• Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 43 * GIUGNO 1958 Bibloteca Gino Bianco . .
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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco
SOMMARIO Editoriale [ 3] Renato Giordano Conclusionisul Convegno di Palermo [6] ~ancesco Compagna La polemica sul Mercato Comune [12] DOCUMENTI Domenico Lacavera Lo sviluppo del Mezzogiorno e l'integrazione dell'Europa [38] Enzo Giacchero Da Mezzogior110d'Italia a Mezzogiorno di' Europa [45] Pierre Uri La politica economica comune e i problemi dello sviluppo [57] Giuseppe Mira1 bella Le leve finaziarie della Comunità Economica Europea [69] Roberto Berardi Uaa eopia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenth Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare I Tenamenti 101 C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco INCHIESTE Mobilità e riadattamento della manodopera [85] La sci-tolanel Mez.zogior110 [108] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.91& SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40
Editoriale Quando questo numero di « Nord e Sud» sarà inviato agli abhonatr ed espostonelle edicole, la discussionesui risulatati elettorali del 25 maggio sarà più che mai accesa;sarà già entrata, anzi, nella fase delle più pacate nzeditazioni e considerazioniche preludono alla so/1,ezionedel fondamentale problema che, all'indomani di ogni consultazione elettorale di carattere generale, le classi politiche devono affrontare: il problema della maggioranza, per dare al paese un governo il più possibile conforme sia alle indicazioni fornite dagli elettori che alle necessitàche derivano da/,leprincipali scadenze politiche fissate dalla realtà nazionale e internaziona/,e. Nel momento in cui scriviamo, per quanto riguarda le indicazioni del corpo elettorale noi non potremmo che avventurarci sull'impervio sentiero delle previsioni: lo abbiamo già fatto in altri numeri di << Nord e Sud >> e non vale la pena di approfondire o aggiornare oggi quelle previsioni, quando, fra il momento in cui scriviamo e quello in cui la rivista sarà pubblicata, cade la data che consentirà di valutare la maggiore o la minore fondatezza di tutte le previsioni che si sono fatte in ordine at risultati che daranno luogo alle Camere della terza Legislatura repubblicana. Conosciamo invece quali sono i temi che indicano le principali scadenze politiche fissate dalla realtà nazionale e internazionale: l'industrializzazione del Mezzogiorno e l'integrazione europea; l'acceleramento e la intensificazione della prima nel quàdro di un piano nazionale per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito, la realizzazione della seconda come avvio agli Stati Uniti d'Europa; il coordinamento fra l'una e l'altra, che sono le due prospettive di consolidamento e di sviluppo della democrazia italiana. [3] Bibloteca Gino Bianco
A questi temi noi abbiamo dedicato interamente il numero di « Nord e Sud» che sarà pubblicato quando1 i risultati elettorali non rappresenteranno più una incognita e quando il problema di un governo che governi, che sia capace di affrontare co,erentemente i problemi dell'industrializzazione nel· Mezzogiorno e dell'integrazione euro,pea, sarà tornato dominante nella vita politica italiana: è da un anno che al paese è capitato di aver.e in sorte un governo quanto mai debole, veramente << provvisorio·» si spera, non certo idoneo ad affrontare i problemi vecchi che si inaspriscono e quelli nuovi che incalzano} L'occasione di questo nu,nero speciale ci è stata fornita dal convegno sul tema: Mezzogiorno e Mercato Comune, che si è tenuto a Palermo ai . prinii giorni di maggio, negli stessi giorni in cui si è accesa nella campagna elettorale la polemica comunista contro il Mercato Comune. Come <<documenti>>abbiamo pubblicato qui le relazioni economiche che si so110lette in qu_elconvegrio·. Come «inchieste» abbiamo riassunto uno studio della CECA sulla mobilità del lavoro, in Europa1 che ci è parsa molto interessante, e abbiamo fatto tracciare un preciso e aggiornato pa11oramadelle molte ombre e delle poche luci che si proiettano, sulla scuola, a tutti i livelli, nelle regioni meridionali. Il convegno di Palermo ci ha consentito pure di avviare un certo· discorso sui rapporti fra problemi della classe dirigente meridionale e iniziative di quella europea, così come ci ha consentito di passare << in rassegna » le prospettive di investimenti del capitale europeo nelle regioni meridionali e di emigrazione transalpina delle nostre eccedenze demografiche. Ma soprattutto noi abbiamo .voluto, con questo numero speciale, confermare ancora una volta clie le grandi, fondamentali, esigenze, cui « Nord e Sud >> subordina i ,propri atteggiamenti e giudizi politici, sono l'esigenza meridionalista e quella . europeista. Purtroppo, nel -mom.ento in cui scriviamo queste pagine - che si ·leggeranno per prime, e che da parte nostra, invece, suggellat10un numero a cui abbiamo affidato la nostra .fede e la nostra ragionata convinzione di ·europeisti - una crisì di reginie minaccia la Francia. E chiuque abbia cuore e mente di democratico in Europa non può non sentire co,mepropria l'oppressione dei democratici francesi. Pure non è il nostro struggimento, le nostre disperazioni e le nostre speranze di appassionati amici della Francia che qui vogliamo segnare; e neppure la tenacia della nostra ideo- [4] , Bibloteca Gino Bianco
logia democratica, la quale ci porterà ad avversare tutte le soluzioni non democratiche dell'attuale crisi francese. Quel che vogliamo sottolineare adesso - in apertura di questo numero speciale dedicato ai problemi dell'integrazione europea - è il pericolo gravissimo che la crisi francese fa correre agli sforzi di costr1,zione europeistica: un rigurgito di nazionalismo in Francia può uccidere le nascenti strutture economiche europee, o almeno parcdiz.zarle.Questo è il pericolo più grave di questi giorni oscuri, questo è il problema su etti l'opinione pubblica italiana, tedesca, belga ed olandese dovrebbe dire una parola non equivoca. • I • I I • I . ' {5] Bibloteca Gino Bianco
