Nord e Sud - anno V - n. 44 - luglio 1958

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 44 * LUGLIO 1958 Bibloteca Gino Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Editoriale [~] Rosario Romeo Problemi dello sviluppo capitalisticoin Italia dal 1861al 1887 [7] Renato Giordano Riarmo atomico ed unità europea· [ 61] N.d.R. Marcello Fabbri - Bruno Lauretano Mario Arpea· Nicola Tranfaglia Fausto Nicolini GIORNALE A PIÙ VOCI Il grimcildellodeteriorato [73] Il coordinamento dei coordinatori [76] Formatività e integrazione culturale [80] Aspetti sociali del problema abruzzese [83] Cronacadi un processo [85] Sassolit2iin piccionaia [92] RASSEGNE Stefano Rodotà I sei mesi difficili e sterili dell'Università italiana [ 94] Gilmo Arnaldi Viaggio in Italia [116] Antonio Palermo Ennio Ceccarini Una eopia L. 300 • Estero L. 360 Ahhonamentis Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 aemeatrale L. 2.200 Effettuare i Tenamenti sai c.c.P. n. 3/34552 intestato a Amolclo Moncladori Eclltore • Milano Bibloteca Gino Bianco Diario in pubblico [120] Ottavio di Saint-Vincent [123] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale Nel commentare, e nel critz'care, un anno fa, l'avvento del governo monocolore pres~ieduto dall'onorevole Zoli sottolineammo che i problemi fondamentali' della vi'ta del paese erano facilmente visibili e potevano essere individuati nel modo seguente: ri'gorosa applicazi'one del piano V anoni, risoluta iniziativa europeistica, coraggiosa liberalizzazione della vita pubblica, intesa anche e forse soprattutto come restaurazione dello Stato, chiusura intransigente alle destre e ai comunisti. Erano problemi· di natura assai simile a quelli che s'erano, imposti nel 1946, nel· 1947, nel 1948; o, se si preferisce, erano gli stessi· problemi· di allora· come erano venuti' maturando attraverso tutto ciò eh' era stato fatto i'n di"eci·anni· e attraverso le esperienze prati'che ed i'deologi'che che s'erano accumulate nel frattempo. E sono ancora i problemi di oggi. Dalla costituzi'one del governo Zoli è trascorso un anno che non ha mutato nulla: un anno perduto. Non è certo mutata la si'tuazi·one dell'occupazione, il contrasto stn'- dente tra le due ltali'e economiche e la necessità· di concili'arle; non è certo diminuito il bisogno di una politi.ca di· sviluppo concepita come un intervento in tutto i"l paese e non pz'ù come un i'ntervento anti-depressivo in questa o quella regione; nè è span'to il bisogno di un'organica ri'forma di certe strutture della vita economz'ca i'tali'ana. Semmai l'anno che s'è perduto, l'evolversi· della congz,'untura mondi'ale e i'tali'ana, le scadenze dei trattati' europei, hanno reso ancor più pungenti quelle necessi'tà. E come . perti'nentemente osservava La Voce Repubblicana del 13 gi'ugno « il compito fondamentale della presente legi"slaturadeve essere quello d1:sollecz·- tare l'attuazi'one del piano di' svz'luppo del reddito e dell'occupazione, e l'impegno democratz'co del governo o dei governi si potrà misurare dalla capacità di resistenza ai' gruppi' di pressi'one, z· quali finora sono ri·usci'ti [3] Bibl teca Gino Bianco '\

ad 1:mpedirela piena attuazi·one d1:un simile programma; un programma che deve avere co1ne obiettivi fondamentali quelli della lotta alla dz'soccupazz·one,di una più soddisfacente distrz·buzione terrz·tor1:aldeel reddt.to, della stabilità dell'economia z·taliana >>. Neppure è mutata l'esigenza dell'inz·z1:ativaeuropeistica: anzi, anche qui si può d1:reche le diffz·coltà si sono accresciute e che il tempo delle grdnd1:risoluzi·oni è forse pz·ù prossimo di quanto si· creda. Quel che è accaduto e che sta accadendo z·n Francz·a è amaro e sconvolgente: ma questo non è il momento delle analisi di ciò che accade, è pi"uttostoquello delle prevision1:dell'avvenire. Nessuno può dubitare della ti·epidezza europeistz"cadella équipe che sembra avere z·zpotere in Franci·a; nessuno può dubitare della sua tiepidezza atlantica. Certo la Francia non farà gesti clamorosi, non si ritrarrà da alleanze, non denuncerà trattati; ma altrettanto certamente essa prenderà tempo, metterà avanti i"nterpretazi·onisottili· e formule immagz·nose, solleverà cavilli, farà svogli"atamente quel che avrebbe richiesto, per riuscire, un impegno entusiasta. La costruzz·oneeuropez·sticari·schieràdi andare avanti tra infiniti· colpi·, seppure n:ndràavanti e non si infrangerà sulle secche di un nuovo scambio nello stile di' quello del maggio-gz'ugno 1954; la comunùà polùica europea diventerà sempre pz·ù occasione per chiusure retori.che dei di.scorsi dei comizi; la solidarz·etàoccidentale rz·ceverànuove incri·nature. E alla fine d1:tutto ciò è possz'bileche gli Stati Uniti, delusi e frustrati, di.ano mano ad un nuovo agonizing reappraisal della loro politica estera, del loro impegno europeo; è possibile che i miti che agita Kennan cominci"no ad apparire concreti programmi politici ai dirigenti del Dipartimento di 5'tato. E allora sarà la balcani"zzazione dell'Europa: una balcanizzazione nello stile dell'entre-deux-guerres, e doè una polveri.zzazz'one, una perdùa di potere e di benessere, un -immiserz'mentopoliti·co, morale ed economico. Un processo al termine del quale può perfino esservi un'altra balcanizzazione, nello stile del secondo dopoguerra questa volta. È perciò più che mai necessario che la direzione della politica estera ùaliana sz'az'n,mani assolutamente responsabili~nelle mani· dz' persone che non si lasdno lusz'ngareda mz'raggiafro-asz'atid,che tengano fermi z·punt,; fondamentali della dottrina che fin qui ha gui·dato l'ori·entamento i·nternazi·onale del nostro paese: l'inizz"ativaeuropeistica e la solidarietà atlantica. Noi vorremmo che si n'fiettesse che mai come in questo momento ' [4] BiblotecaGino Bianco

