scorso è che, mentre la stabilità ~ fondamentale>> deve essere messa in dubbio, nessuna indagine sociologica pura riesce a spiegare i risultati. In realtà ci si trova di fronte ad una serie . di elementi ambientali nuovi: la loro natura e la loro forza, non ancora valutate dagli specialisti francesi, sono tali da rendere molto fragili le argomentazioni che intendono approfondire la nuova geografia politica francese avvalendosi dei vecchi strumenti, e cioè partendo (come fanno, immancabilmente, tutti gli specialisti francesi) da possibilità di confronto e da punti di riferimento tradizionali. Non è dunque il caso di tentare, per quel che è accaduto in Francia, un'analisi sociologica rigorosa. E, nell'adottare un metodo di ricerca empirico, basterà tener conto del fatto che molti assiomi e molti « dati di base>> comunemente accettati per b Francia devono essere riveduti; anche quando sono stati consacrati dall'autorità di un André Siegfried. [8] Bibliotecaginobianco

*** Cosa è, in realtà, accaduto in Francia? L'aspetto più visibile della nuova situazione è quello del successo di un partito definito di estrema destrJ, l'Unione per la Nuova Repubblica, che al primo turno delle «legislative>> ha raccolto 3.800.000 voti e al secondo turno ne ha totalizzati 4.100.000. Se a ciò si aggiunge: l") che l'insieme dei gruppi moderati hanno ottenuto o!tre cinque milioni di voti; 2°) che un certo numero di candidati del centro e perfino della SFIO, senza parlare dei diversi corpuscoli di destra, sono stati eletti solo in virtù del sostegno dell'UNR; 3°) che, infine l'UNR si presentava solo in 345 dei 465 collegi della metropoli; se si aggiunge tutto ciò, si può facilmente concludere che l'elettorato francese rivela una fortissima tendenza verso l'estremismo di destra. E, infatti, si è concordi nel giudicare che le elezioni di novembre hanno portato ad una schiacciante vittoria dell'estremismo di destra. La diagnosi è indubbiamente esatta in rapporto alle conseguenze poJitiche e parlamentari. Essa lo è meno, però, in rapporto allo stato d'animo del paese. Una cosa è la natura dei movimenti che hanno vinto le elezioni, altra cosa è l'ottica del corpo elettorale. È indiscutibile che l'UNR raccoglie uomini che tendono verso l'estremismo, di ispirazione antidemocratica, ansiosi di istituire il partito unico e nostalgici di una Francia imperialista. Ma il corpo elettorale, nella sua stragrande maggioranza, non ha avuto il tempo, nè la voglia nè la possibilità di approfondire la realtà dell'UNR e, nell'aderirvi, ha seguito, soprattutto un impulso. I punti da chiarire, così, sono due: di che natura è quell'impulso e se esso è suscettibile di concretarsi e prolungarsi in un atteggiamento politico preciso, in una . . . vera e propna coscienza estremista. C'è una realtà di fondo praticamente ignorata e difficilmente ammessa dagli stessi studiosi francesi: i francesi sono, in Europa, i cittadini meno informati delle cose politiche. Un'indagine condotta dall'Istituto di opinione pubblica, nel giugno del '57 (quando Moilet era caduto, dopo sedici mesi di governo, e si costituiva appena, in circostanze movimentate e a volte drammatiche, il governo Bourges-Maunoury, del quale si diceva che doveva preparare il colpo di stato), stabilì che soltanto il 10 per cento dei francesi adulti si interessano agli avvenimenti politici. Un grande quotidiano della sera (tiratura: 1.200.000 copie) stabiliva, in quella stessa epoca, [9) Bibliotecaginobianco

