Nord e Sud - anno III - n. 23 - ottobre 1956

soltanto le istituzioni e le ideologie politiche; è guasta anche la~~lentecon cui noi le esaminiamo, la filosofia politica. E il fatto è tanto più grave in quanto questa non è soltanto uno strumento di osserv,azione, ma è anche uno strumento di costruzione storico-politica. A me sembra iri effetti che la filosofia politica sia ve11utameno in massima parte al suo compito: è come se essa arretri smarrita perchè nel contatto col mondo concreto i suoi principi si sono rivelati improvvis,amente inadatti, parziali o addirittura sbagliati; è come se essa sia sospesa ancora tra il sentimento di un proprio infallibile rigore e la coscienza che i fatti hanno do1 po tutto ragione e, frustrata, non abbia il coraggio o la forza di ripen~are se stessa. In realtà, se si facesse una storia del pensiero politico democratico in questa prima metà del secolo ventesimo, -per quanta parte essa non sarebbe la storia di una illusione e di una delusione? All'inizio di questo scritto si è evocata << l'età dell'oro » degli ,anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale: erano ancora gli anni delle « magnifiche sorti e progressive», gli anni della fede nel progresso all'infinito, della fiducia nel continuo arricchimento morale e materiale dell'umanità, gli anni finalmente della fede nella democrazia come forma politica assoluta. Ecco: il popolo, tutto il popolo, senza più distinzione di razza e di censo, che si raccoglie ordinatamente, ascolta discorsi, legge giornali, discute, vota, manda i suoi eletti ai parlamenti o ai governi; gli eletti, che interpretano la volontà popolare, saldano gli interessi p~rticolari al bene di tutti, legiferano e governano; e nell'ombra, silenzioso ma vigile, il potere giudicante, pronto ad intervenire per tutelare tutti i diritti offesi, tutte le libertà violate: ogni cosa è nel suo limite, e se tenta di uscirne sono già predisposte :1enorme e le forze perchè vi rientri. Uno Stato che garantiva l'ordine e la libertà, perfetto, insomma: la città felice. Tutto ciò non ha resistito all'~nalisi critica: sulla fine del secolo scorso un pensatore politico italiano poteva proprio nell'esperienza concreta del regime democratico convalidare la teoria della classe dirigente. I popoli anche in democrazia sono divisi in maggioranze dirette e minoranze dirigenti, in governati e governanti, e sono ie minoranze che impong.ono il loro volere alle maggioranze, che fanno in realtà la politica, decidendo della vita economica e soc~aledi un paese. Ad uno ad uno cadevano a pezzi tutti i miti democratici: gli immortali principi dell'Ottantanove? Una formula post-factum, con cui la minoranza borghese spiega la sua vittoria sulla minoranza aristocratica e giustifica jl [34] Biblote·ca Gino Bianco

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