Nord e Sud - anno V - n. 42 - maggio 1958

Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 42 * MAGGIO 1958 Bibloteca Gino Bianco

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1111 w mrns~fffl11im~n w m 1m~1 Ff"' 11 M ESUD Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Biblioteca Gino Bianco

SOMMARIO Vittorio de Caprariis Carlo Turco N. d. R. , Corrado Beguinot Mario Noncreduto Vinicio Novelli Editoriale [ 3] Problemi del potere [8] I comprensori dell'industrializzazione [17] I GIORNALEA PIÙ VOCI Gli ex comunisti sotto il cielo aperto [28] Il mostro [32] Una scuola alla periferia di Napoli [38] - Una candidatura «imposta» [ 43] INCHIESTE Salvatore Puglisi Il latifondo comunale [ 46] DOCUMENTI Gino Doria Una prefazione [90] . Silvio Pergamena Perchè sono europeo [101] PAESI E CITTÀ Alberto Prozzillo Salerno demografica [109] CRONACA LIBRARIA R. O. Una collana di pamphlets [ 123] Il Circolo italiano del libro [124] Bibliografia meridionalista [ 126] Bibtz·ografiaeuropeista [128] Una eopia L. 300 • Estero L. 360 DmEZIONE E REDAZIONE: Ahbonamentic Italia annuale L. 3.300 · semestrale L. 1. 700 Estero annuale L. 4.000 semesll'ale L. 2.200 Effettuare I veraamenti sai c.c.P. D. 3/34552 inte1tato a Arnoldo Hondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Anuninistrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40.

Editoriale Il sistema vigente per l'elezione dei due rami del Parlamento, basato sullo scrutinio di lista per ciò che si riferisce alla Camera dei deputati, misto tra proporzionale e uninominale quanto al Senato, subordinando le probabilità di successo dei candidati ai rapporti con i moderni « apparati>>di partito, ha di fatto introdotto nel processo di formazione delle rappresentanze parlamentari due fasi di scelta. La prima si svolge nell'ambito dei partiti e delle organizzazioni fiancheggiatrici, ed ha - o dovrebbe avere - per protagonisti i « mi .. litanti »: infiuenzata dal. gioco delle correnti, dalle pressioni dei gruppi di interessi, resta circoscritta nella sfera ristretta delle dirigenze politiche e degli apparati, anche quando viene richiesto l'intervento, formale delle assemblee e delle commissioni appositamente coitituite nei congressi. Chi resta escluso da questa -prima selezione ha poche probabilità di appellarsi con successo al corpo elettorale. La seconda fase chiama direttamente in causa l'elettore, cui spetta in defi11itiva di esprimere un duplice giudizio, ideolo.gico e politico in-- sieme, con la scelta del partito e degli uomini che dovrebbero applicarne i ,programmi. È questa la fase ufficiale, circondata dcdle garanzie giuridiche di un mo,derno ordinamento democratico dello Stato. Nel momento in cui scriviamo mancano• poche settimane al 25 maggio, data fissata per l'elezione della terza Legislatura della Repubblica; formate le liste, la scelta ormai spetta al corpo elettorale. Ma lo sviluppo delle strutture dei partiti .( o almeno di alcuni, e dei più grossi di essi) ha limitato, di molto anche questa seconda facoltà di scelta dell'elettore; il quale potrà dare liberamente il suo suffragio al partito preferito se [3] Bibloteca Gino Bianco

I.. riuscirà a sottrarsi alle suggestioni del conformism_oe di una propaganda particolarmente tendenziosa, ma sarà costretto ad accettare, quanto agli uomini, in mo,lti casi, le indicazioni che sono implicit~ nella stessa composizione delle liste. Nella misura in cui « un apparato » è riuscito ad assicurare una poisizione preminente nella lista al gruppo o alla . corrente dominante nel partito · (su scala nazionale o su una più ristretta area circoscrizionale), la facoltà di scelta dell'elettore resterà limitata alla indicazione del partito. I casi della formazione delle liste democristiane e comuniste sono in proposito particolarmente indicativi: all'epurazione degli elementi revisionisti dalle liste comuniste ha fatto1 riscontro la lotta interna allo schieramento, cattolico,,mirante ad assicurare a questo o a quel grupp.o una posizione preminente, e ad escludere gli avversari. E il caso limite è certamente rappresentato dalla lista democristiana di Ro,ma, intorno alla quale si è lottato per la inclusione di uomini fedeli all'on. Andreotti e per l'esclusione di moltissimi e più rap-presentativi avversari del giovane Ministro delle Finanze. È chiaro, che queste nostre constatazioni non sottintendono un giudizio moralistico, o la benchè minima indulgenza per i motivi dei tanti criti~i della cosiddetta <<partitocrazia»;compito della critica politica semmai è di prendere co:scienzadella realtà dei pro·blemi che la funzione e la fisiologia dei partiti pongono oggi, in una fase più adtt:lta del sistema demo1 cratico italiano, che ha solo pochi lustri di vita, ma che presenta un quadro tanto· diverso da quello che gli italiani impararono a conoscere alle elezioni per la Costituente. V'è du11que itn problema dei rapporti tra partiti, <<apparati»e gruppi parlamentari; ma v'è anch.e, e non si può più ignorarlo· oggi, un altro problen1a, strettamente connesso al precedente, e che si riferisce ai modi di f ormazio1ie delle liste, nell'ambito delle quali, co1 l voto I di preferenza, verranno, scelti i vari gruppi parlamentari. Se è vero che gli «apparati» tendono - e di ciò si fa loro colpa - a controllare e orie1itare, con il ricorso alla solidarietà di gruppo e la minaccia di sanzioni disciplinari, l'attività e gli atteggiamenti degli eletti quando collaborano·alla formazione della « volontà parlamentare>>è, vero altresì che la facoltà di selezionare le candidature di cui essi si mo,strano sempre più gelosi, introduce una forma di controllo indiretto ed una ipoteca [4] Bibloteca Gino Bianco

