Nord e Sud - anno V - n. 41 - aprile 1958

Rivista mensite diretta da Francesco Compagna ANNO V * NUMERO 41 * APRILE 1958 Bibloteca Gino Bianco

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I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna / Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO - Editoriale [ 3] 4Manlio Rossi Doria Dieci anni di politica agraria nel Mezzo~ giorno [7] Renato Giordano La fascia 11-eutrale [24] N.d.R. Ennio Ceccarini Antonio Gerace Renato De Fusco Francesco Compagna GIORNALEA PIÙ VOCI Da 1.,aranto~Maratea [34] Do·cumentari sulla guerra [ 37] Vigili e attivisti [ 43] Una niostra di architetti [ 48] Liberalizzaziorie e morralizzazione [50] DOCUMENTI E INCHIESTE Nicola Tranfaglia La <<crisi>d>ella terza pagina [54] Riccardo Barletta Cultura e arti figurative nel Mezzogiorno [68J CRONACHEE MEMORIE Giuseppe Ciranna Partiti ed elezioni in Basilicata nel secondo dopoguerra (III) [80] Antonio Palermo Brunello Vigezzi Antonio Marando Giuseppe Ciranna Una eopia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i versamenti sul C.C.P. n. 3/345S2 intestato a Amoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco RECENSIONI Metafisica e storia [ 111] Storia d'Italia nel periodo fascista [ 114] Calabre [123] lstititto Giangiacomo Fe/trinelli [ 125] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 392.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale · Il giorno 25 maggio, dunque, il popolo italiano si recherà alle urne per eleggere la ter.za Legislatura della Repubblica: il decreto con cui il Presidente Granchi ha sciolto entrambi i rami del Parlamento sembra giusto ed i11discutibile. Git1sto et/ indiscutibile poichè la lettera e lo spirito della Costituzione gliene davano potere e diritto; perchè la difficile congiuntura politica che si era venuta a creare dopo la crisi Segni, con f' avvento del governo cosiddetto monocolore prima, con la riforma del Senato poi, gli davano quasi il dovt:re di farlo. Si potrebbe dire che qttesta seconda Legislatura repubblicana aveva cessato di essere un corpo politico, anzi il corpo politico della nazione dai giorni tragicomici in cui al Senato e alta Camera dei Deputati il Governo delJ'on. Zoli aveva chiesti e non chiesti, avuti e non avuti, i voti della destra nazionalfascista. Fu evidente, allora, che un certo processo politico era giunto al suo termine; e vi fu fin da allora chi, come questa rivista, vide in uno scioglimento anticipato della Camera dei Deputati la soluzione più logica e meglio conforme agli interessi del paese. Da quei giorni, in effetti, il Parlamento fece delle leggi ( le qua/1,',come tutte le cose degli uomini, erano eccellenti o cattive: non è questo il problema che ci interessa oggi), ma non fu un'assemblea politica: resterà tra i dati paradossa/,i della politica italiatJa il fatto che decisioni importantissime co- , me i trattati del MEC e dell'Euratom sono state prese con ttn governo monocolore scolorito e con un'assemblea che era ormai incapace di grandi- dibattiti politici. Le maggioranze che quei trattati riscossero furono cospz'cue; e tali, perciò, da non autorizzare il minimo dubbio; ma r assenza di un govertlo con una chiara qualificazione ha finito col dare a quegfi avvenimenti rivoluzionari il colore un po' smorto dell'ordinaria amministrazione. [3] Bibl·otecaGino Bianco

V'è un punto, tuttavia, nella dissoluzione della seconda Legislatura che 1nerita di essere approfondito, e di essere approfondito proprio oggi: lo scioglimento anticipato del Senato. Anche a questo riguardo va detto subito e con tutta chiarezza che il Presidente della Repubblica ha agito con assoluta correttezza costituzionale. I comunisti, che attaccano oggi !'on. Granchi, sono i comitnisti di sempre: quelli cioè che hanno in bocca ad ogni momento le parola <<costituzione>>,e che se ne dime11ticano, tuttavia, appena svoltano l'angolo. Una rilettura sommaria della Costituzione italiana mostra come quella dello scioglimento anticipato fosse una decisione giusta, saggi,a e pienamente legittima: si può non essere d'accordo con gli articoli della nostra Costituzione eh.e riguardano la dissoluzione: si può pensare che i costituenti su questo punto non abbiano fatto precisamente un capolavoro ( e Nord e Sud si ripro·mette di ritornare sull'argomento); ma quegli articoli, vi sono, ed un Presidente di Repubbti·ca che volesse conformarsi alla Costituzione doveva rispettarli. Questo, per quel che riguarda lo scioglimento anticipato del Senato è la so/,a cosa che ,si possa dire. Il resto è solo divagazione di chi vuole imbro•gliare le carte ed imbrogliare le menti degli elettori, dicendo loro che in Italia si è fatto quasi un coup d'état: di chi vuole, cioè, rifarsi a buon mercato un'udienza facile presso il popolo; di chi vuole, finalmente, screditare le istituzioni democratiche e servirsene per distruggerle. Operazio11e in cui i comumsti sono maestri, o vorrebbero passare per tali. V'è, però, un altro punto che va chiarito: ed è che se il Presidente ha agito nel solo modo costi.tuzionalmente legittimo nella situazione politica che gli era stata posta innanzi, questa situazione medesima, tuttavia, era stata creata da un complesso gioco a cui· non può andare l'approvazione di nessun democratico sincero. Vogliamo dire che il modo con cui tutte o quasi tutte le forze politiche italiane, dai comunisti ai democristiani, dai nazionalf ascisti ai socialisti, si sono condotte innanzi al grave problema della riforma del Senato è stato veramente poco degno di partiti che hanno vocazione di direzione politica in un paese democratico. Si è visto così lo .spettacolo paradossale di un'opposizione di sinistra ( e l'on. Nenni dovrebbe ricordarsi dell'on. Lussu non solo, ma anche della penosa impressione che egli ha dato, di non essere riuscito su questo punto a mettere un po' di ordine nelle teste arruffate e confusionarie dei suoi colleghi di· Comitato [4] · Bibloteca Gino Bianco