. Conclusioni sul Convegno di Palermo • di Renato Giordano Il Convegno di Palermo offre alcune indicazioni di carattere politico ed economico, che sarà bene riassumere e sottolineare. Innanzi tutto vale rilevare il carattere meridionalistico della manifestazione. I relatori si sono , dichiarati concordi, infatti, nel considerare la rinascita del Mezzogiorno problema di interesse nazionale, e non una semplice questione regionale. La accettazione del Piano Vanoni, esplicita o implicita, come strumento per operare il sollevamento del Sud è stata d'altra parte uno dei leit-motiv del Convegno.· La complementarietà, anzi la inscindibilità de~lo Schema di sYiluppo e dell'integrazione europea è stata poi affermata ~ome corollario. È significativo che queste indicazioni siano partite dalla Sicilia. Il meccanismo regionalistico consente l'accentuarsi di motivi polemici, dato che la Regione si organizza come gruppo di pressione e come tale agisce nella . lotta politica del Paese. Nonostante la presenza di partiti nazionali, le sezioni siciliane dei partiti, compreso il partito di maggioranza relativa, as- , sumono una funzione autonomistica, obbedendo ad esigenze proprie piuttosto che a parole d'ordine coniate a Roma& L'On. Giacchero ha parlato di un triangolo di solidarietà; i tre angoli essendo costituiti dagli Stati Uniti, dall'Europa e dal Mezzogiorno. Il problema è di rendere operante tale solidarietà. Il Convegno di Palermo è stato appunto un primo passo in tale direzione. Il Mezzogiorno, e la Sicilia in particolare, avverte il rischio dell'isolamento: in sostanza la depressione economica non è che il risultato del progressivo estraniarsi del Mezzogiorno dall'Occidente, del suo orientalizzarsi o balcanizzarsi. La classe dirigente [6] Bibloteca Gino Bianco
' siciliana mostra consapevolezza di questo pericolo e cerca di gettare un ponte verso le nascenti istituzioni europee. Il Convegno della Sicindustria è servito infatti a stabilire una presa di contatto, è valso a dare alle Comunità europee il senso dell'importanza che la Sicilia attribuisce all'integrazione della Piccola Europa, e la volontà della classe dirigente isolana, politica ed economica, di affermare la propria presenza. Se si cambia di visuale, e si osserva il Convegno dal punto di vista dell'Alta Autorità, si trovano altrettanti motivi di soddisfazione. In definitiva, l'accusa che più di sovente viene mossa all'integrazione europea consiste in questa affermazione: il processo d'integrazione si sta realizzando attraverso la creazione di organismi di tecnocrati, asserragliati in piccole città della fascia lotaringia, lontani dalla coscienza popolare ed incapaci quindi di sentire e di esprimere le esigenze profonde dei Paesi membri della Comunità. Certamente è difficile nascondersi la verità che q11esteaffermazioni contengono. Coloro che hanno conosciuto l'esperienza dell'Alta Autorità della C.E.C.A.; coloro per lo meno che hanno lavorato con passione, coloro che non hanno mai dimenticato, nella routine delle riunioni quotidiane sui prezzi del carbone e sulla perequazione del rottame, l'obiettivo finale da raggiungere, e cioè la creazione degli Stati Uniti di Europa, costoro hanno certamente sentito e sentono di tanto in tanto il pericolo dell'isolamento, il rischio di essere tagliati fuori dal vivo della lotta politica dei singoli Paesi e di ridursi al ruolo di esperti economici di una grande organizzazione fine a se stessa, con le finestre chiuse per sempre sulla grande speranza dell'unità europea. All'indomani del siluramento della C.E.D. all'Assemblea Nazionale francese, dopo le dimissioni di J ean Monnet, che meglio di ogni altro aveva rappresentato il significato politico della C.E.C.A., le prospettive di tecnicizzazione dell'Alta Autorità si erano ulteriormente aggravate, ed erano i11 realtà alimentate da tutti gli ambienti, politici ed economici, che, i11 Italia per esempio, avevano fino ad allora accettato l'integrazione europea piuttosto per conformismo verso De Gasperi e la sua politica che non per maturato convincimento, e che erano invece ben lieti ora di farla finita }Jer sempre con i « mistici » dell'Europa. L'Alta Autorità ha tenuto duro, n~n ha raccorciato l'arco dei suoi or_izzonti, ha continuato a parlare di Stati Uniti d'Europa. Si è giunti al rilancio, al Comitato d'Azione di Jean Monnet, alla Conferenza di Messina, ai Trattati di Roma, alla Costituzione '[7] Bibloteca Gino Bianco
della Comunità Europea, e dell'Euratom. L'isolamento è rotto; la marcia verso l'integrazione è ripresa. In questo clima va inserito il Convegno di Palermo. Promuovendo la manifestazione, la Sicindustria ha fornito la prova che c'è un movimento convergente del centro e della periferia, dei vertici e della base. L'Alta Autorità e le Commissioni della C.E.E. e dell'Euratom hanno bisogno di non sentirsi isolate in un vuoto tecnocratico: le istituzioni europee debbono, per respirare, per vivere e per svilupparsi, sentirsi in contatto costante con i gruppi economici e politici dei Paesi membri; in realtà devono sentire che il contatto si trasforma in interpenetrazione, devono essere parte delle realtà sociali di cui sono l'espressione. È stato già rilevato il ruolo di raccordo e di propulsione che l'Assemblea parlamentare europea dovrà avere nell'attuale fase di integrazione europea; ed è noto che fin dal suo sorgere l'Alta Autorità ha cercato di moltiplicare le riunioni e di allargare la sfera d'azione dell'Assemblea. Allo stesso n1odo che oggi le Commissioni e l'Alta Autorità non nascondono il loro appoggio all'idea di un'Assemblea eletta a suffragio universale diretto. Ora, l'Assemblea, negli anni scorsi ed attualmente, ha consentito e consente appunto un contatto tra gli esecutivi europei e le realtà nazionali; e la sua trasformazione in un'Assemblea a suffragio universale diretto dovrebbe, tra l'altro, servire a stabilire un rapporto diretto tra la base ed il vertice delle Comunità. Convegni, come quello di Palermo, assolvono sul piano locale - e fatte naturalmente le debite distinzioni - ad una funzione simile c1 quella assolta dall'Assemblea a livello europeo. Alla fine del Convegno, l'On. Alessi, Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana, ha annunciato la costituzione di un Centro permanente di Studi sui problemi siciliani e meridionali in relazione al Mercato Comune. Questa decisione è la riprova della concretezza delle intenzioni che hanno presieduto all'organizzazione e allo svolgimento del Convegno. Il Centro SLudi rappresenta l'irr1pegno della classe dirigente siciliana a tenersi in contatto permanente con le istituzioni europee, a studiare cioè da una parte la realtà siciliana e le sue possibilità di inserimento nel mercato europeo ed al tempo stesso l'impegno ad utilizzare /n loco i fruttt delle esperienze che, fatte altrove in Europa, si considerano trapiantabili in Sicilia. Si può obiettare - e c'è certamente il rischio - che l'organizzazio11e [8] Bibloteca Gino Bianco
