Nord e Sud - anno IV - n. 34 - settembre 1957

/ I • I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna f J. .. ANNO IV * NUMERO 34 * SETTEMBRE 1957 BiblotecaLGirio Bianco

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Rivista mensile diretta da Francesco Compagna Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO Francesco Compagna e Vittorio de Caprariis Ferdinando Isabella Stefano Rodotà ditoriale [ 3] La fluidità del!' elettorato italiano [7] La politica dei lavori pubblici (Il) [21] Eretici comunisti o socialis~i liberali? [39] GIORNALEA PIÙ VOCI N.d.R. Il 40% degli investimenti dell'IRI e dell'ENI [SI] Aloisio Rendi Un anno dopo: Collaborazione economica italo-tedesca [54] Silvestro delli Veneri Servizi ispettivi [59]' Francesco Compagna L'arcobaleno insolente [63] Francesco Compagna Cronache napoletane [ 66] Cesare Mannucci Giorgio Tutino DOCUMENTI E INCHIESTE Il Piemonte e l'esodo rurale [70] Ostelli e campeggi sui << due golfi>> [94] PAESI E CITTÀ Salvatore Onufrio Un comune siciliano: Masara del Vallo (110] Nello Ajello Ennio Ceccarini Francesco Compagna Antonio Palermo Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti s Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero >> L. 7.500 Effettuare i versamenti sul C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco RECENSIONI Due anni a Roma [119] Il barone rampante [123] Italia e Stati Uniti [125] Roma vestita di nuovo [ 127] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 96 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 85.11.40

Editoriale Durante i mesi estivi si è chiaramente delineato il tema della campagna elettorale imminente. Per certi aspetti si può dire anzi c he la campagna elettorale ha avuto inizio. Non si parla più, astrattamente , di alternative alla D.C., 1natutti i partiti pongono concretamente le loro c andidature al condizionamento della D.C. nel corso della III Legislatttra repubbli'cana. Fa1ino eccezione i comunisti, avviati all'isolamento; non i fascisti, chè son o attualmente essi i condizionatori della maggioranza su cui si regge il g overno, la regione siciliana, la regione sarda, numerose ammin istrazioni comunaii e provinciali del Mezzogiorno) e non solo del Mezzogio rno,. D'altra parte sono impal.lidite, come si di'mostra in un o studio che si può leggere più avanti, le speranze della D.C. di conseg uire la maggioranza assoluta. Ma sono impaNi'dite anche le speranze di un rapi'do e sicuro sviluppo del processo di unificazione socz'alista.Il rischio maggiore i1nplicito t2ella situazione che si viene delineando a noi sembra qui'ndi quello di- u1i consolidamento più o meno camuffato dell'attuale for mula di governo, il rischio che la maggioranza clerico-fascista di Palermo, d i Cagliari, di Rofna I e delle << giunte difficili» post-1956 diventi il surrogato della maggioranza assoluta democristiana, l'erede degenere dei quadriparti ti e tri·parti.tidi solidarietà democratica, la profittatrice delle indecisioni at tuali e delle insufficienze tradizionali del socialismo italiano, l'obietti·vo d elle sempre più scoperte pressioni sui quadri democristiani da parte degli ambienti reazionari attualmente prevalenti· in Vaticano. Questa preoccupazione no12sembra oggi quella dei lead ers della democrazia italiana, salvo qualche eccezione. Forse perchè si esita a definire l'attuale governo per quello che è, forse perchè lo si definisce non per quello che è, ma in base a sottili considerazioni tattiche che fa nno perdere poi di vista le più evidenti esigenze strategiche, che consistono essenzialmente nel procurare sempre al paese realizzabili maggioranze democratiche. [3] BiblotecaGino Bianco

Abbiamo oggi in Italia un governo monocolore della Democrazia Cristiana che non è di « minoranza precostituita», come afferma il troppo lepido Presidente del Consiglio, e non è nemmeno «pendolare», come affermano taluni osservatori. Tanto meno è u1i governo con programma di sinistra, come afferma l'on. Mcilagodi, perchè patti agrari e regioni non sono che una mano di vernice sul programma di questo governo; e oltretutto non dovrebbero essere questi, come già abbiamo avuto occasione di dire, i temi di fondo su cuz· imperniare una effettiva e operante politica di sinistra democratica. Questo è un governo sostenuto da una maggioranza di destra, dei voti nazional-f ascisti del P.N.M. e del M.S.I.; e se questa maggioranza non viene ufficialmente proclamata come base del governo che fa capo all'on. Zoli, se si cerca anzi di camuffarla con accenni di giri di valzer asinistra (accenni, soltanto accenni, si badi) e con le affermazioni di fede antifascista del Presidente del Consiglio ( qualche volta venate da mediocri spiritosaggini fiorentine), si tratta di esigenze tattiche, a volte legittime, spesso . deteriori, e il fondo della questione rimane quello che è, il Governo dell' on. , Zoli, Trieste a parte, non differisce da quello dell' on. Pella. In questa legislatura, sulla prova del governo che ha presieduto alla sua apertura e del governo che si accinge a chiuderla, sembra dunque che la sola alternativa al governo qttadripartito di solidarietà democratica fosse il governo a maggioranza clerico-fascista, più o meno scolorito dal tatticismo democristiano. E ora siamo infatti governati da un gabinetto che è presieduto da un antifascista, ma la cui maggioranza è chiarame1ite clerico-fascista. Obiettive responsabilità di questa situazione risalgono alla Democrazia Cristiana. Ma non è di queste che si vuole qui indagare l'ampiezza e la prof ondità, bensì di quelle che, in presenza del governo che ora presiede alle sorti del paese, vengono assumendo i socialisti de4l'uno e dell'altro partito. Si è detto che si doveva liquidare il quadripartito perchè la Democrazia Cristiana era venuta meno al,le regole del gioico e si era avviata spregiudicatamentea perseguireobiettivi integralistici, al riparo di una solidarietà democratica che si faceva sempre più fittizia, che proprio la D.C. andava svuotando di contenuto: questo è vero. Si è detto pure che il quadripartito era stato svuotato di contenuto dalla svolta a destra dei liberal,i, dall'interpretazione che qitesti itltimi avevano dato dell'equilibrio democratico, come equilibrio fra « democrazia liberale>>e << democrazia socicde » e non ( così si [4] BiblotecaGino Bianco