che soltanto il 12 per cento dei suoi lettori seguiva il notiziario politico, già ridotto al minimo e presentato in forma molto colorita. Questi dati non sorpresero però gli esperti, perchè essi corrispondevano esattamente a quelli accertati nel '36, nei mesi più difficili e gravi della Francia d'anteguerra, mentre nasceva il « Fronte Popolare » perchè essi confermavano uno dei fattori della « stabilità fondamentale» della geografia elettorale francese quale se la configuravano i seguaci di Siegfried: il disinteresse e l'apatia della pubblica opinione non sono, si poteva dire cioè nel '57, un fenomeno di stanchezza e di sfiducia caratteristico della Quarta Repubblica, non vengono da una specie di resistenza passiva ai « ludi » monotoni e complessi della classe politica dirigente; il disinteresse e l'apatia sono caratteristiche vecchie e permanenti, praticamente organiche; del paese. E invece quel che si doveva considerare era un aspetto tutto particolare della situazione. Nel '36, il 75 per cento dei membri del PCF aveva meno di cinquant'anni, e il 60 per cento meno di quaranta; in seno alla SFIO, nel '36, la proporzione era quasi la stessa; e il partito radicale, anch'esso, poteva vantarsi d'esser costituito per metà da giovani, di età inferiore ai quarant'anni. I giovani partecipavano alla vita politica, in provincia più che a Parigi, e, quando non vi partecipavano direttamente, vi si interessavano. Nel '36 i giovani operai esposero le loro vite in Piazza della Concordia e determinarono il fallimento di una politica tendenzialmente reazionaria: a quell'epoca, cioè, a una mancanza di riflessi degli anziani sopperiva l'entusiasmo dei giovani. Nel dopoguerra, invece, sono appunto i giovani ,che hanno disertato la vita politica: e se il PCF da anni non rie- . sce ad iscrivere giovani di età inferiore a 25 anni, tutti gli altri partiti, da quello socialista fino a quello radicale e ai vari gruppi della destra moderata, lamentano la stessa crisi. La stessa crisi la1nentano anche i sindacalisti. Perfino Poujade affermava due anni or sono che gli mancavano i giovani. Questo è un punto capitale per la comprensione degli avvenimenti francesi. Nel febbraio del '57 il sottoprefetto di Pontoise (nella Seine-et-Oise, dipartimento fortemente industrializzato e tra i più evoluti) interrogò 3.500 giovani che si presentavano alla visita medica per il servizio di leva: erano tutti giovani di vent'anni, operai, impiegati, studenti, ecc. Il sottoprefetto domandò a ciascuno di essi se conoscevano il nome del Presidente (10] Bibliotecaginobianco

del Consiglio dell'epoca (era Mollet, che li mobilitava per inviarli in Algeria): 1'85 per cento degli interrogati lo ignoravano e rinunciarono a rispondere; del rimanente 15 per cento, alcuni ritenevano fosse Coty, altri avanzarono nomi diversi, spesso quello di Leon Blum, rivelando così di ricordare l'eco confusa di ciò che raccontavano i padri, o i compagni di lavoro più anziani. Su un punto tutti erano però d'accordo: le due maggiori potenze mondiali erano, ai loro occhi, la Francia e la Russia. Naturalmente la percentuale dei giovani interrogati che conoscevano il nome del vincitore del Giro di Francia ciclistico del '56 risultava molto più alta di quella di coloro che conoscevano il nome del Presidente del Consiglio: il 97 per cento addirittura. Impressionato da queste rivelazioni, il governo decise di invitare i prefetti e i sottoprefetti a imitare l'esempio del loro collega di Pontoise. Furono organizzate indagini sistematiche: il risultato non è mai stato reso 11oto; ma indiscrezioni attendibili assicurano che tutta la Francia è Pontaise, con la sola eccezione dei dipartimenti della frontiera tedesca, di alcuni cantoni della Charente e Charente-maritime, di tradizione protestante, e dei distretti della Francia meridionale, ove s'erano stabilite, provenienti dall'Indocina, dal Marocco, dalla Tunisia perduti, migliaia di famiglie profughe. Il più grave è che la stragrande maggioranza dei giovani ignoravano {:OSedi immediato interesse per la loro vita economica: ignoravano qtiasi tutto dei sindacati; a volte si dichiaravano aderenti alla C.G.T. o a << Force Ouvrière >>, ma non conoscevano la tendenza dell'organismo cui dicevano di appartenere; ignoravano perfino gli aspetti più generali del problema algerino. Il 22 per cento non sapevano che in Algeria vi sono musulmani e il 32 per cento non sospettava che l'Algeria fosse al di là del Mediterraneo. Tutti erano sicuri però di una sola cosa: della Francia, della grandezza, del primato, della superiorità francesi. Si tratta di indagini praticamente ufficiali. Le loro risultanze sono tanto più difficili ad ammettersi fuori della :Arancia quanto più è vero che la stragrande maggioranza dei giova~_iinterrogati guadagnava un salario sufficiente per vivere, ed era in condizioni di risparmiare qualche migliaio <li franchi ogni mese. Bravi operai, studenti brillanti, impiegati meticolosi [11] Bibliotecaginobianco