Centrale) che non voleva lo scioglimento anticipato: ma nei paesi de_mocratici, si guardi l'Inghilterra ad esempio, l' opposizi.one denuncia sempre {l governo come non più rappresentativo del paese e lo sfida ad anticipare le elezioni·! Si è visto l'altro spettacolo di un governo che proponeva lo sciogt1:·- mento anticipato per evitare di spendere i dieci miliardi che sarebbero stati spesi l'anno prossimç;. Si sono visti i democristiani, determinati ad ottener~ la dissoluzione, ricorrere a tutte le manovre, e i socialisti e i comunisti, determinati per ragioni contrastanti, ma non meno contingenti, a rinviare le elezioni pel Senato, ricorrere a tutte le contromanovre. Ma non v'è stato nessuno, o quasi, che abbia parlato il linguaggio alto e fermo delle istituzioni. Nessuno degli espedienti procedurali, nessuna delle motivazioni per questo o quell' atteggiatriento, nessuna delle proposte o controproposte aveva senso innanzi al problema di fondo che i legislatori e i partiti avrebbero dovuto porsi: quale la funzione, quale la struttura di una seconda Camera? Questo era il centro del dibattito; e questo centro, che nessuno mai ha affrontato, deve essere p1,re evocato dagli otservatori, dai critici politici che sentono la responsabi1ità della loro funzione. Non è senza amarezza che constatiamo che la prima riforma costituzionale che si sia tentata in Italia, sia stata tentata prescindendo i·nteramente dai problemi istituziona/,i che si pongono a coloro i quali vogliono dare un ordine allo svolgimento delle lotte politiche. E francamente non s'intende cosa abbia voluto dire il senatore Luigi Einaudi affermando che la diversità di durata delle due Assemblee presenta aspetti difficilmente giustificabili agli occhi dell'opinione pubblica. Il senatore Einaudi vuole, dunque, una seconda Camera che sia soltanto un doppione della prima? E perchè non una sola Camera, allora? Che l'avvenire non ci riserbi la sorpresa di vedere i comunisti trasformati in campioni intransigenti del bicameralismo! Questo che qui si è accennato non era un problema pel Presidente della Repubblica; era invece un problema per la classe dirigente. E questa 120nha saputo chiarire a se stessa i termini della questione, comprendere che nella riforma del Senato si doveva procedere con chiarezza di intenti, mettendo da parte le contingenze di schieramento e parlando il linguaggio delle istituzioni. Chi ha letto l'editoriale di Nord e Sud di questo gen- [5] . BiblotecaGino Bianco

naio conosce le nostre opinioni; e del resto noi ci proponiamo di tornare sull'argomento: quel che occorreva mettere in chiaro subito era la mancanza di senso delle istituzioni, diciamolo pure: di senso dello Stato, che ha dimostrato in questa occasione la nostra classe dirigente. Il mestiere di profeti di sciagure non ci ha mai sedotto eccessz·vamente; m.a quello clie abbiamo visto nei mesi passati è certamente un cattivo segno, il sintomo di una malattia grave di cui soffrono le forze politiche italiane: l'attitudi·ne a servirsi delle istituzioni ignorandone le esigenze porta alla lunga alla morte delle istituzioni stesse. [6] Bibloteca Gino Bianco

Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno di Manlio Rossi Doria Quando ripenso a quel che gli anni seguiti alla guerra e alla liberazione hanno rappresentato per il Mezzogiorno mi sento ad un tempo confortato e sconfortato. L'immobilità economica e politica è stata finalmente rotta in quegli anni lungo tre linee in un certo senso tra loro indipendenti: il movimento contadino, la politica d'intervento dello Stato, il generale sviluppo economico del paese. Eppure ciascuno di quei tre processi dimostra ormai di non poter avanzare con i caratteri che aveva, ha chiuso, cioè, un suo ciclo, senza che il Mezzogiorno abbia chiare davanti a sè nuove méte e le strade per .raggiu11gerle. Il movimento contadino è stato forse il più importante dei tre p•roprio perché runico che avesse origini e radici nel Mezzogiorno. Dob·biamo al suo sorgere la Repubblica nel 1946, alla sua pressione la politica d'intervento Questo è il testo della introduzione clie 1:.1 anlio Rossi Doria ha scritto per una tra portante raccolta dei suoi principali studi e articoli sulla politica agrari·a nel M ezzogiorno. Tale raccolta viene pubblicata in questi· gi·or11ida Laterza, tra i << Libri del .tempo». È stato espresso dall'Autore, che attualmente si trova negli Stati Uni.ti, i'l desi·derio che la introduzi·one venisse contemporaneamente pubbli·cata su Nord e Sud: di· aver voluto così sottoli·neare i°/ suo consenso e i molteplici· legami· che lo rendono solidale con la nostra attività - alla quale del resto egli ha recato fondamentali con-- - tributi - siamo profondan1ente grati a Nf anlio Rossi· Daria (n.d.r.). [7] BiblotecaGino Bianco

del 1950, alla sua crisi l'involuzione politica del Mezzogiorno negli ultimi • anni. . L'incontro tra il movimento contadino e il Partito comunista è stato immediato e naturale: quello, ignaro delle sue forze e dei suoi obiettivi reali, aveva bisogno di qualcuno che desse voce e unità al pr.oprio indistinto e disarticolato moto di protesta, questo di una massa in agitazione da usare come strumento di pressione e di conquista. Dal fatale incontr.o il movimento contadino ha tratto così insieme la sua iniziale forza di rottura, la sua sostanziale inconsistenza e la condanna a un rapido declino .. ·Nato dalla accumulata esplosività della_ miseria nelle cam·pagne e dalla ascesa sociale di larghi strati contadini poteva acquistare consistenza e stabilità solo se avesse, con una costruttiva e ·battagliera politica riformistica, interpretato le esigenze concrete di quella ascesa sociale. Logorato' invece, dalla ·protesta indiscriminata e dalle agitazioni senza obiettivi raggiungibili~ ha lasciato dopo più di dieci anni il Mezzogiorno senza l'embrione di una moderna organizzazione contadina, senza un sindacato o una cooperativa funzionante, senza una prospettiva e una politica di sinistra. \ / La politica d'intervento dello Stato nella sua triplice espressione della riforma agraria, della Cassa del Mezzogiorno e della politica di indu-- strializzazione, ha obiettivamente rappresentato il più serio sforzo dello Stato, dall'Unità ad oggi, nell'affrontare i problemi del Mezzogiorno .. Nata sotto la pressione e come una risposta al movimento contadino e co., munista, ha saputo nelle grandi linee valicare i limiti di questa ristretta origine, investendo con serietà alcuni dei più grossi problemi dell'arretratezza meridionale. Essa ha, tuttavia, conservato i caratteri e i difetti di una politica straordinaria e, per così dire, di emergenza; si è posta solo degli obiettivi specifici, isolati àrtificialmente dalla rimanente realtà e si è dimostrata così incapace di trasformare durevolmente l'ambiente economico e socialè circostante. Dopo la riforma e in gran parte in conseguenza del modo in cui questa è stata concepita e realizzata, ossia fuori del quadro di una moderna politica agraria, le zone povere e sovrappopolate del Mezzogiorno, nelle quali più doveroso era l'intervento dello Stato, sono rimaste, nella più gran parte, non solo dominate come prima' dall'assurdo sistema di rapp.orti · fondiari e di contratti agrari· ma prive di ogni assistenza tecnica e creditizia, senza scuole e assistenza sanitaria, preda ancora del debito e della [8] Bibloteca Gino Bianco

