Nord e Sud - anno IV - n. 26 - gennaio 1957

\ ' I I Rivista mensile diretta da Francesco Compagna . \.! .,I ) , I. J : ANNO IV- * NUMERO 26 * GENNAIO 1957 ,, V' • • 1ibioteca·Gino Bianco - I -. ,. ., ;; j I l . I I

Nella Lexikon Elettrica l'intero com• plesso scrivente, il ritorno, l'interlinea, il dispositivo maiuscolo - minuscolo, sono comandati elettricamente. Il maggior numero di copie, che la battuta elettrica rende costantemente uniformi, e le velocità molto più elevate che si possono normalmente ottenere, assicurano un rendimento di gran lunga superiore a quello delle macchine manuali. Prezzo per contanti: L. 225.000 Bibloteca Gino Bianco Si scrive componendo su un ·quadro di comandi

• Rivista mensile diretta da Francesco Compagna I Bibloteca Gino Bianco

' SOMMARIO Nello Ajello Paolo Ungari Editoriale [ 3] Decadenza del quotidiano [7] Ri,forma universitaria e democrazia i11dustriale [32] DISCUSSIONI Lezzi Paresce Passalacqua Mezzo giorno e unità socialista [ 48] N.d.R. Ornella Rrancisci Osti Salvatore Onufrio Salvatore Cambosu t Elena Craveri Croce Roberto Pane Aldo Greco Alberto Acquarone Arturo Andrei Una copia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti 1 Italia annuale L. 3.300 semestrale L. I. 700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Nord • Sud e Nuova Antologia Italia annuale L. 5.500 Estero » L. 7.500 Effettuare i versamenti 1111 C.C.P. n. 3/34552 intestato a Arnoldo Mondadori Eclitore • Milano GIORNAT,E A PIÙ VOCI Rilancio frontista [59] Il paesaggi~e le cose belle [ 64] Crisi regionale siciliana: 2° tempo [ 67] La <<polpa>d>ella Sardegna [ 73 ] Un investimento a fondo perduto [75] DOCUMENTIE INCHIESTE Città d'arte e paesaggio [80] Il movimento cooperativo tra gli assegnatari in Puglia, Lucania e Molise [93] · LETTERE AL DIRETTORE [102] CRONACALIBRARIA Storia contemporanea [ 106] Diritto [116] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 SEDE ROMANA: Via Mario dei Fiori, 93 - Telefono 687.771 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via B'ianca di Savoia, 20 Tel. 35.12. 71 Bibloteca Gino Bianco

Editoriale Tutti i democratici italiani avevano sperato che il « discorso di Castiglioncello >> di Fanfani sarebbe stato presto dimenticato come lo fu il « discorso del Ca1npidoglio » di Pella; e tutti i democratici italiani hanno pro- • vato la medesima, amara delusione. E ci si è ormai abituati alle periodiche dichiarazioni di ambienti autorevoli del partito di maggioranza relativa, di portavoce della segreteria della Democrazia Cristiana, sui maggiori problemi italiani e sulla condotta della politica estera del paese, di·ssonanti e contraddittorie rispetto alle dichiarazioni e ai concreti atti del Governo,. Si è andati fino a sfiorare la cri.si; si è inventata perfino una nuova teori·a, irz nome della quale gli iscritti e i dirigenti del partito possono avere certe idee sulla politica estera i·taliana, e gli eletti del partito o gli eletti degli eletti possono avere idee del tutto diverse sulla politica estera italiana. Si è visto Il Popolo gioire per certe dichiarazioni del Segretario di Stato aniericano all'ultimo Consiglio Atlantico, dichiarazioni che tutti i circoli responsabili italiani ed europei hanno concordemente trovato preoccupanti. Cosa accade, dunque? Accade una cosa gravissi·ma: per la prima volta nella storia ita/,iana di questi ultimi dodici anni il partito democristiano si trova diviso sui temi fondamentali della politica estera; per la -prima volta la segreteria generai.e del partito rompe con la tradizione di politica estera della Repubblica italiana, con la tradizione di Sforza e di De Gasperi, atlantica ed europeisti.ca; con quella tradizione che, al di là di tutte le frammentazion/, univa i democratici contro il totalitarismo comunista e contro il nazional-f ascismo ,/ella destra. Da molto tempo avevamo avvertito che un mutamento era i1z aria; già qua/,che mese fa scrivemmo clie le nuove idee che si udivano [3] Bibloteca Gino Bianco

tiegli ambienti del partito di maggioranza relativa, i progetti di nuovi allineamenti, non lasciavano presagire niente di buono. Disgraziatamente 1ion ci eravamo ingannati: abbiamo potuto sperimentare le nuove idee e i nuovi progetti in occasione della più grave criJi internazionale dopo . la guerra di Corea. E mentre il Ministro degli Esteri italiano propone a Parigi un consolidamento· dell'alleanza atlantica su/, piano politico, alle 11egazionidi Dulles fanno eco· da Roma gli articoli di fondo dell'organo uffic1:aledemocristiano. Si dice che occorre una revisione della nostra politica estera e si lascia intendere quali dovrebbero essere le modalità di una tale revisione: allineamento solo sulla politica americana, tiepidezza europeista, ,listacco dalla politica anglo-francese, presenza italiana nel Medio Oriente. E si ricorda a conferma che i « colonialisti tradizionali » ( proprio così, proprio come nella mozione conclusiva del congresso del P.C.I.) sono ormai tramontati, e che è necessario adattarsi ai tempi nuovi. E si sente proprio parlare in termini di realpolitik, e dire che ormai gli inglesi devono cedere il posto agli americani nel Medio Oriente, dal momento che sono odiati dalle popolazioni arabe; mentre i loro eventua/,i successori sarebbero invece amati, anzi prediletti, ad onta del colore della loro pelle! Ora, per quanto si rifletta su tutti i dati della situazione, una solo spiegazione (si badi bene: diciamo spiegazione e non giustificazione) viene in mente. Che si parli cz·oèdi politica estera e si pensi invece alla politica interna, che un abile regista stia preparando una grande operazione di politica interna. Rovesciare il governo Segni, anticipare le elezioni presentando al paese un governo monocolore ed un partito democrzjstiano·che chiede la maggioranza assoluta. E tentare di ottenere tale maggioranza tion solo facendo leva sul sentimento diffuso secondo il quale la D.C. sarebbe il solo partito adatto a far diga al comunismo e ad assumere totali responsabilità nella direzione della cosa pubblica, e non solo prendendo di contropiede il P.S.I. mentre esso è in una posizione di faticosa elabora-- zione di u1ia nuova piattaforma politica. Ma anche respingendo inesorabilmente da sè i partiti di democrazia laica, tutti partiti di democrazia laica, col porre tra essi e il partito cattolico il vallo insormontabile della politica estera; e insieme tentando di raccogliere i delusi del P.C.I. che fossero ancora sotto la pressione psicologica comunista per i temi di politica estera, e che aderirebbero perciò più facilmente ad una Democrazia Cristiana che apparisse <<rinnovata»proprio su questi temi. Così - nelle intenzioni [4] Bibloteca Gino Bianco