e professionalmente preparati, essi erano l'esempio vivente di come uno dei più grandi paesi del mondo possa nascondere, dietro la facciata, terribili, tragiche debolezze. E questi giovani, intellettualmente inermi, ottima materia prima, facile a essere plasmata da mani sapienti, si consegnavano, di leva in leva, alla disciplina e alla formazione dell'esercito. Dal 1945, mentre la guerra d'Algeria era in pieno svolgimento, tredici classi sono passate attraverso un'esperienza mortificante, l'esperienza di guerre inutili e perdute in partenza, e attraverso l' « in_quadramento psicologico» messo a punto dall'esercito. Se, infatti, soltanto dopo il colpo di forza del 13 maggio la Francia ha avuto conoscenza dell'esistenza nell'esercito di un metodo di azione politica (quello della preparazione del paese alla « guerra rivoluzionaria») affidato a una << sezione psicologica», i cui agenti, guidati da un gruppo di colonnelli formatisi nei campi di prigionia cinesi, agiscono applicando i metodi e le dottrine di Lenin e di Mao-Tse per il sistematico « lavaggio dei cervelli », gli alti ufficali francesi avevano fin dalla seconda guerra mondiale tratto la lezione della sconfitta del '40; e avevano concluso che il disastro era stato dovuto alla debolezza delle retrovie, alla fragilità del morale del paese e, soprattutto, alla 1nancata formazione ideologica dei combattenti. Erano giunti a queste conclusioni tanto i petainisti che i gollisti: e nell'uno e nell'altro campo, fu iniziato, mentre ancora si combatteva nel mondo, lo studio dei 1nezzi atti a fare di tutti coloro che indossavano un'uniforme gli agenti di una politica. Nel '45 lo stato maggiore francese aveva già la sua- « sezione psicologica». Nel '46 gli ufficiali di stato maggiore facevano un corso per istruirsi alla « guerra psicologica». L'obiettivo primitivo dell'esercito era quello di integrare la lotta armata all'azione ideologica e propagandistica, perchè - pensava lo stato maggiore - non si piegano popolazioni ostili senza conquistarle prima con la propaganda. L'Indocina mise subito alla prova gli strumenti di pressione psicologica dell'esercito. I primi tentativi furono disastrosi: l'esercito ignorava le realtà economiche e sociali, non si preoccupava della verità psicologica delle masse sulle quali voleva influire, agiva ancora sulla base del mito della Francia grande e generosa e della civiltà cristiana. Ma, via via che si cercava di mettere a punto il meccanismo, l'esercito s'accorgeva che c'era un punto debo!e a impedire tale messa a punto: la metropoli. Fu il ge~ [12] Bibliotecaginobianco

nerale Zeller, attualmente capo di stato maggiore dell'esercito, che stabilì il principio della « guerra totale », nel senso che essa impegna, anche se si tratta di azioni coloniali, non soltanto i corpi armati, ma tutta la nazione, ed esige perciò l'assoluta unità del paese al servizio dell'esercito. Nel '47 la macchina funzionava perfettamente: la metropoli inviava nell'esercito giovani inermi e imprepàrati, l'esercito li plasmava, non tanto in funzione della lotta ai guerriglieri, ma in funzione dell'influenza che i soldati, ·una volta tornati a casa, avrebbero esercitato nella metropoli. Le difficoltà, le sconfitte, le umiliazioni, i contrasti fra stati maggiori e governi, le prudenze del Parlamento, il tatticismo dei partiti, la demagogia dei comunisti, tutte queste cose, abilmente sfruttate dai comandi, convincevano il soldato della necessità di eliminare i comunisti, di far piazza pulita dei partiti, di << camb~are il sistema ». Ogni insuccesso in Indocina, in Tunisia, in Marocco, in Algeria veniva imputato alla metropoli: ai comunisti come a Pléven, a Mendès-France come al marxismo, a Le Monde come alla stampa in generale. È il processo classico, di cui questa volta si servivano consapevolmente e sistematicamente i comandi: il processo del combattente che si sacri.ficaal fronte, mentre la metropoli discute, sperpera e si diverte. Così, fin dal '49, si cominciò a parlare in Francia delle gesta dei « re: duci dall'Indocina», i primi squadristi di questo dopoguerra: degli operai, degli studenti, degli impiegati, dei contadini per.fino, che, partiti scontenti e inconsapevoli del compito loro affidato, tornavano amereggiati, esasperati; acquisiti a un « dinamismo permanente», che non li faceva rifuggire dinanzi a prospettive di violenza, e guadagnati alla fede, divenuta~ fanatica in alcuni di loro, della forza delle << minoranze attive». Un libro dello scrittore Anselme, uscito nell'estate del '57, descriveva lucidamente questo fenomeno: questi stessi soldati che, prima di raggiungere l'Algeria, avevano protestato, a volte avevano fermato i treni nelle stazioni,. avevano perfino disertato, tornavano a casa oltranzisti, tendenzialmente razzisti, insofferenti dell'ambiente in cui dovevano rassegnarsi a vivere tutta la vita, desiderosi di riformare la nazione per liberarla dai comunisti, dai partiti, dai tradimenti. Il Partito Comunista ha dovuto constatare che anche i giovani cresciuti in famiglie «sicure», acquisiti in partenza all'infl.uenzza, sia pure indiretta, dell'estrema sinistra, in Algeria ve- '[13] Biblioteca_ginobianco

