Nord e Sud - anno IV - n. 28 - marzo 1957

• • Rivista mensile diretta da Franc~co Compagna / \ \ ' I / .,/ ./ ANNO IV * NUMERO 28 *. MARZO 1957 a Bianco ... ..

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,- I Rivista mensile diretta da Fran~esco Compagna I ., I ' • 'Bibliotec Gino Bianco

SOMMARIO Francesco Compagna Nello Ajello Editoriale [ 3] Il mercato europeo del lavoro [ 6] Il settimanale di attualità II [ 17] NOTE DELLA REDAZIONE * L'industrializzazione dirottata [56] * * La riforma degradata [58] * *·* Gli incentivi emendati· [ 61] GIORNAI..EA PIÙ VOCI .. Giuseppe D'Euf ernia Dorello Ferrari Leonardo Sacco Elena Craveri Croce Stefano Rodatà Aspetti giuridici dei gruppi di pressione [ 69J Emigranti in Svezia [71] <<Scheda>da>Matera [76] Le tappe del «recupero» [80] La via socialistaalla cultura [85] DOCUMENTIE INCHIESTE Riccardo Musatti Terra senza città [88] Tullio De Mauro Ennio Ceccarini, Vittorio De Caprariis, Antonio Palermo Una copia L. 300 • Eatero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.280 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7 .500 Effettuare i versamenti sul C.C. P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Editore • Milano Biblioteca Gino Bianco CRONACALIBRARIA Urbanistica [ 114]. Letteratura [ 123] DffiEZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 82.918SEDE ROMANA t Via Mario dei Fiori, 93 • Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via Bianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71

• I Editoriale Vi sono più modi di considerare l'unificazione socialista: la si può desiderare come un'operazione di conversione al centro del PSI, oppure come il fulcro di un grande schieramento elettorale di· alternativa alla Democrazia Cristiana; oppure ancora come una trappola per trascinare la socialdemocrazia su posizioni frontiste (è, ad esempio, la concezione dei comunisti). A noi sembra che tutti questi modi scivolino con troppa disinvoltura sulla questione pregiudiziale: come deve essere questo partito socialista unificato? Ed è evidente che quando diciamo « com'e deve essere», vogliamo dire quali programmi nuovi esso si debba dare e in che cosa debba modificare gli antichi, in che debba mutare la sua ideologia., e ome vadano corretti certi miti, come si debbano mutare certe sue strutture organizzatit1e.Può parere presuntuoso porsi questi problemi◄•• ma ad ttna critica politica anche di parte non socia/,ista,ad una critica politica preoccupata dellt· trasformazioni della nostra società politica e delle sue articolazioni democratiche, qitesti problemi devono interessare in pri1noluogo. Perciò. il processo di unzficazione socialistadeve essere non una semplice manovra tattica, ma uno sforzo di chiarimento di sè a se stesso del 1novimentosocialistaitaliano.Attraverso di esso il movimento socialista deve acquistarecoscienzadei mutamenti intervenuti da Marx in poi, o da Lenin· in poi, nel mondo, deve assoggettarsiad un esame di coscienza del genere· di quello che travaglia, ad esempio, il partito laburista britannico, deve· scoprire il nuovo continente dell'economia contemporanea, deve ripren-- dere a riflettere sul tema eterno della storia del pensiero politico,.sul tema del «potere>>e dei suoi limiti, deve riscoprire che la libertà non è u1-P [3] Biblioteca Gino· Bianco-

,,<<fatto»borghese e capitalistico,ma un valore eterno. Una lucida consapevolezza delle risposte a siffatti problemi (e sappiamo benissimo che, dicendo questo, incorriamo nell'accusa di illuminismo e di astrazione_} orienterebbe le risposte ai principal.i problemi politici di oggi assai meglio di un dicdogofatto a basedi reciprocheconcessioni (come ad esempi,o: « ti, ci dai l'europeismo, e noi diventiamo atlantici tiepidi»; oppure: << se voi nazionalizzate gli elettrici, vi concediamo l'articolo 17 »... ). I discorsi dell'on. Nenni e di parecchi a/,tridelegati al CongreS'sodel PSI a Venezia hanno testimoniato uno sforzo onesto, sincero, tutt'altro che privo di risultati, un impegno a porsi dei problemi del genere e a :darvi una risposta.lAsciqmo da parte per un momento (avremo occasione di tornarvi) le perplessità, le riserve che questa o que{la j7roposizio1,e(segnatamente in politica estera, ma non soltanto in politica estera), che questo o quel discorso possono aver suscitato. Un dato di fatto fondamentétle era che vi fosse quello sforzo e quell'impegno che si è detto, che il PSI ,cominciassea mitoversi, e con disinvoltura, fuori della foresta pietrificata delle frasi fatte, delle citazioni-dei sacri testi, delle formtele. Ciò non voleva dire sol(!che si erano fatti parecchi passi avanti verso qualche operazione politica·immediata; ma voleva dire anche che si erano fatti parecchi passi avanti su quella che a noi sembra la strada giusta, una strada più lt,1,nga dell'altra, ma che porta più lontano. Ora è da quest'ultimo pu1ito di vista che il colpo di scena finale dei risultati delle elezioni per il Comitato Centrale - la cosiddetta vittoria dell'apparato - non si può ritenere un fatto positivo. For:se.l'on. Nenni riuscirà ad impo.rrela sua politica ai « morandiani »; e si può dire addz".rittura che assai probabilmente, a meno di fatti nuovi di imprevedibile im- .Portanza, l'unificazione socialista si farà. Ma quella chiarìfica~ione del socialismocui si è accennatosaràforse pi,ùdifficile di quanto tutti abbiamo _pensatoprima di Venezia e nei primi giorni del Congresso. E ciò non .perchè, come ha detto l'on. Saragat, vi è nel PSI il 300/4 di democratici e ,·il 700/4 di filocom1,nisti. A giudicare dai, risultati, i filoco.munisti, i cari «disperati», saranno al massimo il 100/4. Ma vi è un buon cinquanta per I ~centodel ceto dirigente che è ancora aggrappato alle frasi sacre e alle formule fumose. Ci dispacedover constatareche il Congressodi Venezia ha confermato [4] , Biblioteca Gino Bianc·o