usura. Accanto ai nuclei paternalisticamente guidati dagli Enti, sussistono così più numer.osi quelli abbandonati a se stessi su di una terra resa •più povera, in una società più disgregata. La politica della Cassa è stata indu:bbiamente più agile e razionale. Una selezione delle opere pubbliche con pre.ferenza delle più utili e redditizie, è stata fatta; una concentrazione dei fondi in opere essenziali - come gli acquedotti e i comprensori di ·bonifica di più alta suscettività e in particolare di possibile irrigazione - è avvenuta. Ma anche qui il difetto della straordinarietà degli intervènti e la contraddizione di una mancata contemporanea revisione della politica generale ed agraria sono evidenti e I dannosissimi. Durante dieci anni si è sviluppata così - per fare un esempio - una imponente attività di •bonifica senza che vi fosse una politica della bonifica, senza affrontare, cioè, una serie di problemi ·pregiudiziali ' come quello ovvio ed importante del finanziamento e dell'organizzazione della trasformazione fondiaria •sia nelle medie che nelle piccole proprietà. A questo punto se ne ·potreb.beroaffiancare molti altri, tutti a riprova di 1 quella fondamentale contraddizione di questa politica di straordinario in- · tervento, che ricompare evidente ancl1e nella più recente politica della industrializzazione, i cui specifici obiettivi vengono perseguiti senza che si modifichino le fondamentali condizioni per il loro raggiungimento, siano queste - per fare ancora degli esempi - la efficienza degli istituti uni- I versitari o quella della scuola elementare. Anche la politica d'intervento appare, cioè, a otto anni dall'inizio, come un ciclo chiuso dalle sue stesse limitazioni e lascia il Mezzogiorno senza una struttura civile ed economica sufficientemente solida da p·oter contare su di essa per un secondo balzo sulla via del progress.o. · Più difficile è parlare della terza delle linee, lungo le quali si è determinata la rottura della situazione meridionale e si è avviato il movimento: il generale sviluppo economico del paese. Parag.onato al movimento contadino e ·alla politica d'intervento, questo fenomeno è certamente quello che sta operando le più profonde trasformazioni della società meridionale, sia quando per infiniti canali - non tutti allacciati alla politica d'intervento dello Stato - si diffonde nello stesso Mezzogiorno, sia qt1ando attira nel Nord t1na più copiosa corrente di emigrazione riducendo così la distanza tra le due Italie. All'estero - considerando lo sviluppo del paese e in particolare il sÙo [9] Bibloteca Gino Bianco

indice più significativo, quello della produzione industriale - si è parlato negli ultimi anni del miracolo italiano, come prima si era parlato del miracolo tedesco. Il guaio è che questo discorso del miracolo lo facciamo anche da noi e serve a coprire quello che con tanta fatica s'era cominciato a scoprire. Lo sviluppo economico induce, infatti, molti a dimenticare che la gravità e complessità dei nostri -problemi, particolarmente nel Mezzogiorno, è tale da richiedere uno sforzo supplementare, guidato e continuo, per rafforzare le debolissime strutture civili del paese e per avviare ad I umana ed equilibrata soluzione problemi che lo spontaneo sviluppo econo- ~ f mico non solo non può risolvere, ma pt1Òtalvolta notevolmente aggravare. Il generale sviluppo economico del ·paese - per quanto assurdo questo possa sem·brare - minaccia così di togliere vento alla vela della appena avviata politica meridionalistica, di ridurre lo sforzo per superare i difetti e le strozzature della struttura s.ociale ed economica, di attenuare la risvegliata sensibilità dei meridionali in fatto di politica economica, ren- . dendo più debole la risonanza dei vecchi attualissimi temi del meridionali- : smo liberista. La politica meridionalista potreb1 be, cioè, aver la sorte toccata , di recente al Piano Vanoni, al quale è bastata la constatazione del raggiun- . to incremento del reddito nazionale per rimandare ad altri tempi l'implicito impegno di un rinnovamento sostanziale della ·politica economica e generale del paese. Il fatto è che, nei poco più che dieci anni dei quali discorriamo, dal 1945 ad .oggi, dei temi più im-portanti di una politica meridionalista troppo poco ci si è ,preoccupati, presi come eravamo tutti dall'attivismo delle lotte e degli interventi immediati. È forse proprio per questo che, anche lungo la linea dello sviluppo economico, si sta chiudendo un ciclo e occorre guardare con occhio diverso. Dicevo all'inizio che guardando indietro, mi sento insieme confortato e sconfortato. Proprio così. Il M~zzogiorno non ha mai tanto camminato quanto in questi anni, non ha mai avuto, quanto ora, uomini e grup}1i che vedono chia~amente le sue necessità, ma una sicura linea di sviluppo, una elaborata politica da continuare non c'è ancora. Sotto un solo aspetto si può essere interamente confortati da quel che è avvenuto nel Mezzogiorno in questo dopoguerra. La conoscenza obiettiva della sua realtà e dei suoi problemi si è tanto allargata e approfondita, che [10] Bibloteca Gino Bianco