tante responsab1:Zitàgravano sul nostro paese, sui nostri: governanti 1:n matena di poli"tica estera; noi vorremmo che· si rifiettesse che le facili' sicurezze: « non vi saranno guerre», << dopo tutto si va alla distensione>>; non servono a nulla, perchè il periodo politico è ,profondamente mutato 11egliultimi mesi e soprattutto perchè i veri pericoli non sono quelli della guerra, ma sono quelli della balcan·izzaz,ione dell'Europa. Un'Italia che si mostrasse incline alle tendenze centrifughe potrebbe suggerire alla Francia, scossa dalle ulti"me convulsioni del nazionalismo, tutte le tent'azi'oni; un'Italia ferma nella volontà unitaria, e risoluta a pr.oseguire nel camm1:no intrapreso, potrebbe far tramontare eventuali sogni velleitari d'oltre-Alpe. ' Per le ragioni che si· sono dette finora di politz'ca economi'ca e di politica estera non si' può non perseverare nel proposi'to di chiudere ermeti'camente la strada alle destre e ai comunisti. Le destre al governo sìgnificherebbero l'involuzi'one conservatri·ce della politica economica e il rischi'o di balordaggi'ni· nazi'onalistiche in politica ester_a.D'altro canto restano ferme oggi le stesse esclusioni morali. che i'nducevano a tenere isolati e le destrè e i comunisti. Nessun tattici'smo, nessun an1aro autolesionismo, nessun gusto di' procurare che le cose avvengano per grz'dare poi « al ladro )), nessuna strategia da generali di' cartone, ci· i'ndurrà a dire una parola o a fare qualcosa che possa agevolare, sia pure negativamente, un qualsi'asi· successo delle destre. E nulla mai ci indurrà a fare la minima cosa che possa agevolare operazioni· frontiste.· Resta, finalmente, il problema della restaurazi'one dello Stato, un problema che talune i'nizi"ative di' circoli e di personal1:tàe di· organi d'oltreTevere hanno reso più pungente e grave, inducendo le coscienze, inquiete e rr:sentite, a chiedersi· se per caso non si fosse toccato un punto dal quale era impossibile tornare indi'etro. Ma questo della restaurazione dello Stato, che per natura intri"nsecapuò appari're ed è spesso un problema di· digni'tà, ci.vile e di· moralità, quando è posto in poli"ti"cachiede una soluzione politi-ca: e la soluzione politi'ca i'n questo momento in Itali·a consiste nel portare quanti pi"ù cittadini: è possz'bile a presidiare lo Stato e non nel chiudersi in uno splendido z'solamento ed in uno splendido orgoglio di mi'noranze sagge e lungimiranu:. Portar~ t-Zmaggi'or numero di' persone, si· è• detto; e conviene aggi1,ngere subito: indt"pendentemente dalla loro fede religiosa. Il che vuol dire non fare un fasci'o di' tutti z· cattolici per regalarli poi~ stretti con un nastro dorato, a,: santi padri e patroni dell'integralismo e I f51 Bibloteca Gino Bianco I

della destra clericale, economi·ca e... e chi p-iù ne ha più ne metta. Si tratta, perciò, di tradurre in termini di riforme polz.tiche questa richiesta sacrosanta della restaurazi·one della di·gni.tà dello Stato (riforme politi.che, e cioè testi legislativi su tutte le materie che si rz·tengono interessate, dalla scuola al regolamento degli interventi ecclesiastici· nelle lotte po~itiche) e di promuovere tali ri"f orme con tutte le forze. Proprz·o perchè ,:l problema è della massima ·importanza e va risolto subito, la strada migliore non è certo quella che porta a constatare una propri"aastratta superi'orz·tàal paese o a prepararsi psicologicame11te alle congiure da carbonari. Quando un anno fa indicammo quelli che a nostro gi·udizio erano i problemi fondamentali del paese constatammo anche la dislocazi·one della m.aggioranza parlamentare che nel 1954 s'era posto un sz·mile programma e suggerz'mmo che si avesse il coraggio di· andare al paese, per chiedergli ' una maggioranza per tale politica. Ora le elezioni hanno avuto luogo e nel Parlamento · liberamente eletto v'è, sembra a no-,:,una maggi·oranza per questa politica, una maggioranza di· centro sini·stra. Si può governare in Italia per cinque anni· senza essere sottoposti alle i'mposizioni· della destra economi·ca e si può fare una grande poli"tica, che dz'a mano a risolvere problemi· decisi'vi della vita nazionale. Il tempo non è più, a nostro giudizio, per le attese, per le manovre, per le scomuni·che. Il paese chiede azione, ed· azione subito. [6] Bibloteca Gino Bianco

· Problemi dello sviluppo capitalistico in Italia dal 1861 al 1887 di Ro1ario Romeo I I Riprendendo, a tanta distanza di tempo, la discussione aperta un. paio d'anni fa con la mia rassegna della s_toriografìamarxista del dopoguerra in Italia (1 ), non intendo certo raccogliere o ribattere tutte le osservazioni ed obiezioni che sono state sollevate su singoli giudizi o affermazioni con• tenuti in quei miei articoli (2): ritenendo che per questa parte quel che già è stato detto da me e dai miei interlocutori possa bastare al lettore per formarsi un proprio e indipendente giudizio su quelle questioni. Mi limiterò dunque a respingere l'accusa che mi è stata mossa di aver voluto ( 1 ) Nord e Sud, n. 21-22, agosto-sett. 1956. Impegni di vario ordine mi hanno a lungo impedito di attendere al saggio che ora vede la luce. Del ritardo chiedo scusa ai lettori della rivista e ai miei COl'tesi contraddittori. (2) Elenco qui gli interventi di cui sono venuto a conoscenza: C. PAVONE, Qual'è il peso del marxismo ndla storiografia contemporanea ital,:ana, nel Punto, I, 18-19,29 sett. - 6 ott. 1956; G. ARNALDI, Una rivoluz1:one mancata alle origini del-- l'Italia moderna, ivi, I, n. 22, 27 ott. 1956; E. P1sc1TELLI, Per una cr,:tica non ideologica, ivi, I, n. 27, 1° dic. 1956; C. CEsA, Grantfci e l'idea liberale, ivi, I, n. 30, 22 dic. 1956; Sugli storie,: marxisti, nel Contemporaneo, III; n. 42, 27 ott. 1956; R. VILLARI, Questione agraria e sviluppo del capitalismo, in Cronache Meridionali, III · (1956), p. 536 sgg.; L. CAFAGNA, Intorno al 'revi'si·oni'smo ri'sorgimentale ', in Società, XII (1956), p. 1015 sgg. - Un carattere diverso, in quanto diretti principalmente a contestare certi miei giudizi intorno a loro scritti, hanno gli interventi di A. RoMANo, in Nord e Sud, n. 24, nov. 1956, p. 108 sgg., e di G. DE RosA, in Rassegna di politica [71 • Bibloteca Gino Bianco I