era detto al tempo della formazione del Gabinetto Scelba) come equilibrio fra democrazia laica e democrazia cattolica; e che quindi il quadripartito doveva essereliquidato perchè la funzione che si erano Msegnati i liberali, di freno alla politica di sviluppo economi·coe sociale delle <<duletalie », e di portavoce di forti gruppi di pressione extra-parlamentari, monopolistici ed agrari, non poteva dare altro frutto che l'immobilismo, la paralisi,la contraddizione permanente di governi la cui maggioranza era oramai divenuta troppo eterogenea: ed anche questo è vero. Ma si è detto anche, e principalmente, che la socialdemocraziadoveva usci·redal,governo, allinearsi all'opposizione, contribuire a produrre una alternativa democratica per la prossima legislatura, perchè questo, l'uscita dal governo, avrebbe spianato la strada a quella unificazione socialista il cui principale ostacolo sembrava consistere, prima e dopo Pralognani.prima e dopo Venezia, proprio nella partecipazione socialdemocraticaal governo. E si disse che se il P.S.l. aveva abbandonatoil frontismo (il che è già vero per certi·aspetti, non ancora vero per altri), il P.S.D.l. doveva abbandonare il centrismo (quasi che quest'ultimo potesse esseregiudicato alla stessastregua dell'altro, specialniente dopo il rapportoKruscev e dopo Budapest); e vi fu anche chi coltivò la speranza che questo cdmeno avesse di buono un governo a maggioranza clericof ascista,candidatoa succedereal quadripartito, di far precipitarenuovi e più efficienti schieramenti politici·, in prim.o luogo l'unificazione socialistasu basi definitivamente democratiche, il fiancheggiamento supino ai comunisti relegato nel passato remoto., il co1idizionamento efficace dei democristiani affidato al, futu,ro -prossimo. Ora non è chi non vede come, dal giorno dell'insediamento del governo a maggioranza clerico-fascista,l'unificazione socialista non ha fatto passi - avanti. Anzi, sembra averne fatto qualcuno indietro, non solo perchè se ne parla meno di prima, ma anche perchè P.S.l. e P.S.D.l. sembrano porsi più che mai come <<nemici>l>'u:no pardizzato, oltre che dai pregiudizi dell'apparatoe dei massima/,isti,dal miraggio di una maggioranza di ricambio - che l'on. Zoli lasciacrederedi essereal sommo dei suoi pensieri, ma che poi vediamo sfumare sistematicamente; l'altro appesantito da un bagaglio di risentimenti e ossessionatodcillapreoccupazionedi essere«saltato», e quindi tagliato fuori da ogni gioco, come magari si propongono alcuni incauti · 1_ 5] Bibloteca Gino Bianco

ambienti democratici che si sono lasciati affascinare dall'astratto e infecondo schema mendesiano del!' aggiramento a sinistra della socialdemocrazia. Lo scorso anno, di questi gior1ii, l'eco di Pralognan correva per il paese e gli ambienti democristiani apparivano assai allarmati. Oggi le speranze allora si,1,scitatenell'opinione p1,1,bblicademocratica sembrano dileguate, ad onta della sopravvenuta liquidazione del quadripartito; e le preoccupazioni allora diffuse fra gli ambienti democristiani, e in particolare fra quelli integralisti, sembrano fugate. ~~f editino su questo dato i quadri dirigenti socialisti dell' itno e dell'altro partito e cerchino di valutare politicamente l'atmosfera che si diffuse allora, ora è un anno circa, da Pralognan, confrontandola con quella che ristagna oggi nel paese, circondando le più recenti vicende del socialismo di una cortina di indifferenza, per non dire di sfiducia. Un tale confronto, riferito appunto al clima della pubblica o#nione, magari esteso ai rapporti tra le forze politiche, rion reca conforto nè a quanti sono responsabilmente preoccupati dell'equilibrio politico nel paese, nè ai socialisti stessi; e di qui l'imperiosa esige1iza di ritrovare le vie dell'unificazione. Ma se poi questo non risitliasse possibile, se nemmeno a un accordo fra socialisti per la campagna elettorale si potesse perveriire, se le vie dell'unificazione risultassero definitivamente ostruite dalla ostinazione dell'apparato e dei massimalisti del P.S.l. a perpetuare e magari a rinnovare i vincoli frontisti, allora i democratici di tutte le correnti, socialiste e fiberali, laiche e cattoliche, ;i troveranno di fronte a questo problema: come ricostruire l'equilibrio politico che si e rotto nel corso di questa legislatura; come uscire dai una situazione tutta negativa - nè solidarietà democratica, 1iè itnificaziotie socialista - e avtiiata verso rischiose soluzioni, forse di regime; come assicurare al paese nella prossima legislatura un efficiente governo democratico e chiudere questa penosa parentesi aperta ora è qualche mese con l'insediamento di un governo a maggioranza clerico-fascista. Perchè a noi pare clze l'Italia, posta più che mai di fronte ai gravi problemi della costruzione democratica, l'integrazione europea e lo sviluppo dell'occupazione e del recldito, non possa, oltre il termine di questa legislatura, concedersi il lusso di governi più o meno simili a quello che è per ora succeduto al quadripartito. [6] Bibloteca Gino Bianco

La fluidità dell'elettorato italiano di Francesco Compagna e Vittorio de Caprariis Come è noto, elezioni amm•inistrative parziali si sono tenute quest'anno dall'inizio della primavera fino alla fine di giugno; e, come è noto, i risultati di tali elezioni, talvolta contraddittorii, sovente inaspet~atii,sono passati subito al centro della polemica politica, ed ognuno vi ha voluto vedere confermata non solo e non tanto l'esattezza delle sue previsioni, ma soprattutto l' eccellenz,a della politica preconizzata o posta in atto. Ora, siffatti << campioni » elettorali questo hanno di proprio, che possono servire a dimostrare tutte le tesi. Già sulla possib,ilitàdi confrontare i dati delle consultazioni elettorali amministrative che si tengono in tutto il paese coi dati di quelle politiche, e sulla validità di tali confronti, si possono sollevare dubbi in parte legittimi. Qu,ando poi si considerano cifre che incidono per il 2-3% sulle cifre nazionali si deve ammettere che i dubbi cedono il luogo alla certezza. Confessiamo di aver ammir,ato l'interessato entusiasmo o la candida preoccupazione con cui si è data per risolta la crisi del P.C.I. dopo il cosiddetto test di Cremona, salvo a rimetterla in discussione dopo le elezioni regionali sarde; lo sgomento o la gioia con cui si è constatato che la D.C. guadagnava implacabilmente voti, salvo poi a sospirare di sollievo o di amarezza quando le medesime elezioni sarde hanno dato quella che è parsa una controindicazione. Per la verità il primo insegnamento che c'è da trarre da queste elezioni parziali non è di ind,icazione o di previsione, ma è di politic~ generale: sarebbe opportuno, indispensabile non sottoporre il paese e la politica dei governi allo s~illicidio di risultati che si protraggono per mesi e mesi; sarebbe opportuno, indispensabile concent~are tutte le elezioni parziali a cui si deve provvedere per sciogl1mento de1 consigli comunali o provinciali in una sola domenica all'anno. I governi [7] Bibloteca Gino Bianco