oggi non si può accampare l'ignoranza per evitare la scelta degli obiettivi da raggiungere e delle ·politiche da seguire. Con riferimento al Mezzogiorno agricolo questa migliore conoscenza della realtà ha permesso di chiarire definitivamente, per lo meno nei termini generali, due fondamentali questioni: 1) quella del valore, delle possibili utilizzazioni e della suscettività p~oduttiva delle risorse agricole; · 2) quella dei caratteri, delle tendenze evolutive e della problematica interna delle .strutture fondiarie e sociali, create e consolidate dalla lunga evoluzione storica . .L'esame obiettivo della suscettività produttiva dell'agricoltura meridionale ha sostanzialmente confermato il pessimistico giudizio di Giustino Fortunato e degli agronomi del ·principio del secolo (Cuboni, Giglioli, Sansone, Azimonti), ai quali Fortunato esplicitamente si riferiva. Naturalmente cinquant'anni non sono passati invano. La tecnica agricola anche da noi qualche passo (non molti) l'ha fatto e molti di più ne farà. Lo studio delle risorse idriche ha consentito di allargare le prospettive della irrigazione. Il mutamento dei redditi, dei gusti e dei mercati lascia guardare con maggiore ottimismo allo svilu·ppo delle ricche colture specializza te. Le prospettive dell'agricoltura meridionale appaiono, cionondimeno, peggiori, sotto m9lti riguardi, non migliori di un tempo. Nel quadro di un generale svilu·ppo economico le prospettive valgono se riferite ai rapporti tra costi e ricavi, ai livelli relativi e alla relativa stabilità dei redditi. In questo quadro l'avvenire dell'agricoltura meridionale appare più difficile di quello di altri settori dell'economia e di agricolture meglio dotate ed organizzate. Oltre che confermare questa inferiorità relativa del Mezz.ogiorno agri-- colo, l'analisi obiettiva della realt~ ha anche permesso di tracciare con una certa precisione i confini - se è lecita l'espressione - tra la polpa e l'oss9 dell'agricoltura meridionale. . Entro i confini della polpa si possono con certezza individuare solo due gruppi di terre e di zone: quelle che già godono o potranno godere . i vantaggi della irrigazione e qùelle che, per natura di terreni, di clima ·e di altre condizioni am·bientali, si mostrano altamente suscettibili allo sviluppo delle colture arboree specializzate o di altre colture intensive. [11] Bibloteca Gino Bianco

I confini delle prime sono stati ormai, dopo le conclusive progetta- ! zioni e valutazioni della Cassa del Mezzogiorno, esattamente definiti per un ammontare complessivo, difficilmente modificabile, di circa cinquecento mila ettari. Le zone irrigue rappresenteranno dei possenti polmoni •di vita per tutto il Mezzogiorno, quando avranno completato l'avviato processo di trasformazione. Questo, tuttavia, richiede ancora un im•ponente sforzo, diretto specialmente ad evitare o superare l'eccessivo frazionamento delle imprese e il disordinato particolarismo delle ·produzioni, oltre che ad assicurare una elevata efficienza produttiva e organizzativa sia negli ordinamenti agricoli che nei mercati e nelle industrie trasformatrici. I confini delle seconde - ossia delle terre altamente sitscettibili nei riguardi delle colture arboree e delle altre intensive non irrigue - van110 visti con uguale realismo (1 ). L'esperienza di due secoli - durante i quali il Mezzogiorno e le Isole hanno avuto dovunque imponenti realizzazioni nel cam·po delle colture arboree - dimostra inconfutabilmente che piantare alberi e vigne su terre inadatte e in climi malfidi è impresa folle. I progressi della tecnica moderna non giustificano un diverso giudizio; all'inverso convincono ad essere ancora più acuti, dato che i costosi interventi che essa suggerisce (l'impianto, le lavorazioni, le ·potature, le co11cimazioni, la difesa antiparassitaria) risultano remunerativi solo dove le condizioni ambientali danno sicuro affida·mento di alte e stabili rese unitarie e di una buona valorizzazione dei prodotti. Non voglio dire con questo che l'attuale superficie delle colture arboree ad elevata produzione e delle altre colture intensive non irrigue non possa essere estesa, ma certo questo estendimento, al netto delle superfici irrigabili già considerate' non potrà portare questa superficie - per indicarne l'ordine di grandezza - molto al di sopra di un milione e mezzo di ettari. Complessivamente, quindi, tra terre irrigue e altamente suscettibili si tratta di poco più di due milioni di ettari, ossia di meno di un quinto della superficie produttiva del Mezzogiorno. Malgrado le prevedibili e imprevedibili modifiche interne, malgrado il fatto che i loro i~dirizzi le ( 1 ) Naturalmente queste rappresentano solo una parte della superficie a colture arboree specializzate o altrimenti considerate intensive, dato che per un'altra parte queste hanno così basse e aleatorie produzioni o sono così frammentariamente disperse nei vasti territori dell'interno da dover essere considerate sullo stesso piano delle altre terre delle quali si dirà in seguito. [12] Bibloteca Gino Bianco

lasceranno tremendamente esposte ai mutamenti della congiuntura e delle vicende mondiali, queste terre potranno svilupparsi lungo le linee che hanno già prescelto. Capaci come sono di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni di una tecnica più progredita_, si può dire - ed è la cosa, a mio avviso, più importante - che per esse non si pros·petta rottura tra l'oggi e il domani. La principale difficoltà nel considerare i problemi degli altri quattro quinti del territorio, ossia di quello che per semplicità ho chiamato l' << osso>> del Mezzogiorno agricolo, sta appunto nel fatto che essi non hanno una simile prospettiva. I problemi di oggi non si pongono qui sullo stesso piano di quelli di un prevedibile domani. La realtà di oggi risulta condizionata da circostanze che, in una lunga ·prospettiva di svilupp.o economico sono destinate a scomparire, ha, cioè, i caratteri di una realtà contingente. La realtà di domani, all'inverso, va prospettata in ,base alla effettiva potenzialità produttiva di quei terreni, ossia in forme profondamente diverse dalle attuali. L' « osso » del Mezzogiorno agricolo è in massima parte ra·ppresentato dalla montagna e dalle zone latifondistiche della cerealicoltura estensiva , e per una parte minore da terre più o meno intensamente coltivate ma in , avverse condizioni ambientali. Sia nelle une che nelle altre l'agricoltura - dovendo consentire in qualche modo vita e lavoro ad una popolazione smisuratamente cresciuta rispetto alle capacità produttive - cammina oggi in gran parte fuori di ogni norma tecnica ed economica, fuori del tempo e dalla ragione. Le conseguenze sono state definitivamente messe in chiaro in questi , ultimi anni. Un livello di redditi e di condizioni di vita insopportabile in un paese civile. Un frazionamento delle proprietà, delle imprese, delle occu·pazioni umane che rende int1tilmente più dura la fatica contadina e praticamente impossibile ogni progresso. Un uso delle risorse naturali così, irrispettoso delle necessarie limitazioni· da aggravare ogni anno il decadi-I mento fisico dei terreni e il disordine idraulico dei territori Di contro a questa assurda realtà di oggi, la scienza e la tecnica consentono di intravvedere con realismo, ma senza pessimismo, per questi territori una diversa, razionale realtà. Riguadagnandone t1na notevole parte al pascolo e al bosco; limitando la coltura alle terre salde e migliori con· largo uso delle macchine; utilizzando ogni più piccola risorsa irrigua; I [13] Bibloteca Gino Bianco