dare una << battaglia di annientamento )> contro l'intera storiografia marxista italiana, o di aver voluto « mettere fuori combattimento >> questo o quello studioso (3 ): marziali pr.opositi che mai mi sono indugiato a coltivare, e che presupporrebbero da parte mia una mancanza di autocritica e di senso delle proporzioni, nonchè una animosità verso studiosi fra i quali non sono pochi i miei amici personali, che non sono disposto a concedere. In realtà, mi premeva di sottolineare che l'adesione al marxismo di parecchi storici itali~ni è avvenuta sotto l'azione combinata di motivi complessi, tra i quali la passione e gli atteggiamenti politici contingenti hanno svolto un ruolo dominante, che ha portato all'affrettato abbandono di posizioni idealistiche non adeguatamente criticate, senza neppure una seria meditazione delle stesse dottrine marxiste, nelle quali adesso sembrava di scorgere una nuova e universale panacea politico-culturale. A questo ·proposito mi si ~ fatto osservare, sul Contemporaneo (4 ), che io stesso ho tracciato un pr.ofilo diverso di ciascuno di quegli studiosi, mostrando così che il-marxismo non è stato accettato come un'uniforme frettolosamente indossata, ma che piuttosto storici di formazione_ e sensibilità assai diversa sono giunti al marxismo attraverso il riesame critico di concreti problemi stoe storia, n. ·25, nov. 1956, pp. 7-9 (ripreso, questo, da p.p., Polçmica chiarificatrice su due tesi storiografiche, nel Popolo del 2 dic. 1956, e da G. Ross1N1, Ritratto di una rivista, nello stesso giornale, 20 dic. 1956). Al Romano replico in fondo al presente articolo; del De Rosa non vale la pena di occuparsi più oltre. In un articolo apparso sul Giornale di Napoli del 13 febbr. 1957, Raffaele Colapietra, dopo un paio di grossolanità, forse involontarie, verso la mia persona, e contestualmente a una critica del presente saggio ... che non era stato ancora scritto, osserva che nel complesso la reazione della storiografia marxista alla mia rassegna è stata meno vivace di quel che avrebbe potuto, per essere in quel tempo gli intellettuali marxisti travagliati dal rapporto Krusciov e sue conseguenze. E può ben darsi: ma perchè mai non si è fatto avanti il Colapietra medesimo, che non mi risulta fosse altrettanto travagliato, a dar lui quella critica radicale che dai marxisti non è venuta? A indicare poi il livdlo davvero risibile a cui può scendere certa storiografia accademica quando sfiora questi problemi, ricordo qui il riassunto della relazione del prof. RoBERToCESSI, Pr~blemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci, presentata al Convegno di studi gran1sciani promosso dall'Istituto Gramsci di Roma, 14-16 dic. 1957. ( 3 ) C. PAVONE, cit. ( 4 ) 27 ott. 1956, cit. Bibloteca Gin.o Bianèo [8] \

riografici, in cui ciascuno ha portato i suoi specifici e individua_li interessi. Il << processo » storico-culturale risultante dalla somma di queste varie espe~ rienze culturali appare per ciò al Contemporaneo assai più significativo e legittimo culturalmente che non la costruzione di una << metafisica marxista)), di cui io avrei sottolineato la mancanza a riprova del carattere extra-culturale e politico di molte «conversioni>> al marxismo. Al che è facile ribattere che le vie seguite dai protagonisti d_iquel processo sono state diverse e indipendenti in tutto, tranne che nel punto più importante: nel modo in cui è avvenuta l'adesione al marxismo stesso e alle posizioni gramsciane, che appare sostanzialmente aprioristico e acritico anche quando si appoggia a grossi volumi di ricerca. Quelle posizioni, che dovrebbero essere il risultato di una consapevole meditazione, sono infatti adoperate fin dall'inizio come strumento. di direzione e di controllo della ricerca medesima, sì che ogni indagine particolare è già inserita in una visione generale della storia d'Italia preventivamente accettata, e di cui non è mai stata data una seria discussione. Certo, io non ho mai preteso di negare la individuale personalità degli storici che ho preso ad esaminare: ma è un fatto che questa varietà da ultimo finisce per appiattirsi sullo sfondo di uno schema immutevole e, per così dire, sopraordinato, che è nel nostro caso la universale accettazione (con la sola eccezione di Aldo Romano, sull~ cui posizione torneremo in fondo a questo scritto) della tesi di Gramsci sul Risorgimento. E del resto, che la componente politica abbia avuto una parte davvero eccessiva nella storia del marxismo italiano di questo dopoguerra, si scorge non solo all'inizio, ma, possiamo ormai dire, anche alla fine di questa fase della sua storia. Se all'origine di molte adesioni al marxismo erano stati i successi politici del partito comunista, l'abbandono del partito e dello stesso marxismo da parte di un gran numero di intellettuali, e la crisi generale del fronte culturale comunista alla quale abbiamo di recente assistito, è anch'essa dipesa essenzialmente da fatti politici, che hanno indotto per la prima volta a dubitare della validità di formule ripetute per anni con cieca fiducia. Ora, per quanto rispettabile sia stato il travaglio interiore che ha condotto molti studiosi all'a.b1 bandono delle file comuniste, e quindi a un più distaccato atteggiamento rispetto al bagaglio ideologico-cultural_edel partito, noi non possiamo rassegnarci ad ammettere di dover cambiare la nostra visione della storia d'Italia ad ogni rivolta ungherese: anche perèhè dubiteremmo di dover . '[9] Bibloteca Gino Bianco

poi procedere all'operazione inversa all'improvviso lancio di un qualche Sputnik! Del resto, lo scompiglio che ha percorso le file degli intellettuali comunisti può forse ·condurci a qualche positiva conclusione. Ormai sem·bra si p_ossadire che il marxismo, anticipatamente scacciato dalla cultura italiana, e rientratovi tumultuosamente in un periodo agitato della vita del nostro paese, ha subito in questi anni la sua crisi di maturazione italiana, liberandosi dagli elementi eterogenei che si era frettolosamente associato, e anche, in parte, da certe .incongrue pretese e atteggiamenti innovatori che hanno un sapore alquanto anacronistico in un ·paese di cultura moderna a metà del XX secolo; e che ormai esso debba considerarsi una componente « normale » della cultura italiana come di tutti gli altri paesi occidentali, priva di effettive possibilità egemoniche, ma tuttavia destinata a svolgere a 4 ncora una funzione di stimolo e di controllo, di indubbia utilità. Non si tratta dunque di scatenare « battaglie di annientamento )) contro di esso : ma di meditarne gli apporti e di vedere di inserirne i risultati nel complesso tessuto che la nostra cultura viene continuamente lavorando sull~ base di più moderne e varie esperienze. Ed è proprio in questo spirito che qui si vorrebbe riprendere l'esame delle tesi gramsciane sul Risorgimento, in relazione a un tema di fondamentale importanza per la nostra storiografia come quello dello sviluppo del capitalismo nel nostro paese. Fin da ora occorre chiarire tuttavia che la funzione di stimolo che indubbiamente la tesi del Gramsci esercita ai fini della ricerca storica, non elimina il suo carattere fondamentalmente pratico-politico, né legittima, mi sembra, una sostanziale distinzione tra essa e le altre manifestazioni ·del << revisionismo risorgimentale)>. Il Cafagna ha· osservato, in un eccellente articolo ricco di preziose osservazioni, che a differenza del Gobetti e del Dorso il Gramsci si è sforzato di fondare << scientificamente >> la sua azione politica, costruendola sulla base della analisi storica della questione agraria italiana (5 ). Ma in fondo questa analisi rimane sostanzialmente intellettualistica (6 ), non meno delle impostazioni dorsiane o gobettiane della conquista regia ecc., e priva di quei riferimenti empirici, di quel (5) L. CAFAGNA, pp. 1017-1022. ( 6 ) Come riconosce, in parte, lo stesso CAFAGNAp, . 1019 nota 4. (10] Bibloteca Gino Bianco