sulla futura attività parlamentare, che non potrà facilmente prescindere.dal potere di discriminazione degli apparati. Senonché - e questo è l'altro elemento caratteristicodelle prossime elezioni - nelle liste di alcune grosse formazioni politiche è risultata prevalente la presenza diretta degli uomini di << apparato >> 01 comunque strettamente legati alle dirigenze di partito; non si tratta soltanto, come è facile constatare, di personalità eminenti che si dedicano ormai solo alla attività politica, ma di funzionari di partito, di attivisti e di organizzatori, per lo più giovani, che una critica troppo facile indica spregia.. tivamente come « professionisti della politica». Il fenomeno della presenza di questo <<personale>n>elle liste non è nuovo1 , e già in una certa misura s'era potuto constatare nel '48 e nel '53; e se per il partito comunista esso era ritenuto normale, dato il particolare carattere del rap.. porto di militanza che contraddistingue tutti i dirigenti di quel partito., per cui anche il parlamentare è in defi1iitiva un attivista, un ingranaggio dell'organiz.'Za.'Zione 1 anche quando non ha una specifica funzione nell'apparato del partito e dei sindacati, p,er gli altri partiti esso· sembrò segnare l'avvio alla burocratizzazione, di cui altri sintomi potevano cogliersi nel rafforzamento delle strutture e nell'esorbitanza degli apparati dalle primitive, limitate funzioni. Oggi gli << uomini di partito» portano avanti il processo che si poteva intravvedere nel '48 e nel '53; da un lato si sono assicurati il controllo delle leve di comando interno, che servono a mano·vrare e orie12tare le scelte dei militanti (la D.C. col Congresso di Napoli del '54, il P.S.l. co1i quello di Venezia del '56), dall'altro1 si fanno essi stessi diretta, mente portatori di contenuti politici all'elettorato, rinunciando alla me., diazione dei << notabili>>e degli uomini rappresentativi, le cui fortune volgono ormai ad un rapido declino. Questo discorso vale soprattutto per le due formazioni che, su opposte sponde, e sollecitate da differenti ideologie, aspirano tuttavia a rap- ,preset2taredue concezioni totali della società e dello Stato: tanto i democristiani che i socialisti vedono direttamente impegnati in queste eleziòni i «giovani» degli apparati, i teorici e i mistici dell'organizzazione, i tecnici della efficienza e .della continuità del «Partito». L'avvenire dirà se questo, che è un segno della trasformazione e della evoluzione necessaria degli strumenti di formazione della pubblica opinion~ e di e.rercizia [5] Bibloteca Gino Bianco

., del potere politico in un mondo in cui contano le masse e le grandi organiz.zazioni, non porti in sè elementi di involuzione e di degenerazio12e oligarchica ed antidemocratica. D'altra parte, non si può non ricordare che la crisi comunista, che investe ora la << bttrocrazia » di partito, i quadri e i dirz·genti, dopo, aver scosso1 le élites intellettuali, do·vrebbe rappresentare per tutti un utile ammonimento,, rendere avvertiti cioè i Fanfani ed i Valori che anche il più ferreo apparato tzon resiste alla logica della libertà, e che tanto il corpo elettorale che le « basi» esigeranno alla lunga la tutela del loro, diritto alle scelte politiche. . I Vero è che il problema di Fanfani, che vuol sostituire alla co1 alizione dei notabili e dei «benpensanti>> un moderno· ed efficie11te strttmento· di direzione politica, si compi/ica oggi p,er la presenza nello schieramento cattolico di altre orga11izzazioni rigide e di altri apparati. La fase della f ormazione delle liste ha visto le esorbitanze e le pretese di queste << organizzazioni fiancheggiatrici>>che hanno rivendicato nelle liste una rappresentanza proporzionale ai voti che pretendono di controllare. Alla polemica con i « notabili» si è sostitttita la contrapposizione ed il gioco delle infiuenze .e delle pressioni dei vari organi permanenti, ideologici e di categoria e di interessi, che sono venitti acquistando sempre maggiore rilievo 11elpanorama del mondo cattolico. Sono orrganismi rigidi, nelle strutture e nelle dirigenze, che contendono· all'apparato del partito· prerogative e funzio1ii. · Sicchè la difficile alchimia della formazione delle ,liste democristiane è stata la diretta conseguenza di questa nuova situazione, e la rappresentanza parlamentare ci dirà fino a che punto ci troveremo di fronte ad uno schieramento cattolico << 01 moge11eo », oppure alla coalizione di gruppi di scarsa comunicabilità, che tra·ggono la loro ispirazione da basi le più varie, e che soggiacciono alle direttive di eteroigenee dirigenze. Diverso discorso, o,vviamente, deve tenersi per i partiti della destra reazionaria e fascista. La fluidità del loro elettorato trova riscontro nell' affannarsi caotico delle numerose consorterie che ne pretendono la rappresentanza e che abbiamo visto agitarsi incompo,stamente nella fase della preparazione delle liste, il cui unico elemento di rilievo è stata la « campagna acquisti» condotta con ostentata spregiudicatezza dal gruppo di Lauro che ambisce al controllo delle zone più retrive della società italiana. L' « americanisnio » di certe trovate del comandante e del suo· staff elettorale non possono supplire però alle senili deficienze, non soltanto di ordine ideo- [6] BiblotecaGino Bianco

logico, di un settore che è messo in crisi dall'evoluzione del sistema dei partiti e della stessa società contemporanea. E valga questa ultima constatazione sull'evoluzione del sistema dei partiti a spiegare le difficoltà che incontrano anche, nella condotta delle battaglie elettorali, quei partiti del centro sinistra democratico e laico cui questa rivista è vicina. Invecchiati nei loro schemi organizzativi, questi ultimi riescono,a presenta-re agli elettori programmi organici di rinnovamento dello Stato e del nostro costume politico e morale; le loro· liste rappresentano ancora quanto di meglio può esprimere la classe dirigente del paese; ma troppi loro espo.. nenti di sicuro valore politico sono ridotti nelle liste, dati i margini ristretti di fiducia di cui godono questi partiti fra gli elettori, alla funzione che in passato era riservata ai membri dei comitati elettorali, a richiamare cioè voti sulle liste, senza poter contare su alcuna probabilità di successo. Ne consegue che quella stessa f1,1,nzionedi richiamo dei voti sulle liste degrada a mera funzione di ammobigliamento delle stesse e che i12 definitiva un certo·depauperamento tecnico e politico della rappresentanza parlamentare che si sta per eleggerepuò darsi già per scontato prima della prova del voto. È evidente che un successo di questi partiti potrebbe ristabilire un equilibrio, agire come correttivo nei confronti di una situazione che - per le proporzioni preoccupanti che vengono assumendo due fenomeni, quello della <<burocratizzazione>de>i grossipartiti e l'altro·della crescenteinfiuen.. za dei gruppi di pressione - vedrà fortemente limitata la libertà di comportamento di moltissimi dei prossimi eletti.Ma è chiaroaltre~ìche di là dai risultatidel 25 maggio, le stesseforze del centro-sinistrademocraticodevono saper trovare, nell'interesse della democrazia nel nostro Paese, le forme e i modi per poter meglio imporre la loro·presenza nelle scelte della pubblica opinione e al tempo stessorestituire così a quest'ultima un più ampio margine di scelta. Quello attualmente disponibile, comunque, lasciaancora al corpo elettorale la possibilitàdi vagliarela giustezza del monito ad esso rece12tementerivolto-da Oronzo Reale: agli elettori italiani non conviene certo di ingrandire i grandi partiti. [7] · Bibloteca Gino Bianco