concentrando gli sforzi sul miglioramento degli allevamenti animali, è possi,bile prospettare ordinamenti agrari soddisfacenti. I loro redditi, pur restando modesti se riferiti ad unità di superficie, possono diventare discreti, se riferiti ad abitante, certo tali da consentire una esistenza a livelli civili, qualora la popolazione agricola di queste zone si ridurrà - per indicarne l'ordine di grandezza - a un terz~ di quella attuale. J_ Negli anni dei quali discorriamo, questa contraddizione è apparsa ogni giorno più evidente, eppure rispetto ad essa siamo rimasti tutti, per così dire, interdetti e indecisi, quando addirittura non ab1 biamo tentato di dimenticarla o di negarla. Come ci dovremo comportare nei suoi riguardi in avvenire? A questa don1anda dob,biamo dare una risposta chiara, ma • è evidente che per darla dobbiamo ripensare tutti i problemi che vi sono • connessi. Anche nei riguardi dell'altro fondamentale aspetto della realtà agricola meridionale, ossia nei riguardi dei caratteri, delle tendenze evolutive e della problematica interna delle strutture fondiarie e sociali, la esatta conoscenza è in questi anni notevolmente progredita e consente di indicare conclusioni assai precise. Sviluppatasi dovunque nelle forme corrispondenti alla prevalenza della proprieta ·borghese e non contadina delle terre, la struttura dei rapporti sociali e produttivi in agricoltura è an,data soggetta ad una graduale tra- . sformazione. Per effetto di questa la proprietà borghese è venuta progressivamente !perdendo - salvo che in poche zone e in isolati casi - ogni reale funzione prodt1ttiva ed l1a asst1nto sempre più esplicitamente i caratteri di proprietà redditiera' che aveva solo in parte ali' origine. All'inverso l'impresa contadina, malgrado la sua persistente precarietà e instabilità, ha sempre più largamente assunto la responsabilità della produzione. La inconfutabilità di questo giudizio risulta dai dati ormai disponibili e dalla obiettiva valutazio·ne dei rapporti contrattuali cui essi si riferiscono. Dalla complessiva superficie lavora,bile (prescindendo, cioè, dai pascoli e dai boschi), la proprietà coltivatrice occupava dieci anni or sono (2 ) il 39,1 ( 2 ) lsTITUTo NAZIONALE DI ECONOMIAGRARIA, I tipi di impresa nell'agricoltura italiana, a cura di Giuseppe Medici, Roma, 1949. I dati di questa indagine si riferi~ scono al 1947. Essi si trovano elaborati per zone agrarie omogenee nel mio studio: Problemi del lavoro in agricoltura nel 1950, ora ripubblicato nel volume: MANLIO [14] Bibloteca Gino Bianco

per cento, l'affitto a coltivatori diretti il 20,8 per cento, i multiformi co11tratti colonici il 23,0· per cento. Complessivamente 1'82,9 per cento della superficie lavorabile risultava occupato a vario titolo da imprese contadine, nelle quali non solo il lavoro è conferito dai lavoratori a loro rischio, ma dei lavoratori so110 i modesti ca·pitali di esercizio e le tipiche funzioni imprenditoriali (3 ). Ciò, naturalmente, non significa la integrale scomparsa di proprietari imprenditori o di affittuari di tipo capitalistico e neppure che una qualche funzione non resti nelle mani di alcuni nuclei e individui appartenenti alla categoria dei proprietari redditieri. Ciò sta ad indicare una tendenza evolutiva non più reversibile, prossima al compimento. Il risul- • 1 tato di questa evoluzione è, ripeto, una prevalente scissione tra la pro- · prietà e l'impresa, per cui la categoria dei proprietari terrieri non ha più I · alcuna funzione sociale da assolvere e quella degli imprenditori conta,dini non può muoversi indipendente verso i suoi obiettivi. Questa situazione e questo gi11diziovalgono sia per le zone che abbia-• mo chiamato di <<polpa>>,sia per qÙelle che abbiamo attribuito all' <<osso» del Mezzogiorno agricolo. Nell'uno e nell'altro cast i problemi che ne scaturiscono so110resi più gravi dal fatto che quella scissione è quasi dovun- 1 que associata ad un pauroso frazionamento della proprietà (sia questa col-I tivatrice o non coltivatrice) e ad un ancora più impressionante fraziona-I mento delle imprese. La scissione tra la proprietà e l'impresa domina con i suoi contrasti f l'unità produttiva e ne paralizza il funzionamento e il progresso. Il fra- I zionamento dell'una e delr altra - nel doppio aspetto della prevalenza di unità produttive troppo piccole e della frammentazione interna di ciascuna di esse - ne rende tecnicamente impossi1 bile l'ammodernamento e la razionalizzazione. Al di là, quindi' di ogni considerazione di ordine politico e sociale, , questa struttura e l'eccesso di popolazione agricola che vi corrisponde risultano ormai incompatibili con ogni programma di riorganizzazione Ross·1-D0RIA, Riforma agraria e azione 1neridionalista, Bologna, Edizioni Agricole (secof?.daedizione), 1957, pp. 352 e seguenti. ( 3 ) Nei dieci anni seguenti al rilevamento, questi rapporti si sono - come è noto - ulteriormente ampliati, conferendo a quel giudizio una portata anche maggiore. [15] Bibloteca Gino Bianco