dei circoli responsabili della D.C. - si fiaccherebbe definitivamente la destra, si indebolirebbe il partito comunista, si isolerebbero i socialisti ormai troppo avanzati per tornare a posi.zioni di· fronte popolare, e soprattutto si respingerebbero i laici, ancora rigorosamente europeisti ed atlantici. lA tiepidezza sull'europeismo e sull'atlantismo servirebbe ad attirare i voti da sinistra; la velleitaria iniziativa nel Medio Orie11tevarrebbe a lusingare i nazionalisti sempre pronti ad ogni ralliement; e finalmente il tema dell'amicizia americana d'abord contribuirebbe a tranquillizzare quei moderati, che fossero eventualmente preoccupati· per la pericolosità dell'avvetitura. Non v'è bisogno di molta fantasia per prevedere i risultati di una siffatta politica: la posizione internazionale del nostro paese decadrebbe automaticamente al livello di quella della Spagna, e di una Spagna senza il Marocco spag1iuolo, senza cioè l'ombra di una illusione di poter fare una politica nel Nord-Africa! L'Italia si· separerebbe dalfEuropa, dall1Europa civile, di cui fa parte moralmente, culturalmente, politicamente e geograficamente; farebbe una politica sostanzialmente anti-britannica nel "A1edio-Oriente, · come ai tempi di Mussolini, senza guadagnare nulla (sarebbe bene che i segretari dei partiti· democristiani facessero viaggi in Libia invece che negli Stati Uniti, prima di pensare a queste cose)/"nel- /' appiccicare alla propria politica estera l'etichetta dell'amicizia americana {:;tungerebbeinesorabilmente in ritardo sull'Inghilterra, la Francia, la Germania, l'Olanda, il Belgio, l'India, la Birma1iia, il Gi·appone, l'Indocina del Sud, la Corea del Sud, in ritardo, insomma, su tutti quei paesi che la congiuntura politica o la forza effetti.va rende pi·ù importanti. Forse precederebbe di un'incollatura la repubblica di· San Salvador: ma anche questo potrebbe sembrar discutibile ad un amiericanoimbevuto della dottrina di Mo1iroe, e sollecito a svilupparla coerentemente. Considerato sul piano della politica i·nterna, il disegno che si è accentiato innanzi porterebbe il Paese ad una 11,onminore rovi"na.Perchè se la <, ragione di partito>>deve spingere logicamente ogni formazione politica a cercare la maggioranza assoluta dei suffragi liberamente espressi, v'è un punto in cui u1i partito che si· ispira ad una ideologia deniocratica deve guardare più lontano del calcolo immediato. Noi crediamo che in Italia ' si sia proprio a quel punto: poichè è interesse di tutti che il Paese abbia un'evoluzione simile ai più avanzati paesi d'Europa, che la società politica [S] BiblotecaGino Bianco

.... italiana, che la lotta politica italia1ia si evolvano come le più avanzate d'Europa. Tutti i democratici italiani s'accordano su ciò e s'accordano sull'opinione che ogni atto mirante a rendere più difficile tale faticosa evoluzione è un danno per le istituzioni democratiche, è ttna perdita per it Paese. ltitanto quel che è accaduto, è accaduto: e noi pensiamo che sia una cosa di eccezionale gravità. I lettori di questa Rivista sanno che non è nel nostro temperamento gridare al fuoco prima che il fuoco vi sia; adesso, però, l'incendio è scoppiato. Ed è giunto il momento di uscire da/, iioco stanco e avvilito delle mezze parole, delle allusioni~,delle teorie sulle diverse posizioni dei partiti e dei governi. Ora ciascuno deve dire esattamente quello che pensa, e il partito democristiano deve definire esattamente la sua piattaforma di polz"ticaestera. Politica di solidarietà europea, di costruzione' europea come rafforzamento della solidarietà e del blocco occidentale, hanno detto con linguaggio rigoroso e pertinente i radicali: se questo è lo spartiacque pei socialisti, lo è ormai anche pei democrfstiani. La libertà e la tradizione laica si difendo no da quella posizione. [6] BiblotecaGino Bianco

LA STAMPA ITALIANA NEL DOPOGUERRA Decadenza del quotidiano di Nello Ajello Tutte le indagini che sono state rivolte in questi ultimi anni alla stampa italiana sono approdate ad una conclusione che non può non essere condivisa, e che va anzi valutata nei suoi motivi e nelle sue conseguenze, le quali sono, a ben riflettere, largamente e profondamente negative per la vita civile del .nostro Paese: la decadenz,a del <<quotidiano ». La grossa rivoluzione che si è operata nel settore giornalistico dopo il ritorno della libertà politica ha riguardato in maniera più sensibile e duratura la stamp2 settima11ale, nelle sue varie specificazioni e nelle sue forme culturalmente più accessibili (da quella di attualità a quella umoristica, dalla infantile ~Ila femminile, dalla sportiva a quella di <<selezio11e >>); la quale è balzata innanzi allo sguardo del sociologo e dell'indagatore di costume contemporaneo come fenomeno di vasto interesse, capace di acquistare alla lettura un mercato sempre più avido, imponente, differenziato. Vari elementi hanno concorso allo sviluppo così veloce e ramificat3 di questa stampa, per così dire, ricreativa, la quale, peraltro, in alcune sue forme più evolute, accoppia all'intento edonistico quello di un particolare tipo d'informazione, al <<piacere» il <<servizio». Primo fra tutti, il fatto che essa nasceva quasi ex abrupto senz,a dover sopportare il peso e l'influsso di malintese tradizioni <<umanistiche », ma seguiva le leggi del mercato con la libertà più spregiudicata, foggiando su di esse il suo tono, il suo · contenuto, la propria colorazione politica (quando ne avesse una), pronta magari a mutarla a seconda delle supposte preferenze del pubblico, ma sempre facile, à la page, incurante di sovrastrutture e di << antenati illustri», [7] Bibloteca Gino Bianco