iegame cioè con l'indagine e< di fatto)> che rimane, sostanzialmeD:te, la più concre~a difesa contro i pericoli dell' <e orianesimo ». Si può anche adottare, senza bisogno di eccessiva spregiudicatezza, un modello ipotetico di sviluppo storico, quale è appunto la rivoluzione agraria del Gramsci, come strumento ausiliario dell'indagine: chè nessuna critica storica e politica sarebbe possibile qualora si rinunciasse all'uso di schemi_concettuali di questo tipo, per dirla con uno storico per nulla rivoluzionario in fatto di metodologia come Gerhard Ritter (7 ). Ma nel Gramséi è l'indagine sullo sviluppo storico reale che vien messa al servizio della costruzione di un modello storico astratto, e non viceversa: donde appunto la sostanziale validità, a mio avviso, della caratterizzazione della sua tesi risorgimentale come tesi essenzialmente politica; e insieme, la necessità di « cambiarne il segno >> per renderla adoperabile ai fini dell'indagine scientifica (8 ). Una obiezione importante è stata sollevata da Rosario Villari contro la mia giustificazione della mancata rivoluzione agraria in funzione della accumulazione del capitale. La contrapposizione tra rivoluzione contaqina e sviluppo capitalistico, osserva il Villari, sarebbe valida e< solamente a . condizione che si potesse sostenere che questa tendenza generale era in direzione di uno sviluppo capitalistico rapido ed organico della grande proprietà fondiaria e che, per così dire, l'economia della valle padana rappresentasse la punta più avanzata di un processo omogeneo in corso di realizzazione nella maggior parte delle campagne >> ( 9 ), mentre noi sappiamo che in realtà lo sviluppo :borghese non è riuscito ad eliminare gli elementi di arretratezza· che aduggiavano le campagne italiane, co~e ha sottolineato anche il Pavone (10 ). Si potrebbe ribattere che molti mali dell'agricoltura del nostro paese, come il piccolo affitto o la piccola proprietà polverizzata, non erano eliminabili dalla rivoluzione ( 7 ) G. RITTER, Der Schlieffenplan. Kritik eines Mythos, Miinchen, 1956, p. 95~ (8) G. .ARNALDI, cit. ( 9 ) R. VILLARI, P· 539. ( 10 ) Nel Punto, 29 sett. 1956. 1111 Bibloteca Gino Bianco

agraria, che favorisce i contadini più abbienti; che la mezzadria non sempre rappresenta un fatto di arretratezza ma è assai spesso il prodotto di particolari caratteristiche tecniche e commerciali della produzione, p. es. vinicola, la quale comporta un elevato margine di rischio che la mezzadria tende a distribuire tra proprietario e colono ecc. Ma piuttosto che ingolfarsi in una discussione sui possi'bili o probabili effetti, in questo settore, di una rivoluzione agraria che dopo tutto rimane meramente ipotetica, occorre precisare il concetto stesso di accumulazione capitalistica, alla luce del quale vanno interpretati i dati disponibili sulla situazione agraria italiana a metà del secolo XIX. È noto che il concetto di « accumulazione primitiva del capitale >> venne formulato da Marx come fase logicamente antecedente all'inizio del processo di riproduzione del capitale che si realizza nel modo di produzione capitalistico. Nella fase della accumulazione primitiva non esiste ancora il capitale· destinato poi a riprodurre se stesso e ad accrescersi con l'aggiunta del plusvalore estorto alla forza-lavoro da esso soggiogata. Alla tesi smithiana che ne aveva visto l'origine nella astinenza del piccolo produttore pre-capitalistico, Marx contrappone un quadro grandioso della formazione «violenta>> del capitale, nato dalla espropriazione brutale e forzosa dei contadini, delle « leggi di sangue )), dallo sfruttamento indiscriminato e piratesco dei popoli coloniali. All'origine, si tratta dunque di un concetto carico di elementi polemici, e, come tale, difficilmente suscettibile di un soddisfacente impiego in sede scientifica. Il suo nt1cleo originale ha tuttavia svolto un ruolo importante, fornendo -p. es. la ispirazione alla tesi del Sombart sulle origini del capitalismo moderno; e più tardi esso è stato ripreso e ulteriormente elaborato nei recentissimi di1 battiti della scienza economica di questo dopoguerra, accentrati appunto attorno alla teoria dello sviluppo economico : che, stimolata dai problemi del progresso dei paesi sottosviluppati, si è poi allargata a un esame più generale di tutto il problema dello sviluppo, storicamente inteso, e studiato dunque anche nei paesi di più antica industrializzazione. << In recent times the center of interests has returned to the classica! problems of the overall growth of the economy >>(11 ); e in questo quadro la teoria marxiana (la cui paternità, non sempre esplicitamente ammessa, non è tuttavia meno ( 11 ) J. RoBINSON, The Accumulation of Capitai, Lo d 1956 VI n on, , p. . [12] Bibloteca Gino Bianco