e sviluppo della produzione agricola e rendono più gravi e difficili i problemi indicati in precedenza di una razionale utilizzazione· delle risorse agricole. Q1 ueste dure, incontrovertibili conclusioni non hanno ispirato, né lo - potevano, la ·politica agraria dell'ultimo decennio. Esse debbono, tuttavia, ' ispirarne la revisione nei prossimi anni. Dopo essere vissuti, per così dire, alla giornata, a1 bbiamo finalmente accettato, con la elaborazione del Piano Vanoni, una prospettiva di lungo periodo per lo sviluppo eco11omico del nostro paese. Sappiamo così che i problemi di fondo della nostra arretratezza e della nostra squili'brata situazione economica e sociale possono essere risolti: la disoccupazione e la sottoccupazione eliminate, lo squilibrio tra Nord e Sud ridotto, la inferiorità rispetto ad altri paesi dell'Europa Occidentale attenuata. Naturalmente sono compiti d.ifficili. Il loro success.o e la continuità nel realizzarli dipenderanno dalla chiara coscienza che si avrà di quella prospettiva, ossia del fatto che essa, lungi dall'indicare qualcosa di spontaneo e automatico, è subordinata al rispetto di alcune fondamentali condizioni. Ciascuna di queste condizioni - dal mantenimento della pace internazionale alla conservazione di una economia di mercato, dall'osservanza di un certo rapporto tra redditi e investimenti allo sviluppo di una coerente politica di interventi statali - deve essere, perciò, considerata e realizzata nel quadro di t1na adeguata azione ·politica. Con riferimento all'agricoltura, l'accettazione di quella prospettiva comporta una notevole revisione dei criteri finora seguiti. Al centro dell'attenzione debbono essere posti il iproblema dello sfollamento delle cam-4 pagne ossia dell'emigrazione contadina, e quello dell'aumento della produttività in ogni settore. A questa luce la politica agraria deve essere rivista e integrata e i cambiamenti da apportarvi non sono né piccoli né pochi. Per la politica agraria si può dire quel che si dice in generale dei compiti dello Stato in una fase di intenso sviluppo economico. Essa deve cioè essere diretta: I , 1) ad integrare ed accelerare lo sviluppo agricolo mediante un ade- . gua.to programma di investimenti pubblici; 2) a far funzionare i servizi civili necessari ad assicurare lo sviluppo , stesso; [16] Bibloteca Gino Bianco

3) a intervenire in vari modi al fine di superare le strozzature, gli 1 squilibri e le sperequazioni che lo sviluppo inevitabilmente porta con sé. Alcune considerazioni su ciascuno di questi aspetti possono perciò · ~ervire a giudicare, da un lato, ciò che è vivo e ciò che è morto nella politica agraria attualmente in corso e, dall'altro, le dimensioni e i caratteri dello sforzo che siamo chiamati a ~oste.nere. Per quanto riguarda il primo punto è certo che anche in avvenire lo -sviluppo dell'agricoltura potrà e dovrà essere accelerato e integrato me- .diante la realizzazione di programmi di pub·blici investimenti. Questi, tuttavia, dovranno risultare coerenti con le ·prospettive di sviluppo e troveranno giustificazione solo se destinati alla vaiirizzazione di terre ad alta :Suscettività produttiva o se limitati altrove ad interventi unitariamente mo- .desti e non rigidi. Non possiamo onestamente dire che la politica attualmente in corso • • • • • • .sia stata sempre 1sp1rata a questi cr1ter1. Nel campo della bonifica tale impostazione dovrebbe comportare l'abbandono o la revisione dei progetti relativi a zone di modesto avvenire, il rapido completamento dei progetti irrigui o comunque suscettibili di notevoli sviluppi e in questi la immediata risoluzione, finora mancata, dei problemi finanziari e organizzativi della trasformazione fondiaria privata. Nel campo della riforma agraria 'bisognerà avere il coraggio di una -sistemazione realistica e poco costosa di quel che è stato realizzato o avviato e, nello stesso tempo, di usare una parte dei mezzi e delle attrezzature disponibili ai fini di quella politica di assistenza ai contadini e di riordinamento fon diario della quale diremo in seguito. Con riferimento alla politica della montagna e della conservazione del suolo, la legge approvata nel 1952 appare di pesante e costosa applicazione ed ispirata ad una previsione troppo mite dello spopolamento montano. Occorre, quindi, rivedere anche in questo campo, con criteri di rigorosa parsimonia, i programmi e le tecniche, in modo da ridurne i costi unitari e generali. Analoghe considerazioni dovre·bbero essere fatte in relazione ai programmi di costruzioni stradali, di impianti acquedottistici e così via. Si -t~atta ovviamente di una revisione non facile, che richiederà molto -studio e senso di equilibrio. Anche dove le prospettive di un futuro avvenire sono mo·deste si dovrà, infatti, non tanto ab'bando,nare a se stessi dei [17] · Bibloteca Gino Bianco ~·- ti

territori quanto trovare ai loro problemi soluzioni meno costose anche se parziali, tali da permetterne un certo migliore assetto e di avviarne il possi1 bile sviluppo. Negli anni prossimi l'accento dovrà essere, tuttavia, posto più che su di una politica di investimenti diretti in agricoltura, sul secondo gruppo dei necessari interventi dello Stato, quello degli interventi intesi ad assicurareil funzionamento dei fondamentali servizi civili. È in questo settore, infatti,. che l'opera dello Stato è stata più deficiente nel decennio passato ed è da questo tipo di interventi che il Mezzogiorno può derivare i maggiori e più durevoli vantaggi. Il potenziamento delle scuole di ogni grado e particolarmente di quelle· elementari appare come il primo e più importante di questi interventi. In una fase, come quella che si prospetta, di intenso esodo rurale, da un lato, e di progresso tecnico, dall'altro, le scuole - oltre ai loro normali compiti istituzionali - debbono essere attrezzate in modo da poter far fronte a compiti di carattere straordinario sia nella educazione degli adulti sia nella preparazione dei cittadini ad attività diverse da quelle tradizionali. Quanto è stato fatto al riguardo nell'ultimo decennio è poco o· niente; uno sforzo straordinario di ordine quantitativo e qualitativo è ne-- cessario e l'intero problema deve essere rivisto anche per quanto riguarda i pr.ogrammi, i metodi e lo stesso reclutamento e la preparazione dei maestri Da rivedere e.-r novo è, poi, il settore, fondamentale e vastissimo, dei servizi pub'blici relativi alla agricoltura. Le esigenze moderne al riguardo· sono molto complesse, specie quando si tratti di aiutare l'agricoltura a rea-- lizzare in breve spazio di tempo cambiamenti così radicali, come quelli che è lecito e doveroso prospettare. L'agricoltura moderna dovunque si basa sul pieno funzionamento di· quattro ordini di servizi agricoli: 1) la sperimentazione e la ricerca sia tecnica che economica; 2) i servizi tecnici veri e propri (difesa antiparassitaria delle piante. controllo e organizzazione veterinaria, servizi per il miglioramento della produzione agricola e zootecnica, controllo merceologico dei prodotti agricoli grezzi e trasformati); 3) l'assitenza tecnica agli agricoltori e alle loro organizzazioni; 4) il credito agrario in forme adeguate alle caratteristiche delle im- . [18] . Bibloteca Gino Bianco