di sezioni e di gruppi e di interessi nei Paesi europei sottoporrà le Commissioni e l'Alta Autorità a pressioni di forze intese al perseguimento di fini particolaristici. Ma la lotta politica moderna non può prescindere dalla esistenza dei gruppi di pressione; e nel caso specifico dell'integrazione europea, i gruppi di pressione sono le forze economiche o intellettuali che si organizzano, prendendo conoscenza delle proprie esigenze e cercando di farle valere in sede comunitaria. Ora, a nostro giudizio, questo rischio è minore del pericolo del disinteresse e dell'assenteismo. Gli esecutivi delle Comunità devono poter contare sulla partecipazione della base al processo di integrazione, devono poter sapere che c'è una collaborazione degli interessi periferici nel formulare e nell'elaborare i problemi, che vengono maturando nel corso dell'unificazione. Ed alla base di questo atteggiame11to c'è la fiducia che più l'opinione pubblica e le classi dirigenti si interessano alle questioni, poste dall'integrazione europea, più finiranno con l'aderire al processo e considerarlo indispensabile. Ecco perchè il Convegno della Sicindustria è un test prezioso. In fondo la Sicilia è una delle regioni della Comunità Europea, che ha i problemi di · più difficile soluzione: ma dalla Sicilia è venuta una manifestazione di s1)eranza; gli esponenti dell'Alta Autorità, che si sono recati a Palermo, sanno che la questione meridionale è un vero e proprio banco di prova tlell'integrazione europea. Ma essi hanno voluto affermare, nelle pG\role dell'On. Giacchero, che c'è inscindibilità tra integrazione europea e Schema <li sviluppo, e quindi tra integrazione europea e questione meridionale. Anzi, che il Mezzogiorno, come unica zona depressa della Piccola Europa, può costituire il terreno, su cui si terrà la sfida tra il collettivo sovietico e la democrazia occidentale, poichè nell'era della coesistenza competitiva il Mezzogiorno deve fornire la prova della superiorità degli ordinamenti democratici sul comunismo. L'Occidente deve dimostrare all'U.R.S.S. ed ai comunisti che è possibile trasformare un'area depressa in una moderna società industriale, senza rinunziare al metodo democratico, anzi proprio i11 virtù del metodo democratico. In questo modo il Mezzogiorno, zona depressa d'Italia, si trasforma in terra-pilota dell'Europa e dell'Occidente, come primo settore sperimentale della grande lotta, ingaggiata tra Est ed Ovest per la vittoria del comunismo o della democrazia nei Paesi sottosviluppati di Africa e d'Asia. C'è da augurarsi che il Centro-Studi della Sicindustria sia il primo pas. [9] Bibloteca Gino Bianco
so sulla strada dell'approfondimento dello studio del rapporto tra l'integrazione europea e le zone sottosviluppate. Non c'è dub·bio, infatti, che il pro. blema dell'importanza appena descritta richiede un'impegno che trascende i mezzi e gli orizzonti della Regione Siciliana. Il compito di studiare il problema del Mezzogiorno d'Europa non riguarda solo i siciliani o i meridionali, ma deve interessare tutti gli europei e tutto l'Occidente Atlantico. Da questo punto di vista, mentre salutiamo con viva approvazio11e l'annuncio della costituzione di un Istituto della Comunità Europea per gli Studi Universitari (il cui Consiglio di Associazione comprende per ora i nomi di Monnet, Armand, Campilli, Finet, Hallstein e Kohnstamm e la cui funzione consiste appunto nel promuovere e facilitare l'insegnamento • a livello universitario delle questioni relative all'integrazione europea), riteniamo necessario segnalare fin d'ora l'opportunità che tale Istituto non trascuri l'esigenza di favorire nei limiti del possibile il sorgere di iniziative tendenti a studia.re ed a diffondere l'insegnamento dei rapporti tra integrazione europea e problema meridionale. Non bisogna dimenticare che le élt.tes meridionali sono ristrette e deboli, e lottano in condizioni di estrema difficoltà; che il Mezzogiorno è ancora una grande << disgregazione sociale » e che la deficienza essenziale della vita meridionale è data dalla scarsezza di centri di attrazione di interessi e di propulsione di idee. La vita sociale non è sufficientemente differenziata, non è articolata in strutture moderne; e le differenziazioni e le articolazioni sono la linfa vitale della democrazia. Il Mezzogiorno soffre oggi di una emorragia permanente delle sue migliori energie intellettuali e morali; il famoso drenaggio non si limita ai risparmi, si estende ai cer- . velli. Le é/1:tes democratiche, che resistono nel Mezzogiorno, lottano ogni giorno contro il crescente isolamento, e rischiano nel deserto di vita morale che le circonda, di stremarsi nella lotta e di cadere nella nevrastenia. Per vincere la battaglia del Mezzogiorno, per trasformare l'area depressa in una moderna ed articolata società industriale, occorre innanzi tutto rafforzare le élz'tes democratiche; occorre trasformarle in centri di 11otereautonomo. Il Convegno di Palermo è stato reso possibile dalla presenza di un'élite meridionalista sostenuta da un centro di potere, ruotante i11tornoalla Sicindustria ed alla Regione. Il Centro Studi della Sicindustria deve diventare un altro puntello del rafforzamento dell'élite democratica [IO] Bibl-oteca Gino Bianco
siciliana. Le istituzioni europee devono a loro volta fornire tutto l'appoggio per favorire il consolidamento e la moltiplicazione di questi centri di potere periferico. Se la lotta per l'unità europea si identifica con la rinascita del Mezzogiorno, il collegamento tra il vertice e la base, tra le élites europee e le él/tes meridionalistiche deve essere un lei't-motiv della prossima fase di azione politica. • [11] Bibloteca Gino Bianco
