le sue perfettissime, incantevoli squisitezze letterarie seduto a un ~avolino rococò, lontano dalla strada e ad essa indifferente (I). E mentre gli escono dalla penna d'oca versi deliziosi ... madrigali e strambotti metastasiani, gentili ed aerei, assolutamente senza problemi e se11zapeso di dolore, nelle strade di Napoli vive la sua consueta, allucinante giornata, un popolo che lotta e si ribella in mille forme, e sotto la cenere co,va il fuoco che divamperà furioso nel 1898 ». L'altro maggior poeta dell'cc epoca d'oro» della letteratura dialettale, Ferdinando Russo, per quanto molto (e a volte fin troppo) nutrito di spiriti popolareschi, per quanto molto· più « convinto assertore della poesia co1ne tranche de vie, come documento», è anch'egli ricondotto, dal Ricci, dopo sbrigative considerazioni, allo stesso livello di esteriorità e di incompre11sione su cui si dibatte il Di Giacomo. Anche lo stato d'animo di Ferdinando Russo è « reazionario, immobilistico », è, in.fine, ccun modo di abban·donarsi ad un ' genere letterario»: il poeta di 'E scugnizze e gente 'e mala vita e di 'O Lu- .ciano d' 'o Re condivide insomma col Di Giacomo ,e con tutti 'gli altri poeti napoletani suoi co·etanei - da Capurro a Galdieri a Bovio a Muralo - « la completa indifferenza per la vita attiva, ap·p,assionata, difficile e spesso eroica del popolò napoletano ». Non sono valsi a salvare Ferdinando Russo i suoi accenti umoristici ed amari ·di attento indagatore dei costumi e dei sent:i- ;, menti p~polari, le sue ccottave grondanti di colore e di miseria », di cui parlava il Pasolini in un eccellente saggio premesso alla sua r'ecente aintolo-gia della Poesia dialettale del Nove cento. Anche per lui, nello scritto del Ricci, pollice verso, e per le consuete ragioni. Perchè ccla poesia di Russo e di Di Giacomo (per citare solo i maggiori poeti ·napoletani) è pur sempre la posizione tradizionale degli intellettuali meridionali legati al blocco agrario ». Il primo che si scioglie dal cc blocco agrario » chi è? Ma Raffaele Viviani, perdio! Durante i moti popolari che ebbero luogo a Napoli nel 1898 - proprio mentre Di Giacomo era intento a distillare dalla penna d'oca arcaiche preziosità inn~nzi al tavolino roco-cò· -- ccViviani, pr-obabilmente, alla folla agitata e minacciosa che invadeva le strade e le piazze di Napoli, in quei giorni, si mescolò da fanciullo• ». Il non essere riuscito - per evidenti diffi- . coltà di documentazione - a sciogliere affermativamente l'enigma connesso con quel « probabilmente » sembra ~te11dere sull'analisi es.tetica del Ricci una ,nube d'incertezza, la mancanza di un sicuro punto d'appoggio. Il s-uo argomentare si basa comunque sulla considerazione che ccViviani è un uomo del popolo, e le cose del popolo, i suoi pro,blemi, i suoi umori, la sua miseria, il suo lavoro, le sue speranze -egli le sente e le vive dal di dentro (iJ Ricci contende anzi questa espressione a Domenico Rea che l'aveva usata anch'egli nel citato saggio sulle cc Due Napoli »). Ogini altra riflessione sugli influssi della tradizione dialettale - compresi Di Giacomo e Russo - sul Viviani, e il suo particolare modo di collegarvisi e di utilizzarli, sono sommersi da questa [52] Bibloteca Gino Bianco
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