devono governare e i parlamenti legiferare senza essere turbati da marzo a luglio, settimanalmente, dalle presunte indicazioni delle elezioni nel comune tale o nella provincia tal'altra. Con questo non si vuole dire tuttavia che dalle numerose elezioni par- :òiali non vi sia qualche indicazione effettiva da trarre anche ai fini della previsione dei futuri risultati delle elezioni politiche. Solo che qui è necessaria la massima discrezione nell'utilizzare le cifre che si hanno a disposizione. E quando diciamo discrezione non vogliamo dire soltanto che si debba maneggiarle, queste cifre, con estrema prudenza, senza lasciarsi prendere dalla passione di p,arte; che si debbano evitare le facili generalizzazioni o che non si debbano assumere le percentuali di Cremona come indicative per tutta la Lombardia o quelle di un collegio provinciale di Napoli, come indicative per tutto il Mezzogiorno. Vogliamo dire, piuttosto, che l'utilizzazione dei risultati elettorlal,i parziali deve essere condotta con criteri profondamente diversi da quelli che si sogliono usare quando si hanno innanzi le cifre nazionali e quando si possono confrontare queste cifre medesime -con quelle di consultazioni precedenti. Poichè in tale caso si tenta di vedere in tutta la su,a complessità la tendenza dimostrata dal1' elettorato e si cerca di intendere come esso ha rea·gito innanzi alle scelte multiformi, e quindi quali problemi politici prima degli altri, o tra quanti gliene venivano proposti, l'elettorato ha posto in evidenza; mentre invece quando ci si mette sul piano delle previsioni i problemi sono imposti alle tendenze e non scaturiscono da esse. Sarà il confronto tra questi problemi che si impongono e le tendenze che si sono riconosciute nella precedente storia elettorale del paese che darà in qualche modo le possibilità della prè- • • v1s1one. Ora alla vigilia elettorale del 1958 due sono i problemi fondamentali o meglio le dom,ande decisive che si pongono tutti gli osservatori politici curiosi delle cose italiane: la D.C. guadagnerà la maggioranza assoluta? e quale sarà la vicenda del P.C.I. ., ossia se vi sarà, e in caso affermativo quali proporzioni assumerà,la crisi comunista? Sono problemi, com'è ovvio, strettamente legati l'uno all'altro, poichè la D.C. ad esempio, potrebbe forse non raggiungere la maggioranza assoluta senza un sia pur lieve cedimento dei comunisti; e sono domande che di rimbalzo ne provocano altre. Ma conviene assumerle come le questioni di base e concentrare intorno ad esse l'analisi delle tendenze manifestatesi nell'andamento delle consultazioni [8] Bibloteca Gino Bianco

elettorali che si sono tenute dopo il '53, dur;ante il corso di questa Legislatura che volge ormai alla fine. Ma se questi sono i problemi, c'è e quale è il dato fondamentale della più recente storia elettorale italiana dal '46 ad oggi? A nostro giudizio un dato del genere esiste ed è la fiuidità alle giunture tra le varie forze politiche. Fluidità che è un fenomeno assai più complesso di quello che si veri- .. fi-caad esempio in paesi nei quali vi sono due partiti: in Inghilterra o negli Stati Uniti, infatti, i partiti politici hanno una sola zona di confine tra di loro, ed è il confine al centro; e questo fatto spiega, insieme ad altri di pari· o maggiore importanza, la tendenza alla centrizzazione della lotta politica. In Italia, invece, ogni partito, tranne quello comunista, ha ,almeno due confini; e ciò spiega (anche qui insieme ad altri fattori) che la lotta pol1itica sia tesa tra una tendenza centripeta ed una centrifuga. Questa fluidità alle giunture ci sembrò di poter indicare nelle conclusioni della nostra Geografia delle elezioni italz·a1iedal 1946 al 1953 (Bologna, Il Mulino, 1954), rilevando il continuo scambio di voti tra la D·.C. da un lato e i µartiti di centro (specialmente nel Nord, e per una percentuale r~latiivamente bassa) e della destra (specialmente nel Sud, e per una percentuale - relativamente alta) dall'altro lato; e rilevando altres1 che, soprattutto nelle regioni settentrionali, se la situazione politica fosse rimasta stabile e quella economica avesse conservato un certo ritmo d'espansione, c'era da ritenere che i rapporti di forza all'interno del blocco delle sinistre, alla giuntura cioè tra P.S.I. e P.C.I., si sarebbero rimessi in movimento, anzitutto sul piano di una concorrenz,a elettorale fra i due par~iti. Le elezioni amministrative del 27 maggio 1956 avevano in qualche modo confermato che gli spostamenti avvenivano secondo la tendenza indicata: poichè sulla destra dello schier,amento politico si era ver·ificata una restituzione di voti da parte dei monarchici e dei fascisti alla D.C.; sul centro un passaggio di voti (di minore entità, beninteso, ma pur esso significativo) dalla D.C. verso liberali e socialdemocratici; e all'interno della sinistra, mentre il P.C.I. perdeva voti, il P.S.I. ne guadagnava. Ed anzi lo spostamento nell'am·bito delle sinistre era assai interessante, poichè si aveva la prova, nelle elezioni provinciali, di un netto pronunciamento antifrontista di una parte dell'elettorato socialista, che, innanzi alle candidature comuni P.C.I.-P.S.I., ritrovava le vie della socialdemocrazia. Si potè dire che quei risultati erano tra i più ·positivi che si fossero mai avuti in Italia [9] Bibloteca Gino Bianco