RASSEGNE La polemica sul Mercato Comune di Francesco ~ompagna Negli ultimi tempi, inaspriti dalle necessità e dal clima della campagna elettorale, i tipici _atteggiamenti di opposizione al Mercato Comune Europeo si sono manifestati in Italia con rinnovata e accentuata insistenza: quelli mormorati dal qualunquism·o di taluni ambienti della destra economica e della estrema destra politica, da un lato; quelli - politicamente ben più coscienti ed insidiosi - proclamati dal Partito Comunista e dai suoi tenacj fiancheggiatori, da un altro lato. Non è. difficile incontrare chi, non senza saccenteria e sicumera, perentoriamente a·sserisceche l'analogia fra Mercato Comune e Unità d'Italia è ' f.acileed eloquente; e che l'Italia, in ·particola·rela sua regione meridionale, una volta che il Mercato Comune sarà stato realizzato, diventerà la Basilicata d'Europa. Si tratta in realtà di una analogia tutt'altro che eloquente, di una analogia che è errata nelle premesse borboniche su cui è fondata e · · nelie conseguenze qualunquistiche che se ne v.ogliono trarre. Del resto, le ricerche e gli studi degli storici e degli economisti più moderni hanno fatto giustizia della polemica borbonica e hanno confermato quella che a suo tempo era stata la recisa replica di Giustino F.ortunato a coloro che imputavano all'Unità d'Italia l'impoverimento del Mezzogiorno. Recentemente anche Luigi Einaudi è tornato autorevolmente sull'argomento (in una conferenza a Salerno) e ha esplicitamente fatto riferimento alla << tesi fortunatiana », quando ha asserito di essere stato an1 che lui sempre convinto del fatto che al Mezzogiorno considerevoli vantaggi sono venuti dalla conclusione unitaria del Ris.orgimento. Quanto alla preoccupazione che all'Italia, ed in particdlare al gracile . [12] Bibloteca Gino Bianco
organismo del Mezzogiorno, derivano assai più svantaggi che non vantaggi dalla inserzione in uno spazio economico più vasto, e dal contatto a.perto con organismi economici più robusti, quanto a questa preoccupazione è a1 ppena necessario ricordare che il rapp.orto f,ra Mezzogiorno d'Italia ed Europa occidentale nell'ambito del Mercato Comune pone una serie di problemi, e che soltanto nella misura in cui la politica econ,omica saprà o non saprà avviarli a soluzione si potra dire se all'Italia deriveranno dalla •politica europeistica in maggior numero vantaggi o svantaggi. Lasciamo dunque al qualunquismo nazionale le semplicistiche ,profezie e gli sbrigativi giudizi di cui si diceva, non senza rilevare che spesso le une e gli altri derivano da una malintesa tutela di interessi particolari. I comunisti, dal canto lor10, durante la cam·pagna elettorale hanno portato in primo piano la richiesta che l'Italia denunci nella prossima Legislatura quella ratifica del trattato istitutiViodel Mercato Comune che dalla Legislatura uscente è stata votata a grande maggioranza. Que~to motivo è diventato d.ominante nella campagna elettorale dei comunisti nel momento stesso in cui sono affiorate pure, più o meno dettate da esigenze di concorrenza elettorale e di tatttica politica, le polemiche nei confronti dei socialisti volute da Amendola e dai suoi amici. Tali polemiche, alternando << punture di spillo>> a « colpi 'bassi>>,le insinuazioni alle denunce, l'ironi~ all'ultimatum, hanno fatto pensare che una delle ragioni per cui i comunisti hanno dato il massimo risalto agli argomenti antieuropeistici è consistita nella intenzione di creare difficoltà agli amici di ieri ed ai concorrenti di oggi, ai socialisti insomma, che non avevano votato nello scorso luglio contro la ratifica dei trattati di Roma, che in quel. voto di grande rilievo politico avevano osato di assumere un atteggiamento difforme da quello assunto dal gruppo parla-- • mentare comunista. Naturalmente, in conseguenza della , richiesta avanzata ·in sede di campagna elettorale dai comunisti, di denunciare la ratifica dei trattati di Roma, i « morandiani » dell'apparato non si sono lasciati pregare, hanno subito offerto l'altra guancia: Vincenzo Gatto, responsa1 bile del cosiddetto i ufficio lavoro di massa » del PSI e capoli'sta nella circoscrizione della Sicilia orientale, si è affrettato a conc~ere una intervista al giornale frontista di Roma ,per esprimere il •proprio consensjo con le richieste comuniste in ordine alla denuncia del trattato che istituisce il Mercato Comune. [13] Bibloteca Gino Bianco
Certo le dichiarazioni di Gatto non hanno avuto un'eco favorevole negli a,m:bientiautonomisti del PSI; ma è altrettanto certo che il PSI continua a subire lo zelante attivismo filocom.unista dei « morandiani »~ che soltanto di riflesso taluni esponenti hanno reagito a una iniziativa dalla quale si poteva anche non arbitrariamente dedurre che i socialisti abbiano modifi1cato,sotto la s-pinta della polemica comunista, le proprie posizioni sui prob1 lemi d'integrazione europea. È vero che la campagna elettorale in corso pone dei limiti alle polemiche interne; ma è anche vero che sono gli aut~nomisti, non i « morandiani », nè i << carristi », a rispettare o a su1 bìre questi limiti; sono gli autonomisti che quando non si las.ciano addirittura imporre il bavaglio, reagiscono con tutte le cautele della tattica politica e delle opportunità elettorali. Beninteso, promuovendo fin d'ora l'agitazione contro il Mercato Comune, i comt1nisti non si propongono soltanto di creare difficoltà elettorali ai socialisti, di esercitare una forza d'attrazione sulle correnti di opinione massimaliste e sui .quadri organizzativi frontisti del socialismo. I comunisti si propongono anche di gettare le pre_messeper un intensivo sfruttamento delle frizioni che in questo o quel settore di occupazione avessero a verificarsi in conseguenza dell'avviato ·processo d'inserimento dell'economia nazionale italiana nell'economia comunitaria europea. Quali sono gli argomenti che i comunisti sono venuti agitando durante la cam:pagna elettorale per chiedere la << sospensione >> del Mercato Comune, la denuncia, cioè, di una deli1 berazione già discussa e approvata dal Parlamento? Sono argomenti che ruotan.o tutti e sempre intorno a due motivi fondamentali: 1) gli effetti della << recessione » a·mericana si dila- - teranno e propagheranno oltre l'Atlantico, rovesciando la congiuntura favorevole di cui si è avvalsa finora l'economia dell'Europa occidentale; 2) come diretta conseguenza della « politica anticontadina dei governi » è già in atto « la fuga dalla terra di migliaia e migliaia di famiglie conta~ dine». Queste due tendenze, dilatazione delle conseguenze deHa « recessione » e intensificazione del « processo di espulsione delle masse agricole dalle campagne», non possono essere contrastate, a giudizio del PCI, se l'Italia aderisce al Mercato Comune; risulterebbero anzi aggravate, molto aggravate, specialmente per il Mezzogiorno; e pertanto i1 PCI chiede che si ritorni su una decisione presa avventatamente dal Parlamento della , seconda Legislatura. [14] I Bibloteca Gino Bianco