• un nostro vecchio giudizio: che Morandi resta oggi uno dei -principali responsabilidella confusione ideologicae politica di molti quadri dirigenti del PSI. No, Morandi non ha salvato il PSI dall'abbracciocomunista con il miracolò dell'organizzazione, come sembra di moda credere oggi. Quel che ha salvato il PSI dall'abbracciofrontista è stato il fatto che vi è nell.ç, massepopolari e in tutto il paese una fortemente radicatatradizione socia- . lista, un fermo e vigorososentimento che gli ideali lib_ertardi el socialismo? checc/tè ne pensasseroi leaders, erano una cosaprofondamente diversadall'ideologia liberticida dei comunisti. Questo, non l'apparato, ha salvato il PSI; grazie a questo il PSI ha ritrovato una parte dei suoi voti nel '53; grazie a questo, alla pi1'tferma intenzione mostrata di tagliare il cordone ombelicaleche lo teneva stretto al frontismo, il PSI ha visto aumentare i suoi t1otinel '56. ' All'utile opera organizzativaMorandi aveva affiancato un indottrina;_ mento di cui il PSI dovrà liberarsiper diventare non soltanto un partito democratico,ma altresì ttn partito moderno. Chè la modernità di un partito, grazie a Dio, no1z è dimostrata dall'efficienza combinatoriadei fun- · .zionari,ma dalla buona attitudine a porsi concretamente, spregiudicatamente, i problemi del paese,ad essere << al tempo » del paesee dei problemi. I democratici italiani, l'ha detto meglio di ogni altro Ugo La Malfa nel Mondo del 19 febbraio 1957, devono aiutare e non mortificarequesto processodi chiarifica.iione:senza presunzione, ma anche senza rinunciarea/,la criticaschietta e precisa. ~ I • [5] Biblioteca Gino Bianco

I I ( Il mercato europeo del lavoro di Francesco Compagna Riguardo alla circolazione degli uomini l'Europa occidentale ci appare oggi .fasciata da una fitta maglia di barriere: da quelle minori che, come in Italia, vorreb'bero opporsi ,alla libertà di trasferimento fra regione e regione, e magari fra provincia e provincia, a quelle maggiori che separano gli Stati fra loro. Tali barriere rappresentano altrettante infrazioni ,ai principi che sono all'origine della nostra civiltà. · Una politica economica può infatti proporsi di incoraggiare i movimenti migratori. Ma q11iandoessa dovesse oltrepassare un certo limite in questo senso, quando dovesse peccare, per cos1 dire, in eccesso di incorag- , , giamento, si avrebbe quella sua degenerazione il cui punto d'arrivo è rappresentato dalle deportazioni di tipo nazista o comunista. Analogamente un,a politica economica può proporsi di scoraggiare i movimenti migratori, sia dal ,punto di vista di quel paese che ra1 ppresenta sul mercato del lavoro l'offerta, sia dal punto di vista di quell'altro paese che ra,ppresenta la domanda, l'uno preoccupato per il deterioramento dei propri insediamenti umani, l'altro per i problemi di ricettività, assimilazione, impiego, alloggio, consumo e retribuzione che sorgono dall'afflusso di mano d'opera supplementare. Ma per l'uno e ,per l'altro paese, quando la loro politica economie.a av-esseoltrepassato anch'essa un certo limite, quando avesse cioè peccato in -eccessodi scoraggiamento, noi saremmo sempre, come siamo, in presenza di una infr.azione dei. ,principi della nostra civiltà; e una degenerazione si sarebbe verificata, come si è verificata, nella direzione opposta a quella segnata dalle deportazioni, una direzione il cui punto d'arrivo è rappresentato dalla restaurazione, piu o meno parziale, della servitu della gleba. [6] Biblioteca Gino Bianco

Di tutto ciò sembra che non ci si renda ,piu conto in E-uropa e nel mondo occidentale da che i sindacati hanno fatto della instaurazione e del mantenimento di barriere contro la circolazione degli uomini un articolo della « fede » proletaria; da che i nazionalismi hanno imperversato e imperversano (si pensi fra l'altro alle attuali pretese che sono state avanzate per cintare l'Alto Adige); da che i fascismi hanno ulteriormente distan- . ziato le nazioni fra loro, istituendo barriere perfino all'interno delle nazio~i stesse (si pensi alle «nefande» leggi italian-e sulle migrazioni interne); da che preoccu-pazioni etniche e religiose sono sfociate in provvedimenti discriminatori di tipo razzistico. E si potreb 1be continuare a lungo, riferendo di altre forze e di altre ragioni che pure 11,annocongiurato e con- . giurano a rendere troppo elastici i limiti di cui si diceva, e che tutte le politiche economiche dovrebbero rispettare, per non consentire la degenerazione delle misure lecite di incoraggiamento o scoraggiamento dei movimenti migratori in misure illecite: tali cioè da costringere l'uomo a trasfe.. rirsi dove non vuole, come avviene .al di là del sipario di ferro, o a rimanere dove non può, come, ahimè I avviene al di qua •di quel sipario.• Nell'Europa occidenta1 le infatti i limiti di liceità, per quanto riguarda le politiche economiche dirette a scoraggiare le m~grazioni, sono stati da tempo oltrepassati; e si verific,ano manifestazioni molto significative della insensibilità con cui governanti e governati si atteggiano oramai davanti al principio della libertà di trasferimento, per sacrificare a idoli protezionistici che, nella gran 1partedi quei paesi europei che fino ,a ieri erano impegnati nella lotta per la piena occupazione, mancano oggi, tra l'altro, anche di quel fragile piedestallo su cui la realtà di una diffusa disoccupaziione li aveva innalzati. Prendiamo il caso dell'Inghilterra, << madre dell'idea liberale». Recen.. telllente il Times segnalava le pericolose conseguenze cui si trov,a esposto il ·paesedi fronte alle affermazioni sempre più accentuate di una tendellZa degli elementi professionalmente qualificati ad abbandonare il territorio metropolitano per trasferirsi nei p.aesi del Commonwealth, specialmente nel Canadà. Il Times au·spicava misure idonee ad << attaccare alle radici _ le condizioni di vita che inducono oggi i giovani ad emigrare», e cioè misure idonee ad incoraggiare l'impiego di giov,ani sul territorio metropolitano e a scoraggiare le partenze; non senza,.però, a:veraffermato pregiudizialmente che << non si possono mettere limiti ali'emigrazione, poiché [7] Biblioteca Gino Bianco

