Nord e Sud - anno III - n. 23 - ottobre 1956

di comunicazione che, seppur chiusa, lasciava passare nei due sensi le voci e i rumori, costituendo così un ulteriore elemento di disturbo. Occorre qui spiegare al profano - chi vive nella scuola e ne conosce le strettezze quotidiane non ha bisogno di siffatte· precisazioni - che le autorità scolastiche, piccole e grandi, di fronte a simili situazioni non se ne stanno affatto con le mani in m,ano; ma il più delle volte vedono i loro sforzi frustrati dalla sordità di chi dovrebbe, per legge, provvedere. Nella fattispecie, è al Comune di Napoli che spet~, appunto, provvedere ai locali e all'arredamento. Se il disagio fisico cui erano costretti i miei giovani uditori, o l'impossibilità per me di circolare tra i banchi, mi balzarono subito gli occhi, occorsero settimane perchè rilev~ssi la situazione culturale e psicologica complessiva: nell'accertamento della quale dovevo passare di sorpresa in sorpresa. In precedenza avevo insegnato lettere italiane e latine in licei classici e scientifici; chiesto e ottenuto il trasferimento a Napoli, mi er,a stata assegnata la strana cattedra di lettere latine, storia e geografia che, in_base al sistema dei « gruppi di cattedi:e », è affidata a chi, presentandosi al concorso di lettere italiane e latine e storia, predilige verosimilmente insegnare la storia della letteratura italiana con indirizzo crit~co. Saputo il passaggio dall'una all'altra cattedra e dall'uno all'altro tipo di scuola, andai in cerca di regolamenti, programmi e saggi che m'illustrassero finalità spirito e metodi d'insegnamento della scuola che prepara i futuri maestri: così lessi bellissime dissertazioni sulla funzione formativa del latino negl'Istitiiti magistrali, e parimenti pagine dotte sul metodo e sulla finalità çlçll'insegnamento della storia e della geografia; tutti concetti con cui il mio cervello non poteva non andare d'accordo. Le prime perplessità nacquero quando dalla teoria passai ad accertare la reia1tàdelle cose, in cui avrebbe .dovuto inserirsi il mio lavoro. Per cominciare dal latino, è cosa generalmente ammessa che negli Istituti magistrali nessuno lo sa, eccettuate le solite mosche bianche, se sapere il latino significa riuscire a leggere, e intendere con una certa facilità, gli scrittori di Roma sugli originali, e non soltanto tradurne qualche periodo, in due o quattro ore, con l'ausilio del dizionario, in cattivo italiano e senza troppi errori. Nè si può ragionevolmente sperare di ottenere qualcosa di [91] BibliotecaGino Bianco.

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