Nord e Sud - anno II - n. 5 - aprile 1955

- Rivista mensile diretta da Francesco Compagna ANNO I I * N UM E.R O 5 * APRILE 195 5 Bibloteca Gino Bianco

·UNA ' ECCEZIONALE NOVITA LETTERARIA . per la prima volta integrale il capolavoro manzoniano nelle sue tre versioni ·FERMO E LUCIA (1823) I PROMESSI SPOSI (1827) I PROMESSI SPOSI (1840) a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti È questa la prima edizione cr1t1ca di tutli i testi, le correzioni, ]e var1az1oni e i <<pentin1enti >> attraverso i quali il Manzoni giunse alla definitiva stesura dei Promessi Sposi. Le fonti originali messe a confronto e sviscerate riga per riga sono: 1. la prima <<minuta» del Fermo e Lucia (il primis imo embrione del romanzo); 2. la seconda <<minuta» dei Promessi Sposi; 3. le correzioni del Manzoni sulla copia per la censura; 4. l'edizione a stampa della <<ventisettana »; 5. le correzioni del l\!Ianzoni su una copia a stampa della <<ventisettana » ; 6. le ultime correzioni sulle prove di torchio e sulle dispense; 7. l'edizione definitiva del 1840. I volumi comprendono inoltre: La storia della colonna infame nel testo del 1840; L'appendice storica sulla colonna infame nella pri1na stesura; un'introduzione storico-critica dei curatori e ricchi indici analitici. I tre volumi - in elegante custodia - rilegati in pelle con incisioni 1,n oro, stampati su carta India, sono in vendita a 15.000 lire. Ciascun volume può essere acquistato separatamente in custodia singola a 5000 Lire. L'acquisto contemporaneo dei tre volumi può essere /atto anche a rate presso l'Editore, e presso i suoi _4genti nelle principali città. ARNOLDO MONDADORI EDITORE BiblotecaGino Bianco

• I .. Rivista mensile diretta da Francesco Compagna , Bibloteca Gino Bianco

SOMMARIO ~---.....ditoriale [ 3] Manlio Rossi Doria L'evoluzione delle campagne meridionali e i contratti agrari [ 6] Vittorio De Caprariis La Sicilia alla vigilia delle elezioni [23] GIORNALEA PIÙ VOCI .. N. d. R. Il «riformismo>> [36] Carlo Turco Sviluppo commerciale e favoreggiamento politico [ 40] Aldo Musacchio Gli <<indomiti>>del Colle Oppio [ 49] Raffaello Fra11chi11i L'amministrazione Lauro: accuse o calunnie? [54] Francesco Compagna Il meridionalismo liberale della sinistra laica [58] DOCUMENTIE INCHIESTE Fedele Aiello Dai <<Sassi>> alle borgate [62] IN CORSIVO [89] CRONACHEE MEMORIE Franco Rizzo L'Unione Nazionale e la Nuova Democrazia [96] Nicola Pierri Una eopia L. 300 • Estero L. 360 Abbonamenti a Italia annuale L. 3.300 semestrale L. 1.700 Estero annuale L. 4.000 semestrale L. 2.200 Effettuare i venamentJ sol C.C.P. n. 3/34.552 intestato a Arnoldo Mondaderi Editore • Milano Bibloteca Gino Bianco LETTEREAL DffiETTORE [120] RECENSIONI Disegno della Liberazione italiana. [125] DIREZIONE E REDAZIONE: Napoli - Via Carducci, 19 - Telefono 62.918 DISTRIBUZIONE E ABBONAMENTI Amministrazione Rivista Nord e Sud Milano - Via S. Martino, 20 - Tel. 35.12.71 •