\ si verificherebbe un'interferenza nella libertà dei cittadini a organizz,are la propria vita». È un atteggiamento serio e responsabile, coerente coi princìpi che reggono quel paese da qualche secolo. Ma assai meno coerente con tali princìpi è stato l'atteggiamento ostile dei sindacati britannici di fronte alla necessità di colmare, nelle attività primarie, certi sensibili vuoti che pure compromettono sempre più la produzione del paese; tale atteggiamento non solo ha impedito al governo di ricorrere in misura adeguata all'immigr,azione, ma ha determinato anche un'as-pra oppos,izione, non diciamo al reclutamento di minatori italiani, ma addirittura all'insediamento dei profughi ungheresi. C'è quanto basta per valutare di quale carica reazionaria possa essere animato il protezionismo operaio in particolare, il classismo in generale. Se poi di questo classismo reazionario si volesse dare un altro esempio, si potrebbe_riferire di una recente rivendicazione avanzata dai sindacati operai nella vicina Svizzera: paese che, anch'esso, da alcuni secoli si regge su princìpi che l'hanno promosso a modello di democrazia in Europa. Dall'organo socialista di Lugano è stato recentemente richiesto alle autorità federali << una maggiore circospezione nel concedere i permessi di lavoro· per la manodoper.a straniera>>. Le preoccupazioni che una tale d·omanda reca implicite, sembrano dettate dal dislivello fra i salari corrisposti •nel campo dell'edilizia, al quale affluisce buona parte della mano d'opera immigrata, e quelli più alti corrisposti in altri settori. Giustamente ha rilevato il << bollettino dell'emigrazione» edito a cura della Umanitaria che, ove mai la richiesta di ulteriore limitazione dei permessi, elargiti già con molta parsimonia dal governo elvetico, venisse accolta, per la Svizzera, paese di piena occupazione, « ne risultereb·be una limitazione di attività nell'industria edilizia e di conseguenza un minor lavoro ,anche per le numerose industrie collegate all'edilizia». Non vale la pena di aggiungere altro. . Abbiam,o infine il çaso di Mendès France, dimostratosi assai preoccupato di cintare il mercato francese contro una possibile << invasione » di mano d'opera italiana durante o alla fine di quel lungo << periodo di transizione » che è stat,o previsto ·per la realizzazione finale del Mercato Comune. Se gli esempi ,concernenti i sindacati britannici e svizzeri stanno a dimostrare come possano facilmente assumere oggi aspetti e funzioni reazionarie anche le posizioni socialiste ed operaiste, l'esem,pio di Mendès [8] Biblioteca Gino Bianco

• France sta a dimostrare come possa cedere alle lusinghe reazionarie, e immobilistiche, anche il programma cartesiano di certa « nuova sinistra>>. Mentre i primi non esitano a chiedere, per meglio tutelare gli interessi sezionali a~i propri organizzati, barriere sempre più ailte e sempre J}iù fittte, la seconda si è spinta addirittura a eccitare strumentalmente quegli stessi interessi operai. organizzati, a servirsi cioè delle paure del protezionismo operaio per coprire le paure del protezionismo padronale, secondo una tradizionale tattica di consumati reazionari, di agguerriti monopolisti. A proposito del discorso tenuto da Mendès France in opposizione al Mercato Comune europeo, e in ,p;articolare a proposito dei riferimenti alla emigrazione italiana che in quel discorso si leggevano, è stato scritto infatti da Aldo Garosci, sul Mondo del 5 febbraio, che il leader del radicalismo fra·ntese ha espresso « il sentimento dei nazionalisti con le parole dei protezionisti >>; che si ritrov.ano nel suo discorso <<gli argomenti dei ceti più antiquati dell'economia francese>>; che questi argomenti peccano peraltro dal lato della logica, poichè, quando si denuncia il pericolo per la Francia di una immigrazione di uomini dall'Italia e di una emigrazione ' di capitali verso la Germania, resterebbe da chiarire la ragione per cui gli uomini non seguirebbero i capitali. Noi concordiamo pienamente con il giudizio di Garosci (e non è d.a oggi del resto che data il nostro giudizio sullo pseudo-dinamismo di Mendès France). Fu Altiero Spinelli, se non andiamo errati, a scrivere qualche anno fa che, quando si pongono •problemi di radicale rinn~vamento istituzionale, di creazione stata1 le, gli uomini politici non si distinguono tanto in base al fatto che siedono a sinistra o a destra nei rispettivi parlamenti, \ . \ quando ir:i base al posto che occupereb·bero, sulla « montagna >>o nella <<palude», nell'ideale convenzione, quella europea nel nostro caso. Mendès France ha rappresentato un mito per certi ambienti della sinistra democratica italiana, perchè appariva l'uomo nuovo della sinistra in Europa, velleitariamente im.pegnato anzi ad aggirare sulla sinistra i socialisti; noi non abbiamo mai creduto in questo mito, abbiamo anzi ritenuto che esso non poteva sortire altro effetto che quello di aggrav,are la crisi di orientamento della si11istrademocratica italiana. Oggi, chi non lo avesse già fatto prima, dal recente discorso a Palazzo Borbone, può agevolmente misur,are fino a che punto sia vana la qualifica di sinistra sul piano nazionale quando si affondano i piedi nella <<palude» sul piano sovranazionale: .il tanto [9] Biblioteca Gino Bianco •

. ammirato dinamismo formale si rivela allora per quello che è, un sostanziale immobilism·o, assai più grave di quello che i mendesiani rimproverano alla socialdemocrazia. Premesso quindi che, di fronte alle barriere che impediscono in Europa occidentale la libertà di movimento, certe manifestazioni della sinistra democratica, sindacali e parlamentari, si ispirano a una visione miope, sezionalistica, nazionalistica: e, lungi dall'auspicare una sia pur graduale resta·urazione di principi civili fondamentali, esse agiscono per aggravarne l'infrazione, ne consegue ovviamente la necessità di riproporre il problema rappresentato da quelle barriere anzitutto sul piano dei principii della nostra civiltà; il che sarà reso tanto più facile quanto maggiori saranno le possibilità in atto di far valere una visione meno miope, meno sezionalistica, meno nazionalistica delle esigenze che maturano sul mercato del lavoro in Europa occidentale. Non c'è dubbio che il Mercato Comune rientra in questa prospettiva. Già in occasione del commento al primo << lancio » dello schema Vanoni noi ayvisammo a quel rapporto fra il nostro piano di svilu1 ppo e il Mercato Comune che ora è stato indicato. da Ferrari Aggradi e da Colombo. Se mai il Mercato Comune presta il fianco a1 lle critiche, queste devono seguire la direzione opposta a quella seguita da Mendès France: quella direzione cioè che, partendo da una matura consapevolezza politica della priorità da dare alle soluzioni europeistiche, muove contro la timidezza con cui si è affrontata ,}'instaurazione del Mercato Comune in generale e di una più libera circolazione degli uomini in particolare (Taviani: << se una critica può farsi è che le remore sono troppe, non troppo poche »). E ciò proprio oggi che, almeno relativamente al problema da cui abbiamo preso le mosse, la situazione europea, lungi dal far paventare indiscriminate << invasioni>>in qt1esto o quel paese, si presenta abbastanza favorevole, quando si prescinda beninteso dal corporativismo di quei sindacati i quali, anche in presenza di u·na attiva e magari ansiosa domanda di lavoro nei propri paesi, non di altro si preoccupano che di consolidare i privilegi dei propri iscritti; e quando si prescinda anche dall'altrettanto miope visione che detta quelle << antologie della paura » che hanno degradato iin questi anni di decadenza europea forze politiche di ,antica ispirazione liberale. Potrebbe sembrare che d'altra parte l'appello ai principii per quanto riguarda la libertà di trasferimento, e le prospettive che ad essa apre il [10] Biblioteca Gino Bianco