Problemi del potere di Vittorio de Caprariis .Uno dei dati fondamentali della società contemporanea è la moltiplicazione delle fonti di potere. Si dice una cosa ovvia quando si osserva che oggi i « poteri » non sono più soltanto quelli dello Stato e che accanto ad essi ve ne sono altri, meno visibili forse, ma non per questo meno reali e concreti, meno operanti, e sovente altrettanto oppressivi o sentiti come tali. Di questi nuovi « poteri » quello che è stato più studiato (e sarebbe troppo lungo fermarsi qui sulle ragioni polemiche di una tale predilezione) è senza dubbio il potere economico. Sono troppo note le considerazioni che si fanno di solito sulla necessità delle grandi concentrazioni nell'economia ·contemporanea e sulle grandi società, che sono figlie legittime di questa spinta inesorabile alla concentrazione; sono troppo diffuse le polemiche sui monopoli, perchè ci si debba ·soffermare a lungo su esse ancora una volta. Converrà ricordare, piuttosto, ohe uno dei più acuti studiosi dell'economia contemporanea, che è stato insieme uomo ,politico e che ha avuto responsabilità di primo piano nel new dea/,, Adolf Berle, ha potuto scrivere recentemente che le tradizionali garanzie non erano adatte alla situazione del mondo contemporaneo: « la forma storica del1' habeas corpus non è più sufficiente poichè nel mondo moderno la libertà di un uomo può essere lesa ·senza impadronirsi della sua persona, pri~ vandolo piuttosto della possibilità di lavorare ». Certo quella di Berle è un'affermazione-limite: ìna essa è esasperata a ragion veduta, per r:endere meglio evidente la lacuna che si è venuta a costituire nèl nostro sistema di libertà. Vi sono, però: nella società contemporanea numcr,osi altri tipi· di potere che non hanno ottenuta dagli studiosi l'~ttenzione che si è invece [8] Bibliotecaginobianco

data al pote.re economico e che tuttavia esercitano un'influenza che può essere a volte determinante. I cosiddetti gruppi dì pressione sono appunto uno di questi tipi: ed è anche qui appena necessario ricordare che non tutti i gruppi dì pressione sono espressioni delle grandi corporations, dei monopoli. E ancora gli apparati dei partiti moderni, quando non siano soggetti ad un preciso regolamento giuridico, sono a-nch'essi delle fonti dì potere al di fuori della classificazione abituale, ma che anche esercitano pressioni in concorrenza coi poteri tradizionali. Molto spesso si la·menta il conformismo delle società democratiche (non parliamo di quello delle società totalitarie poichè evidentemente ha ragioni e pone problemi del tutto diversi), e non si riflette che sovente tale conformismo non è un riflesso naturale delle folle e neppure una conseguenza del livellamento implicito nella dottrina e nel regime democratico, ma è piuttosto conseguenza della pressione di poteri diversi da quelli che la scienza politica tradizionale ha sempre considerato e che imprimono certe direzioni piuttosto che altre e determinano i comportamenti umani. Per questo non può non ·lasciare insoddisfatti o increduli una restaurazione o un programma di essa che si ponga soltanto come restaurazione morale, come appello alla fede nei valori spirituali, all'antico Prometeo operoso. Non tanto perchè quei valori abbiano perso di significato, quanto perchè siffatti appelli hanno sempre l'aria di essere evasioni innanzi ai problèmi che la realtà contemporanea pone in modo inquietante. A che serve, infatti, evocare la creatura umana tutta piena di virtù operativa, quando il Prometeo di cui si è detto ha lasciato il luogo ad una creatura frustrata, combattuta e stretta tra forze assai ipiù grandi di lei, tra forze che si sono spersonalizzat~ e che paiono aver assunto l'implacabile_impassibilità della macchina? Una fenomenologia dell'individuo dedotta dall'osservazione sociologica oontemporanea non potrebbe e_non saprebbe essere in nessun modo una fenomenologia dell'unico, dell'uomo che è simile agli angeli, che è di poco inferiore a Dio stesso: perfino il romanzo popolare si è impadronito di una simile verità. Una considerazione anche sommaria del sistema dei poteri nella società contemporanea porta, dunque, alla constatazione di una grave lacuna nell'ambito di tale sistema e di uno squilibrio a danno dell'individuo., L'equilibrio istituzionale della società (ed è evidente che qui nell'aggettivo 'istituzionale ' non sono comprese soltanto quelle che tradizionalmente si [9] Bibliotecaginobianco