Editoriale In occasione della comparsa di Nord e Sud fu detto, fra l'altro, da parte comunista, che la nostra « alternativa della democrazia moderna» non sembrava poter andare oltre i dati attuali della situa.zione italiana,· e si ci·tava - ad esempio di una nostra sicura rassegnazione a questi dati - il problema dei· monopoli e della loro dilagante infiuenza politica. Poco dopo, da alcune dichiarazioni dell' on. Vanoni, noi abbiamo colto l'occasione per invitare il Comitato dei Ministri per il Mezzo giorno a prendere posizione su un problema molto preciso: « il rapporto che intercorre tra i prezzi dell'energia elettrica e dei concimi da un lato, e i costi dell'industrializzazione e della_trasformazione fondiaria dall'altro lato>>. Perchè, dicevamo, non c'è dubbio che esiste « un nodo monopolistico»- che agisce in senso immediatamente limitativo, e alla lunga negativo, stilla politica d'intervento nel Mezzogiorno. lrioltre, siamo venuti precisando in senso risolutamente antimonopolistico · le nostre posizioni sulla questione dei petroli .. Ma, soprattutto, noi ci onoriamo di appartenere a quegli « amici del Mondo» che hanno recentemente promosso il C.onvegno per una politz·ca antimonopolistica. . ~ Sgombrato, quindi, il canipo dal sospetto di una nostra acquiescenza alla << attuale politica di pieno e incondizionato appoggio dei monopoli>>, la questione fra noi e i comunisti, sul piano del meridionalismo, resta aperta nei termini in cui è aperta, sul piano nazionale, una questione fra i comunz·sti e noi come « amici del Mondo>>: che, cioè, ostinandoci noi a 110n << marciare insieme», ai comunisti, la nostra azione non può « ttscire dai limiti di una franca denuncia>>. Valgano anche qui le risposte che sono state date ai comunisti da Ernesto Rossi; ricordiamo, tra l'altro, alBiblo eca Gino Bianco I

cune contestazioni mosse da Rossi alla politica comunista: le qua/,i contestazioni, sul piano del meridionalismo, assumono grande rilievo. Non crediamo, scrive Rossi, che « i comunisti si impegneran1io mai seriamente in una lotta contro i monopoli. Come possono lottare contro i monopoli dopo aver fatte loro tutte le richieste di protezione doganale? dopo aver combattuto la CECA e la unificazione del mercato europeo? dopo aver dato il loro completo appoggio alle "rivendicazioni" degli statali (perfino sui "diritti casuali '1, accettando le quali veniva sempre più sfasciata la pubblica amministrazione? dopo aver dimostrato il loro assoluto disinteresse alla sorte di tutti i poveri cafoni, legati alla servitù della .glebae obbligati al domicilio coatto nelle zone depresse dalle f ascistissime leggi contro l'urbanesimo e per la disciplina delle migrazioni interne? dopo aver chiesto, anche loro, commesse statali, crediti di favore, premi alle esportazioni, e tutti gli altri privilegi per le i·ndustrie monopolistiche, in cui sono occupati gli operai organizzati della CGIL? Approverebbero mai i comunisti una legge anti-trust che comunque migliorasse le condizioni dei cafoni delle campagne.. ma che, riducendo le posizioni di monopolio, facesseanche ridurre le paghe delle maestranze?>>. A conferma, però, di quanto in t1iagenerale siamo sempre venuti dicendo intorno alla ostinata malafede politica di certi settori della classe dirigente italiana (e in via particolare intorno allo zelo con cui la stampa destinata al Mezzogiorno sposa tutte le cause dell~antimeridionalismo) dobbiamo ora registrare un nuovo episodio. Si sono accusati gli « amic, del Mondo>> di << marciare insieme>>.ai comunisti nel momento stesso in cui essi erano impegnat-t'a respingere le lusinghe dei comunisti, e ,precisamente l'invito a << marciare insieme». Sembra che, per certi ambienti della stampa italiana, sia proprio un motivo di profonda amarezza il fatto che i comunisti non sono ancora riusciti a guadagnare alla causa del frontismo tutta la sinistra democratica. E naturalmente, fra questi ambienti, occupa un posto preminente Il Giornale d'Italia, orgatio tradizionale dell'antimeridionalismo dei meridionali; ma oggi siamo arrivati, per questo foglia a un punto tale di zelo reazionario, da far quasi rimpiangere i tempi dello zelo reazionario di Giulio De Fren.zi, più moderato, almeno quanto a insolente morbosità. Se però si è voluto citare Il Giornale d'Italia, non è stato per reagire contro il suo zelo reazionario, dopo tutto innocuo; ma perchè, oltre a dimostrare ancora una volta come certi atteggiamenti sem- - Biblioteca Gino Bianco

