\ in fonda, del tutto propenso a una considerazione svincolata da ogni presupposto economicistico dell'autonomia della coscienza morale - senza accorgersi poi che così, nella rottura della tradizione, finisce col postulare un nuovo irrazionalismo) lo schema rigido che annulla varietà e differenze, o almeno le confina in un ruolo secondario. E' l'idea dei limiti <<obiettivi» delfo stato borghese (A.e. II, pp. 282-84), che perde nel D. R. anche ogni concretezza marxista, e finisce nell'assurda condanna d'un tono persin moralistico (v. ad es. A.e. II p. 267, p. 273), anche se ancorata a presupposti economici, quali l'asserto proprietario e soprattutto il prevalere <<dei consumi economicamente indiscriminati » (A.e. II, p. 284), in cui consisterebbe uno dei vizi più gravi del sistema. Via via la critica del D. R. si amplia fino a stabilire, ed è il suo punto cardine, la connessione fra sistema capitalistico ed ideologia positivista (A.e. II, p. 218): questa sembra a lui la chiave di ogni spìegazione. Ma proprio qui gli equivoci s'accumulano, nella pretesa di risolvere in una ideologia come quella positivista tutta la vita della società italiana della seconda metà del XIX sec. e degli iniz1 del XX. Ed è lo stesso D. R. a render li evidenti, perchè nei suoi libri invano si ricerca una visione chiara del <<positivismo», che diviene piuttosto il simbolo . ' . ' . . . contro cui s esercita un opposizione ricca magari di fervore, ma priva di concretezza storica. Nel I vol dell' A.e. con • quel termine s'indicano volta a volta, la politica del Tittoni (p. 9), le attività sociali dell'Opera dei Congressi (p. 71), l' ansia dei cattolici per la questione sociale {p. 84), l'utilizzazione dei cattolici da parte liberale (p. 117), le insufficienze della loro dottrina sociale (p. 150), l'utilizzazione pratica della sacra scrittura (p. 185), l'anticlericalismo (p. 286); nel 11 vol. la politica dei gesuiti (p. 187), ]a mentalità imperante (p. 248), il clima soporifero del decennio (p. 217), il vizio del modernismo (p. 223), la nozione cattolica dell'ordine (p. 368) e, su piano europeo, il rinchiudersi in sè delle varie borghesie (p. 289). Il positivismo diviene realmente un'entità indefinita e mostruosa che tutto congloba e assorbe, riproponendo così di nuovo ogni problema d'interpretazione ... Ma anche dal punto di vista del D. R. un altro interrogativo sembra allora inevitabile: come mai egli possa credere che se così ampia, imponente, appare - nelle forme più svariate - la diffusione del positivismo, il suo superamento sia legato ad una eliminazione dell'assetto <<capitalistico» (rispetto al quale poi il D. R. finisce con il sollevare delle riserve di . tipo al più <<laburista », ma non certo comunista). La risposta è sempre elusa, perchè in fondo il D. R. nei suoi libri rimanda sen1plicemente ad una visione piuttosto imprecisa d'una nuova società, ricca di libertà e d'autonomia. Ma questa nuova società s'articola poi in una serie di momenti, o, come dice il D. R., di <<dimensioni », che sono per loro natura statiche, e frutto d'immaginazione più che possibili realtà. Il religioso, il politico, il civile, il laico, il sociale, l'ecclesiastico... (v. spec. A.e. II, pp. 15-30) che dovrebbero vivere in armonica distinzione, finiscono ovvipmente con l'essere astratti dallo svolgimento storico, né d'altra parte sembra che mai possano essere istituzionalizzati in [127] Bibloteca Gino Bianco I
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