beralismo che trova in crisi, con la stessa avversione almeno che contro il socialismo (su questo punto poco convincenti sembrano le critiche che l'A. fa al Salvatorelli, v. p. 549). Il fascismo, poi, assimilò molto dei programmi nazionalisti - già inizialmente per la politica estera vi erano però diverse affinità -. E su questo si basa l'A. per dimostrarne il carattere di classe. Ma andrebbe piuttosto no-- tato che il nazionalismo indirizzò, fedele in questo alla sua dottrina e ai suoi fini, il fascismo alla « conquista dello Stato>, irrobustì la sua tendenza al potere dispotico e violento, rendendo chiari i mezzi per ottenerlo ed esercitarlo in una società n1oderna. Questa fu l'influenza determinante che, in ogni caso, appare più si-- gnificativa ed evidente che non quella esercitata nel campo della politica eco- • nom1ca. • • • Ma le parole stesse della Premessa finiscono con l'essere contraddette anche esplicitamente. L'impostazione concreta data alla ricerca, che non considera in effetti il problema di una storia del liberalismo, della sua consistenza, del suo evolversi, della sua crisi, dei suoi sviluppi successivi - in forme e nomi spesso nuovi - porta inevitabilmente a questo. Nel secondo saggio, su Le orz·gini·del fascismo e la classe dirigente italiana, I' A. ricoitruisce in breve lo svolgersi dello Stato italiano dall'Unità in poi: analizzando « il . preciso contenuto di classe di quello Stato ~, egli parla così di una « tradizione trasformistica che aveva avuto inizio all'indomani stesso della rivoluzione unitaria, per prolungarsi e perfezionarsi nei decenni successivi~ (p. 47). Dell' << ideale e della prassi di un verace e vissuto liberalismo~ (v. Premessa, cit.) non resta qui traccia alcuna: ogni idea di svolgimento d'una tradizione e d'un costume liberali resta esclusa. L'insistenza dell' A. su questo punto conferma del resto il suo pensiero (v. p. 103; e spec. p. 133, ove si parla esplicitamente della ~ classe dirigente italiana dall'Unità in poi, con la sua retrograda mentalità militarista e assolutista, con il suo livore antidemocratico e antisocialista, ciò che ne spiega perfettamente la conversione al fascismo, sebbene si trattasse di classe di origini formal-- mente liberali e democratiche »; e, più oltre, p. 484, p. 494, p. 496, ove viene usato ambiguamente persino il termine di « intrusione piemontese», ecc.). Egli discute anche con minuzia sul valore reale dei termini « liberale > e « democratico > nell'Italia prefascista (v. pp. 53-55), giungendo a considerarli poco più d'una lustra. L'attendibilità di queste conclusioni resta dubbia, perchè l'A. si limita a con-- validarle attraverso le citazioni .di alcuni autori e testi scelti ad hoc: con difficoltà, ad es., si può accettare come giudizio sterrico la polemica contro i « falsi liberali e veri conservatori ~ di un Missiroli, che . . . . . . ' invece, proprio con 1 suoi scr1tt1, e un indice, secondario ma significativo, della crisi stessa del liberalismo; uguali, se non maggiori .dubbi, solleva il richiamo a Sturzo, giudice tutt'altro che equanime del liberalismo italiano; il riferimento a Gobetti è poi parziale, nè si accenna al suo successivo, e più indicativo, approfondimento del giudizio su Giolitti, di fronte all'esperienza fascista (ed è utile ... per questo confrontare l'introduzione ai [123] I Bibloteca Gino Bianco
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