brino escogitati deliberatamente per dare forza polemica ai comunisti, anche questo - degli organi di stampa controllati, e dei rapporti fra . il giornalismo politico e la proprietà dei giornali - è un aspetto, e non dei minori, del problema dell'influenza politica dei monopoli. Possiamo comunque dare Jssicurazione a questi ambienti politici, economici, giornalistici: malgrado i loro lodevoli sforzi, a costo di prolungare indefinitaniente la loro amarezza, noi non « marceremo insieme» ai comunisti. Ma la lotta contro i monopoli la condurremo fino in fondo, consapevoli peraltro che essa deve essere pure valutata entro l'ambito della lotta per eliminare tè ragioni che alimentano l'opposizione comunista alla democrazia. Il Convegno degli << amici del Mondo>>, sul piano politico, ha significato questo: che la legislazione antimonopolistica è diventata un tema di convergenza della sinistra democratica, ,una rivendicazione che essa puntualmente dovrà avanzare nei confronti di tutte le altre forze politiche, un motivo della sua caratterizzazione di fronte all'opinione pubblica. E il_Consiglio Nazionale del P.R.I. ha confermato subito questa posizione, con l'abituale coerenza. Qui, per concludere, si vuole cogliere l'occasione del Convegno promosso dagli « amici del Mondo » per ribadire ancora il problema immediato ed urgente cui già accennavamo nel terzo numero di Nord e Sud: non si può condurre una politica meridionalistica conseguente eludendo il problema dei monopoli. ., [5] ·Bib oteca Gino Bianco

L'evoluzione delle campagne meridionali e i· contratti agrari di Manlio Rossi Doria Nel corso di questi mesi ed anni - discutendosi il problema dei contratti agrari - troppo poco si è meditato sulle ragioni profonde che l'hanno portato in primo piano ed impongono un serio intervento di riforma. Molti vogliono far credere che il movimento sia esclusivamente il prodotto del1'azione e della propaganda politica. La realtà è diversa. Il movimento ha assunto in questo secondo dopoguerra le ~imensioni e i caratteri che ha, perchè le circostanze hanno, per così dire, portato a conclusione un processo evolutivo dei rapporti sociali nelle campagne che era in corso da molti decenni. Altri ha di recente trattato dell'evoluzione e ~ei problemi relativi alla grande realtà mezzadrile dell'Italia Centrale, arrivando a conclusioni del più alto interesse circa l'avvenire di quei rapporti (1 ). Io vorrei qui esaminare il problema con riferimento al Mezzogiorno e alle Isole, fermandomi anzitutto a considerare quale sia oggi il carattere di questi rapporti e quale il peso che essi hanno nell'economia agricola del Sud, passando quindi a ricostruire per grandi linee l'evoluzione che essi hanno attraversato. Vorrei, viceversa, riservare ad un successivo articolo l'esame dei problemi attuali e della loro possibile soluzioJ;le. Naturalmente potrò far questo solo per grandi linee, sia per i limiti propri di due soli articoli, sia perchè una più approfondita analisi richiederebbe ricerche non facili e la disponibilità di una serie di dati, che sono, invece, ancora limitati e poco soddisfacenti. ( 1 ) Vedi nel 3° numero della « Rivista di politica agraria >> ( ottobre 1954) gli scritti di Mazzocch~-Alemanni, Tofani, Ban-dini ed altri sui problemi attuali della mezzadrja. [6] Bibloteca Gino Bianco