Certo, se la «recessione>>dovesse propagarsi ed aggravarsi, l'avvio de] Mercato Comune sarebbe tutt'altro che facile. Ma, allo stato, è più che lecito augurarsi che la « recessione>>non dia luogo a ~na << crisi » ; che possano essere rovesciate le sue tendenze; che gli strumenti di cui g1i stati moderni disp.ongono, per valutare i fenomeni economici e per intervenite sulle loro cause, possano essere saggiamente adoperati; tanto più che certamente nessuno, nemmeno tra i più ottimisti consiglieri di Eisenhower, pensa di trovare le soluzioni ai problemi posti dalla «recessione» nel1' ambito del li,berismo esaltato e invocato nei comizi di Malagodi e negli articoli di Sturzo e Missiroli. Sembra lecito augurarsi insomma che l'Europa del 1960 non sia gran che diversa da quella che si delineava in base alle previsioni di un noto rapporto dell'OECE - intitolato appunto « Europe 1960» - dal quale dovremo prendere le mosse più avanti per esaminare i problemi che derivano da talune prospettive ·meridionaliste dell'integrazione europea e da talune prospettive europeiste della questione meridionale. Non si negherà, d'altra parte, che è altrettanto lecito ritenere, pessimisticamente, che quelle previsioni potrebbero essere sconv.olte. Ma in questo senso, forse, più della << .recessione>>americana, sono da temere i ,pericoli connessi alla situazione finanziaria e politica in cui sta precipitando la Francia. Quanto all'altro motivo dell'agitazione comunista contro il Mercato Comune, la « fuga dalle campagne>>, la « espulsione delle masse contadine», non si tratta certo delle conseguenze di una politica di questo o quel governo. Siamo in presenza, da qual·che anno, della manifestazione sempre più vistosa di un intenso e infrenabile fenomeno di esodo rurale, che è simile· a quello da tempo verificatosi in tutti i paesi sviluppati, ma che per l'Italia (41 % di popolazione attiva dedita all'agricoltura) si verifica tardivamente, specialmente per quanto riguarda le regioni del Sud (49 % di popolazione attiva dedita all'agricoltura, più del 70 % in talune province del « latifondo contadino», come Potenza e Ca·mpobasso).Mercato comune o non, l'es.odo rurale è in corso, e muove dalle campagne del · Sud, e non solo del Sud, per i -paesi transalpini, le città su:ba1pine,gli stessi distretti meridionali maggiormente suscettibili di sviluppo economico e sociale; è in corso e tende a crescere d'intensità. Il Mercato Comune potrà forse assicurare più ampi sbocchi .territoriali e professionali a questo trasferimento di popolazione dalle campagne alle città, dalla agricoltura alle attività secondarie e terziarie; la denuncia del trattato che istituisce il [15] Bibloteca Gino Bianco
Mercato Comune non potrà certo evitare quella che i comunisti chiamano << espulsione>>dalle campagne e che in realtà è poi li1berazionedelle campagne, se è ver.o - ed è vero - che l'agricoltura italiana è coµie schiac~ ciata dal peso delle eccedenze demografiche inoccupate e sottoccupate; se cioè è vero - · ed è vero - ·che si deve favorire il trasferimento ad altre atrività di quella considerevole quota delle forze di lavoro agricolo che nelle campagne non può trovare occupazione. Certo vi sono problemi di ridimensionamento delle aree culturali di taluni prodotti, problemi che ·,preesistono al Mercato Comune, ma che in conseguenza del Me.reato Comu.ne non ·potranno essere più elusi, come · sono stati finora elusi dalla politica agraria dei nostri governi: ma questo è un bene, non un male. Il grano, p,er esempio, viene coltivato oggi in Italia anche su terreni impervi, che n<?nhanno altra vocazione che quella del ·boscoe del pascolo; e al ·boscoe al pascolo taluni terreni devono essere restituiti. Finora si sono protette le culture cerealicole meno redditizie, creando peraltro una rendita altissima a favore _delle culture cerealicole più redditizie; si è protetta, cioè, la coltivazione del grano sulle terre più avare del Mezzogiorno e se ne sono avvantaggiati soprattutto i granicoltori più favoriti della Valle Padana, çhe producono a costi remunerativi. Con il Mercato Comune, si presenta una situazione che è stata assai ben lu·meggiata in una relazione del Prof. Sar~cen.o a1 recente Convegno della << Coltivatori Diretti>> ( 1 ). Secondo il ·prof. Saraceno, la politica economica comune dovrà tendere a far ,prevalere nell'area del Mercato Europeo prezzi del grano non su.. periori al livello di dollari 9,50, già .ora -correnti su gran parte di questa area; ,ciò tanto più che questo ,prezzo di dollari 9,50 è di poco superiore all'attuale prezzo internazionale, maggiorato di un dazio del 14- 15 %, corris,pondente alla ffiedia aritmetica dei dazi vigenti nei vari paesi membri della C'omunità. Pertanto, una parte dell'attuale superficie agraria coltivata a grano si verr~ a trovare fuori dei margini di convenienz.a: circa due milioni e mezzo di ettari. Per quanto riguarda il Mezzogiorno d'Italia, la riduzione della superfi,cie coltivata a gran·o dovreb:be investire poco meno di mezzo milione di ettari; ma nel Mezzogiorno e per il ( 1 ) << Civiltà degli Scambi~): Un avv1:oal dibatti·to su agricoltura e MEC, n. 18, febbr~io 1958, pag. 54 e segg. [16] Bibloteca Gino Bianco
Mezzogiorno più grave si presenterebbe il ,problema del trasferimento ad altre attività dei contadini che la riduzione della superficie coltivata a grano farebbe affluire sul mercato del lavoro; se non altro perchè quest'ultimo ~ già congestionato, perchè la mobilità della manodopera è ancora frenata da troppe limitazioni, non soltanto legislative, perchè le attività extragricole sono ancora insufficienti, perchè, infine, il livello di istruzione è assai 'basso. D'altra 1 parte, se è vero che la riduzione della superficie coltivata a grano è una necessità che il Mercato Comune rende indilazionabile, è anche vero, come si diceva, che si tratta di una necessità di cui si discute da tempo in Italia, senza però che i governi si siano mai risolti a farvi fronte; mentre ora vi si dovrà far fronte necessariamente e senza ulteriori indugi. Tanto 1 più che il trasferimento delle eccedenze di manodopera agricola ad altre attività è un problema che non solo preesiste ·pure esso al Mercato Comune, ma si pone indipenden-- tem_ente dal ridimensionamento delle culture cerealicole; ed è soprattutto rappresentato da un fenomeno che urge e ,preme e si manifesta da tempo, lasciando prevedere una costante crescita di intensità per i prossimi anni, si riduca o non per intervento del Mercato Co1nune la superficie coltivata a grano. Nel giro di 12-15 anni, sempre secondo il Prof. Saraceno, può valuta1 rsi per il Mezzogiorno un esodo rurale di circa 1 milione di persone (1 cui si devono aggiungere però quelle 600-800mila persone