I Mercato Comune, sia nel nostro caso ispirato anch'esso da preoccupazioni più o meno nazionalistiche, e comunque da esigenze proprie e tipiche della situazione italiana, dal fatto che il ~ostro paese è_ l'unico dei <<Sei», e uno dei pochissimi del mondo libero, a rappresentare sul mercato del lavoro un'offerta di mano d'opera bianca. Ma oggi sul mercato del lavoro, e su quello europeo in particolare, c'è una crescente tensione della domanda, la quale è rappresentata dai principali paesi che tale mercato costituiscono. Di qui l'interesse, non solo italiano, ma anche europeo, a profittare di questa situazione, per restaurare e sviluppare i principii di cui si diceva, per rimuovere certe resistenze sezionalistiche e nazionalistiche, per verificare la effettiva consistenza di certe « paure ». Quali sono oggi in Europa occidentale le tendenze generali e p,articolari che si manifestano sul mercato del lavoro? Nell'an,no che ha visto ' complessivamente più di 80.000 italiani trovare lavoro in Francia, fino a che punto ,possono app.arire giustificate le apprensioni di un Mendès France relativamente al <<-pericolo di una invasione di disoccupati italiani in Franca, e in caso di crisi tedesca, di una invasione ancora più numerosa di disoccupati tedeschi» ? Quale maggior sollievo potrebbe recare il Mercato Comune al problema della sottoccupazione agricola italiana e in che modo esso potrà offrire al nostro esodo rurale destinazioni più numerose e prospettive meno ristrette di quelle che offrono il mercato nazionale e le pur aumentate attu,ali possibilità di emigrazione? E, verificandosi sia pur in parte i timori manifestati d,a Mendès France, visti non solo come <<invasione » della Francia, ma anche come <<fuga>>dall'Italia, fino a che punto potrebbe essere compromesso il nostro piano di sviluppo, potrebbe detérminarsi cioè un deterioramento effettivo dei nostri insediamenti umani, attraverso l'emigrazione dei migliori se non dei più? Non a tutte queste domande si può dare fin da ora una risposta precisa. Le varie risposte si preciseranno man mano che la situ,azione progredirà e che meglio potranno essere valutate le misure di liberalizzazione e le remore che sono state previste per graduarne gli effetti.. Comunque tali domande devono ormai essere poste; e devono ispirare da ora in poi una vigilante attenzione da parte degli organi responsabili, su tutte le loro implicazioni; perchè la nuova situazione che si profila sul mercato europeo del lavoro in generale, e l'instaurazione graduale del Mercato Comune in particolare, intervengono a modificare taluni termini dei grandi problemi . [11] Biblioteca Gino Bianco

italiani: questione agraria, esodo rurale, Mezzogiorno, scuola e qualificazione professionale. Vediamo intanto quali indicazioni possiamo trarre dalla realtà che si intravede oggi in Europa e in Italia. L'emigrazione dall'Italia ve.rso i 'Paesi tr,ansalpini è in aumento, ad onta delle barriere vigenti e delle resistenze politiche operanti. Nella misura in cui le istituzioni del Mercato Comune ridurranno le· barriere, in numero e in altezza, e fiaccheranno le resistenze politiche, l'emigrazio11e transalpina potrebbe maggiormente contribuire a risolvere certi nostri problemi, dalla meccanizzazione dell'agricoltura al risanamento della mon-- tagna, dalla produttività alla industrializzazione del Mezzogiorno, che sono tuttora resi ,più pspri e difficili dalla congestione del nostro tessuto demografico. Naturalmente non possiamo ancora indicare l'ordi~e di grandezza che, in rapporto anche alle varie fasi previste per la realizzazione del M~cato Comune, può venire assumendo l'emigr.azione transalpina dalla Italia; infatti, come dicevamo, per valutare le riserve di cui appare circon.. data la liberalizzazione della mano d'opera si attendono quegli << ulti1ni chiarimenti >>cui fa cenno la Voce Repubblicana del 6 febbraio, e che saranno possibili solo quando i testi dei trattati « saranno noti nella loro interezza». Ma è certo che, allo stato, la situazione in cui l'Italia offriva una mano d'opera che nessuno chiedeva è de1 tutto cessata in Europa. Dalle statistiche dell'emigrazione italiana nel 1955 risulta infatti che le partenze ,per i paesi transoceanici si sono mantenute più o meno allo stesso livello dell'anno precedente. Sensibile •però risulta l'incremento dell'emigrazione transalpina, passata dalle 20.744 unità nette del 1954 alle 45.725 unità nette del 1955: essa si è più che raddoppiata cioè, e nuove correnti si sono delineate, di emigrazione permanente; quanto all'emigrazione s~agionale, sembra che essa abbia toccato le 123.561 unità, registrando a sua volta un incremento di ben 42.717 unità rispetto al 1954. Il bilancio del 1956 non è ancora noto: la interruzione della corrente che si dirigeva in Belgio, determinata da una nostra iniziativa e non dall'esaurimento delle domande, avrebbero potuto far registrare una considerevole flessione nel1' emigrazione transalpina; ma già sappiamo, da una dichiarazione ufficiale di parte francese, che è ulteriormente aumentato il volume della corrente che si dirige in francia; e recenti dichiarazioni dell'on. del Bo al Giorno (22 febbraio u. s.) annunciano che, per la sola << piccola Europa>>, nel 1956 hanno lasciato l'Italia 105.793 unità demografiche (fra cui 30.700 [12] Biblioteca Gino Bianco

