<lino; mentre non va dimenticato che nello sfacelo delle città meridionali degli anni di guerra e dell'immediato dopoguerra la piccola borghesia è stata forse il solo ceto che abbia salvato dignità civile e rispetto, di se stessa, in condizioni non meno dure di quelle degli strati popolari. Un giudizio che \rolesse cogliere più da vicino la realtà !Ilorale ed umana del mondo meridionale dovrebbe porre l'accento sopratutto sulle generali insufficienze di un paese mostratosi complessivamente incapace di tenere il passo con lo , sviluppo dell'Europa moderna, e che di questa insufficienza e arretratezza rivela le tracce in tutti i settori della sua vita sociale. Ma su un piano storico-politico è chiaro che siffatta incapacità va riportata anzitutto al ceto che ha diretto gli ultimi due secoli di vita meridionale, la cui storia coincide nel fondo con quella del fallimento della borghesia meridionale. A questo giudizio che, come si è detto può considerarsi oggi accettato da tutta la più seria cultura politica, non sottoscriverebbero, secondo Riccardo Musatti (La via del Sud) Milano, 1 Comunità, 1955, p. 109 sgg.) solo « gli ultimi epigoni d~l meridionalismo "meridionale" », che si raggruppano attorno a questa rivista. ·La cui cc aspirazione fondamentale » sarebbe di cc rianimare una borghesia meridionale capace di farsi guida del risorgimento, attraverso UD.a franca alleanza coi ceti politici del Settentrio-ne ». E in questa cc azione di ricomposizione e di recupero dei vaganti r~sti di una classe in disgregazione, come' appunto questa borghesia », il Musatti riconosce che la battaglia neoliberale di questi cc epigoni », pur con le sue « direttrici tattiche ... vaghe quanto quelle strategiche », potrebbe avere ancora senso e successo ». Nulla da fare, invece, sul piano della << battaglia democratica integrale », dove l'impegno di guidare e disciplinare il grande processo di sviluppo di una nuova società risulta evidentemente << ben superiore all'invecchiata fibra di chi si attarda a rimirare nella bacheca i propri vanti passati ». Davanti a questa severa censura, si impone per noi il dovere di un rigoroso esame di coscienza: e ci vien fatto di chiederci se veramente l'aspirazione fondamentale che vien fuori dalle pagine di questa rivìsta sia proprio quella di radunare gli sparsi e disgregati avanzi della borghesia meridionale. Ir1 verità sembra che qui si tratti di una grossa confusione non solo di concetti, 1na di parole. L'atteggiamento, delineato fin dall'editoriale del primo nvrnp~·o, verso il moto contadino; la linea di politica agraria tracciata da M. Rossi Doria nel n. 6, tutta orientata verso la liquidazione delle posizioni di rendita fondiaria nel_ Mezzogiorno; l'impostazione storico-culturale di F. Compagna (n. 4), dove ci si richiamava a quella cultura che è l' « unica tradizione da cui •il Mezzogiorno possa trarre intero vanto », e che si è semp•re svolta, dal Settecento in poi, in continua ed intrinseca opposizione e polemica 110n solo coi1 11 costume morale ma anche con le forze sociali dominanti nel Mezzogiorno; sono questi alcuni dei momenti fondamentali del discorso tenuto su questa [60] BibliotecaGino Bianco J
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