intendono per istituzioni, le istituzioni dello Stato cioè, ma anche tutte le altre che la tradizione non intende per tali, dai partiti ai gruppi di pressione, dai grandi complessi della stampa di informazione alle concentra~ zioni industriali) si è alterato, o se si pretferisce si è soltanto mutato, e di questo mutamento la prima vittima è stato il sistema di garanzia della li1 bertà. Nuove forze hanno cominciato a premere, ad esercitare il loro potere nella società, senza che altre forze controbilancianti si opponessero ad esse e le equilibrassero. E in conseguenza gli strumenti medesimi che erano stati escogitati dalla scienza p.olitica ·come ,punti di resistenz·a per assicurare i diritti degli inermi sono stati inesora!bilmente tf'avolti nella crisi. ·Chi consideri la funzione e i ·poteri dei parlamenti in una moderna società democratica, ad esempio, non potrà non rendersi conto dell' esattezza di tale ·osservazione. I par la1nenti da una parte aippaiono privati della loro forza e at1torità origina·rie in quanto v'è stata una tendenza dei p.oteri a concentrarsi fuori delle ra-p1 presentanze nazionali (i 1 partiti, per quel che riguarda immediatamente la vita politica; tutta la rete degli interessi -economici, poi), e dall'altra appaiono sottoposti alle pr,essioni e all'assalto di questi ,p,oterimedesimi 1 dall' esterno. Il risultato è stato ,quello svuotamento cui tutti ab1biamo assistito, per riparare al quale non è sufficiente fa:r l'inchin·o d'obbligo alla ma•està della rél!ppresentanza nazionale e non è neppure sufficiente invocare le riforme costituzionali (come si vede da ogni parte ed in ogni dove) dal momento che col riformare le costituzioni ci si mantiene alla periferia dei ·problemi. A meno che, naturalmente, non si comprenda nelle ,riforme ,c 1 ostituzionali tutta un'altra serie di interventi che correggano gli effettivi squilibri istituzionali. Anche ·per siffatte ragioni - e questa potrà ·sembrare una considerazione secondaria ma, come si vedrà, ci porterà al cuore del prdblema - non si può condividere la critica fatta da alcuni ai gruppi di pressione in nome della pericolosità dell'ass.ociazionismo. Il timore che una nuova fortuna dell'associazionismo 1possaportare ad un corporativismo ,di tipo f eudale è infondato ed assurdo per la semplice ragion·e che mancano oggi le condizioni storiche di una società di tipo feudale. Sul mon,do contemporaneo è passata, piaccia o no, la Riv,oluzione francese, e con essa il tema della li·bertà politica è diventato il cardine di •ogni struttura sociale: la piramide delI'ancien régime è· stata definitivamente decapitata. Semmai v'è un ,difetto dell'associazionismo, nella società dei n.ostri giorni, in quei settori [10] Bibloteca Gino Bianco

che più di altri su·biscono le conseguenze dei vertiginosi mutamenti del-- I' economia contemporanea, un difetto che porta con sè come risultato naturale e immediato un difetto di forza corrtrdbilanciante. E quando si dice qui <<difetto», non si vuol dire solo mancanza asso,luta di associazione, ma anche ·deficienza delle associazioni effettivamente esistenti ad intendere la posta in gioco e le posizioni da cui deve essere condotta la battaglia. La ·politicizzazione dei sindacati operai, ad esempio, può essere un espediente valido nei momenti di crisi grave, quando ogni problema si pone inesorabilmente come un problema di regime, ma non può ovviamen te essere utile ed è anzi dannosa quando la congiuntura sia diversa. È u11a constatazione quasi ovvia, che si trae dall'esperienza quotidiana, quella che i sindacati politicizzati sono incapaci di rispondere alla sfida che l'evoluzione capitalistica ·pone naturalmente ad essi. Del pari, per fare un altro esempio, la burocratizzazione che distingt1e altre associazioni non solo estingue il genui110 spirito associativo e fa delle associazioni stesse delle macchine., 1na anche le sfigura, riducendole a volte ad infrastrutture di altre, più potenuti strutture politiche. Tutto ciò appare tanto più grave ai nostri occhi in quanto la fede settece11tescanella co1nposizione naturale dei contrasti non è ,più la nostra (o almeno in quanto noi sappiamo che anche se una tale composizione naturale si dovesse verificare un giorno l'avremmo sempr1e pagata t1n prezzo troppo alto): il dottrinarismo politico settecentesco, al quale }a nostra filosofia politica è debitrice assai più di quanto di solito non si sospetti, ed al quale è debitrice anche, e pur qui assai più di quel ·che non si sospetta, la teoria economica liberistica!, era la traduzione in termini politici ·della concezione newtoniana dell'universo, dominante appunto sulla fine del secolo decimosettimo e lungo tutto il secolo decimottavo. Allo stesso modo che l'universo si presentava come il risultato di un'armonia naturale di forze contrastanti, così il sistema politico era configurato ,come la risultante di forze originariamente antagonistiche, che si componevano, attraverso il loro stesso urto ed intreccio, in un miracoloso ·equili,brio. Se ci si riflette bene una simile idea era, magari inconsapevolmente, alla base di _dottrine come quella sulla separazione dei poteri e di tutta la filosofia politica settecentesca: l'universo continuo e senza fratture dalla natura alla società non è stato inventato per la prima volta dai positivisti. Come si diceva, questa fede o, se si preferisce, questa filosofia politica [Il] Bibloteca Gino Bianco

non è più la nostra: noi sappiamo che le reazioni di difesa, le forze controbilancianti vanno stimolate, allo stesso modo (e il paragone non sembri paradossale) che gli investimenti non si indirizzano naturalmente nelle zone sottosviluppate e che per indirizzarveli occorre stimolarli. Ora una tale funzione di stimolo e di organizzazione non può essere che dello stato: è lo stato che deve riesaminare profondamente, nell'interesse di tutti, le sue proprie istituzioni e funzioni e regolarle, e ricostruirle se necessario, in modo che gli interessi che non sono difesi e le libertà che non sono protette o sono addirittura violate ricevano difesa e protezione e garanzie. Non basta scrivere nelle carte costituzionali delle dichiarazioni di principio; occorre prevedere le istituzioni che traducano in pratica quei principi che si sono solennemente dichiarati. E ne,ppure basta chiedere a gran voce (come, ad esempio, si vede fare in Italia) l'attuazione della costituzione: coloro che chiedono cose siffatte sono in realtà in arretrato sui problemi e sulle necessità effettive del paese e la costituzione è per essi soltanto un tema buono :per l'agitazione e la propaganda assiem~ a molti altri. Poichè se essi avessero per un momento soltanto riflettuto su quei problemi e su quelle necessità saprebbero benissimo che non di attuazione della costituzione si dovrebbe parlare, ma piuttosto di integrazione della carta costituzionale italiana: è assurdo, ad esempio, e questa rivista l'ha già ricordato più di una volta, che jn una società democratica moderna si abbiano dei partiti che funzionano come istituzioni e non vi sia uno statuto pubblico dei partiti stessi. È ovvio che un'affermazione come quella che s'è appena fatta, deHa necessità dell'intervento del pubblico potere per restaurare il sistema di · libertà e per colmare le lacune che in tale sistema si sono riscontrate, sia che gli squilibri derivino dall'inettitudine delle istituzioni politiche propriamente dette, sia che essi derivino dalle rivoluzioni economiche che si sono svolte negli ultimi cinquant'anni, solleverà molte dbiezioni. Ed è ovvio che vi saranno molti, soprattutto coloro che non esitano a proclamarsi gli unici difensori della libertà economica, i quali accuseranno di statolatria una siffatta concezione e· ricorderanno l'esperienza sovietica per mostrare come la soppressione della libertà economica si accompàgni alla scomparsa della libertà politica. Nel quale argomento v'è certamente una gran parte di verità: l'esperienza sovietica ha mostrato come la nazionalizzazione o, se più piace, la collettivizzazione dell'economia ha portato alla [12] Bibliotecaginobianco