legger.a fino allo sèandalis1no e all'erotismo. Non saremo certamente noi a sottovalutare l'i11flusso (senza dt1bbio deleterio) che il rotocalco di attualità, ad esempio, ha esercitato, nelle sue espressioni più spregiudicatamente affaristiche e più apertamente reazionarie (pensiamo ad Oggi o, in un settore un po' diverso, ,a Candido), su certa opinione borghese italiana; non può andar tuttavia taciuto l'apporto positivo recato da tanti altri esemplari dello stesso «genere>> (sul filone inaugurato dall'Europeo), su di un piano che è prevalentemente ma non esclusivamente tecnico, e può riguardare in p,ari tempo l'apparenza e la sostanza, il gusto esteriore e la forma mentis · dei lettori, molto al di là e al di sopra delle tesi politiche volta a volta . incarnate. L'utilizzazione, promossa ed attuata da questa stampa (in larga misura su modelli str,anieri), di criteri più vistosi ed efficaci nella compilazione e nell'impaginazione è andata, insomma, di pari passo con l'educazione aj <<fatti>>c,on l'abitudine - talvolta genuina, spesso interessata, ma sempre, di riflesso, stimolante - all' « oportet ut SCiandalaeveniant », con lo sveltimento dello stile espositivo mediante la conquista, nella cronaca, di una / secchezza e icasticità priva di fronzoli e di suggestioni pseudoletterarie, con l'intonazione modernamente mondana ed esterofila (si pensi a ' L'Espresso), industrialmente cosmopolita (si pensi ad Epoca), con una gamma di interessi che può giungere a volte fino alle espressioni culturali più rigorose ed aggiornate (si pensi al Mondo), con l'introduzione - al limite opposto - di una cultura « di massa», mediante metodi intelligenti / ed effic,acidi divulgazione della storia e della scienza, importati dagli Stati Uniti: con la necessaria e salutare dimostrazione, insomma, che la stampa non è sempre un settore cristallizzato, un vecchio e logoro Parnaso cintato appartenente ab aeterno a certi gruppi costituiti ed insostituibili, ina può essere anche un campo da studiare ed aggredire da parte di un evoluto capitalismo industriale, mediante l'utilizzazione di tecniche nuove, il sondaggio delle prefere11ze del pubblico, l'addestrame11to di nuovi quadri. E non si ha qui certo il gusto di abba11donarsi a sconsiderati panegirici, specie in un settore così discusso, nè la pretesa di avere affrontato, con queste sbrigative osservazioni e con la citazione di qualche testata, il fenomeno della moderna stampa settimanale in Italia, i mille problemi [8] Bibloteca Gino Bianco

posti d1alla sua presenza e vitalità nella società italiana ( 1 ). Si vuole solo far notare che se qualcosa di positivo vi è (e non è dubbio vi sia) nella moderna concezione della stampa come un prodotto commerciale che segue le leggi della domanda e dell'offerta, e sottostà al rigore della concorrenza, e tenta di affermarsi sul merCiato per le sue doti di qualità, questo qualcosa ha potuto essere realizzato ed offerto al pubblico, nell'ultimo dopoguerra, quasi esclusivamente dal settimanale popolare, e - nel settore più vicino alla stampa d'informazione - dal rotocalco di attualità. Quale è stato, invece, in tale periodo, lo sviluppo della stampa quotidiana, che in tutti i Paesi più progrediti rappresenta il tessuto connettivo clell'informazione moderna, la voce di gran lunga primaria del consumo 11azionale della carta stampata? In qual modo il quotidiano è riuscito ad adeguarsi al moto di svecchiamento impresso a tutti gli aspetti della nostra vita politica e culturale (fino alle sue espressioni più «quotidiane» e modeste) dalla democrazia? Come esso ha utilizzato gli esempi stranieri, di Paesi I ( 1 ) Alla fine del '55, una riservatissjma << segnalazione », elaborata dall'lJflicio Studi di una grossa azienda settentrionale, faceva ascendere la tiratura complessiva dei periodici in rotocalco esistenti in Italia ad oltre 20 milioni di copie settimanali. Questa cifra può sembrare a prima vista esagerata (a noi non lo sembra); non si può, tuttavia, prestare interamente fede ai dati D·OXA (raccolti nel volume di P. Luzzatto Fegiz, Il volto sconosciuto dell'Italia, Milano, 1956, pp. 811 segg.), riferiti a un sondaggio operato nel 1950: essi appaiono oggi quanto meno bisognosi di molti ritocchi. Secondo quel sondaggio, il numero dei lettori << regolari >> di periodici sarebbe asceso a 10-12 milioni, e quello degli << irregolari » o occasionali a 7-8 milioni. Calcolando una media di 4 lettori per ogni periodico acquistato - la stessa media su cui ci si basa di solito per i quotidiani - la vendita reale si ridurrebbe a cifre che ci sembrano troppo esigue anche per l'epoca in cui fu operato il rilievo in parola. Va comunque rilevato, al proposito, che dal '50 ad oggi, il settore di periodici in rotocalco ha fatto registrare incrementi notevolissimi di tirature, dovuti anche al numero di testate nuove, sorte in tutte le <<specialità »: dal rotocalco di attualità al fotoromanzo - che nel '50 era alla sua prima comparsa, mentre oggi vanta una tiratura di alcuni .milioni di copie settimanali - ai settimanali cinematografici, sportivi, di attualità femminile, di selezione, ecc. D'altra parte, il considerare, nel complesso dei lettori, soltanto gli <<adulti» - dai 18 anni in su -, come fa il Luzzatto Fegiz, taglia fuori dall'indagine tutto il pubblico rappresentato dagli aficionados del fumetto infantile e del giornalino tradizionale per l'infanzia, le cui tirature globali ascendono anch'esse ad alcuni milioni di copie settimanali. (9] Bibloteca Gino Bianco

ove esiste una stampa quotidiana ricca di articolazioni e differenziazioni, capace di esaurire una vastissima gamma di interessi, che vanno dall'intellettuale all'uomo della strada ? * * * Secondo la <<segnalazione » di cui si parla più sù in nota, il consumo 11azionale di carta da giornali è quasi raddoppiato dall'anteguerra ad oggi (dai kg. 1,8 per individuo del 1938 ai 3,1 del 1954), pur restando tuttora tra i più bassi nella graduatoria dei Paesi civili (2). I quotidiani italiani, che sono circa un centinaio, hanno una tiratur.a complessiva di soli 5-6 milioni di copie al giorno, corrispondente su per giù al 2% dell'intera tiratura mondiale. Considerando le <<rese >>,la vendita dei quotidiani è pari ad una sola copia settimanale per ciascun abitante. E se si pone mente al fatto che il quotidiano rappresenta molto frequentemente un acquisto « familiare» (è letto cioè da più persone), si potrà far coincidere, se pur con approssimazione, quest'ultimo dato con quello, d'altra fonte, che alcuni anni or sono faceva ascendere in Italia il numero dei lettori <<regolari>>- ogni giorno o quasi - di quotidiani a circa ]5 milioni (pari alla metà della popolazione adulta), oltre agli <<irregolari» ed <<occasionali>>- da due a cinque volte la settimana - che ascenderebbero a 7-8 milioni, pari ad ¼ della popolazione adulta. I « non lettori>> sarebbero i restanti 7-8 milioni, cioè equivarrebbero approssimativamente ad un altro quarto dei cittadini italiani da 18 anni in sù. Tra le donne ,adulte, l'incidenza delle <<non lettrici >>sarebbe del 33%, quella delle lettrici irregolari od occasionali (soltanto una o due volte la settimana) del 27%, mentre il restante 400/4 sarebbe rappresentato dalle lettrici <<regolari>>(3 ). ( 2 ) Nella << Relazione sull'attività dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta nell'anno 1955 » viene indicato, per tale anno, il consumo della carta per giornali - quotidiani e periodici - in q.li 1.838.980; di tale cifra il 55% spetta ai quotidiani ed il 45% ai periodici. La cifra denota un aumento del consumo di carta da giornali, rispetto al 1954, del 16,4%. A tale aumento percentuale concorrono i quotidiani nella 1nisura del 13,9% ed i periodici nella misura del 19,7%. ( 3 ) Questi ultimi dati sono contenuti nel volume citato del Luzzatto Fegiz, pp. 800 segg. Va rilevato che essi risalgono al 1950, e vanno parzialmente modificati in senso più ottimistico, in quanto da quella data ad oggi - a parte l'aumento, non molto rilevante, della popolazione adulta - si è potuto notare, secondo alcuni, nella tiratura complessiva dei quotidiani italiani, un incremento del 20% (con relativo [10] Bibloteca Gino Bianco