dal momento che mostravano le destre in crisi, stabilizzavano la D.C. su posizioni lontane dalla sospirata maggioranza assoluta, ponevano in vantaggio i due partiti socialisti - e qunque segnavano il richiamo per l'elettorato di un partito socialista unificato e. democratico - e indiCiavano per la prima volta forti sintomi -di cedimento nel partito comunista. E per para,dossale che ciò possa apparire i risultati delle elezioni parziali che si sono tenute quest'anno confermano anch'essi la fluidità alle giunture anche se sul ,piano del giudizio politico si deve dire che esse sembrano segnare un regresso su quelle del maggio '56. Poiché se la DC. pare di nuovo guadagnare fortemente, sono i partiti del centro a ceder.e voti; poichè là dove i guadagni democristiani sono contenuti è la destra mo- , - narchica, sia pure di colore laurino, che avanza fortemente a surrogare le <<forze nazionali>> che hanno ceduto; poichè se il P.C.I. appare di nuovo resistente, gli è che esso si avvale della crisi politica del P.S.I., tormentato dalla manCianzadi chiare definizioni e di scelte precise. La maggioranza assoluta della Democrazia Cristiana dunque, per esaminare la prima delle due questioni che ci siamo poste, dipende cl.allafluidità sulla sua giuntura a destra e da quella sulla sua giuntura al centrocentro sinistra. Quale si è dimostrato dal '53 a,d oggi il grado di questa fluidità? E, prima ancora, di quanto ha bisogno la D.C. per ottenere nel 1958 la maggioranza assoluta? Di quanto ne è lontana? È questa una domanda a cui si può rispondere subito: nel 1948 la D.C. ottenne il 48,5% dei voti, cui per il meccanismo della legge elettorale, corrispose il 53,1 % dei seggi. Poichè nel 1958 il meccanismo della legge elettorale è meno favorevole alle gran,di formazioni politiche (nei computi per la ripartizione dei seggi il coefficiente <<più-tre>>è stato sostituito dall'altro « piùdue >)>, essa dovrà ottenere poco più o poco meno del 49% dei voti. Se si paragonano a questo dato quelli delle percentuali raggiunte dalla Democrazia Cristiana dal '48 in poi, la differenza sembra difficilmente colmabile: 35,9°/4 nelle amministrative del 'Sl-'52; 40,t% nelle politiche del '53; 38,8% nelle amministrative del '56. Quest'ultimo dato è ·particolarmente importante poichè è stato ottenuto quando già il nuovo corso organizzativo dell'on. Fanfani durav,a da due anni e quindi quando già esso poteva dare parte dei suoi frutti. Anche se ammettessimo (il che è in parte vero) che la D.C. richiama abitualmente più voti alle politiche che alle amministrative ed anche se considerassimo che il fortissimo at1mento tra le ammi- [10] Bibloteca Gino Bianco

' nistrative del '51-'52 e le politiche del '53 sarà registrato dalla D.C. anche tra le amministrative del '56 e le politiche del '58, saremmo ancora ben lontani dal margine di sicurezza per la maggioranza assoluta: 38,8%. -f- + 4,2% == 43~1~, infatti: mancherebbero sei punti al fatale 49%. Mancherebbero cioè circa due milioni di elettori; e due milioni· di elettori non - si guadagnano coi virtuosismi orglanizzativi. Solo un richiamo politico C(}- me la « grande paura » del 1948 o un'improvvisa, paralizzante, profonda sfiducia in tutti gli altri partiti da parte dell'elettorato (un fenomeno cioè che si potrebbe definire di astensione non dal voto ma al voto, e che consisterebbe nel votare « scudo crociato» per forza d'inerzia) potrebbero assicurare alla D.C. questi due milioni che, aggiunti a quelli che le abbiamo fatti guadagnare per ipotesi, potrebbero farle conseguire la maggioranza assoluta. L'organizzazione, la piattaforma integralista, lo sforzo di essere, o di mostrarsi, polivalente, per piacere a tutti, non sono sufficienti a ciò. Ma possiamo precisare ulteriormente questi calcoli. Se, infatti, si accetta la suddivisione del paese in tre raggruppamenti << caratterizzati da una dinamica elettorale che ricorre con sufficiente costanza nei territori che li compongono »: Piemonte-Liguria-Lombardia (le regioni cioè più progredite eco11omic,amente e socialmente); Veneto-Emilia-Toscana-Marche-Umbria; e finalmente il Mezzogiorno continentale ed •insulare (Lazio incluso): se si accetta questa suddivisione e si guardano le cifre della D.C., si può giungere ad una conclusione assai interessante. Piem. - Lig. - Lomb. Ven. - Em. -Tosc. - Marche - Umbria Mezzogiorno 1948 50,1% 1951-52 41,6% 35 8' 0 1 , /o 32,7% 1953 42,9% 39,8% 38,3% 1956 TT ,oqm=, ....,, ___ ...... 42,6 % ~~ ·--f'V""1IIDIIII Da questa tabella salta agli occhi una conclusione evidente: nel 1948 la D.C. aveva la maggioranza assoluta nel Sud e non nel Centro-Nord (nel << triangolo industriale >> varcava le soglie di essa, ma nelle altre regioni, ( 1 ) Tutti questi dati sono riportati da uno studio di Luciano Mazzaferro e Luigi Pedrazzi: << Il voto del. 27 maggio », in Il Mulino, n. 56. Va rilevato tuttavia che gli Autori, dovendo assumere come termine di confronto per il 1951-'52 e per il 1956 le elezioni provinciali e non quelle comunali, hanno escluso la Val d'Aosta, il Tren- [II] Bibloteca Gino Bianco

ad onta del 59,9% del Veneto bianco, restava molto al di qua di tale so-- glia); me.ritte nelle elezioni successive, dal 1951 al 1956, è nel Centro-Nord che essa conservava l'elettorato più stabile (ben lontano ovviamente dalla maggioranza assoluta) e nel Sud era sottoposta a oscillazioni più forti. Ciò vuol dire, se non andiamo errati, che la giuntura più fluida per la D.C. è nel Mezzogiorno, che è cioè quella con la destra. Ora quali sono le indicazioni per il Mezzogiorno successive al '56? Tranne elezioni assai poco rappresentative, i soli dati che possano essere utili ai fini del nostro discorso sono quelli delle elezioni regionali sarde del giugno di quest'anno. E qui le cifre della D.C. sono abbastanza indi- • cative: 1946 41,1% 1948 51,2% 1953 41% 1956 39,4% 1957 41,8% Il risultato elettorale democristiano in Sardegna è talmente stabile, se si estrapola il 1948, che verrebbe fatto di considerare quel 51,2'% del 18 aprile un ... errore di calcolo. La verità è che tra il '46 e il '48 la destra cedette al- - la D.C. il dieci per cento dei voti sardi e li ha ripresi dopo il '48; ed oggi, tra il '56 e il '57, non li ha ancora restituiti. In realtà nel Mezzogiorno la situazione è ancora estremamente complessa: le forze tradizionali della destra (partito monarchico e neofascismo), in crisi già all'indomani del 1953, che alle elezioni regionali siciliane del '55 mostravano gravi segni di decadenza ad onta della particolare vischiosità della destra insulare, che tino-Alto Adige e la Sicilia rispettivamente dai tre raggruppamenti: tutte << regioni » 11ellequali cioè non si svolgono elezioni provinciali. Queste esclusioni hanno come risultato di abbassare le percentuali democristiane nei primi due raggruppamenti. La differenza è però esigua; e comunque non ci sembra tale da alterare il ragionamento ch•e si è fatto nel testo. Più complessa è la questione per la Sicilia: se infatti si co.nfronta la percentuale democristiana delle elezioni regionali ultime (1955) con quelìa ,; delle elezioni provinciali nel terzo raggruppamento (M·ezzogiorno continentale + Sardegna) si trova una differenza in più del 2,6% a favore della DC nelle re- · gionali. Ad ogni modo le cifre per la Sicilia sono le seguenti: 1948: 47,9%; 1951: 31,3%; 1953: 36,4'%; 1955: 38,6%. Sono cifre cioè sempre più basse di quelle del terzo raggruppamento costruito da Mazzaferro e da Pedrazzi, tranne che per l'ultimo confronto. Ma anche qui lo spostamento non altera il ragionamento che si è fatto nel testo. [12] Bibloteca Gino Bianco