evidente) (12 ) ha assunto una nuova vitalità. Il che dimostra, di passata, come sia infondata la questione, so]levata dal Pavone, di un mio preteso marxismo (13 ) per aver fatto uso del concetto di accumulazione primitiva, che è divenuto in realtà uno strumento di lavoro per gli studiosi di ogni tendenza. Ciò che importa sottolineare è piuttosto che ogni ricerca modernamente intesa sullo sviluppo capitalistico del nostro paese non può prescindere da questi più recenti progressi della scienza economica, a patto di nascer già invecchiata e superata; ed è pertanto auspicabile che anche i nostri studi storici tengano conto del lavoro svolto parallelamente dagli economisti, teorici e storici, realizzando così una collaborazione che per la storia italiana del secolo XIX potrebbe rivelarsi non meno feconda che per altre epoche: e basta pensare a quel che ha significato la cooperazione tra gli storici p.olitici e quelli del diritto e d,ell'economia per lo studio della età comunale agli inizi di questo secolo. Non che siano mancate critiche aì concetto di accumulazione primitiva. La più recente e vigorosa è dovuta al Gerschenkron (14 ), e parecchie delle sue osservazioni hanno una indubbia val~dità. Il Gerschenkron ha sottolineato l'implicazione deterministica racchiusa nel concetto stesso di una determinata fase storica - quella dell'accumulazione - come tappa di passaggio obbligato per tutti i paesi ih via di industrializzazione, e ha mostrato la necessità di evitarla affidandosi alla mera constatazione empirica della presenza o meno nella storia dei vari paesi di una fase di << big spurt » economico, in funzione del quale solamente è pensabile un processo di accumulazione primitiva; e ha sopratutto mostrato i rischi della eccessivaindeterminatezza cronologica del quadro storico disegnato da Marx e sviluppato dai suoi seguaci, che ha finito per estendere la fase dell'accumulazione a un periodo addirittura secolare. Accade così che di accumulazione capitalistica si parli p. es. per il Basso Medioevo italiano o per il '500 tedesco, dimenticando che la ricchezza accumulata dai Fugger .andò dispersa nelle ·bancarotte dei re di Spagna, e che sopratutto la guerra .dei trent'anni distrusse ogni residt10 dei capitali preventivamente accu- ( 12 ) La relazione per altro è esplicitamente indicata da A. GERSCHENKRON, Re. jlections on the Concept of 'Prerequisites_' of Modern lndustrialization, nell'Industria, 1957, p. 358. ( 13) Nel Punto, 29 sett. 1956. ( 14 ) Refiections, cit. p. 357 sgg. Bibloteca Gino Bianco [13]

, mulati. Si tratta, osserva giustamente il Gerschenkron, di << dettagli >> storici che non si saprebbero facilmente trascurare. Per di ·più egli sottolinea che il « big spurt » industriale è avvenuto con metodi e processi diversi nei vari paesi; e che per es. alla preminente funzione del capitale agrario e commerciale in Inghilterra ha fatto riscontro la funzione dominante delle banche in Francia e in Ge.rmania e quella dello Stato in Russia (15 ), sicchè appare ben difficile ammettere, in questa varietà di situazioni, che vi sia stato nei diversi paesi un processo fondamentale nconducibile alle medesime caratteristiche. Il Gerschenkron ritiene perciò che il concetto di accumulazione primitiva vada messo interamente da parte, e propone che invece si adoperi la teoria dei gradi diversi di arretratezza, ciascuno dei quali presuppone un diverso schema di sviluppo a seconda d·ei « prerequisiti » esistenti (16 ). Ma per quanto si~ ricca di spunti suggestivi questa teoria del GerschenkronJ non sembra eh' essa possa valere a spiegare se non alcuni aspetti del problema dello sviluppo; e ad ·es. in Italia, come vedremo, aumento della produzione agraria, politica fiscale dello Stato e azione delle banche si sono intrecciati in un processo che non può essere interamente illustrato alla luce della teoria sostenuta dal Gerschenkron. Si può osservare inoltre che se anche i capitali accumulati qualche secolo avanti non hanno esercitato una reale funzione nel processo di sviluppo industriale del XIX secolo, non è però da trascurare l'importanza che ai fini della accumulazione del capitale ha la formazione di quelle concentrazioni di ricchezza e di quelle posizioni di predominio nella vita economica che si traducono in più elevata capacità di risparmio da parte dei ceti più ·fortunati: la quale, rimasta sterile fìnchè la società è dominata da modi di produzione arretrati, prende poi la via dei finanziamenti industriali ( 15) Per questo, oltre quel che si legge in Refiections, pp. 368-71, cfr. dello stesso GERSCHENKRON, The Rate of ]ndustrial Growth in Russia since· 1885, in The Task of Economie History, suppl. VII (1947); loEM, Economie Barkwardness in Historical Perspective, in The Progress of Underdeveloped Areas, a cura di B.F. Hoselitz, Chicago, 1952, p. 9 sgg.; IDEM, The Problem of Economie Development in Russian lntellectual History of the Nineteenth Century, in Continuity and Change in Russian Soviet 11hought, a cura di E.J. Sin1Illons, Cambridge, Mass., 1955. ( 1 6) Su di essa, cfr. specialmente GERSCHENKRON, Economie Backwardness, cit.; e anche, IDEM, Reflections, cit., p. 365 sgg. . [14] Bibloteca Gino Bianco

quando si è entrati nella nuova fase del progresso tecnico e del predominio delle attività mobiliari, ed esercita una funzione importante specialmente all'inizio del processo di industrializzazione. La fase della accumulazione non va poi necessariamente concepita come cronologicamente antecedente a quella dello sviluppo industriale, potendosi benissimo verificare una contemporaneità tra i due processi: come mostra lo stesso esempio russo ricordato dal Gerschenkron, in cui lo sviluppo industriale del 1890-1900avviene sì in fase di depressione ·agraria, ma « to some - extent the crisis was caused by the fact that industrialization was financed, and, among other things, food supplies to the cities and for export were made available, at the cost of a confiscation of peasant income and to some extent even at the cost of capita! depletion »; e come mostra, su scala assai maggiore, la storia dell'industrializzazione sovietica (17 ). Ma sopratutto va osservato che i vari processi di sviluppo industriale ricordati dal Gerschenkron si riportano tuttavia a una base comune, verificabile sia che si tratti di spontaneo afHusso di capitale agrario e commerciale alle industrie sia che la funzione di meccanismo propulsivo dell'economia venga assunta dalle banche o dallo Stato. In ci~scuno di questi schemi di sviluppo è infatti constatabile un afflusso di redditi prodotti in altri settori economici verso gli investimenti industriali, e un conseguente e inevitabile contenimento dei consumi, sia che questo venga imposto attraverso pr.ocedimenti come quelli delle enclosures inglesi, sia che venga provocato dalla formazione di risparmio forzato attraverso la politica inflazionistica (creazione di moneta creditizia) da parte delle banche, sia determinato dal prelievo di una forte aliquota del reddito nazionale da parte della Stato ai fini di un programma di pubblici investimenti indu- ~triali. Lo stesso Gerschenkron osserva che solo quando si riesca a finanziare lo sviluppo industriale prevalentemente attraverso l'importazione di ( 17) Refiections, cit., p. 371. E cfr. A. BAYKov, 11he Economie Development of Russia, in The Econ. Hist. Rev., Serie II, vol_.VIII (1954), p. 143: « ... the cost of building this new basis for the future development of Russian industry was borne, in .the main, by the peasantry. In the last analysis, it was the Russian peasantry who paid for the foreign loans contracted for the bulding of the Russian railway· system and for the foreign investments in mining and the iron and steel industrie~ of the southern regions ». Cfr., dello stesso A. BAYKov, Lo sviluppo del sistema economico sovietico, tr. it., Torino, 1952., [15] Bibloteca Gino Bianco I