, • << stagionali >>), che si prevede passeranno a 128 mila nel 1957, e che potrebbero ammontare a ben 360 mila nel 1960, quando cioè il Mercato Comune consentirà maggiori aperture su un mercato in cui la domanda sarebbe ulteriormente salita. È da ritenere quindi che supereremo considerevolmente, nei prossimi anni, anche indipendentemente dal Mercato Comune, il livello medio previsto per la nostra emigrazione dal Piano Vanoni (80.000 unità all'an110, tra emigrazione transalpina e transoceanica) .. Tutte queste cifre stanno a dimostrare che, a partire dal 1954, si è fatta sentire in Europa una notevole carenza di mano d'opera; e che quasi tutti i paesi hanno vinto la battaglia della piena occu,pazione, anche quelli che, come la Germania, hanno dovuto assorbire quelle eccedenze demografiche che si erano verificate in seguito all'afflusso dei profughi. Da questa realtà del mercato europeo del lavoro ha preso le mqsse l'ultimo rapporto del Comitato della mano d'opera all'OECE; e ha poi insistito a lungo s·ullenote difficoltà <li far concordare la domanda di mano d'opera dei paesi a piena o ad alta occupazione con l'offerta dei paesi di disoccupa... zione: poichè quella domanda tenderebbe ad assicurare ai paesi d-'immigrazione una mano d'opera qualificata, mentre l'offerta dei paesi d'emi- , . grazione consisterebbe in contingenti di mano d'opera non qualificata. Quale punto d'incontro può essere trovato far la domanda europea e la l offerta italiana, le quali sem'brano tanto più difformi in quanto anche all'interno del nostro paese si avverte come altrove una certa tensione della domanda di mano d'opera qualificata, ad onta dell'ancora forte disocct1~ pazione strutturale ? ' Con un grande sforzo nel settore dell'educazione noi potremo e dovremo soddisfare alle esigenze della nostra domanda interna di ma110 d'opera qualificata; ma certo non potremo provvedere a soddisfare da· soli le esigenze complessive e differenziate della domanda europea, e magari extraeuropea, a meno che non aderissimo alla tesi unilaterale dell'onorevole Cotbin.o, che cioè non si dà nessuna possibilità di industrializzazione nel Mezzogiorno e quindi si devono concentrare tutti i mezzi disponibili al fine di qualificare le correnti migratorie più am.pie possibili. A questa tesi non possiamo accedere, come non possiamo accedere all'altra, non meno unilaterale, che denuncia l'emigrazione come causa primaria di un progressivo deterioramento della << Comunità nazionale>>. Non possiamo accedere a queste tesi perchè crediamo a una funzione complementare dell'emigra- [13] iblioteca Gino Bianco

zione rispetto all'industrializzazione, una funzione da cui non si può prescindere quando si tenga conto della effettiva situazione demografi.ca della campagna meridionale; e così crediamo che le •prospettive dell'industrializzazione nelle regioni meridionali siano assai più ampie di quanto il gusto paradossale dell'on. Corbino non ami credere, sempre che ci si adoperi a rimuovere ostacoli, a vincere resistenze, a realizzare certe condizioni. Non potremo dunque offrire all'Europa una mano d'opera altamente qualificata perchè i quadiri specializzati che riusciremo a formare sono necessari a quell'industrializzazione cui deve essere riconosciuta la giusta priorità. Ma ciò non vuol dire che i paesi europei d,ovranno difendersi da una indiscriminata e .massiccia immigrazione italiana con barriere più alte e più fitte, ad onta dei buoni propositi manifestati con l'istituzione del Mercato Comune. Nè vuol dire che, ove si ritenesse di non poter mandare a monte il Mercato Comune per il solo timore delle difficoltà che si incontrerebbero nel settore della mano d'opera, si verificherebbe quella « invasione » del mercato francese e non solo francese, agit.ata come uno spettro da Mendès France. Il punto d'incontro fra la domanda europea e l'offerta italiana può e deve essere trovato. Anzitutto, quando si p.assa a considerare la situazione dei singoli paesi che avanzano sul mercato europeo del lavoro una domanda di mano d'opera, si rileva che alla loro economia è venuta a mancare, e verrà sempre più a mancare, anche la mano d'opera ordinaria, i minatori, i salariati agricoli, i manovali, quelle categorie cioè cui è sufficiente una qualificazione a carattere primario. Di qui il primo allargamento delle prospettive che sul mercato europeo si Ì'ntravedono per un ulteriore sviluppo dell'immigrazione dal nostro paese. Se poi è vero, come è vero, che per le proprie ancora insolute deficienze strutturali l'Italia non ha la possibilità di dotare in un breve ciclo di anni tutte le proprie eccedenzedemografichedi un'alta qualificazione, è anche vero che l'Italia può offrire al mercato internazionale del lavoro contingenti di mano d'opera forniti di una qualificazione media: della quale, oggi e più ancora domani, pure si avverte necessità nei paesi europei. Di tutto ciò dobbiamo essere cons,apevoli noi e gli altri, se vogliamo trovare quel 1 punto d'incontro che può essere trovato e se vogliamo agire nei 1 negoziati che concernono i movimenti di mano d'opera con un moderno spirito europeistico e non secondo una gretta visione nazionalistica. [14] Biblioteca Gino Bianco

• Dobbiamo essere consapevoli di tutto ciò per non soggiacere poi a certa retorica sentimentale, o a certa demagogia interessata, quando· ci avviene di prendere coscienza del fatto che i nostri emigr,anti esercitano ali' estero mestieri umili, di manovale, di contadino, di minatore (ci consoli sapere che certo non ne avrebbero fatto uno diverso i.11 patria). Gli altri devono essere a loro volta consapevoli dei limiti che si presentano invalicabili alla nostra offerta di lavoro, perchè non possono pretendere dal nostro paese quello che esso non è in grado di assicurare in fatto di qualificazione dell'emigrante; e perchè devono incoraggiarlo invece a promuovere quei provvedimenti che possano per lo meno assicurare ,all'emigrante la qualificazione media di cui si diceva. Il presupposto di ogni qualificazione, alta o media, è senza dubbio la capacità di leggere e scrivere. Ora avviene invece che buona parte della emigrazione italiana dovrà essere reclutata proprio in quelle province che presentano un più alto indice di analfabetismo, oltre che di affollamento: . sono le cosiddette zo12e di sirtemazione del Mezzogiorno (il 64% dell'intera superficie meridio11ale, il 50% della popolazione del Sud con una densità di 115 a·bitanti per Kmq.), dove non si può far luogo a intense localizzazioni industriali e dove ogni tipo di intervento non potrà proporsi obiettivi più ambiziosi di quelli che sono propri di un primario alleviamento delle condizioni di vita e dovrà sempre essere integrato da una politica di emigraziose verso zone meno interne e meno impervie dello stessoMezzogiorno (zone di sviluppo integrale e zon~ di sviluppo ulteriore), verso il Nord e verso i ,paesi transoceanici o transalpini. Sono queste le province tradizionali dell'emigrazione meridionale, che è stata sempre ed è ancora però emigrazione transoceanica. Oggi esse devono diventare anche, se noll sopprattutto, province di emigrazione transalpina, devono essere collegate col mercato europeo del lavoro. Di qui si vede appunto come il perdurante analfabeti- , smo che affligge le province più affollate e più arretrate rappresenti anche un vero e proprio sassoir1serito nell'ingranaggio della nostra emigrazione. E di qui ,anche la necessità di promuovere senza ulteriori indugi l'alfabetizzazione di tutti gli abitanti di quelle province, piuttosto che inseguire oratoriamente e velleitariamente sogni di una generalizzata e alta qualificazione professionale, della quale, a p.arte le difficoltà di reperirne i mezzi, manca per ora in queste ampie regioni pure l'elementare presupposto. Si tratta dunque di essere in grado di f.ronteggiare almeno per ora ìe [15] ' Biblioteca Gino Bianco f