Tale povertà del mercato giornalistico nazionale, per quanto riguarda i quotidiani, trova le sue cause primarie in una serie di condizioni ambientali che non posso110evidentemente venire esaminate in questa sede (analfabetismo e semianalfabetismo, basso reddito individuale, ecc.), ma ad esse se ne connettono delle altre non meno significative, che contribuiscono a loro volta a stornare i ceti, che man mano vengono conquistati alla lettura, dalla stampa quotidiana verso pubblicazioni di altro tipo, più vivaci, accessibili, «visive>>. Il quotidiano è divenuto nella stragrande maggioranza dei casi un cattivo affare per il suo proprietario, dato che il suo prezzo <<politico» (25 lire fino alla metà del 1956 ed oggi 30 lire) è, per lo più, pari o al disotto del costo di produzione; ciò estra11ea il giornale aumento dei lettori, ed in proporzione maggiore, dato il rapporto plurimo esistente tra lettori e copie acquistate). Tutto fa credere, inoltre, che si sia verificata anche una diminuzione del numero dei lettori abituali di due o più quotidiani, dovuta alla scomparsa di molti fogli di partito (i quali rappresentano di solito una lettura complementare, <<politica>>,rispetto all'organo tradizionale d'informazione: si pensi agli operai lombardi che comprano il Corriere della Sera e l'Avanti! o l'Unità) sommersi dalla concorrenza, sempre meno sostenibile, dei quotidiani <<indipendenti». È ragionevole ritenere, tuttavia, che si tratti di modificazioni di relativa entità, dato che l'allargamento del mercato dei quotidiani si presenta lento ed oscillante, e che gli asseriti aumenti di tiratura vanno accolti sempre col beneficio dell'inventario. Una << inchiesta sulla stampa italiana», comparsa di recente a puntate sul settimanale comunista Vie Nuove (ottobre 1956), faceva peraltro ascendere i lettori di quotidiani in Italia - senza far distinzioni tra i << regolari » e gli <<irregolari » - a circa 23 milioni. Questo dato non si discosta, in sostanza, dalle cifre DOXA, e, considerata una media di 4 lettori per ciascun giornale acquistato, non è molto discorde neanche dalla <<segnalazione » che indicava in 5-6 milioni di copie al giorno la tiratura complessiva dei quotidiani in Italia. Potrà essere interessante confrontare i dati DOXA sulle percentuali di lettori e non-lettori in Italia con quelli sulla situazione della stampa quotidiana in altri Paesi europei, contenuti nel recente volume di Jaques Kaiser, Mort d'une liberté (Paris, Plon, 1956). In Francia il 64% dei cittadini adulti legge un quotidiano, il 16% due quotidiani, il 5% tre quotidiani, 1'11% nessun quotidiano. In Belgio, il 34% dei lettori acquista più di un quotidiano; e, di questo 34%, più della metà acquista e legge giornali di opinioni differenti. In Inghilterra, il 13% della popolazione adulta non legge alcun quotidiano nel corso della settimana, ma la domenica tale percentuale scende all'8 %. In Danimarca, il 69% della popolazione adulta legge un quotidiano, il 20,4% ne legge due, soltanto il 5,1 o/ 0 non ne legge alcuno; il resto è costituito da lettori irregolari o occasionali. [11] Bibloteca Gino Bianco

dalle leggi del mercato, lo sottrae allo stimolo della concorrenza, e contribuisce, in definitiva, a conferirgli un carattere «strumentale>>, che evade cioè gli intenti dell'informazione per invadere il settore della « propaganda». Il costo complessivo di produzione di ciascuna copi~ giunta al consumatore - tra carta, stampa, reperimento delle notizie, spese di redazione, di collaborazioni, di corrispondenze, provvigioni al distributore e al rivenditore, strillonaggio, onere relativo alle rese, incidenza delle imposte, ecc. - può venir calcolato con una certa esattezza ad una media di 25-28 lire, e può molto spesso eguagliare o superare il prezzo di vendita·. Il maggior numero dei quotidiani italiani è costituito da aziende medie, piccole o piccolissime: è evidente che, col diminuire della tir,atura, i prezzi di produzione salgono, per cui i quotidiani meno diffusi e più poveri di pubblicità - e ve ne sono diecine e diecine, anche di dignitosa fattura - lamentano deficit rilevantissimi. Si calcola che in Italia un quotidiano lavori in attivo quando la sua tiratura superi le 100 mila copie e la vendita raggiunga almeno le 100 mila copie, sempre nel caso che esso possa contare su un gettito pubblicitario adeguatamente alto. Nelle attuali condizioni di mercato, le testate che possano contare su un volume di vendite pari o superiore a tale limite sono su ,per giù una dozzina. Secondo la solita « segnalazione », ve ne sarebbero quattro a Milano: Il Corriere della Sera (che venderebbe in media 400-450 mila copie al giorno), Il Corriere d'lnformazioni (180-200 mila), l'Unità, calcolando tutte le sue cinque edizioni (500 mila), e La Notte (90-100 mila), oltre alla Gazzetta dello Sport, che è il più diffuso tra i quotidiani sportivi (230-250 1nila); a Torino La Stampa (230-250 mila), a Roma Il Tempo (120-130 mila) e il Messaggero (140-150 mila); a Bologna Il Resto del Carlino (120-130.000), a Firenze La Nazione (90-110 mila), a Venezia Il Gazzettino (120-130 mila), a Bari La Gazzetta del Mezzogiorno (90-100 mila). In questo elenco figura, come si vede, un solo capoluogo di provincia.-del Mezzogiorno, Bari, dove La Gazzetta, di proprietà del Banco di Napoli, gode di una situazione di monopolio cittadino, esteso a tutta la Puglia e parte della Basilicata e alla Calabria settentrionale; ne sono esclusi invece i quotidiani di un grande centro come Napoli, che pure ha due testate antiche e rinomate come Il Mattino ( che, per quanto la « segnalazione» gli assegni ottimisticamente una vendita di 70 mila copie quotidiane, rappresenta una notevole [12] Bibloteca Gino Bianco