., capitali esteri o l'impiego di riserve metalliche già tesoreggiate, è possi~ bile evitare un ab·bassamento d·el livello dei consumi. Ma a parte questi casi (mai realizzatisi su scala rilevante), l'obbiettivo di « avoid reduction in levels of consumption ... is something whicl1 neither the credit creating policies of banks nor the government policies of tax financed expenditures can achieve » (18 ). Siamo così giunti al nucleo centrale di queste nostre considerazioni sul concetto di accumulazione primitiva. La quale, in termini moderni, può essere definita come un drastico spostamento, in un paese in fase di economia preindustriale, del rapporto tra consumi e investimenti, di-1 retto a intensificare l'affiusso di risparmio prodotto in altri settori economici al settore degli investimenti industriali. La teoria ha creduto di poter precisare l'entità di questi spostamenti, indicando il meccanismo essenziale di ciò che chiamiamo << rivoluzione industriale>> nel -passaggio da una aliquota di investimenti netti pari al S;~ del reddito nazionale, quale si riscontra nei paesi in fase di stagnazione economica, a una aliquota del 12 % .o più, che è tipica dei paesi •in fase di << big spurt » economico (19 ). Ma, qualunque sia il valore di questa semplificazione teorica, << the essence of the process » può ben essere d·efinita come << the diversion· of a part of society's currently availa1 ble resources to the purpose of increasing the stock of capitai goods so as to make possible an expansion of consumable output in the future » (20 ). Ed è qui che si scorge l'equivoco fondamentale al quale, stil piano economico, si riduce la tesi del Gramsci. La rivoluzione agraria, e la correlativa conquista della terra da parte dei contadini, si traduce essenzialmente in un innalzamento dei consumi delle masse rurali, è quindi in un ampliamento del mercato; e proprio nella ristrettezza del mercato derivante dalla mancata rivoluzione agraria si indica la limitazione fondamentale dello sviluppo capitalistico italiano, il suo vizio d'origine, che lo avrebbe avviato sulla strada del compromesso con gli elementi feudali ecc. Ma in realtà, il problema fondamentale di un paese agli inizi del proprio sviluppo industriale non ( 18 ) Refiections, cit., p. 369. ( 19) W.A. LEwrs, 11he 11heory of Economie Growth, .London, 1956, p. 208. f>) R NURKSE, Problems of Capitai Formation in Underdeveloped Countri·es, New York, 1953, p. 2. [16] Bibloteca Gino Bianco

.. è già l'ampliamento del mercato ma l'accumulazione del capitale come strumento diretto a conseguire un aumento della produttività. Anzi le stesse dimensioni del mercato sono in funzione del livello della produtitività. « The crucial determinant of the size of the market is productivity. In an ·ali-inclusive view, the size of the market is not only determined, but actually defined by the volume of pr1oduction >>. In effetti, « production creates its own demand, and the size of the market depends on the volume of production. In the last analysis, the market can ·be enlarged only through an ali-round increase in productivity. Capacity to buy means capacity to produce» (21 ). Tanto vero che anche un paese enormemente popolato rimane un mercato povero, se è bassa la produttività media per abitante: e basti .per tutti l'esempio della' Cina che, divenuta dop.o il 1928, con la soppressione delle ultime barriere interne, uno dei .più vasti mercati del mondo, è rimasta tuttavia poverissima. {2 1 ) lvi, pp. 8-9. E, con chiarezza anche maggiore, P. SARACENO, Il progresso economico dei paesi sovrapopolati, in Mondo econo.mico, Xl, n. 42, 20 ott. 1956, p. 12, avverte che, a differenza che nei paesi industrializzati, << in una situazione di sotto- . sviluppo... l'esistenza o la creazione di un mercato sufficiente per giustificare il sorgere di nuove aziende industriali non basta perchè tali aziende effettivamente sorgano. Singoli imprenditori, a parte che la capacità imprenditoriale non è un fattore che si può supporre disponibile nella quantità voluta, non avrebbero convenienza a creare le nuove imprese a motivo della mancanza di due ~lementi: a) il complesso di servizi pubblici che sono necessari per rendere conveniente un'industria moderna e che sono ottenibili in gran parte attraverso la costituzione del cosiddetto capital.e fisso sociale; b) quell'insieme di fonti di rifornimento e di servizi privati resi possibili dall'esistenza di un apparato industriale e di tutte le attività non industriali che questo apparato suscita intorno a sé>>. G. HABERLER, Critici/ Observations on Some Cu1-rentNotions in the Theory· of Economie Development, nel· l'Indu.:tria, 1957, p. 376, sottolinea « the patent fact that industriai advance is usually limited by lack of capita!, including " socia! framework investments ", insufficient supply of entrepreneurship, of skilled, trained and disciplined labor and not by the insufficient size of the market». Un tentativo di moderna formulazione della teoria marxista della accumulazione primitiva in M. DoBB, Studies in the Development of Capita/.ism, 6a rist., London, 1954, p. 177 sgg.; ma contro di essa· sembrano assai pertinenti le osservazioni mosse da P.M. SwEEZY, nella miscel- · lanea The Transition from Feudalism to Capita/.ism, London, 1954, pp. 17-20. Cfr., sull'opera dd Dobb, l'importante ree. di R.. H. TAWNEY,in The Econ. Hist. Rev., Serie II, vol. II (1950), pp. 307-316. [17] Bibloteca Gino Bianco