richieste minime della domanda europea. Il gradino di qualificazione successivo a quetllo dell'alfabetizzazione può essere poi più agevolmente superato mediante l'istituzione di corsi pre-emigratori poco costosi e di rapido svolgimento, specialmente se è questione di salariati agricoli (richiesti per esempio dalla Germania e direttamente reclutabili nelle dette zone di sistemazione), di manovali (richiesti per esempio dalla Francia e reclutabili anche fra le correnti già formate d'emigrazione interna che si addensano intorno alle città principali), di minatori. Quando l'Italia, che offre lavoro al mercato europeo, avesse risolto questo problema di alfa1 betizzazione, e magari di qualificazione media dei propri emigranti, i paesi di piena occupazione, che domandano lavoro all'Italia, potranno più agevolmente risolvere da sè, e magari con l'impiego del << fondo di riadattamento per la formazione professionale· e la mobilità della mano d'opera>>, previsto dal Mercato Comune, il problema di una qualificazione più alta: selezionando pure fra i lavoratori nazionali occupati nelle attività primarie, non meno che fra gli immigrati, coloro che . posseggono maggiori attitudini ad essere rapidamente promossi da mano d'opera ordinaria a mano d'opera specializzata. Questo è il punto di d'incontro. Noi avremo occasione di tornare sistematicamente su questi argomenti. L'Italia deve raggiungere un relativo equilibrio demografico in tutte le sue regioni e di qui derivano altri grossi problemi, di dislocazione interna non solo di nuclei familiari ma degli stessi insediamenti umani; problemi che, se risolti, possono c,ambiare il volto al nostro paese, possono far scomparire l'Italia di Sulmona, per far luogo ad una Italia tutta europea. L'emigrazione transalpina è una leva fondamentale per risolvere tali problemi perchè certi obiettivi di industrializzazione e di meccanizzazione . agricola non si potranno mai conseguire senza una preventiva decongestone del tessuto demogr.afico di certe province del paese, evitando al tempo stesso che incontrollabili e caotici movimenti di migrazione interna vengano a provocare la congestione del tessuto demografico di altre province. L'emigrazione transalpina è appunto la v,alvola di sicurezza per l'applicazione e l'esecuzione del Piano Vanoni. , [16] Biblioteca Gino Bianco

LA STAMPA ITALIANA NEL DOPOGUERRA Il settimanale di attualità di Nello Ajello I II. 4. Il « vento del Nord». Il primo periodo dell'Europeo. All'indomani della Liberazione dell'intera penisola, i settimanali democratici dell'immediato dopoguerra romano vennero a poco a poco relegati in un cantuccio, e cedettero il centro della scena giornalistica italia11a. ad altri protagonisti. I tentativi elaborati, in questo settore, come espressione, di un preciso frangente storico, di « quando l'Italia era tagliata in due» . non ebbero, per lo piu, lunga vita dopo la primaver~ del '45: l'attenzione si andava spostando verso le regioni che erano state il maggior teatro della insurrezione antinazista, e dalle quali una nuova schiera di intellettUp.li tornava in circolazione, ansiosa di comunicare il significato di un' esperienza decisiva per alcuni (dal punto di vista di una scelta politica), sconcertante per altri, ma in ogni caso ricca di risonanze, com'era stata la partecipazione alla lotta p,artigiana nelle contrade centro-settentrionali. Molti erano passati, quasi senza soluzione di continuità, dal fascismo (sia pure annacquato a vqlte da atteggiamenti « frondisti >> più o meno cauti) alla Resistenza, e la eccezionalità di questa avventura spirituale si rifletteva turbinosamente in tutte le pubblicazioni che vedevano man mano la luce. Già sullo scadere del '44 la rivista romana Mercurio, diretta da Alba De · Cèspedes, aveva dedicato alla Resistenza - come « un atto di amore I all'Italia dell'intelligenza italiana » - un numero speciale di 320 pagine, al quale avevano collaborato, al fianco di vecchi antifascisti, molti letterati [17] Bibli teca Gino Bianco

e giornalisti italiani della generazione della <<fronda » (56 ). Ora, ai periodici di alto livello culturale, sorti a Bari, a Napoli o a Roma appena dopo l'arrivo degli Alleati - Il nuovo Risorgimento, Aretusa, L'Acropoli, La Nuova Europa, La Città libera - se ne affiancavano altri, anch'essi politicamente localizzati nell'ambito della sinistra democratica e a11tifascista,ma t partecipi di un'atmosfera per molti rispetti nuova, c.he allora andò sotto il nome di « vento del Nord >>: Il Ponte di Calamandrei, Stato moderno di Paggi e Baldacci, Società Nuova di Bonfantini, ecc. In molte altre pubblicazioni ·culturali - la cui gamma si estendeva, tanto per fare qualche nome dalla estrema compostezza del quindicinale fiorentino Il Mondo (57 ) all'impegno <<sociale», pieno di spunti interessanti, del quindicinale mi- ( 56 ) Mercurio ( <<mensile di politica, letteratura, arte e scienza ») era sorto a Roma nel settembre del '44 col proposito di <<pubblicare inediti di autori noti, racconti di autori tacitati o mutilati dal regime poliziesco fascista, dare l'autorevole voce di personalità politiche italiane e straniere, mettere al cor-rente i lettori d1 egli ultimi prodotti dell'intelligenza e della civiltà di quei paesi da cui, fino ad oggi, eravamo divisi ... ». La rivista aveva una parte ·politica, a cui collaborarono i.ingenere esponenti dei partiti antifascisti, ed una sezione letteraria - distinta in <<narrativa» e <<•poesia»- che si valeva largamente di contributi di scrittori stranieri. Redattore-capo di Mercurio era Gino De Sanctis. Collaboravano a Mercurio Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Luigi Bartolini, Goffredo Bellonci, Raffaele Colacicchi, Ermanno Contini, Eurialo De Michelis, Vittorio Gorresio, Renato Guttuso, A. G. Majano, Alberto Moravia, Guido Piovene, Toti Sciailoja, ecc. Il numero speciale sulla Resistenza recava, tra gli altri, scritti di Sibilla Aleramo, Adriano Baracco, Bruno BariHi, Goffredo Bellonci, Libero Bigiaretti, Massimo Bontem:pelli, Irene Brin, Piero Calamandrei, Guido Calogero, Ermanno Contini, Alba De Cèspedes, Agostino Degli Espinosa, Ezio D'Errico, Anna Garofalo, Aldo Garosci,, Leone Ginzburg, Gian1naManzini, Paola Masino, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Carlo Muscetta,. Fabrizio Onofri, Guglielmo Petroni, Guido Piovene, Vasco Pratolini, Manlio Rossi-Doria, Fabrizio Sarazani, Alberto Savinio, Elio Talarico, Gino Tomajuoli. ( 57 ) Nacque a Firenze agli inizi del '45, con una veste tipografica che ricordava molto quella de La Nuova Europa. Si interessava di <<lettere, scienze, arti e musica». Il comitato di direzione era costitu~to da Alessandro Bonsanti, Arturo Loria, Eugenio Montale e Luigi Scaravelli. Segr. di redaz. Giorgio Zam·pa. Vi collaboravano, tra gli altri, G. B. Angioletti, B. Berenson, L. Bigiaretti, P. Bigongiari, C. Bo, V. Brancati, G. Carocci, L. Dallapiccola, M. Delle Piane, G. De Robertis, C. E. Gadda, M. La Cava, T. Landolfi, R. Longhi, M. Mila, G. Natoli, P. P. Pasoli1ni,B. Tecchi, S. Timpanaro, C. Tumiati, C. Varese, E. Vittorini. [18] Biblioteca Gino Bianco