finalmente µarevano in rotta nelle amministrative del '56, sono tuttora in difficoltà e continuano a perdere voti. Ma (il risultato napoletano, forse anche quello romano, del '56, e quello sardo di quest'anno, sono li a dimostrarlo), sem·bra che sussista la possibilità per una terza forza di destr,a di mettersi sul cammino dei voti che emigrano, dal legittimismo sanfedista, dal nazionalfascismo piccoloborghese e dal reazionarismo ,agrario, verso altri lidi ed intercettare la corrente. Il più variopinto ( ed an,che, diciamolo pure, il meno serio) 1 partito che ii Mezzogiorno abbia espresso in questo dopoguerra, il cosiddetto Partito Monarchico Popolare, ai cui destini presiedono e provvedono il Sindaco di Napoli e le fortunate vicende dei noli marittimi dalla crisi di Corea a quella di Suez, ha l'ambizione, un'ambizione rumorosa, di essere questa forza di destra che si ,avvale della crisi altrui e risveglia dal sogno maggioritario la Democrazia Cristiana. Noi non crediamo che il risultato sardo del P.M.P. possa essere l'annuncio di un simile risultato alle politiche del '58 per tutto il Mezzogiorno; e meno ancora lo .crediamo valido come indicazione per tutto il paese. Certi ... investimenti elettorali possono dare frutti nelle zone depresse, dove la miseria ha la stessa cupa costanza del paesaggio afflitto, ma non ne danno in Lombardia. D'altra parte l'inserzione del !aurismo - come erede del cedimento e dello sfaldamento delle formazioni che fr~ il '48 e il '53 hanno consentito la rimonta della estrema destra; e come forza di richiamo per altri voti, i meno qualificati fra quelli che si erano avventurati più che trasferiti dalle sponde s1anefdistiche a quelle comuniste - questa inserzione, verificatasi a Napoli nel '56 e in Sardegna nel '57, ma non in Sicilia fra le regionali del '55 e le amministrative del '56, ci sembra possibile a una sola condizione: quella di montare un eccezionale e costosissimo battage. Ma questo può essere ·montato solo in occasione di prove parziali (elezioni regionali come quelle sarde; in Sicilia nel '55 esso dette luogo a risultati as-- sai meno vistosi e non fu ripetuto nelle amministrative del '56, quando gli sforzi del PMP erano concentr,ati altrove; donde una significativa flessione) o in comprensori limitati particolarmente ricettivi (Napoli). Un bat• tage di quest9 tipo non potrebbe coprire tutta l'area elettorale del paese, e neanche una parte adeguatamente rappresentativa di essa, in una consultazione generale come le imminenti elezioni politiche, senza venir diluito fino all'inefficienza. Sarebbe troppo costoso anche se altre congiunture del tipo di quella che ha preso origine dalla crisi di Suez dovessero con- [13] Bibloteca Gino Bianco ..,

sentire ~!l'armatore sorrentino di moltiplicare le proprie disponibilità elettorali; e anche se la confintesa dovesse schierarsi in forze a sostegno del !aurismo: il che è assai poco probabile. E tuttavia, se il successo del lauri ... smo in Sardegna va interpretato tenendo presente questo limite, esso non deve essere sottovalutato: esso r,appresenta per lo meno un fermento e come tale certo un ostacolo più o meno rilevante per il riassorbimento da parte della D.C. di tutta la zona di fluidità che si estende alla sua giuntura con la destra nel Sud. E perciò dal momento che, come .abbiamo detto, la D.C. può aspirare o non alla maggioranza assoluta secondo che l'emigra ... grazione dei voti di destra si verifica in massa, ci sembra di poter concludere che il ritmo ~ncora troppo lento della crisi della destra tradizionale e il nuovo fermento del P.M.P. siano degli ostacoli di un certo rilievo. Vi è tuttavia ancora un'altra considerazione da fare ed è quella che investe il rapporto tra elettorato rurale ed elettorato cittadino. Nei comuni la cui popolazione è inferiore ai 10 mila abitanti la D.C. raggiunse nel '48 una netta maggioranza assoluta, il 52,3% dei voti; mentre nei ,comt1ni la cui popolazione è superiore ai 10 mila abitanti (i quali rappresentano tuttavia il 54% dell' elettor,ato italiano) essa raggiunse solo il 45,3% dei voti (Elio Caranti: « Le elezioni amministrative del 27 maggio», in Civitas, dicembre 1956). Dopo il '48 le percentuali si sono mantenute costantemente inferiori a questi livelli, ma il divario di comportamento nei confronti de1la D.C. tra elettorato urbano ed elettor1 ato contadino è restato inalterato. È vero che alle elezioni del 26 maggio di quest'anno sembra cl1e in 99 comuni al di sotto di diecimila abitanti la D.C. avrebbe raggiunto il 55,4% dei voti (2 ) superando cos1del 3,1% il livello già altissimo del '48. Ma anche se si accettasse come valida per tutto il paese questa indicazio11e,resta il fatto che, nei comuni con più di 10.000 abitanti nei quali si è votato quel- ( 2 ) Il Corriere della Sera del 29 maggio. Si deve avvertire che le percentuali pub" blicate dai vari giornali e comunicate dalle diverse agenzie sono risultate spesso con.. traddittorie, a seconda del gruppo dei comuni cui si riferivano. Ma nel complesso l'indicazione resta quella di un rafforzamento della DC, come al solito più o meno sensibile a seconda che il test si riferisca a insediamenti rurali o urbani. Va tenuto presente altresì che nei primi vige il sistema maggioritario, che ovviamente determina un incorporamento alla DC di voti che con il sistema proporzionale, e segnatamente nelle elezioni politiche, vengono conteggiati a favore di formazioni minori. [141 Bibloteca Gino Bianco