disoccupate e sottoccupate che non a•ppartengono alla vera e propria forza di 1av.oro agricolo, ma che sono espressione dello stesso generale problema dell'insufficiente sviluppo di attività extragricole). Contrapposte alle esigenze di ridimensionamento delle culture cerealicole, derivano pure dal Mercato Comune talune possibilità di espansione .delle culture ortofrutticole; le quali, già indipendentemente dal Mercato Comune, potrebbero espandersi, qualora potessero avvalersi di una orga-- nizzazione del mercato interno, di una riduzione dei costi di distribuzione. Come si ricorderà questo problema fu portato in primo piano da Angelo Conigliaro e da Giuseppe Orlando in un convegno degli « ami1 ci del Mondo» (2 ). Si ebbe poi una iniziativa legislativa dell'on. Cortese, allora Ministro dell'Industria e Commercio, che fu poi lasciata insabbiare dal governo Zoli. Auguriamoci che i problemi del Mercato Comune possano .servire come stimolo indiretto perchè la nuova Legislatura affronti ris0- (2) I padroni della città, Bari (Laterza), 1956. {17] Bibloteca Gino Bianco
lutamente e definitivamente la questione dei costi di distrib,uzione dei prodotti ortofrutticoli. Se tali costi si riducessero a proporzioni meno vergognose di quelle attuali il mercato interno diventerebbe assai più ricettivo per i prodotti tipici del Mezzogiorno; al tempo stesso che il mercato europeo, diventan·do ·progressiva1 mente comune, consentirebbe una maggiore diffusione di tali prodotti nelle città transalpine, sempre che il raggiungimento tempestivo dei consu·matori venisse adeguatamente facilitato da un miglioramento della rete ferro viaria e stradale (in modo d.a << accorciare l'Italia»), dalla creazione di impianti per la lavorazione e tipizzazione dei prodotti, dalla costruzione di -centrali ortofrutticole capaci di regolare l'afflusso dei 1 proclotti sui mercati e di rendere utilizzabili, con la conservazione, le «code>> delle produzioni orticole che potrebbero trovare economico smaltimento; sempre che, naturalmente, la politica tariffaria della amministrazione ferroviaria non contraddica, come recentemente è avvenuto (e sembra· che non basti, se è vero che si richiedono ulteriori aumentì di tariffe), al1 la esigenza .di agevolare le esportazioni ortofrutticole del Mezz,ogiorno (3 ). L'espansione delle culture ortofrutticole è dunque p-ossibile, grazie al mercato interno e grazie al Mercato Comune Europeo. Se si agisce nel sen·so di assicurare, nei modi che si sono detti, maggiori collocamenti di più numerosi prodotti su questi mercati, non sembrerà infondato !'indi-- rizzo di politica agraria recentemente suggerito da un responsabile dirigente di un Ente di riforma: << ••• attraverso gli Ispettorati dell'agricoltura, la Cassa per il l\1ezzogiorno,_ gli Enti di riforma ed i Co11sorzi di Bonifica, favorire la trasformazione di tutte quelle terre che manifestano un elevato grado di suscettività verso. quelle colture i oui prodotti sono destinati alle popolaziqni del Nord Europa. Si può considerare pari ad ~n mi,Iione di ettari la superficie che potrebbe essere sede di una agricoltura piu ricca; e di essa oltre 300 mila ettari potrebbero avvantaggiarsi ad,dirittura della irrigazione » (4). ( 3 ) Secondo i dati recentemente resi noti dall'Associazione nazionale degli ope· ratori di prodotti ortofrutticoli, giài nel 1957 << l'Italia ha esportato per 186 miliardi di lire di prodotti ortofrutticoli, contro i 127 miliardi del 1954 e i 144 previsti dal Piano Vanoni per lo stesso anno 1957 » ( cfr. << Il Popolo » del 7 maggio). ( 4 ) DEc10 ScARDAèc10NE: L'agricoltura italiana e la nuova realtà europea, in « Civiltà degli Scambi », n. 19, marzo 1958, pag. 9 e sgg. [18] Bibloteca Gino Bianco
Si confrontino questi dati con quelli relativi alle previsioni di .cui si diceva sulla riduzione della superficie coltivata a grano: è lecito dedurre da tale confronto che, fra espansione delle culture ortofrutticole e ridimensionamento di quelle cerealicole, la prima reca maggiori vantaggi rispetto ai sacrifici -che comporta la seconda, ammesso e non concesso che di sacrifici si possa parlare. E questo, nei confronti della situazione precedente al Mercato Comune, anche indipendentemente dai « prezzi mini-- mi» e dalle « clausole di sa1vaguardia ». Tutto ciò, però, non significa beninteso che le eccedenze di mano d' opera agricola possano sistemarsi nell' ambito stesso dell' agricoltura, trovare, per esempio, nel settore ortofrutticolo quella occupazione produttiva e remunerativa che non hanno trovato nel settore cerealicolo. I] pr.olJlema della congestione del tessuto demografico della agricoltura italiana si risolve fuori dell'agricoltura; e gran parte dei problemi agricoli italiani non sono solubili senza un considerevole alleggerimento della pressione della popolazione rurale. Perciò la questione dell' « espulsione >> dei lav.oratori dai campi, così come viene agitata dai comunisti, è soltanto demagogica; e comunque non è in stretta relazione di effetto a causa con il Mercato Comune. La relazione fra il Mercato Comune e il problema italiano delle eocedenze demografiche, dell'esodo rurale dalle campagne del Mezzogiorno, del trasferimento della forza di lavoro inoccu·pata ad attività moderne di tipo secondario e terziario, la relazione insomma fra integrazione economica europea e industrializzazione delle aree sottosviluppate italiane si pone in ben altri termini, che qui cercheremo di • precisare. Si ,p.otreibbedire cl1e, ris1 petto all'area totale del Mercato Comune, il Mezzogiorno d'Italia si qualifica, allo stato potenziale, sulla base di un dato non confuta1 bile, proprio per il fatto cioè che il suo tessuto demografico risulta congestionato dalla pressione di eccedenze della manodopera agricola, e non soltanto agricola. Un dato negativo, insomma, posto in relazione alle esigenze del Mercato Comune, diventa potenzialmente positivo: perchè il Mezzogiorno d'Italia è la sola riserva di manodopera bianca cui l'Europa o~cidentale possa attirigere da che è stata conseguita la piena occupazione in Francia, Germania Occidentale, Belgio e Olanda, oltre che in Svizzera. Questo significa che si aprono per il Mezzogiorno due prospettive: 1) di zona ricettiva di investimenti industriali che non pos- [19] , Bibloteca Gino Bianco
