sintomatica. Dopo una premessa, importante quanto ovvia, sull'interdipendenza tra sviluppo scolastico e sviluppo delle forze produttive, e un'analisi della domanda prospettiva di tecnici, si auspica una riforma degli studi superiori che preveda la formazione di tecnici a vari livelli (con gradi intermedi tra i periti, gli ingegneri e i ricercatori), una maggiore specializzazione di facoltà, la distinzione fra titolo dottorale e titol9 professionale, una disciplina giuridica autonoma per i ricercatori. Venendo al vivo della questione, si accennano due diverse (o contemporanee?) prospettive di collaborazione fra scuola e industria: la partecipazione dei rappresentanti dell'industria ai consigli di amministrazione delle università, e una diretta collaborazione tra il C.N.R., le industrie di Stato e le università. Ancora, si fa riferimento ad un Fondo nazionale per la ricerca, alimentato con contributi privati e pubblici (per questi ultimi, le risoluzioni conclusive parlano di « sgravi fiscali » alla aziende private). In sostanza, si è avuta l'impressione di una relazione polivalente, che rifletteva alcuni dei contrasti esistenti all'interno del mondo industriale e della scuola sulle reciproche valutazioni, senza però accentuare su questi contrasti l'attenzione e lo sviluppo del convegno. E i contrasti sono: a) lo Stato unico garante e finanziatore della scuola e delle ricerca, e l'imposi- ~ione ai privati di un contributo attraverso la via fiscale; oppure, b) libero contributo dei privati, come contropartita di servizi e consulenze, con eventuale riconoscimento ai privati di concorrere alla direzione degli atenei; infine, c) ruolo specifico delle aziende di Stato, vuoi come contributo alle università dello Stato, vuoi invece come organizzatrici esse stesse di scuole post-universitarie. E ancora, l'industria prefe~isce avere di fronte una scuola superiore unitariamente organizzata attorno all'ateneo, e con ampie autonomie di facoltà e di istituto? Il corpo accademico, dal canto suo, preferisce trattare, nell'interesse privato e « collettivo », con i finanziatori esterni, come corpo sociale unitario, o con libertà di manovra individuale? Ed è chiaro come dietro queste alternative, variamente combinabili, si nasconda il nocciolo della questione: sarà lo Stato italiano, anche come imprenditore, a promuovere la riforma degli istituti superiori, e in quale direzione la svilupperà, cercando di soddisfare l'interesse collettivo o l'interesse politico-imprenditoriale? Oppure san·cirà la funzione' subalterna delrattuale università, che spinge l'indus~ria privata a istituire proprie scuole st1periori integratrici dei curricula universitari, ritenuti inidonei? Infine, per tagliar corto, avremo da Fanfani l'università di Gemelli e di Togni, o la scuola di Fascetti e di Mattei, o quella, per la verità più n~bulosa, che passerà con l'astensione dei socialisti? Questa doveva essere la « prima linea » del dialogo congressuale. Fu invece scavalcata a piè pari, e il convegno si attestò su una << seconda linea », [37] Bibloteca Gino Biarico
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