monopolizzazione -del potere e alla soppressione delle libertà. E d'altra parte noi non abbiamo nessuna difficoltà ad ammettere che la, concentrazione industriale (non, tuttavia, la cartellizzazione) è un prodotto naturale dello sviluppo economico contemporaneo: le necessità del mercato, il progresso tecnico e le sue esigenze, l'interesse stesso 1ei consumatori, tutto, insomma, fa sì che la civiltà industriale dei nostri giorni sia appunto una civiltà industriale e non una civiltà artigianale. E non abbiamo nessuna difficoltà ad ammettere che certe antiche leggi economiche, che erano tenute come dogmi fino a qualche decennio fa, siano da considerare oggi non diremo superate ma almeno come parzialmente vere: il terrore del gigantismo industriale così come si manifestava ancora agli inizi del secolo sembra -ormai tutt'altro che giustificato. Pure a coloro che trovano eccessiva ed erronea l'affermazione che si fa-cevadi sopra si vorrebbero qui ricordare le parole di un presidente degli Stati Uniti: « alcuni uomini riconoscono che le corporazioni e combinazioni sono diventate indispensabili nel mondo degli affari e che sarebbe follia il proibirle; ma riconoscono anche che sarebbe una follia altrettanto grande il lasciarle così come sono, incontrollate ... Essi comprendono che il governo deve ora intervenire per proteggere il lavoro, per subordinare le grandi corporazioni al pubblico benessere, per impedire l'inganno e la frode, esattamente come è intervenuto per impedire la violenza fisica». Questo presidente degli Stati Uniti si chiamava Roosevelt, ma non Franklin D., bensì Theodore Roosevelt, l'amico personale di Morgan e <lei più grossi banchieri e capitani d'industria statunitensi. E le sue parole furono la base della campagna presidenziale da lui fatta nel 1912: cioè, tirando le somme, quarantasei anni fa. E sarà bene ricordare che allora Roosevelt non fu eletto poichè il popolo americano gli preferì un progressista più spinto, il democratico Wilson, il quale tra l'altro su tale problema la pensava quasi allo stesso modo del suo avversario. E in ,realtà una volta che si sia rifiutata come illusoria la restaurazione del cosiddetto meccanismo concorrenziale perfetto ( « la competizione - diceva Wilson appunto nel 1912- non può essere stabilita per legge contro una tendenza mondiale dell'economia») ed una volta rifiutato il dogma della composizione naturale dei contrasti, non sembra che vi siano altre vie d'uscita che quella che s'è indicata. O ci si rifugia nella religione darwinista del trionfo del più forte, dell'individuo meglio equipaggiato per l'esistenza nella giungla, [13] Bibliotecaginobianco

e della necessità ineluttabile, vera ·com'è v-ero l~uomo, di tale trionfo; ovvero si cerca di gua-rdarsi intorno per vedere se non vi sia qualche modo di ricomporre l'equilibrio spezzato, se non vi sia cioè un altro soggetto di potere che possa intervenire nel contrasto, che possa correggere e ammodernare i binari istituzionali su cui corre il treno della libertà. << La sovranità - scriveva Cardin La Bret nella prima metà del Seicento - è indivisibile come il punto in geometria>>: e se una tale formula · non esprimeva, anche per il momento in cui era p-ronunciata, uno stato di fatto_ indicava tuttavia una tendenza as:sai·chiara della dottrina a ritenere ,, che la fonte del potere in uno stato dovesse essere unica. Ed ancora oggi la stessa formula è il dogma su cui è fondato il sistema giuridico-politico nel quale e del quale viviamo, co,me quello che meglio di ogni altro I ga,rantisce il moderno stato di diritto e di liibertà. Affermazione che può parere paradossale a chi rifletta alla genuina ispirazione assolutistica di proposizioni come quella che si è ap•pena citata; ma che in concreto non ha nulla 'di ·paradossale e di contraddittorio, poichè la validità for,male del principio resta intatta, quali che siano le modificazioni del suo contenuto, quale che sia cioè il depositario della sovranità. Se l'unico potere sovrano è il .popolq (come è per la dottrina democratica), il quale esprime la sua volontà attraverso istituzioni e modalità precise e determinate, è evidente che il d-ogma è •spogliato di tutte le implicazioni assolutistiche che pareva contenere nei secoli addietro e che le imp,alcature di uno stato di libertà possono ben riposare su esso. Si ·potrebbe a questo punto osservare che il dogma della sovranità n-on si configura come un concetto ·puro, ma piut- • • • • • • • • tosto come un pr1nc1p10operativo, pratico, come una 1st1tuz1one;ma una tale consid·erazione è per il momento almeno irrilevante: quello che c'interessa in questa sede è meno- stabilire un assoluto che riconoscere il principio, strumentale se si vuole, da cui muovere per più op•portunamente correggere i binari istituzionali che appaiono ormai consumati, per restaurare il sistema di garanzie della li:bertà. Quel che ci interessa, cioè, è rileva,re come tutto, l'a struttura del moderno stato di diritto e i princìpi su cui esso è ·costruito, così come l'osservazione empirica delle lacune e delle defi.. cien.ze che ess;ostato di diritto presenta oggi, porta alla medesima conclU:- sione: che solo attraverso un nuovo istituzionalismo si possono restaurare le libertà ·pericolanti. ·Conclusione che sem·brerà certa,mente eccessiva a coloro che conside- [14] Bibloteca Gino Bianco ..