prese (e quindi nel nostro caso alle imprese contadine in una fase di loro ra·pida trasformazione). La situazione in ciascuno di questi settori è oggi nel nostro paese , così lontana dal corrispondere alle necessità che solo un programma di parecchi anni impostato su una visione moderna e pratica dei problemi • e sulla disponibiltà di larghi mezzi finanziari può porvi rimedio. I progressi dell'agricoltura meridionale non sono tanto da attendersi - come si è creduto finora - dagli investimenti fondiari, quanto dall'aumento della produttività, dalla migliore qualitf ~-vili)di;;azion~ ·dei ··prodotti ..e dalla- creazione di una moderna organizzazione della produzione e dei mercati, da cose, cioè, in larghissima parte dipendenti dall'efficiente funzionamento dei servizi agricoli sopra indicati e quindi dal numero, dalla preparazione e dalla efficienza delle ·persone cui essi vengono affidati. Il primo anello di questa catena è, perciò, quello di un vigoroso, immediato potenziamento e di una notevole trasformazione degli istituti per la preparazione dei tecnici agrari, ossia delle facoltà di agraria e veterinaria, le quali, per complesse ragioni e per povertà di mezzi e di personale, non sono oggi al livello da poter compiere l'eccezionale sforzo loro richiesto. Più difficile è l'analisi relativa al terzo dei fondamentali com·piti di una politica di intervento dello Stato, ossia degli interventi diretti a fro11teggiare le strozzature, gli squilibri e le sperequazioni che l'aumento della popolazione' da un lato, e lo stesso sviluppo economico dall'altro, inevitabilmente portano con sé. ,, La complessità di questi compiti risulta evidente considerando alcuni aspetti del processo di trasformazione, cui inevitabilmente andrà soggettc1 l'agricoltura meridionale nei prossimi decenni. L'esodo rurale, dovendo consentire un sostanziale miglioramento dei redditi di lavoro, dovrà assumere grosse, non piccole dimensioni; non potrà arrestarsi, cioè, su posizioni vicine alle attuali. Esso comporterà di conseguenza - oltre che un imponente trasferimento di uomini ad altre attività e in altri luoghi e quindi una adeguata organizzazione per render questo più sicuro e meno doloroso - un vasto e com•plesso processo di ricomposizione e ridimensionamento delle imprese, di modifica degli ordinamenti produttivi e delle organizzazioni aziendali. L'esperienza di altri paesi e di altre regioni italiane d'altra parte, [19] Bibloteca Gino Bianco

dimostra che spesso l'esodo rurale tende ad andare oltre questi limiti necessari e può provocare - se t1n tempestivo e adeguato intervento non ha luogo - delle situazioni di ab•bandono anziché di riordinamento e ridimensionamento delle imprese. In altri e più numerosi casi, all'inverso, l'esodo rurale - pur essendo per così dire, maturo nelle cose e negli animi - può di fatto ristagnare a lungo e lasciar sussistere gravi situazioni di disoccupazione, sottoccupazione e miseria, in conseguenza delle difficoltà di impiego, trasferimento e preparazione delle forze di lavoro in altre attività. Se non pre1naturo è certo difficile indicare quali possono essere le congrue forme del pubblico intervento in questi processi. È un campo del tutto nuovo, ad operare nel quale l'esperienza passata - con i suoi tentativi di ostacolare anziché favorire l'esodo rurale - l1a valore più negativo che positivo. Occorreranno, perciò, studi e disct1ssioni non brevi e non facili, anche se fin d'ora è possibile affermare che l'intervento dovrà muoversi congiuntamente in diverse direzioni. · Le linee lungo le quali converrà muoversi saranno, infatti, quelle dell'assistenza all'emigrazione sia all'interno che all'estero; della istruzione agli adulti e professionale; dell'assistenza tecnica e creditizia alle aziende agricole; della regolazione.. dei eontratti agrari; della ricomposizione dei fondi frammentati e in generale del riordinamento e ridimensionamento delle proprietà e delle imprese. Non è improba:bile, d'altra parte, che il più efficace coordinamento tra questi interventi possa aversi nell'ambito di piani locali o zonali di riorganizzazione e sviluppo. Sia pure in questi termini generali e imprecisi, il quadro dei necessari interventi appare così vasto e complesso che fa quasi senso il tracciarlo. Si vedono, infatti, ricomparire l'accusa di utopismo e i vecchi fantasmi dell'elefantiasi burocratica e legislativa e della conseguente degenerazione della vita economica e civile. Senonché le accuse e i fantasmi non valgono. Se si accetta la prospettiva di un moderno sviluppo economico del paese, quel quadro deve essere accettato. Non resta, quindi, altro che lavorarci attorno con estrema pazienza, serietà, intelligenza e buona volontà. Comunque lo si consideri, il problema del Mezzogiorno ritorna a porsi, quale è sempre stato, problema politico. [20] Bibloteca Gino Bianco