Certo,. l'avviamento di una larga parte del reddito nazionale agli investimenti industriali è possibile solo nel quadro di tutta una serie di premesse, fra le quali la conquista della li1 bertà personale e della libera mobilità della mano d' opera rurale, la formazione di un moderno ordinamento giuridico, l' a:bbattimento degli ostacoli al commercio interno, e degli impedimenti legali alla libera associazione dei ca·pitali a scopo industriale e commerciale ecc. Ma queste premesse erano già state create per gran parte in Italia al tempo della Rivoluzione e dell'Impero napoleonico;· e gli ultimi residui giuridici del mofldo pre-borghese furono abbattuti dalla rivoluzione unitaria. Il problema che si presentava al popolo italiano a metà del secolo XIX era dunque quello di una modernizzazione della vita economica del paese o, come allora si diceva, di un suo ingresso nell'agone della concorrenza industriale con le nazioni più progredite:~ e questo problema poteva essere risolto solo con una accelerazione del processo di formazione del capitale, e quindi con una compressione (o contenimento) dei consumi di massa, e anzitutto di quelli rurali, come è accaduto più o meno in tutti i paesi che han percorso la via della industrializzazione, e in taluni di ··essi, come la Russia o il Giappone (22 ), in misura assai più drastica che in Italia: << if it is desidered to .accelerate ca•pital f.ormation at a time when profits are stili a small proportion of national income there is in practice no other way of doing this than to levy substantialliy up.on agriculture, both because agriculture constitutes SOto 60 per cent or more of the national income, and also 1 because levying u·pon other sectors is handicapped by the fact that it is desirable to have these other sectors expand as part of thè process of economie growth » (22 b 1 '). Il principale ostacolo allo sviluppo del1'industria stava, allora, nella sua modesta potenzialità produttiva, as ( 22 ) Notissimo l'esempio della Russia. Per il caso assai interessante del Giappone cfr. H.K. TAKAHASHI, La piace de la Révolution de Meiji dans l'histoire agraire du Japon, in Revue historique, 1953, p. 229 sgg.; B.F. JoHNSTON, Agricultural Productivity and Economie Development in Japan, in Journa/ of Politica! Economy, LIX (1951), p. 498 sgg.; TH.C. SMITH, Landlords and Rural Capitalists in the # Modernization of /apan, in The /ottrn. of Econ. Hist., XVI (1950) p. 165 sgg.; S. 0KITA, Savings and Economie Growth in Japan, in Economie Development and Cultura! Change, VI, n. 1, ott. 1957. ( 22 bis) LEWIS, p. 231. [18] Bibloteca Gino Bianco I

sai più che nella ristrettezza del mercato: la cui capacità di asso.rbimento eccedeva largamente le possibilità produttive dell'industria nazionale, come mostra il largo collocamento che i manufatti inglesi e francesi trovavano in Italia già prima del 1860, e ancor •più ~ei decenni successivi. Indubbiamente, l'aumento della produttività agricola è spesso una premessa necessaria della industrializzazione, in vista dell'aumentato fab·bisogno di materie prime e derrate alimentari per i nuovi centri industriali, e della necessità di liberare una parte della mano d'opera prima impiegata nell'agricoltura per i n~ovi compiti nell'industria. Ma, a parte il fatto che l'aumento della produttività agricola ha esercitato solo una mediocre funzione in paesi come Francia e Germania, e in particolare nella prima, nella quale la fase di grande sviluppo industriale del Secondo Impero è stata· preceduta da un trentennio di stagnazione agraria; va sottolineato che i frutti dell'aumentata produttività agricola non devono tradursi in un aumento dei consumi rurali, se si vuole che agiscano come acceleratore del ·processodi industrializzazione, e devono quindi essere sottratti, in una forma o nell'altra, ai contadini (23 ). Per di più occorre ricordare che la diversione dei redditi verso l'industria si è spesso tradotta, e deve necessariamente tradursi in una prima fase (e non solo in Italia, ma in tutti i paesi che hanno attraversato una fase di intensa industrializzazione), in una sottrazione di capitali all'agricoltura e dunque, almeno temporaneamente, in un ostacolo al suo progresso. « Conservative critics are (2-1) Oltre ai cit. scritti dd GERSCHENKRON, cfr. NuRKSE, p. 36 sgg., e spec. p. 38: << There is no question of asking the peasants who remain on the land to eat léss than before, only of preventig them from eating more»; p. 43: << The 1nain prdblem is to stop the peasant from consuming more of his produce when family members living off his ouptut go away on capital construction projects. The peasants are not likely to save the surplus voluntarily since they live so close to subsistence level, etc.,; e cfr. anche LEw1s, p. 235. L'incidenza di una riforma della stru~tura agrari~ sul rapporto tra consumi e investimenti è stata largamente discussa nella dottrina economica, che nella sua quasi totalità sottolinea come « le indagini statistiche mostrano che la propensione marginale al consumo decresce quando passiamo da classi con redditi bassi a classi con redditi alti. Se allora prelevo 100 di reddito a un ricco la cui propensione marginale al consumo è di 0,80, e redistribuisco in parti uguali a quattro poveri, la cui propensione marginale al consumo è 0,90, le spese di consumo globali aumenteranno di IO e il risparmio cadrà di altrettanto». Un tentativo di criticare questa teoria è stato compiuto da V. MARRAMA, Saggio ; [19] Bibloteca Gino Bianco

inclined to regard industry and public construction in these circumstances as a parasistic growth that has to be supported by levies on the rural economy - and we can see that there is some _ground for this complaint >> ( 24 ). E vedremo tra poco che anche per l'Italia è. possilbile ricordare interessanti esempi di tali critiche di parte conservatrice. Queste considerazioni preliminari son.o destinate a sgombrare il terreno per l'indagine che qui si cercherà di compiere intorno agli effetti della unità politica, quale si è , realizzata nel 1861, sullo ·sviluppo capitalistico in Italia. Si è voluto assumere quella data come e< terminus a quo >> della nostra ricerca non solo per evitare i rischi, sottolineati dal Gerschenkron, l di un eccessivo ampliamento cronologico del processo di accumulazione pri1nitiva - anche se mi par che questi rischi, per le ragioni anzidette, siano parzialmente evitabili; ma sopratutto perchè quando si discorre della ~fficacia del Risorgimento come premessa a un moderno sviluppo della vita italiana (ed è inutile sottolineare che non della sola economia qui si tratta, ma in fondo di tutta la vita civile del 'paese), occorre guardare ad esso non tanto nella fase dell'attesa e della preparazione quanto in quella della realizzazione e delle opere. L'unità politica è stata in effetti lo strumento principale che la classe dirigente risorgimentale ha foggiato per la creazione di un'Italia ~oderna: ed è dunque in qt1esto quadro che l'Qp~ra di quel ceto dirigente va giudicata, e non in quello ristretto e limitato della vecchia Italia austriaca e borbonica. Come e< tèrminus ad quem >> se è scelto il 1887, sembrando che con quella data si apra una nuova fase nella storia dell'economia italiana, risultante bens1 dalle premesse .poste nel trentennio precedente, ma ormai assestata su basi che resteranno invariate anche durante la rivoluzione industriale della età giolittiana. sullo sviluppo economico dei paesi arretrati, Torino, 1958, pp. 269-304. Ma è da rilevare che le conclusioni del Marrama, esposte per altro in termini di « possibilità», e non di rapporti logicamente necessari, presuppongono una misura di intervento statale impensabile in un quadro ottocentesco, e poggiano soprattutto sulla possibilità di trasformare i vecchi investimenti improduttivi delle classi ricche in investimenti produttivi, la quale, come mostra per es. lo sviluppo storico italiano, è realizzabile anche senza una redistribuzione della proprietà terriera, e quindi senza la riduzione dell'ammontare complessivo d~l risparmio che questa invece comporta (cfr. ivi, spec. pp. 286, 295-96, 300). (24) NURKSE, P· 55. [20] Bibloteca Gino Bianco