L'analisi di qualunque problema dell'agricoltura meridionale déve partire dal richiamo alla duplìce realtà nella quale essa si articola : la realtà delle zone ad agricoltura estensiva e quella delle zone ad agric~ltura intensiva. · Nelle zone ad agricoltura estensiva la produzione è oggi organizzata o in medie aziende a salariati di carattere capitalistico, o in precarie~imprese contadine senza residenza in campagna; e queste ultime sono costituite in parte su terreni di proprietà dei contadini stessi e in parte su terreni a loro ceduti da proprietari non coltivatori mediante i vari tipi di contratti • agratJ. I tipi di contratti agrari delle zone estensive, séppur diversi talvolta per le clausole minori, si riducono a tre: il semplice con~atto di affitto con canone in grano ( « terraggeria )) , il contratto di mezzadria o colonia parziaria impropria (es. la « metateria )) siciliana), il contratto di compartecipazione al grano o alla sarchiata su terreni lavorati dall'imprenditore capitalista. Non considerando quest'ultimo tipo, la cui importanza s'è venuta riducendo, gli altri sono molto simili perchè in entrambi il proprietario conferisce la sola terra nuda, il prodotto prevalente o esclusivo è il grano e la sola differenza è data dal fatto che il canone nel primo caso è fisso e nel secondo variabile. · Passando dalla forma a considerare la sostanza economica del contratto, j vari casi studiati dimostrano che il canone, fisso o variabile, non scende mai al di sotto del 30-35% del prodotto netto, assicurando al proprietario redditi fondiari più elevati di quelli altrimenti conseguibili. È facile dimostrare cpme una tal situazione sia il resultato della feroce concorrenza che i contadini si fanno pur di avere terra da coltivare e come si debba in gran parte ad essa se i proprietari di queste zone rifuggono dalla trasformazione fondiaria e dai relativi investimenti. La situazione delle zone ad agricoltura promiscua o intensiva è naturalmente molto più varia. Essa, d'altra parte, in contrapposto alla staticità dell'altra, è il resultato di un intenso dinamismo, tanto che meglio sarebbe considerarla dopo aver illustrato la recente evoluzione. Anche in queste zone la produzione agricola è in parte organizzata in aziende a salariati di tipo capitalistico o in piccole e piccolissime imprese di proprietari diretti coltivatori. Tuttavia, la parte per la quale essa è conseBibloteca Gino Bianco

\ . guita in imprese legate alla terra dai vari tipi di contratti agrari resta molto considerevole. Malgrado le infinite differenze .di dettaglio anche questi contratti si riducono nella sostanza a pochi tipi: 1°) contratti di semplice affitto a coltivatore con canone commisurato al valore di determinati quantitativi di uno o più prodotti e talvolta integrato dall'obbligo di corresponsione di appendizi o donativi; 2°) contratti di colonia parziaria impropria, con quote di reparto varie; 3°) contratti misti di affitto e colonia parziaria impropria, riferiti l'uno alla coltivazione del « suolo ))' l'altro a quella del « soprassuolo >>; 4°) contratti di colonia parziaria vera e propria, con partecipazione· del proprietario alla gestione dell'azienda (2 ): Prescindendo per ora da quest'ultimo tipo di contratto, possiamo dire che tutti e tre gli altri tipi sono simili a quelli esaminati per le zone ad agricoltura estensiva. È ben vero, infatti, che in questo caso il proprietario fondiario affida al coltivatore non terra nuda ma fondi arborati e in ogni caso trasformati, tuttavia, quasi sempre, tale differenza non altera il fatto che il proprietario non partecipa direttamente al processo produttivo, che la piantagione o trasformazione del fondo rappresenta una fase oramai chiusa di attività e che i lavori di rinnovamento e manutenzione del capitale fondiario sono così limitati e accidentali da non modificare il carattere assenteistico della proprietà (3 ). Per quanto riguarda la sostanza economica di questi contratti, sebbene per la estrema diversità delle situazioni la indicazione di rapporti medi abbia poco valore, può dirsi qualcosa di simile a quanto si è detto per le zone estensive. Il rapporto tra reddito fon diario e prodotto netto resta dovunque elevato, tuttavia, spesso, si riscontra che esso è più alto non dove maggiore risulta l'apporto di capitali fondiari da parte del proprietario, ( 2 ) A questi contratti dovrebbero anche aggiungersi quelli cosiddetti << a miglioria» in uso specialmente nelle zone a colture arboree specializzate (il normale contratto ,✓ ventinovennale e j contratti di enfiteusi, « parzonaria », ecc.). Tuttavia essi hanno oggi una così ridotta applicazione e sono stati stipulati in epoca così lontana da non poter essere considerati jn un quadro sommario della situazione meridionale. ( 3 ) .Nella fase dj piantagjone e trasformazione questi contratti non sono applicabili e i proprietari preferiscono ricorrere ai semplici rapporti di salariato o a forme semplici di compartecipazione o, in qualche caso, alle forme- proprje e non a quelle improprie della colonia parziaria. [8] Bibloteca Gino Bianco

