Nord e Sud - anno V - n. 47 - ottobre 1958

bia Saudita o in Giordania, nel Libano o nel Kuwait, non è affatto una sorta di guerra santa contro le rivendicazioni nazionali degli arabi, ma una lotta per il contenimento di un espansionismo comunista che si presenta nella forma più subdola e pericolosa che si sia finora vista, e rientra nel pit1 vasto quadro della lotta per il contenimento dell'espansionismo comunista in tutto il mondo, della sfida che il sistema totalitario ha lanciato a quello democratico e che questo non poteva non accettare. Noi democratici siamo ben convinti che la libertà « ha l'eterno » e che pertanto saranno i sistemi democratici a vincere la scommessa: ma perchè ciò avvenga è necessario, ovviamente, che roccidente non perda le puntate più importanti, non si abbandoni alla fede cieca nella provvidenza 1na aiuti la provvidenza, non dimentichi l'esperienza degli anni '30, non dimentichi che un intervento tempestivo e consapevole può tirarsi addosso i fulmini e le cri ti che acri dei pacifisti stolidi e pasticcioni, ma certamente eviterà guai enormemente più gravi nell'avvenire; è necessario, insomma, che l'Occidente abbia il coraggio e la vol'ontà di difendersi. Appunto p~r questo noi abbiamo visto negli sbarchi di marines americani 11elLibano e di paracadutisti inglesi in Giordania un atto responsabile. Il Times di Londra ha scritto che l'invio di truppe inglesi a sostegno di Hussein era una di quelle cose di cui si può dire: « voi sarete dannati se lo farete e sarete dannati se non lo farete ». Il motto è efficace: ma è almeno pa- . radossale che i maestri dell'empirismo paghino siffatti tributi alla concezione mistica della storia. Noi non viviamo nella notte e dunque non tutte le vacche hanno lo stesso colore: a fare lo sbarco si è dannati per un giorno, a non farlo si è dannati per sempre. Posta la questione nei suoi termini esatti r1on può esservi dubbio sulla scelta da fare. È evidente, però, che siffatti interventi non possono e non devono essere un fatto isolato: se la diplomazia americana e quella britannica li concepiscono a questo modo avrebbero fatto un errore sciagurato. Essi devono essere piuttosto l'indicazione che l'Occidente ha deciso che si è ormai giunti, nel Medio Oriente, ad un punto oltre il quale non sono più possibili le infiltrazioni e i colpi di mano e i noyautages di apparati statali e le instaurazioni di tirranidi militari xenofobe; che ciò che esso si .appresta a difendere in quelle regioni è niente altro che il ' minimo necessario alla sua sopravvivenza. Non vi è, dunque, una politica che sia alternativa a questa, ma solo ve ne può essere un'altra complementare: il fatto che proprio gli inventori della « dottrina Eisenhower » abbiano dovuto ordinare a reparti di marines di sbarcare nel Libano è la controprova della yerità di questo concetto. E non sembra esservi dubbio che quando lo si dimenticasse tutti i nuovi piani andrebbero incontro agli stessi insuccessi cui è andato jncontro appunto la « dottrina Eisenhower ». Questa rivista è stata, se non andiamo errati, la prima in Italia a chiedere un « piano» per il Medio Oriente simile al « piano Colombo»: ma allora il Canale [40] A Biblioteca Gino Bianco

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