nivano convertiti, e si ponevano, al ritorno in patria, perfino in contrasto coi padri e coi loro colleghi di lavoro: Durante la guerra d'Indocina, le « sezioni psicologiche» dell'esercito s'erano viste private di una parte dei risultati che si erano proposte di conseguire dal fatto che il reduce veniva introdotto automaticamente nelle associazioni combattentistiche. Queste associazioni, composte in maggioranza da reduci della prima e_della seconda guerra mondiali, non sensibili alle nuove dottrin~ dell'esercito e dirette da elementi anziani, limitavano, e a volte riuscivano a soffocare, lo slancio dei giovani congedati di fresco. A ciò riuscivano però sempre più difficilmente per due ragioni: 1) .perchè i nuovi iscritti aumentavano ininterrottam~nte e nel 1954 già costituivano il 50 per cento degli effettivi delle diverse associazioni; 2) perchè la crisi delle strutture del paese era evidente e si aggravava ogni giorno creando f~:>rtdi isagi politici e alimentando risentimenti s~:>eialiE. , se, gli anziani controllavano le associazioni per una specie di diritto acquisito, essi. rimanevano praticàmente inerti, incapaci di avvertire l'importanza del processo che si sviluppava sotto i loro occhi e che si caratterizzava, soprattutto, in un desiderio di riforma radicale del paese all'insegna dell' << ordine », dell' « unità », della « modernità ». I giovani, sensibilizzati dai comandi militari, avevano delle idee e avevano qualcosa da dire, gìi anziani si contentavano delle parate del 14 luglio e riposavano tranquilli al riparo delle loro abitudini e della loro fondamentale indifferenza. All'inizio del 1957 la situazione era la seguente: due milioni e mezzo circa di reduci acquisiti alle dottrine dell'esercito si lanciavano all'assalto delle associazioni combattentistiche e riuscivano in poco tempo ad assicurarsene in gran parte il controllo. I reduci disponevano ormai di uno strumento di azione e di pressione, uno strumento ideale che consentiva il ricatto patriottico e paralizzava praticamente qualsiasi resistenza. Non si saprà mai se sia esistito, e se abbia avuto una efficacia pratica, un collegamento qualsiasi tra le « sezioni psicologiche » dei comandi militari e le associazioni di ex combattenti. La nostra impressione personale è che un contatto organico è mancato: noi descriviamo, schematicamente, situazioni e processi che in verità sono stati enormemente complessi, spesso contradditori, a volte disordinati. Di sicuro c'è che l'esercito ha seguito una linea di forza e che nel 1957 i soldati in congedo costituivano una 1141 Bibliotecaginobianco

proiezione nella vita civile della· metropoli delle dottrine· e delle aspirazioni di cui il famoso colonnello Lacheroy è il teorico più autorevole e che un.'apposita sc_µola a Parigi approfondisce in maniera sistematica. Se non c'è stato però un contatto organico tra l'esercito e le associazioni_ combattentistiche c'è stato un certo automatismo per il quale i reduci, e specialmente i reduci dell'Algeria e dell'Indocina, rimanevano praticamente a disposizione dell'esercito e delle forze politiche che, attraverso una qualsiasi evenienza, si fossero trovate alleate all'esercito. Questo era il caso, dopo il 13 maggio e alla vigilia delle elezioni legislative, dell'UNR. Ma il reducismo, sia pure forte di tredici anni di guerre coloniali, non spiega, da solo, nè la nascita dell'UNR, nè il suo successo. Le elezioni del 2 gennaio del 1956 rivelarono, sorprendendo tutti gli osservatori e smentendo le previsioni- dei prefetti, l'importanza del poujadismo che, forte di 2 milioni e mezzo di voti, accedeva alla Camera .con cinquanta deputati. Per la verità, non avrebbe dovuto esserci sorpresa: Poujade aveva creato il proptio movimento due anni prima e si era rafforzato conquis_tando una dopo l'altra le Came~e di commercio,' le Asso.- ciazioni di commercianti, le cariche elettive degli enti .artigianali e agricoli. Anche le Camere di commercio di Parigi, Nizza, Lione, Marsiglia, Montpellier, Sens, Bordeaux erano state conquistate con una facilità stupefacente. Erano state quasi prese d'assalto. La piccola borghesia_dei bottegai e degli artigiani tartassati dalle tasse riusciva a scacciare dalle leve di controllo la borghesia grande e media dei monopoli commerciali e dei grandi magazzini. Questo fenomeno avrebbe dovuto lasciare prevedere il successo di Poujade. Ma, per prevederlo, sarebbe stato necessario avere la consapevolezza di quel che stava effettivamente accadendo in Francia: era in corso la rivolta contro le caste dirigenti, nell'ambito dei mestieri e delle corporazioni come nelle strutture politiche, e nessuno lo sospettava. Così si ritenne che il poujadismo fosse un fenomeno circoscritto a confuse rivendicazioni di categoria con manifestazioni politiche puramente accidentali. Alla vigilia delle elezioni del 1956 si era rimasti, cioè, a ritenere il poujadismo ancora fermo alle posizioni primitive: apolitico e anti- [15] Bibliotecaginobianco