ma dove più elevata è la concorrenza fra i contadini, disposti ad accontentarsi di modesti compensi unitari del loro lavoro pur di aver la possibilità di una occupazione sicura e continuativa. Se queste ora indicate sono le caratteristiche dei contratti agrari •vigenti .nel Mezzogiorno, c'è da chiedersi quale sia il peso che essi effettivamente hanno nell'economia agricola del Mezzogiorno. Nelle tabelle riunite a pagina seguente si sono raccolti i dati più sicuri e meglio elaborati, dei quali si dispone al riguardo (4 ). Ripartizione della superficielavorabileper tipi d'impresa nel Mezzogiorno e nelle Isole Zone ad agricolt. Zone ad agricolt. TOTALE estensiva intensiva Tipi d'impresa 1000 Ha % 1000 Ha % 1000 Ha % proprietà coltiv. I .200 32.8 1.700 46.0 2.900 39· 1 aziende a salariati 600 16.4 8.o 12.6 300 900 contratti a coltiv. 1.850 50.8 . 46.0 ,48.3 1.700 3.55o TOTALE 3.650 100.0 3.700 100.0 7.35o 100.0 . Anzitutto va osservatp che il peso delle zone intensive è oramai, come superficie coltivata, pari a quello delle zone estensive, mentre, se esso venisse misurato in base al valore della produzione o al -numero delle persone impiegate, si avrebbe un rapporto pari all'incirca ai due terzi per le zone intensive e ad un terzo per le. estensive. Un tal rapporto tra i due gruppi di ( 4 ) Essi sono ricavati dall'« Annuario dell'agricoltura italiana» dell'I.N.E.A. (vol. IV: 1950, Roma 1951) e precisamente dal capitolo XIII « Il Lavoro » dal paragrafo « Struttura dei rapporti di lavoro nell'agricoltura jtaliana » (pag. 669 e segg.). Le zone estensive risultano dalla fusione delle due zone omogenee corrispondenti (zone ad agricoltura capitalistica estensiva e zone di latifondo contadino); quelle intensive dalla fusione delle rimanentj due zone meridionali (zone meridionali ad agricoltura promiscua contadina e zone meridionali di agrjcoltura intensiva). Per i crjterj seguiti nella delimitazione di queste zone i datj totali per esse differiscono un poco dai totali jndicati nella tabella della ripartizione regionale. Bibloteca Gino Bianco -·