voce passiva nel bilancio del Banco di Napoli), ed il Roma che, con le sue 80--90mila copie di vendita - cifra ancor più ottimistica! - si allinea tra i dispendiosi investimenti propagandistici dell'attuale Sindaco di Napoli, che ne è il proprietario (4). Ma anche altri giornali tradizionali, che hanno in altre epoche contato qualcosa nell'opinione pubblica italiana, sono inc.agliati da anni nelle secche di rilevanti deficit: si pensi al quotidiano romano della sera Il Giornale d'Italia, la cui tiratura si è ridotta ormai a poche diecine di migliaia di copie, a tutto vantaggio del concorrente para-comunista Il Paese Sera, che è un giornale tecnicamente più moderno. Il caso del Giornale d'Italia - che è l'esemplare più squallido ed arcaico della stampa italiana, in arretrato di almeno trent'anni sotto il rispetto della tecnica editoriale, della tempestività d'informazione, della qualità del commento politico - ci addita altre considerazioni connesse alla singolare contingenza economica in cui versa il quotidiano in Italia. La q1.1pstiotale scomparsa dell'imprenditore privato (per il quale ogni iniziativa ha per obbiettivo il guadagno) e il progressivo accentramento della stampa nelle mani di grossi complessi industriali o bancari, capaci di coprirne il passivo, è il portato più coerente di tale sit11iazioneI.n quanto per lo più deficitario, il giornale ha cessato, insomma, di essere un investimento economico, per diventare: un investimento «ideologico>> in molti casi addirittura un dono << interessato>>che vien fatto di buon mattino a ciascun ( 4 ) Tutte le altre indagini apparse sull'argomento assegnano alla maggior parte dei quotidiani qui citati delle cifre di tiratura e diffusione alquanto inferiori. In una sua inchiesta sui giornali di Roma (16 luglio 1954), Il Borghese dava al Messaggero 100 mila copie di tiratura (e lo poneva tra i quotidiani << attivi grazie agli annunci economici »), al Tempo 85 mila copie, e lo definiva << passivo ». La citata indagine comparsa su Vie Nuove dava, dal suo canto, 300 mila copie al Corriere, 200 mila alla Stampa, 100 mila al Messaggero e 80 mila al Tempo. Un accurato ed arguto « rapporto » sulla stampa quotidiana, pubblicato dalla rivista bimestrale Occidente (numeri 3 e 4 del 1956), a firma << Cimone », dava al Mattino di Napoli 50 mila copie di tiratura, e molto meno ne attribuiva al Roma. Per Il G1:ornaled'lta/,ia tutte queste fonti sono d'accordo su una tiratura di 50 copie. Particolarmente tendenziose (oltre che bisognose di un « aggiornamento ») ci sembrano le cifre contenute nell' << Inchiesta sull'anticomunismo» della rivista comunista Rinascita (agosto-settembre 1954) dove, tra l'altro, si fa ascendere << al milione e talvolta al milione e mezzo» la tiratura domenicale de l' U ni.tà nelle sue due principali edizioni. ": [13] Bibloteca Gino Bianco

.... lettore. I casi di quotidiani che, per la loro tir,atura e soprattutto per il loro gettito pubblicitario, rappresentano dei grossi affari - pensiamo al Corriere.della Sera, alla Stampa e a pochi altri - non fanno legge, per la loro spor,adicità: è comunque evidente che i quotidiani più redditizi sono anche quelli capaci di stare, dal punto di vista tecnico, al livello della buona stampa degli altri Paesi d'Europa. Ma gli altri? La scarsa economicità del giornale re~a con sè un modesto livello qualitativo, contribuisce a determinare per gran parte della nostra stampa una evidente incapacità di assolvere la sua funzione; ma ciò non è ;iddebitabile esclusivamente ad una questione di costi. Specie nel settore dell'informazione (che è libera e fine a se stessa, o non è), il carattere « strumentale » del quotidiano determina nelle redazioni delle abitudini, cr~a dei timori reverenziali e dei << complessi» che vanno, nella loro incidenza negativa, . ·----- _, - . . ·- - . ·-----· - - --- - -- - molto al di là delle intenzioni dei << mandanti >>.La mentalità orwelliana di cancellare gli avvenimenti incomodi cresce su se stess,aanche al di sopra òegli interessi contingenti da cui è nutrita, si evolve in una complessiva carenza di moralità del mestiere, in un eccesso di servilismo propagandistico, al contatto col quale la notizia, nella sua illuminante laconicità, non può non diventare la vera parente povera del giornale, una sorta di neqiico da controllare e, all'occorrenza, neutralizzare: qu,ello di cui si fa abuso è il << commento >>,nelle cui maglie il fatto è avvolto e nascosto. Il disinteresse per la notizia in sè, come fondamento della conoscenza e dell'interpretazione dell'avvenimento, è car,atteristica precipua della stampa italiana. In una delle sue « schede della stampa italiana» pubblicate periodicamente su Comunità, Sam Càrcano esaminava tempo fa uno dei problemi più interessanti, e meno noti, della vita giornalistica di un Paese moderno: i « ca11alid'informazione>>. « L'agenzia - scriveva Càrcano - è da noi una sorgente, più che di notizie, di commenti, che acquistano valore in quanto siano pubblicamente risapute le ispirazioni alle qu,ali l'agenzia stessa è soggetta. Giornale d'informazione è, da noi, il sabotaggio giorna# listico da parte di precisi interessi che non esitano ad assumere una chiara fisionomia non soltanto quando gli interessi in questione versano in particolare pericolo, ma addirittura in occasione di cerimonie e manifestazioni ufficiali. Così si arriv1a al caso di quel comitato di imprenditori e finanzieri per lo sviluppo del Mezzogiorno, la cui riunione a Palermo ha [14] Bibloteca Gino Bianco

indotto i singoli giornali a pubblicare ciascuno la foto del rispettivo capoimpresa ... » (5 ). L'arrivo della notizia già impacchettata nel suo commento da parte di questa o quella agenzia ufficiosa (6 ) esime sovente da più imparziali - e d'altronde costose - indagini. La situazione non migliora nel settore internazionale. L'United Press, che insieme all'Associated Press fornisce alla nostra stampa gran parte delle notizie estere, rinunciò temporaneamente, or è circa un anno, alla distribuzione dei propri servizi all'Italia, perchè i nostri quotidiani non intendevano ricompensarla in maniera ragionevole. In Italia è invalsa, infatti, la convinzione che l'acquisto delle notizie non debba gravare che in misura minima sul bilancio di un quotidiano. « Risulta che un quotidiano che oggi p,aghiamo venticinque lire - concludeva allora Càrcano su Comunità - si potrebbe vendere a ventidue lire o a ventitre, se invece .che di notizie, fosse tutto stampato in lettere x ». Un così organizzato e capillare <<sabotaggio» dell'informazione ha trovato ~l suo servizio dei quadri già bell'e pronti, addestrati da vent'anni di dittatura. Le <<veline» governative del regime (quelle di cui Francesco Flora curò anni or sono una sorprendente raccolta) hanno creato una scuola di cronisti <<moderati» ed <<accorti», dei quali la stampa it,aliana continua a servirsi con ·immutata fiducia. Spesso - come dicevamo - l'abitudine induce a spiare in precedenza i rabuffi della proprietà, o a ~ollecitarne, con non richiesta solerzia, gli elogi. È il caso di ripetere il motto di Mirabeau col quale Jacques Kaiser conclude quella appassionata e minuziosa indagine sull'informazione giornalistica che è la sua Mort d'une liberté: << Les esclavesvolontaires font plus de tyrans que les tyrans ne font d'esclavesf orcés ». ( 5 ) Comunità, novembre 1955. ( 6 ) Le agenzie ufficiose sono alcune diecine. Quelle più frequentemente citate o << utilizzate » nei pastoni sono la Dies, portavoce di Pella,: l' A .R.I., portavoce di piazza del Gesù, la Kosmos di Togni, L'eco di Roma e la SIT vicine a Tambroni, la SIB di Scelba, l'API degli ex gronchiani, i'APE di Andreotti, l'Agenzia continentale, diretta dai Comitati civici, i'ADE di Pacciardi, la Roma del P.S.D.I.; l'Italia, uficiosa del Ministero degli Esteri; la Cronos, dei comunisti; la SPE, della sinistra social-democratica; I'lnterpress, ecc. . [15] Bibloteca Gino Bianco