parlamentare, dichiarata1nente estraneo alla lotta politica. Invece, il poujadismo, aveva subito una notevole evoluzione: non soltanto aveva deciso di tentare la conquista del Parlamento, ma intendeva far politica, e la sua politica si riduceva a tre cose: la lotta al <<sistema>>,la lotta all'europeismo, l' « Algerie française >>.Erano, come si vede, le parole d'ordine dei gollisti, quelle che riassumevano la parte del programma del gollismo che si conciliava con le dottrine delle « sezioni psicologiche » <lell'esercito e le convinzioni dei reducismo. Anche subito dopo le elezioni apparve chiaro quel che era accaduto al poujadismo. Poi, però, quando il poujadismo si ridusse a fare da portavoce quasi automatico delle consegne degli oltranzisti di Algeri e addirittura tradì le proprie origini, la lezione, rivelata anche dalle elezioni amministrative successive, fu evidente: in s.eno al poujadismo era penetrato il reducismo, che ne rappresentava la parte più attiva, e vi era penetrato per 1a mediazione dei superstiti nuclei del « rassemblement » gollista. Il nodo della situazione emersa nel novembre scorso sta m questa congiunzione del reducismo, del superstite gollismo, del movimento commerciale e artigianale poujadista (nonostante tutti i riferimenti a Doriot e ai movimenti estremisti d'anteguerra, l'origine del poujadismo è, senza possibilità di dubbio, assolutamente apolitica ed esclusivamente economica). Come s'era operata questa congiunzione? Nonostante la loro virulenza, le organizzazioni c01nbattentistiche, ammesso che fossero state abilmente guidate, non avrebbero mai potuto esercitare una reale influenza politica e probabilmente non avrebbero mai potuto, da sole, avere un peso elettorale effettivo. Esse potevano soltanto alimentare nel paese un clima di inquietudine, mantenerlo in un'atmosfera di tensione permanente, incoraggiare il processo di separazione del paese reale dal paese legale. Ma collegate ai superstiti organismi del « rassemblement », esse potevano, in un certo senso far politica, e sviluppare una azione metodica. E fu questa l'operazione consentita dalla legge elettorale del 1951. In quell'anno accadde un fatto che doveva pesare notevolmente sulla evoluzione del paese: nel timore di un successo del « rassemblement » gollista, che aveva conquistato già molti municipi e dissanguava le for- (16] Bibliotecaginobianco

mazi'oni- classiche e quelle, come l'MR!P, nate nella Resistenza, privandole di una parte dei « grandi elettori» locali, ma soprattutto per isolare· i socialisti· che si opponevano all'approvazione della legge Barangé sulle scuole private, l'MRP, i radicali e la destra dei moderati escogitarono un sistema elettorale simile a quello detto da noi della « legge truffa ». L'obiettivo dichiarato era di assicurare una maggioranza parlamentare stabile, ma si ammetteva che ci si proponeva anche di bloccare un'evoluzione che conduceva una parte del paese verso l'estremismo gollista e lo esponeva a sostanziali progressi del comunismo. Il sistema funzionò: i comunisti ebbero meno deputati di quanti ne avrebbero meritati e il « rassemblement ~' dovette pagare il proprio tributo alla cosiddetta « al-· leanza del centro». Successivamente i socialisti furono respinti all'opposizione ove si trovarono isolati quando la legge Barangé venne votata. Il risultato fu che l'MRP dovette pagare lo scotto del sostegno ricevuto, contro il principio della laicità della scuola, dalla destra moderata e da una frazione dei radicali: fatalmente, l'MRP si trovò a destra. E il « rassemblement », che aveva avuto la velleità di rimanere al centro, non potè resistere all'attrazione di una realtà di destra che dominava il Parlamento e -la vita politica del paese senza, per questo, riuscire ad assestarsi in una stabile maggioranza. In realtà la « legge maggioritaria», voluta dai democristiani, ebbe questo risultato: l'MRP si trovò prigioniero della destra moderata e visse lunghi anni in attesa che i moderati riuscissero, come in parte riuscirono, ad «'addomesticare» 1 gollisti. L'elemento chiave del Parlamento diventarono i moderati. A distanza di sette anni è possibile individuare l'errore tragico che commisero a quell'epoca i socialisti: essi non videro, nella nuova situazione, che l'attentato alla laicità delle scuole e, riprendendo tutte le pol~- miche vecchie di decenni e gli schemi del secolo scorso, ridussero la lotta politica, in Parlamento e nel paese, al contrasto tra fautori delle scuole libere e difensori della scuola di Stato. Non soltanto, bloccando l'opinione pubblica francese sui termini di questa polemica, essi impedirono all'MRP di svincolarsi dalla soggezione della destra moderata, ma, in pratica, consentirono alla destra moderata, che aveva ben altre ambizioni che quella di· favorire la scuola libera, di porre le premesse per una azione conservaf.17] Bibliotecaginobianco