zone è - come vedremo - il resultato più notevole della lunga evoluzione agricola del Mezzogiorno, dato che, all'inizio e ancora a metà del secolo scorso, la situazione era opposta a quella di oggi, perchè le superfici coltivate erano nel complesso di più che un terzo meno estese di oggi e per esse forse i tre quarti interessavano le zone estensive e appena un quarto le intensive. Dalle tabelle si vede come vi sia un notevole parallelismo tra zone estensive e intensive e tra le varie regioni. La superficie coltivata interessata ai contratti agrari è nel complesso pari all'incirca al 50%; solo negli Abruzzi scende al di sotto del 40%. Il peso nelle zone estensive è un poco maggiore Ripartizione della superficie lavorabile interessata a contratti a coltivatori ---------------:----------;---------------, Zone ad _agricolt. I Zon~ ad ~gricolt. estensiva 1ntens1va Tipi d'impresa 1000 Ha % TOTALE 1000 Ha % 1000 Ha % Affittanza coltiv. 79° 42 ·7 75° 44· 1 l .540 43.4 Colonia parz. app. 180 9.8 240 I 4.1 420 I I .8 Colonia parz. non appoderata 690 37.3 580 34· 1 I .270 35.8 Compartecipazioni 190 I0.2 130 7.7 320 g.o TOTALE IOO.O I. 700 I 00.0 , 3.550 100.0 che nelle intensive ed è particolarmente elevato in Sicilia (60,7%) e in . Campania (48,1.%). Per quanto riguarda i tipi dei contratti, i contratti di affitto e di colonia parziaria impropria assorbono quasi 1'8o.% della superficie interessata, mentre i contratti di colonia parziaria propria e di compartecipazione, che soli comportano una partecipazione .dei proprietari al processo produttivo, occupano appena il 20.% della superficie interessata, ossia appena il 10% della superficie coltivata. Il contratto di affitto è in generale più diffuso dei contratti di colonia parziaria impropria. A determinare questa superiorità dell'affitto sugli altri contratti gioca la situazione di alcune regioni (Campania e Basilicata), · mentre ad attenuarla gioca quella di altre regioni (Sicilia per la mezzadria impropria nelle zone di latifondo e Puglia per la colonia impropria di una gran parte delle zone a colture arboree specializzate, nonchè gli Abruzzi Bibloteca Gino Bianco

.,, . per la notevole diffusione dell'appoderamento e della mezzadria classica nelle zone co~termini a quelle dell'Italia centrale). Molto più difficile è indicare il peso dei contratti determi~ando il Ripartizioneregionaledella superficielavorabileper tipi d'impresa A con tratti agrari I Della superficie a contratti agrari - Regioni Superf. % colonia colonia compartedella sup. affittanza appoder. . . • • lavorabile 1mprop. c1paz1on1 - Abruzzi-Molise 322 37.4 29.3 49.2 19~8 1.7 Campania 393 48.1 64.8 10.7 19.6 4.9 Puglia 653 45.9 48.2 6.3 40.0 5.5 Basilicata . 215 45.o 7 l .2 9. l 15·4 4.3 Calabria 333 4 2 ·5 44.6 l 2. l 30.0 13·3 Sicilia l. 194 60.7 3 1·9 4.4 54.8 8.g Sardegna 224 41.6 43.3 3.8 25·7 27.2 . TOTALE 3.334 48.5 43.3 10.8 37.4 8.5 numero delle famiglie agricole ad essi interessate. I dati dei censimenti della popolazione non sono attendibili al riguardo, in conseguenza della grande importanza nel Mezzogiorno delle posizioni professionali miste e .. Categorie professionali Agraria estensiva Agraria intensiva TOTALE migliaia % migliaia % migliaia % Propr. diretti colti. 2 93 26,8 618 36,8 91 l 32,8 Salariati a giornata · o ad anno ........ 506 41, l 599 35,6 1,105 39,8 Legati dacontr. agr. 2 97 27, l 463 27,6 760 27,4 · TOTALE I .096 100,0 I .680 100,0 2,776 100,0 del fatto che. il censimento indica solo le posizioni professionali prevalenti , e non anche le secondarie (5). È necessario, pertanto, ragionare sui dati e ricercare un tal peso per via congetturale e non statistica. ( 5 ) La ripartizione per categorie professionali degli addetti all'agricoltura nel Mezzogiorno e nelle Isole, secondo il Censimento 1936 è la seguente (vedi anche per questi dati l' « Annuario» citato sopra): . Bibloteca Gino Bianco