lo stesso giorno, la D.C. ha raggiunto solo il 39,6% dei voti; mantenendosi cioè del 5,7% al di sotto del suo livello generale del '48 negli insediamenti maggiori presi complessivamente. Chi ricordi che i comuni con più di 10 mila abitanti comprendono la maggior,anza dell'elettorato italiano si rende conto facilmente che, se anche la D.C. riuscisse a conseguire in tutto il paese, per i comuni minori, il medesimo più alto livello dei 99 comuni del '57, questo neppure basterebbe ad assicurarle la maggioranza ,assoluta. C'è, dunque, un assai minore !Ilordente della D.C. fra l'elettorato a più spiccate caratteristiche urbane, ed esso è più che sufficiente a correggere l'influenza prevalente esercitata dai democristiani nelle campagne.' Certo in una _visione a lunga scadenza questa considerazione deve essere tenuta come fondamentale, poichè non si può non collegarla alla realtà in atto di un crescente ed inarrestabile esodo rurale, che nel giro di un decennio potrebbe influire non poco sui r,apporti di forza ora prevalenti nell'elettorato italiano. Nei centri minori è norma l'emigrazione, in quelli maggiori l'immigrazione. In un primo tempo questo significa che il rapporto si sposta sempre più a favore della D.C. nei primi, sempre più a suo sfavore nei secondi: perchè, come ha giustamente osservato il Brag 1 a (Il Comunismo fra gli itali.ani, Comunità, 1957), nei grandi centri « avviene che gli elettori immigrati appartengo110 in maggior proporzione a giovani ed a ceti economicamente più deboli » ; di qui, evidentemente, un loro più facile « preorientamento ,a sinistra >>; e si tenga pure presente che, specialmente nell'Italia centrale, << certe amministrazioni rosse hanno favorito l'insediamento di elementi ideologicamente qualificati>> (Ravenna, per esempio; si vedano le considerazioni relative nello studio di Aldo Falivena sul Delta Padano, nel n. 31 di Nord e Sud). D'altra parte vi sono, e sempre più vi saranno, elementi che, inurbati senza essere << preorientati a sinistra», si di-' slocano politicamente proprio per effetto della loro disloeiazione territoriale e professionale: il che lascia prevedere che alla lunga potrebbe anche considerevolmente assottigliarsi il margine di prevalenza complessiva della D.C. sulle altre forze ,politiche, al tempo stesso che si spost,a ulteriormente il rapporto percentuale fra elettorato degli insediamenti maggiori (oggi il . 54'% circa) ed elettorato deglj insediamenti minori (46% circa). Ma comunque ciò sia tenendo d'occhio il 1958 le conclusioni non possono essere che quelle già dette; e semmai si può assortirle della riflessione che a tutti i partiti converrebbe concentr,are la lotta nelle città, tralasciando un impe-- . [15] Bibloteca Gino Bianco

gno nelle campagne che potrebbe fatalmente riuscire poco proficuo o addirittura velleitario. Quanto al secondo dei problemi che abbiamo indicati come i più importanti di questa vigilia elettorale, al problema cioè dei r~pporti interni 11elblocco delle sinistre, alla fluidità alla giuntura tra P.S.I. e P.C.I., come si è già accennato all'inizio, le elezioni amministrative del 1956 avevano fornito un'indicazione .chiara ed inequivoca .. I comunisti era11:oin perdita di velocità non soltanto nelle regioni centro-settentrionali (p,er le quali avevamo già rilevato il fenomeno dopo il 7 giugno del '53) ma anche in quelle meridionali. Il processo di promozione democratica si mostrava nel Mezzogiorno più veloce dello stesso processo di promozione proletaria del sottoproletariato urbano e contadino, ,arroccato fino al '48 su posizioni sanfediste. Le elezioni parziali del '57, invece, non hanno dato la stessa indicazione così assolutamente inequivoca. I casi di Cremona, di Lecco, di Torre Annunziata, sono parsi una smentita a queste speranze; e più tardi i risultati sardi sono parsi. una smentita alla smentita. Ora di tutte le elezioni parziali tenute quest'anno, quelle sarde, per omogeneità dell'area s·ucui si è svolta la consultazione elettorale, per la congiuntura politica che deve essere favorevole soprattutto alle forze di estrema sinistra (infatti la regione sarda era retta da due anni da un governo che ,aveva fatta l'apertura a destra), per il numero degli elettori chiamati a votare nello stesso giorno, sono certamente le più significative. E in Sardegna i comunisti hanno perso oltre ventimila voti, dei quali novemila sono stati guadagnati dal P.S.I. e qtiasi settemila dalla socialdemocrazia. È vero che i guadagni socialisti non rendono ragione di tutta la perdita comunista; ma è vero anche che essi rendono ragione di oltre i due terzi di essa. Può essere accaduto che il partito personale del .sindaco di Napoli sia riuscito a portar via qualche voto ai comunisti nelle zone di sottoproletariato (non è accaduto anche a Napoli nel 1956 ?); ma il fenomeno ha proporzioni troppo poco rilevanti perchè valga la ·pena di fermarcisi sopra. Nè d'altro canto si deve dimenticare che la D.C. soprattutto nelle campagne ha potenti strumenti clientelistici e può anch'essa recuperare qualche voto comunista. Il fatto macroscopico dal punto di vista politico resta perciò che lo scambio avviene tra ,comunisti e socialisti delle due confessioni: tale almeno, lo ripetiamo, era il senso delle regionali siciliane del 1955, delle amministrative del. 1956, a Milano come a Bari. All'inizio della primavera era µar-- [16] Bibloteca Gino Bianco