trice (governo Pinay) e di rovesciare così, rapidamente, l'indirizzo della politica del paese, uscito progressista e riformatore dalla Resistenza. È difficile stabilire se, e in che misura, il paese fosse sensibile alla polemica laica in cui si esauriva tutta l'azione dei socialisti. È però certo ché il paese aveva ben altri problemi e ben altre preoccupazion_i e, in ultima analisi, non si riconosceva nella Camera uscita dalle elezioni del 1951: una Camera conservatrice eletta con una netta maggioranza di voti di sinistra. I socialisti, abbacinati dal problema della laicità della scuola, in fondo lieti di trovarsi all'opposizione e animati dalla speranza di vedere l'MRIP annegarsi tra i moderati, non seppero e non vollero porre il problema, certamente molto più sentito, della rispondenza del paese legale al paese reale. Che cosa chiedeva il paese reale? Niente di preciso. Ma c'era uno stato di insofferenza, di disagio, un desiderio di cambiamento che la crisi spaventosa delle campagne e la fiscalità che colpiva il piccolo commercio rendevano sempre più acuto. In condizioni normali, cioè in una vera democrazia politica, questo disagio della provincia si sarebbe risolto in una evoluzione del personale parlamentare e nella sostituzione, nei collegi più toccati dalla crisi, di uomini nuovi ai vecchi parlamentari, magari all'interno di una stessa formazione politica. Era, invece, questa, un'operazione impossibile: la legge del 1951 non soltanto imponeva una camera prefabbricata, ma sanciva la permanenza del personale parlamentare. Gli elettori non potevano validamente esprimere le loro preferenze per un candidato piuttosto che per un altro all'interno di una stessa lista: perchè i1 1 voto di preferenza potesse giocare a favore <li un candidato era necessario che la metà più uno dei votanti di una lista si fossero pronunciati per un unico candidato. Altrimenti, veniva eletto il primo della lista e, a seconda dei quozienti, gli altri candidati, nell'ordine stabilito dalle direzioni dei partiti. Le liste erano dipartimentali. È noto che la Francia è composta di quarantaseimila comuni, quarantamila dei quali sono inferiori ai mille abitanti, e venticinquemila forse inferiori ai cinquecento abitanti. La stragrande maggioranza dei paesini francesi costituiscono delle minuscole comunità economiche di fatto: in genere, non ci sono, nei villaggi, due beccai, ce n'è uno solo, c'è un solo giornalaio, un solo alberghetto, un solo caffè, un solo notaio, un solo avvocato, perfino un solo insegnante, una pompa [18] Bibliotecaginobianco