* * * Il dramma dell'impresa media o piccola è, in campo giornalistico, il più insanabile (7 ), e diventa tanto più evidente quanto più si scende dal Nord al Sud, quando cioè si va verso le zone percentualmente più povere di lettori. I pochi giornali in attivo o in pareggio sono qu,asi tutti al Nord e al Centro; le <<catene>>accentrano attorno alle grosse industrie settentrionali tutti i quotidiani suscettibili di trovare - per ragioni di autorevolezza tradizionale o di monopolio locale - un loro mercato, ed ;issorbono la maggiore e miglior parte della pubblicità. L'apporto pubblicitario - che è quello che rende tali i 4/5 dei quotidiani attivi che esistono in Italia - è un cespite d'entrata che tende a migliorare le sorti dei giornali che hanno già in partenza una buona o discreta diffusiòne, se non un <<raggio naziozionale >>,mentre diserta le testate povere di lettori. Alcune cifre ci sembrano indicative al proposito (sebbene non si possa giur~re sulla loro esattezza): dei 60 miliardi che vengono annualmente spesi in pubblicità, circa 25 andrebbero alla stampa nel suo complesso. Il solo Corriere della Sera ne assorbirebbe 2, uno ne toccherebbe al Messaggero; 800 milioni alla Stampa, 550 al Tempo, 500 al Gazzettino di Venezia, 400 al Resto del ( 7 ) Le provvidenze statali a favore della stampa appaiono, per la verità, orientate sul criterio di assicurare le maggiori facilitazioni ai quotidiani di più modesta tiratura. Lo Stato corrisponde ai giornali una << integrazione » sul prezzo della carta. L'entità di tale integrazione - gestita dall'Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta - è in genere molto più rilevante per i quotidiani che per i periodici; e, nel campo dei quotidiani, è proporzionalmente più forte per quelli il cui fabbisogno di carta è minore. Nel 1955, quando il prezzo di mercato della carta per quotidiani andava - a seconda dei tipi - da 109 a 114 lire al kg., il contributo statale era di 30 lire per kg. per le assegnazioni fino a 220 quintali; per i contingenti di carta al di là di tale limite l'entità del contributo diminuiva man mano, fino ad un minimo di 3 lire per kg. (cfr. ·la << Relazione dell'E.N.C.C. per il 1955 », cit.). Con varie modifiche ed aggiustamenti, questo criterio è tuttora in vigore; anche se esso appare, in molti casi, insuffitiente, di per sè solo, ad assicurare una dignitosa sopravvivenza ai quotidiani più poveri di tiratura. Altre facilitazioni statali vengono elargite ai giornali sotto forma di forti ridu~ zioni delle tariffe postali, telefoniche, ecc. Una attenta riconsiderazione, da parte del Governo, di tutta la materia, è, comunque, sommamente auspicabile, specie in un settore, come quello in parola, in cui non sono in gioco valori esclusivamente mercantili, ma interessi che toccano da vicino la vita civile del Paese nel suo senso più lato. [16] Bibloteca Gino Bianco

Carlino, 350 alla Nazione (8 ). Le « catene di proprietà>> favoriscono l'accentramento della pubblicità, rendendo possibili contr,atti cumulativi per più giornali; ai discreti gettiti pubblicitari si accompagna in genere, nei giornali collegati in «catena», una diminuzione dei costi di produzione (in quanto essi hanno in comune con gli altri affiliati servizi, inviati, corrispondenti, resocontisti p,arlamentari, ecc.), e quindi una relativa dignità tecnica, se non politica. Le <<catene di proprietà» sono l'estrema espressione dell'accentramento capitalistico dell'informazione, sono nocive alla libertà di stampa, in quanto rappresentano il tentativo, riuscito, di soffocare economicamente ed <<uni-- formare>> politicamente la media impresa autonoma, da parteÌ (per usare un'immagine della terminologia marxistica) delle <<baronie industriali>> (9 ). ,Ma qual'è la situazione delle medie imprese - tra le quali abbondano le testate delle maggiori città del Sud - che, salvo qualche caso, non sono, o non sono .ancora, organizzate in grandi <<catene >> ?. Le grandi <<catene di proprietà>> del Nord hanno i loro ultimi anelli a Roma. Nel Mezzogiorno non c'è più il <<grande>>giornale. Il Mattino - cl1e all'epoca di Scarfoglio rappresentava l'interprete nazionale degli atteggiame!)ti politici . ~~ della piccola borghesia meridionale - sta quasi morendo per estenuazione, insidiato anche dalla crescente penetrazione, nella provincia del St1d, del ( 8 ) Vi·e Nuove, cit. ( 9 ) Le più importanti catene centro-settentrionali sono: la catena ItalcementiPesenti, che ha Il Corri·ere Lombardo e La Notte di Milano, oltre a forti azioni nel Gi·ornale d'ltalt·a a Roma; la catena Eridania (che ha molti interessi in comune con la precedente), la quale controlla Il Resto del Carlino a Bologna, La Nazione _aFirenze e Il Corriere della L,:guria a Genova; la catena FIAT che ha La Stanipa e La Stampasera a Torino e Il Tirreno a Livorno; la catena dei fratelli Perrone che ha Il Messaggero a Roma e Il Secolo XIX a Genova; la catena dell'On. Guglielmone, proprietaria, oltre che de La Gazzetta del Popolo di Torino, del settimanale illustrato romano La Settimana INCOM. Non propriamente legati in catena, ma controllati strettamente dalla Confindustria, sono i tre maggiori quotidiani economici italiani, Il Globo di Roma, Il Sole e 24 Ore di Milano. Nel Mezzogiorno esistono due catene di minor rilievo: quella che fa capo al Banco di Napoli ed alla D.C. (Matti.no, Corri'ere di· Napoli e Gazzetta del Mezzogi'orno di Bari), e quella personale dell'armatore Lauro, costituita dai" quotidiani napoletani Il Roma e N apoli--notte. Una piccola catena, di proprietà della D.C., !'AFFIDAVIT, associa due giornali centro-settentrionali, Il Popolo di Milano e Il Matt1:nodell'Italia centrale di Firenze, a due n1eridioriali, La Sicilia del Popolo di Palermo e Il Corriere del Giorno di Taranto. f17] Bibloteca Gino Bianco I

