inventate post factum, e se gli storici diplomatici hanno avuto in passato un difetto, questo è stato appunto di perdersi dietro il documento d'archivio senza vedere la dottrina della politica estera di un p,aese.Le classi dirigenti politiche non sono mai separate dalle classi culturali, ma sono unite ad _esse in un processo di reciproco condizionamento; e i programmi politici che esse affermano e si propongono di attuare sono le risultanti di princìpi dottrin.ari e insieme delle concrete esigenze politiche, economi~he e sociali di una società ad un dato momento del suo sviluppo e delle analisi che di questa società stessa e delle sue esigenze forniscono i teorici. Come si vede, la filosofia politica è ad un punto centrale, ad una giuntura della storia in fieri, e non si esagera la sua importanza quando si dice che la sua crisi può riuscire determinante. Non so se le parole di Benda siano pertinenti per quel che sono venuto dicendo: tanto più che non si sa mai bene se i «chierici» hanno tradito perchè si sono engagés o perchè non si sono engagés abbastanza. Mi pare, però, che questo si possa dire: i chierici non hanno compreso, oggi, le effettive dimensioni del problema. È necessario, tuttavia, condurre ancora più a fondo l'analisi e tentar <ii vedere se le difficoltà della filosofia politica contemporanea non derivino da altre difficoltà, che investono non essa soltanto, ma tutta la nostr~ cultura, non tanto come possesso del « saputo» quanto come metodo del «sapere>>. E in verità da quello che si è detto finora appare evidente che la crisi della filosofia politica è la crisi definitiv~ della filosofia cristiana della storia, o se piace di più, di quella teologia della storia che ha impro11tato di sè quasi totalmente la cultura occidentale. Può sembrare p,aradossale, ma anche gli scrittori in apparenza più lontani dal cristianesimo, perfino un Voltaire, perfino i teorici giacobini o quelli della democrazia o gli evoluzionisti, perfino un Marx, sono tributari della filosofia cristiana della storia: essi hanno tutti creduto che per spezzare lo schema ag.ostiniano fosse sufficiente cambiare l'ultima epoché, mettere il regno della ragione tutta spiegata o lo stato proletario o la democrazia, una città terrena, insomma, al posto della città di Dio. E non si avvedevano che immaginando P- questo modo un termine obbligatorio della storia, mutavano i nomi, non la sostanza delle cose: poichè la città terrena assumeva di necessità gli attributi della città di Dio. ln realtà .occorreva riconoscere semplicemente l'eterno movimento della storia umana, senza catastrofi e senza trionfi obblig,atorii e definitivi, occorreva trasferire Dio in questo movi- [41] Bibloteca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==