di benzina, un telefono: c'è, insomma, un solo esemplare di tutto ciò di cui si ha bisogno e che consente la vita in comune. Una comunità, dunque, non soltanto completa, ma chiusa perchè spesso isolata. E, poi, ci sono, per vaste zone, i mercati e le sottoprefotture. Ciascuno dei piccoli comuni è praticamente in concorrenza coi comuni vicini: spesso esistono rivalità secolari e gli interessi sono quasi sempre in contrasto. È dunque praticame.µte impossibile che, sul piano dipartimentale, la metà degli elettori di una stessa lista si esprima a favore di un unico candidato. Si deve misurare in tutto il suo valore l'importanza determinante di questo elemento: -la provincia francese, colpita da una crisi profonda, era privata del diritto di scegliere i propri rappresentanti ed era. costretta, in pratica, a subire la predominanza costante delle stesse formazioni politiche. La classe politica dirigente della vigilia delle elezioni del '51 aveva, tutto sommato, deciso la propria inalterabilità e si era costituita in oligarchia. Lo aveva fatto fidando sull'assenteismo e l'indifferenza del paese, ma senza considerare che la provincia francese era attraversata da una forte crisi economica. In tal modo, il reducismo. trovò una conferma patente alle idee acquisite nell'esercito: la Democrazia e il Parlamento diventavano simboli di un'oppressione che non dava nemmeno il vantaggio dell'efficienza. E, sebbene all'origine antigollista, il reducismo si trovò - istintivamente dapprima e consapevole poi, via via che i << reseux » del « rassemblement » ( eh~ erano in genere sopravvivenze dei nuclei d'azione della resistenza non comunista) abbandonavano gli ideali delle loro origini e si cristallizzavano nell'opposizione al «sistema» - sulla stessa linea della parte estremista del gollismo, quella più nazionalista. E furono le sezioni golliste, più politicamente sensibili, ad avvertire immediatamente l'eccezionale importanza dell'avventura poujadista. Il paese era in crisi, una crisi caratterizzata dalle malattie del piccolo commercio, della piccola proprietà agricola, fortemente arretrata, della piccola azienda di tipo familiare, dallo spopolamento delle campagne e dalla brutale dominazione dei mediatori e degli agenti dei mercati. I moderati, rappresentanti appunto delle provincie agricole in crisi, diventavano in Parlamento gli agenti. del grande capitale, i difensori dei « trusts » economici, delle gigantesche organizzazioni commerciali e dei grandi esportatori agricoli, nei quali, appunto, gli elettori dei paesi vedevano [19] Bibliotecaginobianco

i loro nemici diretti. La crisi toccava anche le città: in primo luogo perchè affluivano nelle città i transfughi delle campagne e poi perchè il piccolo commercio si trovava ancor più a diretto confronto coi grandi magazzini e doveva, maggiormente, subire la legge spietata di organizzazioni corporative di grossisti e mediatori capaci di condizionare tutta l'attività economica del paese. Le vittime di questa crisi profonda e diffusa avevano costituito, fino al sorgere del poujadismo, un serio ostacolo al proselitismo ultranazionalista dei reduci e delle sezioni golliste: i «piccoli» vedevano, se mai, la loro salvezza a sinistra, essi erano decisamente contro un raflorzan1ento della destra. In questo senso Poujade costituì l'elemento di rottura insostituibiìe di una situazione che avrebbe potuto prolungarsi indefinitamente e che, si pensava, avrebbe potuto, al massimo, convogliare verso il PCF masse di piccoli borghesi. sì da sterilizzarlo e sproletarizzarlo. Pujade sottrasse le vittime della crisi a una scelta politica che, tutto sommato, appariva int,- tile e sarebbe stata, per la difesa dei loro interessi, del tutto sterile. Poujade propose il metodo di pressione extraparlamentare, realizzò l'appello alla piazza, dette alla provincia agricola e ai piccoli bottegai delle città la coscienza dell'immobilismo accentratore di Parigi, capitale divorante, e provocò la rivolta contro l'invincibile permanenza al potere degli stessi uomini. Rese infine evidente agli occhi delle masse diseredate l'estrema concretezza dell'azione politica extraparlamentare: potè così facilmente mobilitarle per una immediata e diretta difesa dei loro interessi minacciati. E solo da un appello siffatto poteva partire un movimento di protesta che avrebbe dovuto risolversi, alla fine, in un'azione politica. In una Francia stanca, assente, scoraggiata, Poujade poteva riunire, per un comizio tenuto al Parco dei Principi nell'ottobre del '55, trecentomila persone. Così l'apoliticismo protestatario, di carattere rivendicativo, del poujadismo si trovò naturalmente alleato al sovversivismo dei reduci e all'ostilit~l sistematica dei nuclei gollisti al << sistema». In questa congiunzione er,1 fatale che Pou jade conservasse la sensazione di dirigere il movimento, che egli cercava disperatamente· di mantenere fedeie al corporativismo iniziale, benchè, invece, il reducismo assumesse man mano sempre maggiore importanza presentandosi come -l'elemento più spregiudicato e più attivo e i « reseaux >> gollisti si assicurassero praticamente la direzione politica. 120.1 Bibliotecaginobianco