sono localizzarsi altrove per carenza di manodopera disponibile; 2) di zona di reclutamento per colmare la offerta di lavoro che dovesse -rimanere scoperta nei distretti industrializzati del Mercato Comune . . La prima è una prospettiva del futuro, magari del prossimo futuro, comunque non ·ancora avviata, a quanto risulta dai dati relativi agli investimenti esteri, sul piano delle realizzazioni. La soconda, invece, è una prosp•ettiva già in atto, a partire dal 1954, da quando cioè l'emigrazione dal Mezzogiorno per i paesi transalpini è entrata in fase ascendente. Naturalmente, la prima prospettiva è di gran lunga più importante ai fini 1dello -sviluppo economico e la seconda potreb1 be volgere in un certo senso negativo se non venisse integrata adeguatamente dalla 1 prima, se cioè la emigrazione della manodopera non dovesse essere complementare, ma alternativa, ris,petto all'immigrazione di capitali. Comunque, è proprio in conseguenza della progressiva attuazione del Mercato Comune che entram·be le prospettive di cui si diceva potrebbero risultare slargate e integra!bili; e potrebbero ricevere nuovo impulso. Un autorevole professore di economia politica della Università di Grenoble, Rdbert Mossè, ha recentemente scritto che il Mercato Comu11e darà luogo a una << fecondazione per riavvicinamento», poichè l'eliminazione delle barriere dovrebbe permettere, per esempio, a capitali inutilizzati di un paese (di qualsiasi paese che abbia conseguito la piena occupazione, e a1 b,bia saputo stabilizzare questa conquista) di unirsi a uomini disoccupati di un altr,o paese (oggi, in Europa, soltanto il Mezzogiorno d'Italia) per produrre, in uno sforzo comune, nuovi 1 beni (5 ). Ora, proprio qui si delinea il problema fondamentale della politica economica della Comunità da un lato, dell'Italia da un altro 1ato: perchè queste nozze fra capitali dell'Eur.opa occidentale e man-odopera dell'Italia 1neridionale possono celebrarsi nei distretti industrializzati della prima, nella Ruhr, per esempio, o in Lorena, e allora si avrà una ulteriore intensificazione dell'emigrazione di forze giovani e intraprendenti dalle nostre regioni; oppure possono celebrarsi nei distretti industrializza·bili dell'Italia meridionale, nelle aree di sviluppo ulteriore, come la zona napoletana, la Terra di Bari, la regione palermitana, o nelle aree di sviluppo integrale, tipo piana del Sele, di Metaponto, di Catania, e allora si avrà un acceleramento della industrializzazione delle nostre regioni. ( 5) RoBERTMossÉ: La nuova Europa, 1· n << Niercur1·0'", a. 1 n 1 apr1·1e 1958 ,,,, ' . ' . [20] Bibloteca Gino Bianco
I comunisti sosteng.onoche, attraverso il Mercato Comune, si vorrebbe e si dovrelYbe abbandonare ogni piano di industrializzazione dell'Italia meridionale e si pretenderebbe di perseguire un'altra, assurda e illusoria, soluzione della questione meridionale, che poi non sarebbe una soluzione, ma una condanna degli uomini a lavori più o meno forzati, lontani dai loro paesi, a loro volta condannati ad un progressivo depauperamento. La verità è, come dicevamo, che emigrazione ed industrializzazione rappresentano soluzioni complementari, integrative e non alternative, della questione meridionale; che anzi, l'emigrazione, in un certo senso, e precisamente nel senso del trasiferimento di un milione e più di persone dal1' agricoltura ad altre attività, rappresenta ancora una misura della preindustrializzazione, se non altro 1 perchè potrebbe e dovrebbe contribuire a determinare una maggiore ·produttività agricola. Dunque hanno torto i comunisti, e la loro denuncia dell'emigrazione come alternativa all'indu·strializzazione è chiaramente tendenziosa; e invece ha ragione Rossi Doria quando scrive, in riferimento alla politica agraria, che: « ••• al centro dell'attenzione devono essere posti il problema dello sfollamento della campagna, ossia dell'emigrazione contadina, e quello strettamente connesso dell'aumento della produttività in ogni settore mediante: a) l'integrazione e l'acceleramento dello sviluppo agricolo attraverso un adeguato programma di investimenti pubblici, destinato solo alla valorizzazione di terre ad alta suscettività produttiva; b) il funzionamento dei servizi civili (scuole per preparare l'esodo rurale, sperimentazione e ricerca sia tecnica sia economica, assistenza tecnica agli agricoltori, credito agrario in forme adeguate alle caratteristiche della im1presa); e) intervento al fine di superare le strozzature, gli squilibri e le sperequazioni del processo di sviluppo (assistenza all'emigrazione sia all'interno sia all'estero, regolazione dei contratti agrari, ricomposizione dei fondi frammentari e riordinamento, in generale, della proprietà e dell'impresa) » (6 ). Come si vede, Rossi Doria che è uno studioso animato da una seria passione politica, mette esplicitamente e ripetutamente l'aocento sulla prospettiva dell'emigrazione, quando si ripropone, dopo un decennio di esperienze, il problema degli orientamenti e delle pos~ibilità di sviluppo dell'agricoltura meridionale e, di conseguenza, della società meridionale. ( 6 ) MANLIO Rossi D0R1A: Dieci anni di politica agraria, introduzione, Bari (Laterza), 1958. [21] Bibloteca Gino Bianco
E, del resto, noi sappiamo che d.ove c'è congestione deve intervenire (ci si consenta la crudeltà del termine) un salasso. È vero che vi sono nel Mezzogiorno stesso zone ricettive rispetto all'esodo rurale che muove dalle zone più congestionate e meno ospitali; ma tali zone ricettive non possono accogliere in ·breve tempo tutte le eccedenze demografiche che tendono a rovesciarsi sul mercato del lavoro lasciando la condizione di sottoccupati agricoli, stivati nelle più impervie zone del latifondo contadino. C'è quindi una quota di queste eccedenze demografiche che, non trovando posto nelle città vicine, nei ,distretti di irrigazione e di industrializzazione del Mezzogiorno stesso, deve necessariamente dirigersi verso le città più lontane, -subalpine ,o transalpine. Di qui l'esigenza di una politica migratoria strettamente coordinata con la politica dell'industrializzazione; di qui cioè l'esigenza di perseguire congiuntamente la pro• spettiva dell'emigrazione e quella della industrializzazione, con una politica che regoli la prima e solleciti la seconda; di qui, infine) da questa congiunzione, e ,dal coordinamento, delle dt1e pro•spettive, il più signifi- . cativo incontro fra politica europeista e politica ·meridionalista. A ,questo punto non dovrebbero sussistere dubbi sulla convenienza, per la manodopera meridionale, delle nozze con il capitale europeo. Allo stato, ,conviene far di tutto ·per ,promuovere la « fecondazione per ravvicinamento » di cui si diceva, sia che