so invece che non soltanto nell'Italia centro-settentrionale, a Cremona o a Lecco, ma anche nel Mezzogiorno, ~ Torre Annunziata o in ·un collegio provinciale di Napoli, la tendenza fosse stata rovesciata. Ma dopo le ele -- zioni sarde si direbbe invece che la tendenza di elettori meridionali gi à comunisti a vedere il socialismo come una prospettivla politica operant e e il coffiunismo come una realtà sclerotizzata, è ancora in atto: specialmente • quando il P.C.I. non riesce a nascondere la perdita di vecchi elettori, p ro .. letari, con l'acquisto di nuovi, sottoproletari. Ad interpretare le contraddittorie indicazioni fornite da tutte le recenti prove elettorali deve valere anche una considerazione che è stata svolta da Alberto Ronchey (Il Corriere della Sera): nella grandissima parte dei comuni in cui si è votato nella primavera del 1957 si trattava di . elezioni comunali e provinciali, che possono essere definite di « ballottag-- gio ». L'anno precedente non erano s~ti conseguiti ,cioè risultati tali d a co11sentire la formazione di maggioranze; le parti avevano <<impattato» , le giunte non erano risultate solo <<,difficili», ma difficilissime; di qui << la corsa degli elettori verso i partiti più forti>>, il timore che <<la dispersione dei voti potesse favorire la vittoria degli avversari», la natura degli incre - menti registrati dalla D.C., cui fanno riscontro gli incrementi registrati dal P.C.I. Ma ad interpretare poi più in particolare gli scambi di voti tra comunisti e socialisti può aiutare la distinzione assai acuta del Braga, avanzata ne Il comunismo fra gli itali.ani, fra elettori socialisti attualmente auto-- nomi, potenzialmente autonomi, paracomunisti di fatto. Socialisti attualmente autonomi sarebbero presumibilmente gran parte di quelli dislocat i nel « triangolo industriale »; potenzialmente autonomi anche parte di quelli dislocati nell'Italia meridionale e nelle Isole; paracomunisti soprattutto quelli dell'Italia centrale e nord-orientale. In quest'ultima zona i comunisti riuscirebbero a sfaldare e a richiamare una parte dell' elettor,ato socialista , quei paracomunisti che si allontanerebbero dal partito socialista a causa delle sue manifestazioni autonomistiche (e questo spiegherebbe Rimini e Jesi, oltre Cremona e La Spezia, poste ai confini del « triangolo industriale »). Laddove i risultati amministrativi del '56 e quelli delle elezioni sindacali dimostrerebbero che nelle zone più progredite politicamente e socialmente il P.C.I. non ha modo di mettere in difficoltà i socialisti. Tanto più significativo appare poi il fenomeno per il Mezzogiorno quando si rifletta non solo al fatto che il P.S.I. riesce a togliere voti ai comunisti nel [17] Bibloteca Gino Bianco

. . ' . . Mezzogiorno dove la s11iastruttura organ1zzat1va e precaria e approssimativa, ma che tali voti riesce a guadagnarli perfino il P.S.D.I., la cui organizzazione è quasi completamente inesistente. · Sembra, dunque, che lo schema politico-sociologico a cui si è fatto tante volte riferimento, di una p1 romozione del sottopro1etariato meridionale da una condizione politica meramente clientelistica alla .condizione di proletariato comunista e poi da questa a quella di elettorato democratico, una promozione più rapida nel primo 1 passaggio, assai meno rapida nel secondo, sia in atto, lenta ma continua. Di questo processo non può essere che il socialismo ,a cogliere i frutti maggiori, se saprà dimostrare di essere moderno e capace: certo tutto il socialismo, e a più breve scadenza, se il P.S.I. farà valere le sue istanze autonomistiche e se i sassi saranno tolti dall'ingran~ggio dell'unificazione; forse solo la socialdemocrazia, e a meno breve scadenza, se il P.S.I. resterà paralizzato dalle contese interne e se il solo sasso nell'ingranaggio dovesse rimanere, inamovibile, quello lasciato, postumo, da Morandi. ·Ovviamente questo che abbiamo indicato è uno schema che come tutti gli schemi politico-sociologici può subire variazioni. Ma quanto alla tendenza generale ci sembra che dovrebbero ess.ervi pochi dubbi: certi risultati, che parvero così deludenti, inqua,drati in essa trovano la loro giustificazione; come trovano la loro giustificazione i risultati di Milano del '56 e quelli sardi del '57. La crisi del P.C.I. esiste: i co,munisti possono rius.cire a dissimularla talvolta, ad evitar11e i danni concentrando tutti i loro sforzi in una singola zona dove si tengono elezioni parziali, di << ballottaggio» ; no11 possono più dissimularla, a meno di errori catastrofici dei loro più immediati concorrenti, quando hanno innanzi tutto il paese. Il fermento che v'è nel fondo dell'elettorato di sinistra italiano non può non danneggiare un partito sclerotizzato e senza politica. C.erto per tutto il Mezzogiorno continentale ed insulare può accadere quel che è accaduto in Sardegna: che cioè in talune zone particolarmente depresse il Partito Monarchico Popolare può riuscire a sottrarre qualche voto al ~.C.I.; e che nelle zone contadine l'organizzazione e gli strumenti di pressione democristiani possono riuscire a guadagnare qualche briciola dell'elettorato comunista. Ma complessivamente, nelle zone politicamente attive del Mez.zogiorno, lo scambio avverrà all'interno del vecchio e ormai screpolato blocco delle sinistre, sempre che i socialisti abbiano il coraggio della concorrenza. [18] BiblotecaGino Bianco

Tendenza alla stabilizzazione della D.C., dunque, ad una quota relativpmente lontana dalla maggioranza assoluta, nelle regioni centro-settentrionali e fluidità alla giuntura di questa con la destra soprattutto nel Sud; possibilità di uno scambio di voti tra P.C.I. e socialisti, con l'avvertenza che questo scambio riuscirà ad essere considerevole, e potrà avere conseguenze politiche di qualche valore, solo se i socialisti riusciranno a guadagnare anche nel Sud sui loro concorrenti, impedendo cos1 ai comunisti di ripetere il 1953, di nascondere cioè la loro flesssione del Nord coi sensibili guadagni del Mezzogiorno. E, come si vede, appunto nelle regioni meridionali si avranno i guadagni o le perdite più sensibili, appunto nelle regioni meridionali i pass,aggi di voti potranno alterare fortemente le cifre nazionali. Dopo dodici anni di vita democratica, infatti, nel Mezzo,giorno v'è ancora un vuoto politico, vi sono ancora vaste zone nelle quali si agitano malcontenti di v~rio ordine e si manifestano reazioni politiche primitive: una piccola borghesia più che mai discentrata, vera e propria élite in potenza e tuttavia frustrata nei bisogni e nelle aspirazioni, « repressa »; un sottoproletario poverissimo, angosciato dalla disoccupazione, oscillante tra la rivolta e la ,corruzione. Voti, insomma, .che possono essere conquistati a poco prezzo, si vuol dire a prezzo di retorica patriottarda, di qualunquistica .mitologia della buona amministrazione, di promesse ,apocalittiche, sia d3 chi si proponga di consolidare una maggioranza conformista, sia da chi cetchi di alimentare un moto sovversivo di destra o di sinistra. Voti tuttavia, che potrebbero essere anche presi da una grande forza politica che si mostrasse audace e moderna, capace di annodare le fila di un'opposizione democratica, dando peso e forma politica alle esigenze legittime che questo elettorato esprime adesso secondo reazioni passionali e impolitiche. Alla luce di tutte queste considerazioni ci sembra comunque di poter ritenere che nel 1958 per i democristiani come per i comunisti la battaglia elettorale sarà nel Nord una battaglia di contenimento; nel Sud invece essi tenteran110 di realizzare i più ambiziosi piani di conquista. Contenimento che per i comunisti è diretto essenzialmente contro i socialisti (e in questo senso c'è un problema di contenimento che si pone ai comunisti anche nel Su·d)e per i democristiani ha più numerose frontiere da vigilare. Conquista che, tanto per i comunisti quanto per i democristiani, si rivolge verso le zone elettorali precariamente occupate finora d,all'estrema destra. Le incognite della III Legislatura sono quindi numerose e si addensano [19] Bibloteca Gino Bianco·