II Come punto di partenza della nostra indagine possiamo assumere alcune recenti elaborazioni dell'Istituto Centrale di Statistica, che, per quanto siano valide solo su un piano di generalissima approssimazione (25 ), . (25) lsTAT, Indagine statistica sullo sviluppo del reddito nazionale dell'Italia dal 1861 al 1956 (in Annali di Statistica, serie VIII, vol. 9) Roma, 1957; sarà citato SRNI. · L'uso di questi dati recentemente calcolati, non meno di quello delle più antiche statistiche su cui essi in parte si fondano, pone gravi problemi alla coscienza dello storico. Indubbiamente si tratta di elaborazioni che partono da fonti assai incerte, da dati raccolti con metodi spesso palesemente insufficienti o addirittura errati, e che per di più, nel tentativo di dedurre da fonti siffatte tutte le principali voci delle odierne relazioni economiche generali annualmente presentate al Parlamento, si spingono a una serie di deduzioni e integrazioni estremamente rischiose, e i cui criteri in parte sfuggono anche al più attento lettore delle note introduttive premesse alle tabelle così costruite. E tuttavia, posti nell'alternativa di respinger. totalmente questi dati, oppure di farne un uso per quanto possibile prudente, abbiamo preferito questa soluzione, perchè difficilmente il discorso potrà essere condotto a 9n grado sufficiente di approf ondimen to, fino ad affrontare i nessi fondamentali del processo storico che ci interessa, se non si adoperano taluni concetti elaborati dalla moderna teoria economica; i quali, quando debbono esser tradotti in termini quantitativi, non possono esserlo in forma più rigorosa di quella matematica offerta da queste elaborazioni. D'altra parte, la prudenza di cui si diceva ci ha consigliato di evitare nella misura del possibile l'uso, per il nostro periodo, di dati come quelli sugli ammortamenti, le scorte, le spese dell'agricoltura, ecc.,· che più degli altri si affidano al calcolo indiretto, e meno alla rilevazione immediata dalle fonti. In tal modo si sono utilizzati solo dati molto generali, confrontandoli, quando era possibile, con altre elaborazioni, e attribuendo loro, come è ovvio in casi come questo, solo un valore genericamente indicativo; il che vuol dire che si è spesso rinunciato a trarre dalle cifre tutte le deduzioni che ·una fede assoluta nella loro verità avrebbe potuto suggerire. E soprattutto si è tenuto fermo alla persuasione che non alla statistica ma alla storia va chiesta la soluzione dei nostri problemi, << quando i nwneri fanno a pugni con la logica, e quindi con la storia, che alla fine sono una cosa sola>, secondo l'avvertenza di A. SAPORI, Tendenze nuove degli studi di storia economica medievale, in A. SAITTA, A ntologi·a di crt.tica storica, I, Bari, 1957, p. 417 (ma si vedano anche le precisazioni di M. PosTAN, in XX Congresso internazionale di scienze storiche, Relazioni·, VI, Firenze, 1955, p. 805 nota 2). Si tratta del resto di ùn problema metodologico su cui esiste tutta una letteratura: citiamo soltanto S. KuzNETs, Statistic and Economie History; in The Journal of Economie History 1 I (1941), pp. 26-41; e si vedano i molti studi apparsi in seguito nello stesso periodico e in The Economie History Review. [21] Bibloteéa Gino Bianco I

posso110tuttavia servire utilmente a stabilire talune importanti relazioni di tipo << macroeconomico » ( 26 ). E anzitutto occorre tener presente il generale sviluppo del reddito nazionale italiano nel periodo che noi esaminiamo, e la sua ripartizione nelle due fondamentali categorie dei consumi e degli investimenti (miliardi di lire correnti). Reddito Nazionale Consumi % Risparmio % 1861-65 7,4 7.3 98,6 0,1 1,4 1866-70 8,4 8,1 96,4 0,3 3,6 1871-75 10,0 9,6 96,0 0,4 4,0 '1876-80 10,1 9,7 96,0 0,4 4,0 1881-85 9,8 9,2 93,9 0,6 6,1 1886 10,6 . 9.6 90,4 1,0 9,6 1887 9,7 9,3 95,8 0,4 4,2 (27) Il periodo qui preso in considerazione non è certamente omogeneo, chè intorno al. 1880 gli effetti della crisi agraria, allora per la prima volta largamente avvertiti, incisero profondamente stilla vita economica (2 6 ) Un'indagine come la presente impone la soluzione di alcuni problemi strettamente tecnico-economici che cadono fuori della specifica competenza di chi, come lo scrivente, non fa professione di storia economica o di statistica. Se tuttavia mi sono risoll;lto a impostare un discorso in questa direzione, con tutte le difficoltà e i rischi che esso comporta, è nella convinzione che la stessa indagine tecnico-economica su questi problemi potrà compiere reali progressi solo in dipendenza di un approfondimento 'storico' della questione, più libero da schemi esteriori, e più · aderente nel tempo stesso al ritmo di sviluppo effettivo del processo. Solo questa approfondita visione storica può porre alla indagine economica e statistica i nuovi problemi su cui poi essa eserciterà la sua tecnica raffinatissima. Uno sforzo in questo senso andava dunque compiuto, ·e io ho tentato di compierlo, chiedendo venia fin da ora ai ' tecnici ' degli eventuali errori in cui potrò essere incorso. ( 2 7 ) SRNI, p. 42; per gli ultimi due anni cfr. ivi, pp. 249, 260, 264. Si tratta di dati in lire correnti e relativi ai confini attuali, che ho preferito a quelli relativi ai confini dell'epoca, pure calcolati dall'IsTAT, un po' per evitare l'apparenza di improvvisi accrescimenti del ritmo di sviluppo in corrispondenza degli incrementi territoriali del 1866 e del 1870, un po' perchè taluni calcoli sono stati compiuti dallo stesso IsTATsolo in relazione ai confini attuali. Così pure si dica per la preferenza riservata ai dati in lire correnti rispetto a quelli a prezzi 1938: che mancano per molte serie, e che d'altronde fanno riferimento a un anno troppo tardo rispetto al periodo da noi studiato per non con1portare forti alterazioni. Tuttavia ad essi si è fatto ricorso quando il disporre di prezzi costanti è apparso necessario ai fini della correttezza del discorso. [22] Bibloteca Gino Bianco

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