rano le istituzioni come delle astrazioni, dei pseudo-concetti, e che intendono gli pseudo-concetti come falsi concetti logici. Ora si può ammettere volentieri che le istituzioni non siano concetti filosoficamente puri; ma ciò non è sufficiente a cancellare una realtà di fatto. E del resto nessun serio spirito filosofico vorrà mai tanto. Se ci si riflette un istante si vedrà che la somma del costituzionalismo è tutta contenuta in poche frasi, sulle quali è facilissimo lasciare cadere l'accusa di astrattezza dall'alto dell'orgoglio pseudo-storicistico, ma nelle quali ci si imbatte, e verrebbe quasi voglia dire: ci si scontra, tutte le volte che si vuole costruire per gli individui U11 sistema di libertà. Poichè le discussioni possono essere infinite: li1 bertà morale e libertà politica e loro rapporti; libertà dello spirito che crea; libertà da..., libertà per ... Ma alla fine torna sempre l'altro problema che dal punto di vista di un'organizzazione della società si pone addirittura come pregiudiziaìe: quello dell~ garanzie istituzionali della li1 bertà. E si potrebbe ricordare addirittura che nella loro storia degli ultimi anni del secolo decimosesto e di tutto il decimosettimo, a:d esempio, gli Ìnglesi non si batterono mai per la libertà dello spirito che crea, per la li1 bertà con la maiuscola, ma contro le patenti di monopolio o contro l'arresto senza cat1sa dichiarata, .per l' habeas corpus o per impedire che i giudici potessero essere licenziati con un atto di_li1 bera volontà del sovrano; si 1 batterono cioè per questa o quella concreta li·bertà e per la garanzia della libertà che avevano conquistata, per una sua strutturazione istituzionale. L'uomo è un animale p.olitico disse un filosofo all'incirca venticinque secoli or sono: ma vi sono poche verità che hanno fatto tanto lodare colui l'ha formulate e che sono insieme così svelta1 mente e disinvoltamente dimen .. ticate. Poichè se l'uomo è tale, penserà sempre i suoi valori politici i11 termini concreti, in termini cioè di istituzioni politiche e come tali si sforzerà di attuarli; e dunque le istituzioni •sono anche passioni e non soltanto quegli strumenti freddi e staccati dalla vita quotidiana che molti credono di poter sommariamente giudicare e mandare. Certo qui non si vuole negare che in questi ultimi non vi sia una ragione precisa e perfettamente ·comprensi1 bile che li induce .ad assumere una tale posizione. È la inquietudine connessa alla condizione umana, il bisogno di progresso, l'insofferenza che l'uomo ha in conseguenza della ipiù o meno chiara consapevolezza del divario che corre tra il ten1.podella vita individuale e il tempo della costruzione storica, onde sempre il già fatto appare quasi [15] Bibloteca Gino Bianco

\ ' ridicolo in ,confronto di quello che resta da fare, onde sempre la con,creta realizzazione aippare angusta in confronto ddle visioni e dei sogni che si sono a lungo p.ortati dentro e che hanno -costituito la molla 'principale del vivere operan•do, onde sempre si ha la sensazione che il meglio, ciò che veramente valeva la pena di essere realizzato è restato nell'infinito impero dell'inespresso. Sono questi sentimenti e i confllitti morali e le sofferenze che ad essi si accompag11a110di solito (i quali considerati in altra prospettiva appariranno i dolori del parto della storia a venire) a far apparire l'istituzione fredda e scialba e inadatta ad esprimere tutta la ricchezza dell'umana politica e dell'umano fare. Sono essi sentimenti che inducono a dire che le istituzioni sono solo delle vuote forme, in cui l'uomo metterà di volta in volta il contenuto delle sue pa,ssioni. E-quando si è detto che la politica è il mome11to della forza si è voluto dire questo, appunto, che essa è il momento della passione verde e pura, dell'operatività e creatività primigenia, del disegno di realizzazione totale. ' Pure a noi sembra (ed ovviamente non è questo il luogo per analizzare le ragioni storiche della genesi di un tale concetto) che tale concetto della ,politica come momento della forza traduca imperfettamente un'esperienza storica: la politica non si esaurisce nella forza e la creazio11epolitica non •siesaurisce nella volontà di costruire. Oltre la volontà, c'è la cosa che si cost~uisce, l'istituzione. Poichè le istituzioni sono create dagli ·uomini, appunto, che vi mettono qualcosa che va oltre il loro storico transeunte pensiero, il loro storico transeunte ba,gaglio di esperienze aspirazioni teorizzazioni sogni e pregiudizi. Essi vi mettono il segno dell'universalità che è proprio della natura umana e il loro sudore, le loro lacrime, il loro sangue: le cose con cui si calcinano, cioè, le mura della libertà. [16] Bibloteca Gino Bianco ...

I comprensori dell'industrializzazione di Carlo Turco Uno degli elementi più spiccatamente innovativi che la legge 29 luglio 1957, n. 634 presenta, rispetto alla passata legislazione concernente l'industrializzazione meridionale, sta nel fatto di aver ,predisposto - entro il quadro delle provvidenze dirette a favorire in linea generale le iniziative industriali, ovunque si stabiliscano nelle regioni del Su,d - una particolare serie di incentivi, per i quali si rimette agli organi governativi un relativamente ampio ,potere discrezionale, specie con riguardo alla scelta delle località in. cui favorire gli insediamenti ind·ustriali. Ne consegue - come già si ebbe modo di rilevare su questa rivista .oltre un anno fa (1 ) - un preciso impegno per gli organi responsabili ad intraprendere nel Mezzogiorno una ap1 propriata politica di localizzazione delle industrie; è quanto, del resto, si tenne ad affermare nella relazione di maggioranza della « Commissione speciale per il Mezzogiorno e le zone depresse >> della Camera dei Deputati, relazione 'Che accompagnò in assemblea il testo legislativo: « La discrezio1ialità che viene lasciata al Comitato dei Ministri o alla Cassa, per la concession,e delle facilitazioni previste e · per la determinazione della loro misura, deve essere pure sfruttata per uti razionale orie1ztamento delle scelte territoriali». È appunto questo << razionale orienta-mento delle scelte territoriali >> che ha costituito, specie in questi ultimi mesi, uno dei pricipali temi ricorrenti nella pubblicistica meridionalista. Una pubblicistica, non v'è du·b1 bio, feconda di suggerimenti, di spunti, di indicazioni degne del mas- ( 1 ) Cfr. << I nuovi incentivi» (n.d.r.) in Nord e Sud, A. iv· - n. 27 - febbraio 1957. [17] Bibloteca Gino Bianco \