Le famiglie agricole nel Mezzogiorno e nelle Isole erano nel 1936 all'incirca 1.150.000, delle quali 450 mila nelle zone estensive e 700 mila circa nelle intensive. Non si è probabilmente lontani _dalvero supponendo che nelle zone estensive siano interessate ai contratti argrari in modo esclusivo o prevalente almeno 120.000 famiglie (27% circa) e in modo secondario o accessorio altre 150.000. Analogamente per le zone inten~ive si può considerare attendibile un calcolo che ne attribuisca 200 mila al gruppo di quelle interessate ai contratti in modo esclusivo o prevalente (30_% circa) ed altre 200 mila a quello delle interessate ad essi in modo secondario o accessoriq. Quasi il 60% delle famiglie agricole del Mezzogiorno e delle Isole sono, perciò, interessate ai contratti agrari e questo _dato più degli altri sta ad indicare come questo problema sia veramente centrale per l'avvenire di • • queste reg1on1. *** Questa che abbiamo descritto è la situazione attuale. Come ci si è arrivati? Qual'era la situazione in passato? Il Mezzogiorno agricolo all'inizio del secolo scorso era - e ce lo dimentichiamo spesso -- molto diverso da quello di oggi. La popolazione er~ pari appena al 40% dell'attuale. La superficie coltivata di oltre un terzo inferiore. Il regime della proprietà incerto e confuso. Assolutamente prevalente la coltura estensiva e la pastorizia. Le colture arboree specializzate estese appena su di un quinto della superficie che oggi ricoprono. Il rapporto tra coltura estensiva e intensiva in parti-colare era ben diverso dall'attuale. In gran parte gli oliveti, vigneti, agrumeti, frutteti e in generale le culture intensive, che oggi rendono meno povero il Mezzo- •giorno, allora non esistevano. Il nucleo campano di queste colture, pur esistendo, era molto più ristretto e meno intensivo; il nucleo attorno a Bari, le strisce costiere di Puglia, Calabria e Sicilia erano, per così dire, l'ombra di quel che sono oggi. D'altra parte nelle zone ad agricoltura estensiva i pascoli occupavano la più gran parte delle terre migliori e le pecore, malgrado la primitività degli ordinamenti pastorali, erano del 50_% più numerose, mentre la produzione cerealicola, esercitata su di una superficie minore e con molto minori rese unitarie, era del 50_% inferiore a quella _dioggi. _Irapporti sociali delle campagne erano, perciò, quelli che soli potevano Bibloteca Gino Bianco

corrispondere ad un'agricoltura così caratterizzata e ad un regime politico . · e sociale appena uscito dalle forme feudali e dominato dal disordine amministrativo, dalla penuria di capitali e dalla generale miseria. Dire che essi fossero dei rapporti servili è per lo meno inesatto perchè, se è vero che tra contadini e proprietari - per dirla con Franchetti (6 ) - non si erano « interrotte le tradizioni del servaggio >>, mancava quella relativa stabilità che è propria dei regimi servili. Per il Mezzogiorno agricolo all'inizio del secolo scorso si poteva piuttosto dire che quel che lo stesso Franchetti diceva della Basilicata e Calabria del 1874 e cioè che, « se non fosse una contraddizione in termini, l'agricoltura era ancora allo stato nomade >> e i rapporti caratterizzati da una tale precarietà e mobilità da non consentire la definizione di figure stabili, di stabili contratti; e da far sì che « la condizione dei contadini fosse quella di un paese dove l'offerta di braccia fosse grande in confronto della domanda ». È partendo dal riconoscimento di questa gravissima situazione iniziale che bisogna giudicare la profonda trasformazione delle campagne meridio-. nali nel secolo scorso : trasformazione che era già avviata a mezzo il secolo, anche se il progresso appariva, a chi per la prima volta si accingeva a studiare la realtà, trascurabile rispetto alla generale miseria o a quello che contemporaneamente si osservava altrove. Non è certo questo il luogo per. abbozzare la storia di quella trasformazione, che non è stata ancora compiutamente scritta e sulla quale il giudizio corrente non sembra positivo. Tuttavia, per rispondere al tema di questo articolo non si può non accennare ai tre aspetti fondamentali di quella trasformazione : nel regime della proprietà, nella organizzazione dell'agricoltura, nella condizione dei lavoratori. L'acquisto della proprietà della terra da parte della borghesia meridianale è stata, a mod·o suo, una grande impresa. Il regime fondiario precedente, con la prevalenza .della proprietà ecclesiastica e nobìliare, con la confusa situazione derivante dal regime degli usi civici e dalla incerta situazione dei vasti beni demaniali, sia comunali che regi, rappresentava una situazione aperta a tutti gli abusi e nello stesso tempo contraria alla stabilizzazione di qualsiasi tipo d'impresa e di qualsiasi iniziativa di trasformazione. La costituzione di un regime di proprietà privata con certezza dei ( 6 ) L. FRANCHETTI: Condizioni economiche e amministrative delle provinci,e napoletane, _in « Mezzogiorno e colonie», Fjrenze, 1950, pagg. 71, 72 e 87'. Bibloteca Gino Bianco