• lanese Costume (58 ) e alla formula composita di Uomo ( 59 ) - la letteratura si spostava alla politica nelle guise case a quell'epoca -ricca di << confessioni», di « revisioni di coscienza», di appassionate cronache di st~ti d'animo. - Dalle colonne de Il Politecnico (60 ), Vittorini additava agli intellettuali italiani usciti dal fascismo attr~verso la lotta di Liberazione l'esigenza di elaborare una nuova cultura, non più astr~tta e <<autosufficiente», mà collegata alla vita dell'uomo da una scelta spontanea: una cultura « di liberazione » e «di redenzione >> che non fosse - come negli schemi tradizionali degli «idealisti>> o dei « semiidealisti » - soltanto un'espressione di élite, o una panacèa « consolatrice », ma si sforzasse, in pari tempo, di essere ( 58 ) « Quindicinale di politica e di cultura » diretto da Edgardo Sogno e Angelo Magliano. Vi scrivevano A·ngioletti, Bacchelli, Baldacci, D. Bartoli, Bellonci, Benedetti, Bo, A. Ca1 lvi, G. Debenedetti, S. De Feo, Degli Espinosa, Del Buono, Emanuelli, Mario Ferrara, Montanelli, M. Paggi, D. Porzio, Quasimodo, U. Segre, Silone, S. Solmi, A. Tofanelli; G. Vigorelli, ecc... Costume pubblicò anche una serie di << Quaderni di Costume », inaugurata da una raa:olta di poesie di Quasimodo dal titolo Con il piede straniero sopra il cuore (1945). ( 59 ) << Mensile di lettere ed arti >> diretto a Milano da Marco Valsecchi. La rivista svolse anch'essa, cotne la precedente, una notevole attività editoriale. ( 60 ) Nacque a Milano, come settimanale, nel settembre del '45. Nell'aprile '46 divenne mensile. Ne era editore Giulio Einaudi. Il Politecnico settimanale era a 4 pagine, formato quotidiano; anche la stampa era tipo quotidiano, con l'i,mpiego di un colore - il rosso - sia nella testata che nei titoli e nei disegni. Coadiuvavano più assiduamente il Vittorini nella compilazione di Politecni·co, Felice Balbo, Giansiro Ferrata, Franco Fortini, Alfonso Gatto, Giulio Preti, Enrico Serra. Vi scrivevano, tra gli altri, G. C. Argan, Carlo Bo,· Franco Calamaindrei, Salvatore Cambosu, Remo Cantoni, Giorgio Caproni, Marco Cesarini, Angelo Del Boca, Oreste Del Buono, Antonio Ghirelli, Tommaso Giglio, Antonio Giolitti, A. C. Jemolo, Ottavio Pastore, Silvio Pozzani, Michele Rago, Nelo Risi, Franco Rodano, Ugo Stille, Stefano Terra, Giulio Trevisani, Marcello Venturi, Sascia Villari. ll settimanale promosse, ai suoi inizi, un dibattito << per una nuova cultura », al quale intervennero vari nomi di rilievo della intellettualità engagée. Come indice del gusto del Politecnico resta tipica la pubblicazione a puntate del romanzo Per chi suonano le campane (così appariva tradotto il titolo dell'opera di Hemingway ), le cui battute di dialogo più <<pregnanti » venivano riprodotte in grassetto ed in rosso. Il Politecnico fu anche uno dei primi giornali <<seri» a recare strisce dei più famosi comics americani. [19] Biblioteca Gino Bianco

-... « socialmente attiva». << Occuparsi del pane e del lavoro è ancota occt-tparsi dell'a11z·ma >>, era il distintivo di Politecnico, nelle cui pagine l'attitudine liricheggiante e gli << eroici furori» dell'autore di Conversazione in Sicilia e di V omini e no apparivano fusi i11 un "interpretazione del marxismo estremamente problematica, ricca di in.flessioni esistenzialistiche e di suggestioni <<cristiane».La formula editoriale del settimanale vittoriniano - il quale resterà un paradigma irraggiungibile per tanti successivi esperimenti di un giornalismo culturale « di avanguardia » - era legata ai canoni di un espressionismo che risentiva, tra l'altro, dell'impetuosla «primitività» dell'ultima narrativa americana (di cui il Vittorini era attento studioso e seguace) e che poteva spaziare, nel campo figurativo, dalla puntente def o~mazione di un Grosz allo sla11ciopoetico del Guttuso prima maniera (quello della serie <<partigiana» del Gott mit uns), dalle scenografie di Piscator alle inquadrature <<socialiste >> di Eisenstein. Amalgamando questi ed altri svariati e preziosi suggerimenti letterari in una sua particolare intonazione populistica, Il Politecnico fu e resta uno degli echi più autentici della confusa temperie culturale del dopoguerra: il documento di una cultura di sinistra gonfia di germi ereticali, di cui l'irrigidirsi delle formule politiche farà ben presto giustizia (61 ). · I periodici di cui abbiamo parlato finora - sebbene segnassero un netto e polemico distacco dalla tematica << astratta » propria della cultura fascista, e si sforzassero di apparire il più possibile calati nella realtà e vicini ~gli eventi della cronaca nazionale - per la loro stessa natura non potevano aspirare a soddisfare le esigenze del pubblico «medio», che er~ avido di notizie, di indagini documentarie, di crude ed obiettive << ricostruzioni » { 61 ) Il Politecnico mensi1.ecessò le pubblicazioni col numero del novembre 194i. La scom·parsa della rivista era stata preceduta dalla condanna delle sue posizioni teor~che, espressa da Togliatti sul settimanale comunista Rinascita. La risposta di Vittorini - nella quale lo scrittore chiariva polemicamente la sua visione intorno ai rap- • porti esistenti tra politica e c~ltura. - comparve nel numero del gennaio-febbraio '47. Tra i periodici culturali che con maggiore intelligenza si siano ispirati alla tematica ed al gusto grafico di Politecni"co va citato il quindicinale Sud, che uscì a Napoli tra il '45 e il '47, diretto da Pasquale Prunas. Collaboravano a Sud, tra gli altri, L. Compagnone, T. Giglio, R. La Capria, E. !vfastrostefano, A. M. Ortese, G. Scognamiglio, D. Troisi, G. Patroni Griffi, A. Ghirelli. [20] BibliotecaGino Bianco •