Tempo di Roma. La Ga.zzettadel Mezzogiorno non può aspirare, non ostante la sua buona diffusione, ad essere una voce << nazionale ». I giornali « meJj » di Napoli, di Palermo o di Catania vedono di giorno in giorno decadere la propria funzione e, in molti casi, decrescere la propria tiratura. << Alla coalizione, nel Nord, degli interessi rappresentati dai cartels e monopoli, o che trovano nella stampa la loro difesa, anche quando si tratta di giornali . dall'etichetta di 'indipendenti', si contrappongono nel Sud gruppi e interessi di portata individualistica) per quanto vasti, difesi da giornali ' personali', portavoce diretti di Tizio o Caio, molitore o agrario. qp,pure, vi s~no giornali di origine e finanziamento bancario, alimentati da danaro pubblico» (10 ); com'è il caso del Mattino, del Corrieredi Napoli e della Ga~- r zetta del Mezzogiorno, che fanno capo al Banco di Napoli. E1 con gli armatori, i molitori, gli agrari e le banche meridionali si sostituisce, al capitalismo evoluto, protezionistico e di << lunga vista>> dell'industria padanoc1salpina, un capitalismo più apertamente reazionario, gretto, artigiano, paesano. Quello che qui si dice dei giornali del Sud, vale anche, seppur in misura un po' minore, per la maggior_parte dei giornali << medi » (20--30mila copie) del Centro e del Nord. Il deficit diventa un compagno assiduo; i suoi riflessi sulla qualità del giornale «medio» sono diretti e lampanti. L'arretratezza tecnica di cui in genere soffre la nostra stampa tocca qui, nella mezza-provincia giornalistica del Sud, e nelle città minori del Nord e del Centro, le sue cime. La presenza o la minaccia del «passivo>> esorta la proprietà a contrarre le spese, a ridurre il numero dei corrispondenti, a servirsi di «.seconde mani », a far grande sp,accio di materiale di agenzia, a procrastinare questo o quel rammodernamento d'impianti, a mortificare il settore delle notizie internazionali, a rendere ipertrofica la cronaca locale (in quanto poco costosa), ad ostacolare l'ingresso - nelle asfittiche, . strapaesane, e tuttavia quasi sempre astruse « terze pagine» - di quei motivi di attualità, di divulgazione, di utile e spicciola << informazione » che mietono successo sui rotocalchi, da Epoca giù giù fino alla Domenica del Corriere e alla Tribuna Illustrata. I quotidiani «medi>> sono costretti per quest'ultimo rispetto, invece, a restare nel registro della più anchilosata I « varietà letteraria», perchè in Italia è ancor oggi molto più facile trovare chi accetti di «dettare», gratuitamente o quasi, per la « terza pagina» del gior- ~ ( 10 ) Occidente, cit. . . [18] Bibloteca Gino Bianco

nale cittadino, un << profilo » di Fogazzaro o un « incontro » con Eleonora Duse (su per giù gli stessi che potevano trovare posto cinquant'anni fa sul F'anfulla della Domenica, e che oggi trovano posto nella terza pagina del Mattino), anzichè qualcuno che, per lo stesso compenso, si sobbarchi a spiegare, con tutta la parsimonia stilistica che l'argomento richiede, come bisogna fare per andare a trascorrere le vacanze all'estero, quali difficoltà burocratiche s'incontrano nel prendere in moglie una straniera, o a chi bisogna rivolgersi per rintracciare una pratica sepolta da anni negli scaffali di un ministero (11 ). Della parte politic,a non mette conto parlare: tutti i fattori che limitano la libertà del quotidiano in Italia trovano qui una loro espressione aggravata, più aperta e sbrigativa. Negli ambienti di questi stessi giornali che pagano tremila lire per un articolo (che nessuno leggerà mai) di terza pagina, si sente parlare di stipendi insolitamente alti percepiti dai direttori. L'appannaggio munifico è in relazione alla <<sicurezza» del giornalista. Agli esclaves volontaires non si ha bisogno di consigliare prudenza o di comunicare a volta a volta delle direttive: l'averli scelti, e il trattarli bene, basta a garantire la proprietà da qualunque sorpresa. Se qualche inquietudine li punge, si tratta di inquietudini di marca <<nostalgica>>,di quelle che, per un minimo di decenza, non possono trovare sfogo neppure in un quotidiano « ufficioso» o confindustriale: ma trovano facilmente ospitalità altrove. È il caso, per fare un esempio, delle articolesse stile liberty di Giovanni Ansaldo, che fanno la spola tra Il Mattino e Il Borghese. Da quella che chiamavamo <<mezza provincia » giornalistica, alla provincia vera e propria, le cose non cambiano di molto. Presente in circa SO capoluoghi sui 96 di cui consta il Paese, la grande selva della stampa provinciale - pur rappresentando, ad occhio e croce, i due terzi del numero complessivo delle testate - non raggiunge che 1'8 per cento della tiratura glob,ale del quotidiano italiano. All'accentramento capitalistico, più o meno <<illuminato>>,o alla più o meno sfumata pressione politica, subentrano qui ( 11 ) Ad onta dell'appassionata difesa che ne fece Enrico Falqui in un ciclo di trasmissioni radiofoniche (riunite poi nel volume Inchiesta sulla terza pagina, Roma, Ediz. Radio Italiana, 1953), la terza pagina è, nel più dei casi, uno dei maggiori pesi morti che si trascina dietro il quotidiano italiano. Valgano al proposto le penetranti osservazioni fatte dal Pancrazi in un intero capitolo del suo volumetto postumo Della tolleranza (Firenze, Le Monnier, 1955). [19] Bibloteca Gino Bianco