simo interesse e della più attenta considerazione: alla quale, però, sembra doversi imputare un'eccessiva inclinazione a schemi teoricamente ed astrattamente ineccepibili, quanto, per contro, inadatti ad esprimere le linee e gli indirizzi di massi.ma cui dovre·bbe attenersi un'azione di intervento, conforrriemente alle esigenze di immediatezza ed alle concrete p.ossibilità dell'attuale situazione. Non sembra, ad esempio, che sul piano delle scelte politico-economiche giovino quelle impostazioni in virtù delle quali ci si addentra in qu.estioni ubicazionali di carattere strettamente tecnico od economico-aziendale e si finisce inevita1 bilmente per . suggerire - più o meno esplicitamente - la necessità di laiboriose ~d analitiche indagini, preliminari ad una pianificazione delle localizzazioni industriali secondo criteri di optimum assoluto (peraltro sempre discutibili); nè quelle impo-. stazion.i, per così dire, «integraliste», che subordinano categoricamentè l'adozione di un'intervento sulla distrjb11zione territoriale degli sviluppi industriali, ad una preventiva, precisa programmazione degli <>biettivi, dei tempi e dei metodi dell'azione d.i intervento in tutti i settori. Ciò che attualmente ha rilievo non è tanto l'accurata individuaziont dei pu11ti di localizzazione « ottimale », quanto il probrlema di << creare le condizio11i specifiche della industrializzazione, in zone delimitate e determinate» (2 ) ed opportunamente distribuite nel Mezzogiorno; d'altronde, è proprio attivando una politica di localizzazioni, sia pure di larga massima, non rigidamente codificata, ed anzi rispondente a determinati requisiti di flessibilità ed adattabilità., che si può concreta.mente tontrib11ire ad una maggiore coordinazione ed integrazione dègli interventi; non soltanto in senso spaziale, ma benanche in senso settoriale. e temporale. Risultato che, come l'esperienza dimostra, è assai più difficile conseguire operand.o <<dall'esterno», con le semplici esortazioni e solle- . citazioni degli organi responsabili a soddisfare, d'un tratto, le molteplici ed ampie esigenze politiche e metodologiche di una pur necessaria unitarietà e coordinazione degli interventi. Con ciò, tuttavia, non si intende affatto aderire aile posizioni di quanti equivocamente ·- mai esplicitamente - sembrano suggerire agli organi di governo di rinunciare ed anzi di sottrarsi all'impegno di qualIl!'.'_ ( 2 ) Cfr. F. CoMPAGNA, << Il 'secondo tempo' della politica meridionalista>, in: Nord e Sud, A. II - n. 12, novembre 1955 (pag. 11). [18] Bibloteca Gino Bianco

siasi preliminare definizione di principi e di metodi ed a qualsiasi ordine di scelte preventive, per ripercorrere invece - come in passato - le vie dell'empirismo spicciolo, del giorno per giorno e del caso per caso (che spesso, poi, sono state le vie del pressappochismo incongruente o, peggio, quelle del sottogoverno). Anche qui torna .opportuno rammentare l'ammonimento che la Commissione parlamentare dianzi citata, dopo aver chiarito i motivi per cui non ritenne di vincolare rigidamente l'opera dell' esecutiv.o, rivolgeva a quest'ultimo: « Ciò no11,significa, però, che non si debba avere una chiara vision,e degli obiettivi che s'intendono raggiungere e che non si debba attuare la preventiva, ma adattabile, organizzazione dei mezzi e degli sforzi per il raggiungimento dei vari fini», mentre è del pari necessario « che i propositi e le direttive degli organi responsabili siano tempestivamente noti». In effetti, a distanza oramai di oltre un anno e mezzo da che fu presentato al Parlamento il disegno legislativo cl1e, approvato più di dieci mesi fa, diede vita all'attuale legge n. 634, non è neanche noto se gli organi responsabili abbiano formulato propositi e direttive di sorta (3 ); nè è dato di sapere sino a qt1al punto quest'inerzia governativa possa spiegarsi - non certo giustificarsi - con l'attuale congiuntura pre-elettorale e sino a che punto, viceversa, la mancata enunciazione di quei ·propositi e di quelle direttive risponda ad una deliberata volontà di 110n vincdlarsi ad impegni quali che siano. In questa sede, riprendendo ed ampliando argomenti e considerazioni svolte in alcune note redazionali ap,parse in Nord e _Sud Io scorso anno (4 ), si tenterà di esplicitare - sia pure a titolo prevalentemente interlocutorio ed esemplificativo - come ed in qual senso potrebbero indirizzarsi le scelte e le direttive di massima, atte ad avviare quella politica di localizzazione industriale in cui, sempre in questa rivista, si additava - oltre due anni or sono - un cardine fondamentale del « secondo tempo» dell'intervento meridionalista (5 ). ( 3 ) Cfr. Però, in proposito, la nota apposta in fine al presente scritto. ( 4 ) Cfr. << Gli incentivi emendati», Nord e Sud, A. IV - n. 28, marzo 1957; << Le scelte dell'industrializzazione», Nord e Sud, A. IV - n. 34, agosto 1957. ( 5 ) Cfr. F. CoMPAGNA, loco cit.. ., [19] Bibloteca Gino Bianco

Com'è noto, la legge n. 634 si limita a stabilire due prin-cipt, in materia di scelte u1 bicazionali: da un canto, essa intende che si favorisca la diffusione de1 l ,processo di industrializ~azione - nella forma di piccole e medie iniziative - in Comuni con popolazione inferiore ai 75.000abitanti, in Comuni, cioè, che - secondo una tendenza sinora incontrastata - ne son.o stati assai scarsamente partecipi; in secondo luogo, la legge suggerisce la forrp.azione di « zone industriali>>, nella figura di compatti centri di stabilimenti, al fine di evitare (secondo quanto si precisa nella summenzionata relazione parlamentare) « la dispersione delle iniziative in v.arie zone dello stesso Comune, con conseguenze negative (sia agli effetti urbanistici che a quelli finanziari) per il maggior costo che la molteplicità delle attrezzature 'com,porta ». Si tratta di .due principì di natura chiaramente differenziata, potendo il primo essere interpretato come un indirizzo - per quanto indeterminato - di carattere politico-economico ed il second.o, invece, ispirandosi a -considerazioni d'indole più s,piccatam~nte tecnica. In astratto, difatti, p-ur attenendosi alla lettera della legge, niente impedirebbe le più diverse « combinazioni » dei due tipi di incentivi - e cioè, · rispettivamente, second.o 'Criteri di massima concentrazione, od invece di massima dispersione territoriale - così (come nulla vieterebbè di avvalersene secondo criteri del tutto· indip,endenti e slegati. Scartate queste ipotesi astratte per i motivi dianzi esposti, sem·bra non possa du-bitarsi della .necessità ed opportunità di informare l'impieg.o dei due diversi ordini di incentivi secondo criteri di stretta complementarietà u:bicazionale, quali _ad esem,pio furono enun·ciati dall' on. Campilli nel dicem-bre scorso a Reggio Cala·bria: « ... le disp.osizioni relative alle piccole e medie industrie, e quelle concernenti le zone industriali, hanno fra loro una funzione integrativa, in quanto tendono a promuovere una industrializzazione nello stesso tempo •diffusa e concentrata, tendono, cioè, a costituire consistenti nuclei industriali, appoggiati a loro volta ad un tessuto connettiv,o di piccole e medie industrie sparse in Comuni minori>> (6 ). ( 6 ) Citato da F. V ENTRIGLIA in « 'Coordinazio~e' della politica per il Mezzogiorno», Mondo Economico, 4 gennaio 1958. [20] Bibloteca Gino Bianco