ancora una volta prevalentemente nelle regioni meridionali. Non sembra che vi siano effettive possibilità di una maggioranza assoluta democristia ... na, anche se forse è lecito prevedere una più forte maggioranza relativa di quella cui dette luogo il 7 giugno 1953. Non sembra altresi che il co- - munismo potrà del tutto -eiamuffare la sua crisi politica con il tamponamento della crisi elettorale, le flessioni fra l'elettorato proletario con i guadagni fra l'elettorato sottoproletario. Sembrerebbe invece che i socialisti possano giocare più di una carta utile, a condizione di uscire dallo stato di p,aralisi che è seguito al Congresso di Venezia. Certo le indicazioni di cui si dispone fanno ritenere che l'elettorato chiede ai socialisti di passare da I una sterile posizione di fiancheggiamento del P.C.I. a una op,erante posizione di condizionamento della D.C. Se questo pass,aggio dovesse far perdere ai socialisti i quasi 700.000 voti << strettamente legati al comunismo » di cui parla Braga, altri voti, politicamente più significativi, verrebbero certamente a compens,are quella perdita; senza contare il pericolo obiettivo per cui, a.Ilaperdurante paralisi del P.S.I., il suo elettorato autonomista potrebbe fornire esso - in misura maggiore o minore rispetto ai 700.000 elettori paracomunisti - una risposta scissionista. Naturalmente, tout se tient; e, ·come dicevamo all'inizio, l'una previsione è legata all'altra e tutte si condizionano a vicenda nell'ambito di quella realtà ,che ab·biamo definito la fiuidità alle giunture tra le varie forze politiche che scenderanno ,in campo di qui a· qualche mese, nell'intento di conquistare ciascuna posizioni determinanti per influenzare l'and1 amento della III Legislatura della Repu·bblica Italiana. [20] Bibloteca Gino Bianco

I La politica dei lavori pubblici di Ferdinando Isabella I I* Tra i compiti fondamentali dello Stato v'è quello di ere.are, di sviluppare e di potenziare le installazioni di base, il capitale fisso sociale della Nazione: quel complesso di opere pubbliche che costituisce l'indispensabile infrastruttura della vita economica del Paese. A questa funzione dello Stato va aggiunta quella di fornire a tutti ì cittadini i servizi essenziali alla vita ed al progresso di una società moderna. L'organo statale che finora ha adempiuto a questi compiti è stato il Ministero dei Lavori Pubblici. Buona parte del merito o del demerito che sono toccati allo Stato per l'azione che esso ha svolta, è dipesa dalla sua po. litica dei lavori pubblici e dal modo come il Ministero ha funzionato. In un Paese come il nostro, e specie nel Mezzogiorno, dove tutto si attende dallo Stato, il cui intervento non si vuole limitato ai soli settori propulsivi, e dove le opere pubbliche rappresentano, talvolta, la parte essenziale delle nostre attività economiche, l'aspetto positivo dello Stato si è fatto sentire con la costruzione delle strade, degli acquedotti ecc., face11do,in parte, dimenticare l'altro suo aspetto; quello di chi impone le tasse e fa dei nostri figli, a vent'~nni, dei soldati. Con l'aumentare delle esigenze dell'attuale organizzazione sociale, sono aumentati ançhe i compiti dello Stato ed il Ministero dei Lavori Pubblici è stato chiamato ad un lavoro sempre più vasto e complesso, mentre i mezzi e gli strumenti di cui esso dispone sono rimasti più o meno gli stessi. * La la parte di questo articolo (diviso appunto in due parti autonome, quella relativa ai mezzi finanziari della politica dei lavori pubblici, questa agli strumenti esecutivi) si legge nel numero precedente di Nord e Sud. [21] Bibloteca Gino Bianco I

I Il problema se gli esistenti organi dello Stato fossero in condizioni di adempiere a questi nuovi compiti o se fosse necessatio crearne altri, si ~ risoluto in senso negativo per il Ministero dei Lavori Pubblici, con l'istituzione dell'INA-Casa e della Cassa per il Mezzogiorno. Esso si è riproposto per il piano di costruzione di ]00 mila aule in 10 anni, e si porrebbe in termini ancora più vasti e complessi qùando ci si decidesse ad attuare risolutamente il « programma decennale di sviluppo economico» (piano Vanoni). Com'è noto, questo <<programma>>,,al fine di assicurare maggiori e più stabili occasio11idi lavoro in modo da eliminare, sia pure gradualmente, la disoccupazione e la sottoccupazione, si propone di mettere in moto una più rilevante massa d'investimenti in tre settori propulsivi dell'attività econo,mica del Paese: l'agricoltura, le imprese di pubblica utilità e le opere pubbliche. A seconda dell'andamento del «piano>> e della congiuntura economica, potrebbero, poi, agire due altri settori regolatori (l'edilizia ed il rimboschimento). Nella massima parte dell'attività che si dovrà svolgere nei settori propulsivi e regolatori, è richiesta l'azione, diretta o indiretta, dello Stato, a mezzo del Ministero dei Lavori Pubblici: in quanto vi_saranno sempre opere che richiederanno un investimento statale, sia sotto forma di diretto intervento nella spes.a, che sotto forma di concorso, sussidio o contributo. Questi rapidi accenni allo schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito, ed ai riflessi che esso avrà sull'attività del Ministero dei Lavori Pubblici, dànno una idea ab1 bastanza chiara delle altre ragioni di eccezionale rilievo, oltre quelle da noi precedentemente esposte, per le quali è indispensabile ed urgente una riforma delle strutture del Ministero, se si vuole che ad esso vengano assegnati .alcuni compiti fondamentali del «piano», che riguardano, appunto, i maggiori investimenti nei settori propulsivi e regolatori della vita economica del nostro Paese. Perchè, se questa riforma non ci sarà, si dovrà necessariamente ricorrere alla creazione di nuovi o.rganismi od Enti che dir si vogliano, e saranno ancora più esautorati gli esistenti organi ministeriali. Dei provvedimenti a nostro avviso indispensabili per rendere efficienti ed operanti i mezzi finanzi.ari messi a disposizione del Ministero dei Lavori Pubblici abbiamo già_parlato. Ora diremo degli strumenti esecutivi, ossia ~egli organi tecnico-amministrativi, e della legislazione che ad essi presiede. [22] Bibloteca Gino Bianco

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