Le elezioni del gennaio del '56 si fecero all'insegna del « sortez les.sortants >>c, he era lo slogans unificatore delle tre componenti del poujadismo politicizzato, e videro, sotto la spinta dell'elemento reducista del movimento, le squadre d'azione di Poujade dare alla campagna elettorale un tono e un carattere di violenza che le cronache elettorali francesi del dopoguerra non avevano mai conosciuto. I 0 << reseaux » gollisti, però, utilizzarono il poujadismo senza mai farsene incorporare completamente. Essi poterono così utilizzare sapientemente, e metodicamente, lo strumento d'azione che il cartolaio di Saint-Ceré aveva creato. E, per le elezioni del '56, agirono abilmente: dispersi, separati, _spessopraticamente clandestini, essi ~onservavano, però, un'unità di fondo e facevano capo a una direzione sicura ch'era costituita da un piccolo stato maggiore di uomini, come Chaban Delmas, Soustelle, Frey, Debré, ecc., che avevano capito che si poteva finalmente mettere in crisi il regime sviluppando la lotta agli uomini che lo rappresentavano. Dalle elezioni del '56 in poi, così, tutto il sovversivismo di destra, dal poujadismo, che ormai non era pilt lo stesso, dall'ala estrema dei moderati fino al reducismo, fu orientato verso la sostituzione, sul piano locale, dei cosiddetti «mandarini»: si ·cercò, cioè, attraverso le successive elezioni amministrative e le elezioni alle carich~ degli enti locali, di porre ai posti chiave uomini ostili alla imperante oligarchia di Palazzo Borbone. La crisi del radicalismo che, dopo l'esperienza MendèsFrance, anch'essa nata da un desiderio di vincere l'inalterabilità della classe dirigente, si divideva in due e poi in tre frazioni, lo sminuzzarsi dei movimenti moderati, l'incapacità rivelata dall'MRP, duramente provato dalle elezioni, di collegarsi con le organizzazioni operaie e contadine a tendenza cattolica, lo spezzettamento e la confusione della sinistra non marxista, tutto questo facilitava l'operazione in corso. Era un'operazione che aveva il vantaggio di piacere a una gran parte della pubblica opinione perchè faceva «mutare>> qualcosa senza risolversi in un successo comunista: e, soprattutto, senza far temere riforme profonde. :Questa operazione non mirava a sostituire ai notabili delle formazioni tradizionali gli esponenti del movimento che nasceva, e tanto meno del poujadismo primitivo, che i gollisti intendevano solo utilizzare e non valorizzare. Tendeva, invece, a rompere le stratificazioni, sia pure determinando ·semplicemente il passaggio dei seggi da un vecchio notabile a un nuovo elemento dello stesso partito. Impresa, {21] Biblioteca.ginobianco

questa, relativa1nente facile perchè i moderati non hanno una organizzazione di partito, ma solo delle clientele, e i radicali, anch'essi privi di una solida e moderna struttura organizzativa, hanno solo un centro di collegamento distante e male informato a Parigi. A parte i socialisti e i comunisti (ma i comunisti non sempre), tutti i 1novimenti erano interessati a non trascurare l'apporto, ad esempio, delle associazioni combattentistiche o deile sezioni poujadiste. E, guidati dai << reseaux » gollisti, poujadisti, ex combattenti, elementi d'ogni genere, riuscirono molto spesso a imporre ai partiti classici una « reléve » dei quadri amministrativi di non trascurabile ampiezza: alle elezioni cantonali dell'aprile del '58, i risultati finali confermavano, in complesso, quelli delle precedenti elezioni. Ma i partiti perdevano seggi in alcuni dipartimenti per guadagnarne in altri e, spesso, pur conservando i seggi di un dipartimento li vedevano affidati dagli elettori ad uomini nuovi. Alla fine di aprile del '58 c'erano oltre mille uomini nuovi tra i 1521 am.ministratori cantonali eletti. Ed erano uomini che sapevano a chi dovevano la carica. Alla vigilia del 13 maggio il poujadis1no non esisteva più, assorbito dal sovversivismo politico, ma in tutte le strutture del paese erano state aperte ampie brecce: non solo c'erano dei nuovi << grandi elettori», desiderosi di soppiantare i deputati in carica, ma anche molti dei vecchi « grandi elettori» erano stati acquisiti, dopo anni di immobilità elettorale, all'ambizione di sostituirsi, essi, ai parlamentari in carica. Era stato creato il clima per la congiura dei baroni. Ma tutto questo non era che il concretarsi di uno stato d'animo pura1nente negativo. Distribuito nelle formazioni politiche classiche, nelle amministrazioni, negli enti economici locali, nelle cooperative agricole, nelle associazioni di categoria, il sovversivis1no non avrebbe potuto, anche se riusciva a isolare il Parlamento e i parlamentari nella loro « fortezza senza finestre», diventare una forza attiva senza l'intervento di un altro elemento: quello dei funzionari e degli « uomini dell'età di mezzo>>, i quarantenni che avevano fatto la resistenza non soltanto per sconfiggere i tedeschi ma anche per riformare il paese. Funzionari e « uomini dell'età di mezzo» (non ci si meravigli della definizione: essi rappresentano, psicologicamente e politi- [22] Bibliotecaginobianco

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