• del recente passato; del quale, vivendolo, i più non avevano còlto che · qualche aspetto particolare, qualche episodio troppo repentino o -troppo doloroso perchè si potesse tentare di ricavarne un giudizio. Una necessità di concretezza e di sincerità cov,avada troppo tempo nelle coscienze: << Dopo venti anni di dittatura e cinque di guerra e di guerra civile, il pubblico italiano nel '45 era soprattutto curioso di guardarsi, lungamente e da vicino, in uno specchio. Esortato per troppo tempo a tener d'occhio la storia e le sue imperiose esigenze, desiderava ora compiacersi, senza pudore, ma anche senza ipocrisia, della cronaca di soli sette giorni » (62 ). I quotidiani erano ancora Ìmpari al compito. Con la liberazione del Nord, e con il graduale riattamento dei maggiori complessi editoriali lombardi, il settimanale si-preparava ad appagare tante_curiosità, a farsi veicolo soprattutto di una informazione meticolosa e vivace. Molti tr,a gli elementi più giovani del giornalismo culturale tardo-fascista - i letterati della generazione << di mezzo», i pupilli di Longanesi - avevano corso negli ultimi anni le più diverse avventure sui campi della guerra e della Resistenza, ed una serie di esperienze umane si era sovrapposta. alla loro cultura un po' sdegnosa e sofisticata: l'occasione che ora gli si presentava era unica. Non c'era ~ltro da fare che utilizzare i dettami della formula longanes1iana, spogliarli da ogni residua traccia di evasività e di acidità letterarie, ripresentarli con una nuova fisionomia, più facile e veritier.a, al pub·blico. Nel rileggere L'Europeo di Arrigo Benedetti, nato nel novembre del '45, si può valutare fino a qual punto tale intento abbia trov~to pratica realizzazione; in qual modo, cioè, e con qual successo, l'evoluzione del rotocalco longanesiano dalJa << fronda » alla cronaca abbia potuto dar vita ad un nuovo strumento attu,ale e funzionale, ad un grande organo ebdomadario di attualità. Man mano che l'eco della guerra e della guerra civile si attutiva, la borghesia andava insensibilmente riadagiandosi nelle su.e abitudini psicologiche, nella sua inerzia « it.aliesca >>: Giannini e Guareschi l'attendevano fuori dell'uscio.<<Tende a formarsi- scriveva Omodeo sulla sua Acropoli - una saldatura tra un'amara conclusione scettica dell'avventura fascista cd il discredito della vita politica ad arte diffuso dal fascismo» (63 ). Nelle prime pagine dell'Europeo la diagnosi torna, con tutta la sua amarezza. È l'addio ( 62 ) Ferruccio Tro~ani in Cronache, 25 maggio 1954. ( 63 ) L'Acropoli, anno I, n. 1, gennaio 1945. [21] \ i Biblioteca Gino Bia~co

dato ai tempi eroici, la « normale amministrazione » dei pensieri e dei sentimenti che si preannunzia: << L,a guerra che gli italiani hanno combattuto apertamente dopo 1'8 settembre deve essere considerata come guerra civile, cui, per alcune coincidenze, s'incrociò un'altra guerra, più vasta, dj interessi più estesi, legata alla storia del mondo, ma purtroppo per alcuni versi estranea a quella combattuta internamente dal popolo italiano. Che ne pensa il cittadino comune? Se ne irrita, se ne annoia. La grande passione che lo condusse a parteggiare con rischio tra il '40 e il '45 svanisce; e quasi gli nasce nell'animo il desiderio di un padrone: la dittatura gli sembr,a avere la dote della semplicità. I fantasmi nobili e lusin,ghieri svaniscono: i fa·ntasmi del coraggio, dell'o11està,dell'onore, della giustizia>> (64 ). Tra i fascisti momentaneamente pavidi (ma per quanto ancora?), gli antifascisti generosamente illusi, e il grosso della ,borghesia soltanto molto confusa e molto curiosa, il primo Europ·eo rinverdì e riformò un genere giornalistico, raccolse intorn·o a sè i maggiori nomi nel campo della stampa , e della letteratura, mandò inviati all'estero, si interessò Pi fatti piccoli e grandi della vita italiana, divise e graduò i suoi interessi tra la politica, la cronaca ed il costume in modo da poter entrare ~ ogni f,amiglia. Specie per quanto si riferisce alla trasmissione di notizie e corrispondenze, soprattutto dall'estero, il settimanale si trovò, nei primi tempi, a dover superare gravissimi osta-coli: le telescriventi erano ferme, telefonare era spesso difficile, la posta internazionale funzionava senza regolarità. Ancora nel novembre . del '46, quando Gorresio si recò a Belgrado, per conto dell'Europeo, per fare un servizio intorno alla famosa visita di Togliatti a Tito, i metodi di trasmissione erano rudimentali, e l'articolo arrivò a Milano, per posta, con molto ritardo sull'avvenimento. Tuttavia, a dieci giorni circa dal ritorno del leader comunista in Italia, L'Europeo giunse primo, tra i giornali del1' epoca, nel fornire una corrispondenza circostanziata sui risultati del viaggio. I quotidani non ne avevano fatto ancora che qualche svago cenno! L'Europeo non er~ una settimanale come siamo abituati a vederne oggi; con il suo grande formato, le sue colonne sottili, i suoi lunghi articoli di fondo, le sue ricche fotocronache in ultima pagina, era il settimanale di un'epoca in cui i quotidiani uscivano in formato ridotto, ed in cui c'era ancora tutta una realtà, contr,addittoria e dolente, da documentare più e ( 64 ) Da un editoriale a firma Arrigo Benedetti, nel nu·mero dell'l 1 novem·bre '45. [22] Biblioteca Gino Bianco

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