le nozze fra capitali europei e manodopera meridionale debbano celebrarsi nella Lorena, sia che esse possano celebrarsi nella piana del Sele. Dovremmo avere insomma, facilitata dal Mercato Comune, una doppia corrente che si incrocia: di manodopera dal Mezzogiorno ai paesi transalpini di piena occupazione, di capitali in senso inverso; da avviare, incoraggiare, eccitare la seconda; già avviata) e da ·regolare, la prima; sem·pre l'una e l'altra condizionate da un certo ritmo di espansione economica in Europa ,occidentale e, beninteso, dal mantenimento della piena occupazione negli altri paesi del Mercato Comune. Su questa impostazione, della doppia corrente che si incrocia, hanno insistito prima il citato rapp.orto dell'OECE, Europe 1960; poi la relazione del ·prof. Saraceno (presidente del << Comitato per lo svilpppo della occupazione e del reddito») al Presidente del Consiglio, relazione che fu ripresa ampiamente nell'editoriale del n11merodi « Nord e Sud» pub:blicato in febbraio; infine le relazioni che in maggio sono state presentate dall'on. Giacchero, dall'ing. Lacavera e dal prof. Uri al Convegno di Palermo sul Mezzogiorno e il Me~cato Comune e che sono pub,blicate nella [22] Bibloteca Gino Bianco
rubrica «documenti» di questo numero di << Nord e Sud». Dalle discus- . sioni che hanno animato il Convegno di Palermo sono venute anzi utilj indicazioni e interessanti sv.olgimenti proprio nel senso di questa impostazione del rapporto Mezzogiorno-Mercato Comune: utili indicazioni per sollecitare la corrente dei capitali e per regolare quella della manodopera. (Non fosse che per questo, dob1 biamo esprimere qui il nostro rammarico per l'assenza dal Convegno - fermamente deplorata, nel suo discorso di chiusura, dall'on. Alessi - dell'on. Campilli e di altri nostri uomini politici recentemente designati a rappresentare il Paese negli organismi europei; nonchè per l'assenza dei più rappresentativi dirigenti degli organi preposti alla politica meridionalista - la Cassa in primo luogo - e alla politica migratoria). Come dunque avviare, incoraggiare, eccitare una corrente di investimenti del capitale eur.opeo nei distretti industrializza'bili dell'Italia meridionale? E come regolare la corrente di manodopera che si reca a cercare occupazione nei paesi transalpini, nei distretti più industrializzati della Europa occidentale? Sono queste le due domande che, in cons·eguenza del Mercato Comune, si pongono ora perentoriamente alla classe ·politica del paese, e alle quali vogliamo cercare di fornire qui una prima risposta, avvalendoci anche delle indicazioni venute dal Convegno di Palermo. È evidente che capitali dell'ordine di grandezza necessari per realizzare una effettiva industrializzazione del Mezzogiorno e per p.ortare il Mezzogiorno al livello medio nazionale (secondo lo Schema Vanoni deve essere localizzata nel Mezzogiorno poco meno della metà degli investimenti complessivi - 11.726 miliardi, cioè, su 24.337- e, in parti'Colare, 4.200 miliardi su 8.600 di investimenti netti nelle industrie e nei servizi) << non potrebbero essere reperiti se non in parte in un paese come l'Italia il cui reddito nazionale nel 1955 è stato di 13.878 miliardi>>, continuando poi ad aumentare, ·ma << ·piuttosto stancamente». Calcoli attendibili dimo .. strano tra l'altro ·che negli ultimi 3 anni << è andato al Mezzogiorno meno <lella metà di quanto occorrerebbe per raggiungere gli obiettivi ipotizzati dallo Schema Vanoni ... E poichè lo Schema non contempla che una normale intensificazione degli investimen~i ind·ustriali al Nord, ma postula per contro una rilevantissima accelerazione di essi al Sud, si deve necessariamente dedurre che la futura corrente ,di capitali esteri) quale compo-- [23] Bibloteca Gino Bianco
nente aggiuntiva al flusso dei capitali nazionali, deve indirizzarsi integ·ralmente o quasi verso le regioni meridionali ed insulari » (7 ). Abbiamo detto, però, che, sulla ·base dei dati più recenti~ il flusso di investimenti esteri in Italia è tuttora debole e lento, malgrado la nuova iegislazione, « che ha concesso agevolazioni fra le più lìberali di quelle oggi esistenti nei vari paesi» (legge del 7 febibraio 1956 n. 43 e D. P. del 6 luglio 1956 n. 758). In particolare, per gli investimenti in imprese produttive, nuove o già esistenti, grazie alla nuova legislazione << non occorrono preventive autorizzazioni ad investire, mentre i dividendi, gli utili e gli eventuali realizzi ·possono essere esportati senza alcuna limitazione, nè di tem1 po, nè di importo>>. E sono proprio q,uesti gli investimenti che, ris·petto agli investimenti di portafoglio, hanno costituito in ·passato la . parte di gran lunga minore degli investimenti esteri in Italia (am·montanti complessivamente a poco meno di 160 miliardi in 8 anni), e che ora dovreb.ber,oass1 umere un ruolo fo11damentale ai fini dell'industrializzazione. Comunque, a chi consulta i dati quantitativi e qualitativi che si riferiscono agli investimenti esteri produttivi nel Mezzogiorno secondo la nuova legislazione del 1956, saltano subito agli occhi tre considerazioni: 1) per quanto riguarda la localizzazione geografica, dei 33 miliarrli che al 9 novembre 1957 (dopo circa 15 mesi, -cioè, di applicazione della nuova legislazion·e) rappresentavano il totale degli investimenti diretti di capitale estero in Italia, soltanto 12 miliardi circa, pari al 36,2 % risultano destinati al Mezzogiorno; 2) per quanto riguarda i settori economiici, quasi il 60 % degli investimenti globali (19 miliardi, sui detti 33) risulta concentrato nel settore petr.olifero, con circa 10,8 miliardi 1per ricerche e sfruttamenti nel Mezzogiorno, di guisa che, dei 12 miliardi di investim·enti esteri diretti cl1e si sono localizzati nel Sud, ,soltanto poco più di 1 miliardo è stato investito nelle industrie manufatturiere; 3) per ·quanto riguar 1 da infine la provenienza dei capitali esteri, risultano in grande 1prevalenza i ca·pitali americani (25 americani, sui 33 complessivi), seguiti a distanza dai capitali svizzeri (meno di 3 miliardi), il che vuol dire che sono quasi assenti i capitali dei paesi del Mercato Comune (8 ). ( 7 ) GANDOLFO DoMINicr: Capitali: esteri e industrializzazione, << Notiziario IRFIS », Palermo, dicembre 1957. ( 8 ) Gli investimenti esteri produttivi nel Mezzogiorno secondo la nuova legge del 1956, << Infor1nazioni Svimez », n. 5 - 6, gennaio - febbraio 1958, pag. 106 e sgg. [24] Bibloteca Gino Bianco
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