delle situazioni precapitalistiche, caotiche: lotte tra maggiorenti locali per aggiudicarsi le porzioni più cospicue del (quasi sempre deficitario) pacchetto delle azioni; contese tr,a vari gruppi per assicurarsi, attraverso il controllo del quotidiano, il predominio politico locale; giornalisti che dirigono, da « tecnici», quotidiani che hanno una linea politica nettamente discordante dalle loro convinzioni; giornali che cambiano intonazione politica da un giorno all',altro in seguito a discordie intestine tra gli azionisti, o alle pressioni o alle minacce di un inserzionista pubblicitario. Come spesso avviene, questi fenomeni, comuni a tutto il Paese, trovano nel Mezzogiorno· un loro riflesso esasperato. Notavamo in un'inchiesta pubbl1cata tempo fa su queste pagine (12 ) che nell'immediato dopoguerra sembrò stesse verificandosi, nella piccola stampa di provincia, un qualche mutamento, sia quantitativo che quaEtativo: vennero ripristinate. le vecchie testate soppresse dal fascismo, in molti c,apoluoghi sorsero nuovi fogli locali, si notò a volte un promettente avvicendamento di quadri nelle redazioni, dove elementi giovani cominciarono a sostituirsi agli anziani screditati. E si badi che una rete di giornali di provincia, più o meno « indipendenti» ed ,autosufficienti, più o meno collegati a gruppi locali d'inte- ' ressi, ma almeno politicamente differenziati ed a lor modo coraggiosi ed aperti nel difendere quegli interessi, rappresenterebbe senza dubbio un fatto positivo, un centro di raccolta di energie intellettuali di periferia, un modo vitale di avvicinare la Capitale ,alla provincia, di dimensionare l'interesse nazionale a quello locale, e viceversa. E con ciò si intende dire che anche la propaganda, basata sulla difes,a di situazioni sezionali o aziendali, quando sia fatta schiettamente e con calore, perde gran parte del suo veleno; per quanto si debba esser convinti che, nel settore dell'informazione, la Verità con la m,aiuscola - così come viene da più parti idoleggiata in un suo valore astratto, moralistico, per così dire - non esiste, è pur vero che proprio dalla contesa delle varie propagande può venir fuori un dato che, per essere più ricco di pieghe e di sfumature, sia il più vicino possibile alla verità. Quello che, al contrario, distrugge ogni fermento, ·che taglia ,alla base il «dibattito», è ancora una volta l' «uniformità» politica, la quale ha i suoi riflessi negativi anche sotto il rispetto tecnico, in quanto costringe (12 ) Nello Ajello e Giovanni Cervigni, << Giornali di provincia», in Nord e Sud, a. Il, n. 7, giugno 1955. [20] Bioliotecaginobianco

i piccoli giornali ad arroccarsi dietro il riparo impenetrabile dell'indifferenza, dell'agnosticismo apparente, della lentezza di riflessi, del fatalismo « apolitico», del luogo comune desunto da una «verità» prefabbricata: di tutto quello, insomma, che, in altra occasione, definimmo << re,azionarismo per difetto». Molti fattori ambientali, tipici della provincia - il desiderio di non inimicarsi mai nessuno, l'accentuata situazione di dipendenza nei riguardi degli abbonati « sostenitori» o degli inserzionisti, il bisogno di non alienarsi, operando una scelta, una parte di un pubblico già ristretto - spingono la piccola stampa quotidiana, dopo la breve euforia dell'immediato dopoguerra, verso una siffatta condizione. Ma la spinta più grave, e che si avvia .a diventare decisiva, è rappresentata dall'istitu~ione, da parte degli stessi ambienti economici che controllano la migliore e più diffusa stampa settentrionale mediante le « catene di proprietà >>, di una forma più avvi1 iente di vassallaggio economico-politico: le « catene di fornisura ». I piccoli quotidiani di provincia - si diceva - sono per lo più passivi perchè · poveri di lettori, sono poveri di lettori anche perché fatti male (e sarebbe studio interessante il valutare quanta e quale parte dei lettori di provincia, anche delle provincie più discentrate, è tributaria dei grandi quotidiani del Nord e del Centro, che arrivano nelle tarde ore del pomeriggio o della sera, o addirittura l'indomani, dal Corriere alla Stampa e al Tempo), sono fatti n1ale perchè costretti, dalle difficoltà economiche, ad andare avanti mediante arcaiche tecniche artigianali. Prelevare simili aziende, ereditando le loro malferme gestioni, sarebbe operazione troppo costosa; per aggiudicarsi l'unico utile che questi giornali possono fornire, basta inserirsi nel circuito di cui dicevamo: comperare soltanto la loro « linea» politica. Ecco che nel gennaio del 1953 veniva costituita la prima e più fortunata « catena di fornisura », l'A.G.A. (Azienda Giornali Associati), società a responsabilità limitata di proprietà della Confindustria, delegata a fornire quotidianamente - a condizioni, di fatto, gr,atuite - ai giornali di provincia tutto il materiale politico (articoli di fondo, nota di politica interna od estera, resoconto parlamentare, corrispondenze, ecc.) olfre ad elzeviri e «varietà» per la « terza pagina». Per riempire un giornale di 6 pagine - ché tante ne hanno, nella maggior parte dei casi, i quotidiani di provincia - non c'è molto da aggiungere: qualche notizia d'agenzia, un po' di cronaca locale. Lo sgravio nei costi del giornale è notevole; onde, ad un consiglio di ammi- [21] Bibliotecaginobianco

nistrazione che non abbia delle tesi politiche chiaramente individuate d,a difendere e diffondere (oltre a quelle che possano riconoscersi in un generico conservatorismo), quella delle << catene di fornisura >> p,uò sembrare una istituzione provvidenziale. Con questo sistema, che è già validamente adottato, l'uniformità politic.a della stampa di provincia può essere facil- • mente conseguita. Dodici quotidiani di provincia sono fino ad oggi collegati all'A.G.A. per contratto (13 ), altri, in numero imprecisato, ne utilizzano più o meno , regolarmente il materiale, pur senza avere con essa un legame contrattu,ale. E questo materiale è, di solito, saggiamente opaco, percorre cioè tutta la tastiera del « benpensantismo » nostrano senza soverchiamente scoprirsi, ma anche senza tralasciare di presentare tra le righe come << sovversiva >> ogni idea ed ogni corrente che abbia qualche parvenza di << inquietante >> modernità. Con le catene di fornisura siamo giunti alla manifestazione più elementare e schematica dell'influenza esercitata, per varie vie, d,a certi ristretti poteri economici sulla stampa quotidiana in Italia. Se a tutto questo si aggiunge l'enorme ruolo «politico» giocato dalla pubblicità delle grosse aziende industriali sui quotidiani italiani, non potrà destare sorpresa l'affermazione, fatta recentemente da un alto dirigente d'industria all'assemblea costitutiva della Confintesa (febbraio 1956), secondo la quale la Confintesa medesima controllerebbe il 90 per cento della nostra stampa. Nel restante 10 per cento c'è appena posto per i quotidiani di partito - e neppure, ovviamente, per tutti - e per qualche grossa e prospera azienda giornalistica tradizionale che, se pur non del tutto indipendente dagli ambienti confin- ( 13 ) Essi sono: L'Alto Adige di Bolzano, Il Messaggero Veneto di Udine, L'Arena di Verona, La Gazzetta del Veneto di Padova, Il Giornal.e d1: Vicenza, La Provincia di Como, Il Giornale del Popolo di Bergamo, La Gazzetta Padana di Ferrara, La Gazzetta di Parma, La Gazzetta di Reggio Emilia, La Gazzetta di"Modena e - a quanto informa la citata inchiesta su Occidente - anche Il Corriere del Giorno di Taranto. Altri giornali ricevono ·regolarmente dall'AGA solo il materiale di terza pagina: La Notte di Milano, Il Corriere Mercantile di Genova, La Voce Adrz·atica di Ancona, Il Mattino d'Abruzzo di Pescara, La Tribuna del Mezzogiorno di Messina, · Il Com·ere dell'Isola di Sassari. Altre catene minori di fornisura sono quelle, pro-- mosse o potenziate dalla segreteria Fanfani, che dànno il materiale politico a vari giornali· provinciali della D1 .C. e dell'Azione Cattolica. [22J Bibloteca Gino Bianco

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