Per quanto contraddittorio ciò possa essere, la fondamentale esigenza, 1 proprio sul piano dello sviluppo economico, è per il Mezzogiorno quella; della creazione di una classe politica modername11te preparata. La pro-i spettiva di una lunga fase di sviluppo economico può essere valida solo\ nel quadro di una specifica politica coerentemente ed energicamente realizzata. Essa, cioè, dipende dall'esistenza di una classe politica capace , di sostenerla e di assumerne la responsabilità sul piano nazionale, europeo, ed internazionale. A questo riguardo penso che si possa essere oggi meno pessimisti di quanto lo era Guido Dorso negli anni dell'immediato dopoguerra. Non solo, infatti, quello che egli più temeva, malgrado alcune contrarie apparenze, non è avvenuto, ma, proprio per effetto dello sviluppo economico e sociale, rotta definitivamente l'immobilita, si vanno cambiando nel Mezzogiorno la sostanza e i reciproci rapporti delle classi sociali. La borghesia terriera oziosa e redditiera ha perso di peso, laghe masse di contadini miserabili e disoccupati sono oramai sulla via della emigrazione e del muta- · mento e già si delinea, politicamente chiarificatrice, la forza di nuovi nuclei di borghesia del lavoro, di una classe operaia con caratteri stabili, di categorie contadine coscienti della propria indipendenza e del proprio • avvenire. Oh, lo so bene. Nel periodo in cui siamo e11trati - di rapido e confuso mutamento e di accentuata mobilità sociale - la società meridionale, anche se più modernamente articolata, non potrà darsi tanto presto un assetto organizzativo e politico stabile. La vita politica meridionale conserverà a lungo il suo aspetto disgregato e confuso. Le istituzioni democratiche appariranno ancora scarsamente vitali ed efficienti. È lecito, tuttavia, sperare che gli uomini di buona volontà, le minoranze organizzate con idee chiare e propositi circoscritti e coerenti possano avere la libertà ed efficacia che è loro mancata in passato. Esse sono già oggi più numerose e solide di un tempo e hanrio alleati più numerosi e sicuri nel rimanente del paese. Il loro compito è quello di rendere esplicito quel che implicitamente già esiste; di aiutare la maturazione di situazioni sociali e politiche, che in profondità si sono già forma te o si f or.meranno. In due settori questo loro compito può essere particolarmente efficace ai fini del rinnovamento della vita civile e politica nelle campagne meri- [21] Bibloteca Gino Bianco

dionali: nell'affrettare la liquidazione, di fatto inevitabile, della vecchia struttura dei rapporti fondiari e nel dar vita ad una nuova fase del movimento contadino. La vecchia struttura dei rapporti sociali nelle campag11e meridionali, dominata dal prevalente fenomeno della scissione, tra la proprietà e l'impresa, è stata già colpita a morte dalle vicende delil'ultimo decennio e non potrà resistere ai processi dell'esodo rurale e ddll' ascesa delle classi conta- . dine. I contratti agrari, - privando di ogni sicurezza l'avvenire degli imtìvatori ad assumersi i rischi dell'impresa - costituiscono il più grosso ( ostacolo al progresso agrario e ai processi di ridimensionamento delle , aziende agricole. Una riforma dei contratti agrari, ben più drastica di q11ella inutile proposta e discussa senza successo negli ultimi dieci anni, rappresenta, perciò, uno strumento fondamentale per il rinnovamento agricolo del Mezzogiorno. Compito delle minoranze coscienti è quello di prepararla instancabilmente, trovando le occasioni e gli accorgimenti che tolgano ad essa il carattere odioso di una spoliazione, vincendo le infinite resistenze facilmente immaginabili in una società in cui quasi tt1tta la classe politica è oggi più o meno direttamente interessata alla rendita fondiaria. Non sa.. reb1 be la prima volta che delle minoranze coscienti si porrebbero il compito di affrettare con l'azione la fine di un sistema di rapporti già morto alle radici e condannato ad essere ab,battuto dal corso stesso dei futuri av- • • ven1ment1. Per quanto riguarda il movimento contadino è tempo oramai di abbandonare le vje della protesta e delle agitazioni senza obiettivi raggiungi'bili e di porsi sul pia110 stesso sul quale si muovono le cose. La conoscenza della realtà agricola meridionale ha dimostrato - co-- me abbiamo già visto - inconfutabilmente tre cose: 1) che la intollerabile condizione di vita dei contadini è -principalmente dovuta alla loro ~ssa produttività e alla sottoccupazione e queste all'eccesso di forze di lavoro nelle campagne; 2) che la effettiva responsabilità della ·produzione è già prevalentemente nelle mani delle imprese contadine; 3) che l'avvenire di queste imprese è indissolu·bilmente legato al Bibloteca Gino Bianco . [22]

mantenimento di un'economia di mercato e va visto nelle forme delle .imprese individuali associate in organizzazioni cooperative di tipo occidentale. Questi inequivocabili dati di fatti e la generale prospettiva di sviluppo .economico, sulla quale tutti stiamo lavorando, debbono, ·perciò, costituire il .dato di -partenza, la 'base di orientamento del movimento contadino nei prossimi decenni. Di un movimento contadino che voglia interpretare i ·bisogni reali e le reali possibilità di ascesa delle classi rurali nel Mezzo- • giorno . . Gli obiettivi cui esso dovrà tendere sono anche inequivocabili: 1) l'emigrazione dalle zone sovraffollate nelle condizioni migliori e a ,con le migliori garanzie di volta in volta possibili; f 2) la riforma dei contratti agrari e il riordinamento e ridimensiona- J mento .delle im·prese; 3) l'efficiente funzionamento dei servizi pubblici necessari a rendere j più civile la vita, più efficienti e rapidi quei processi e anzitutto migliori le rese unitarie, la qualità e la valorizzazione dei prodotti; 4) la paziente realistica costruzione delle organizzazioni cooperative / .dei contadini nella sfera sia della produzione che del mercato. 5) la costante lotta per una politica generale ed economica, che {:Onsenta il più solido raggiungimento di questi obiettivi e il consegui- } _mento e la sta·bilizzazione di più elevati redditi delle imprese. Basta elencare questi obiettivi per comprendere perché il movimento .contadino di questo dopoguerra sia definitivamente fallito e •perchè la _politica che esso si ostina a perseguire sotto la guida dei comunisti rappresenti oggi soltanto il più grosso ostacolo iniziale sulla via di ·un suo .moderno sviluppo. Anche questo ostacolo allo sviluppo del Mezzogiorno deve essere fatto .fuori. C'è ragione di credere che i tanti uomini di buona fede - dentro e -f t1ori di quel movimento - sapranno guardare dentro di sé, riconoscere .le còse quali sono, giudicare un decennio di lotte senza avvenire e affrontare così con onestà e serietà il loro compito e il loro dovere. [23] Bibloteca Gino Bianco

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