L'applicazione di un siffatto criterio <<integrativo» sembra peraltro riconfermare <<la necessità di i11dividuare regioni. . . che si potreb·bero dire 'di co11ce11trazione indt1striale', in cui dovrebibero armonicamente com1 binarsi e dosarsi gli interventi>>; necessità già additata su Nord e Sud ( 7 ) con riferimento a regioni che p.oi sembrano corrispondere pienamente a quelli che, sempre s11 questa rivista, il Cifarelli definì, con dizione preferibile, veri e propr1 << comprensori di industrializzazione» (8 ). È possibile che qt1esta interpretazione sia un pò una forzatura del pensiero espresso dall'on. Campilli: ma d'altro canto non sem-bra possa esservi dubbio sul fatto cl1e i benefici più ~amp1di una «industrializzazione concentrata» siano quelli che derivano da concentrazioni territoriali, del- . le industrie, di un ordine relativo superiore a quello cui a,ppartiene il raggr11ppamento di più stabilimenti topograficamente adiacenti. L'idea di identificare {!ei « comprensori di industrializzazione», nei quali concentrare la manovra deg'li incentivi previsti dalla legge 634, sì da suscitarvi una trama di piccole e medie industrie gravitanti attorno ad uno od anche più « nuclei industriali» - le vere e proprie « zone industriali » previste dalla legge - di varia consistenza, sembra corrispondere soddisfacentemente ad esigenze <<naturali » e di razionale inter-- vento. Da un canto, infatti, essa si ispira a concreti modelli di distribuzione territoriale delle industrie, quali si determinano nel corso dei processi di localizzazione spontanea, come si riscontra nelle regioni industrialmente evolute del nostro Paese, e come sembra ·potersi già riscontrare in embrione nelle zone piu industrializzate del Mezzogiorno stesso (&); d'altro canto, essa rispecchierebbe forme di interventi sulla localizzazione delle industrie già largamente sperimentate in altri Paesi (10 ). ( 7 ) Cfr. la n.d.r. del n. 33, agosto 1957 (pag. 39). ( 8 ) M. CrFARELLI, << Esperienza 1neridionalista », in Nord e Sud, A. IV - n. 27, febbraio 1957 (pag. 30). ( 9 ) Cfr., a questo proposito E. F10RE, << Travagli e sviluppi dell'industria napo· letana », in: Orizzonti Economici, n. 14, novembre-dicembre 1957 (specie par. 9). ( 10 ) Per quanto concerne la tipica esperienza delle Development Areas britanniche, cfr. - oltre alle << note di redazione» citate, - A. GRAZIANI, << La svolta dell'industrializzazione» in Nord e Sud, n. 21, agosto 1956. Si noti, inoltre, che già nel 1952, nella relazione presentata dalla SVIMEZ al IV Congresso Nazionale di Urbanistica, si affermava la necessità di fondare le << zone industriali » ( di cui si sono avuti vari [21] Bibloteca Gino Bianco

La relativamente ampia libertà di scelte ubicaziona'li; la prospettiva dello sviluppo di un'area variamente industrializzata, e quindi della formazione di un vasto ed assortito mercato di lavoro, nonchè di un consi-- stente mercato di ·consumo, che siffatti. « comprensori di industrializzazione» presenterebibero; ed infine la consapevolezza di un. impegno governativo determinato e costante nel curarne lo sviluppo, sono tutti elementi che potrçbbero costituire una ·molla propu'lsiva addizionale non trascurabile, nei confronti dei soggetti imprenditoriali del processo di industrializzazione. D'altra parte, la stessa preordinata concentrazione di codesto tipo di interve11ti nei suddetti « comprensori » determinerebbe con tutta proba·bilità una concentrazione ed una maggiore coordinazione di tutta l'azione di sviluppo esercitata da diversi enti pu,bblici e semipubblici. . . All'interno di questi « comprensori » potrebbe poi, eventualmente, determinarsi una più dettagliata politica di 1 localizzazione, con partico-- . ' lare riguardo ai problemi degli insediamenti umani, ai problemi di eventuale congestione urbana del centro ,principale. del <<comprensorio», ai prdblemi delle eventuali, particolari necessità di accentramento o decentramento che si presentassero in questo o quel caso concreto. I N.on sembra che il problema dell'identificazione di codesti « comprensori di industr'ializzazione » comporti difficoltà non superabili anche entro termini di tempo relativamente brevi: in precedenti occasioni già si è fatto riferimeri~to alle <<aree di svilup1 po ulteriore>> ed alle « aree di sviluppo integrale>>·individuate dalla SVIMEZ; e questo riferimento può '. considerarsi tuttora' valido, salvo que1 lle eventuali modifiche ed integrazioni che le esperienze e le trasformazioni anrbientali, intercorse dal tempo in cui dette aree furono individuate, rendessero necessarie (e, naturalmen~e, si potrebbe pensare ad u~ coordinamento e aggiornamento con i dati e le notizie che la Cassa per il Mezzogiorno, gli Istituti speesempi nella passata legislazione) << sulla corrispondenza con comprensori economici dotati di particolari condizioni e funzioni che ne facciano il naturale luogo di concentrazione e coordinamento di attività industriali». (Cfr. SVIMEZ, << La regione come punto di riferimento di un programma di sviluppo economico del Mezzogiorno», in: La Pianificazione Reg,:onale, << Atti del IV Congr. Naz. di Urbanistica », Venezia, ottobre 1952). [22] Bibloteca Gino Bianco

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