.... confini e dei diritti e con la liquidazione degli usi promiscui non ha rappresentato soltanto la premessa a qualsiasi sviluppo dell'agricoltura, ma, per . esser stata appunto realizzata da parte di una classe nuova e intraprendente, ha significato anche il passaggio di una gran parte della prop.rietà terriera nelle mani di coloro che soli erano allora capaci di iniziativa economica. I borghesi meridionali, che, attraverso molteplici vicende, con tutti i mezzi, leciti e illeciti, si appropriarono nei primi due terzi del secolo della maggior parte delle terre, erano spesso i più capaci imprenditori agricoli del tempo - pastori, massari, contadini più esperti e fortunati - o abili commercianti (in grano, lane, vino, olio); e furono loro a guidare tutte le innovazioni, seguiti talvolta e non seguiti più spesso da quegli altri nuovi proprietari che provenivano dalla toga, dall'amministrazione o dall'usura, oltrechè dai residui proprietari appartenenti alla nobiltà. A mano a mano che il regime della stabile proprietà privata si consolidò, prima di diritto e poi di fatto, nelle provincie meridionali, ·finalmente si consolidarono anche, in zone sempre più vaste, le imprese e le aziende agrarie. I regimi fondiari precedenti non avevano visto nel Mezzogiorno e nelle Isole, se non per eccezione, imprese che non fossero precarie e instabili. La più stabile e continuativa delle imprese era stata, in un certo senso, l'impresa pastorale che per sua natura non ha una sede fissa. Con l'affermarsi delle nuove condizioni, viceversa, nascono, con caratteri ben definiti di stabilità, da un lato le « masserie >> cerealicolq-pastorali delle zone estensive, dall'altro i fondi arborati - uliveti, mandorleti, vigneti, agrumeti - impensabili laddove non c'è certezza del diritto e· proprietà privata. Quante siano le « masserizie )) nell'Italia Meridionale e nelle Isole, e ancor più quante fossero un tempo (prima che nuovi ordinamenti prendessero il sopravvento su molte terre), certo nessuno ha calcolato; ma non si va forse lontani dal vero supponendone almeno una ogni due-trecento ettari su quei due o tre milioni di ettari che. certamente sono passati attraverso questa forma di organizzazione della produzione nei cent'anni che hanno preceduta la prima guerra mondiale. Otto, dieci mila « masserie )), con i loro caseggiati padronali, le loro stalle, i loro magazzini, le « cafonerie )), le casette dei salariati fissi, i recinti per il bestiame, gli « stazzi )) per le pecore, i fontanili e le staccionate, tutto quell'insieme di attrezzature cioè che, più o meno sviluppato, caratterizza questo tipo di semplici aziende __ agrarie, sono state create in massima parte nello spazio di pochi decenni tra il 1800 e il 1880, con un investimento che risulta imponente anche a chi BiblotecaGino Bianco

oggi affronta, con il largo aiuto dello Stato, il problema della trasformazione fondiaria delle terre estensivamente coltivate. Se poi agli investimenti fondiari si aggiungono quelli per l'esercizio delle aziende stesse, e in particolare per il bestiame da lavoro e da reddito, lo sforzo appare imponente perchè è certo da attribuire a questo tipo di agricoltura una gran parte dell'aumento dei bovini ed equini che si riscontra nel Mezzogiorno tra l'uno e l'altro censimento (200 mila bovini, ossia il 30% in più tra il 1864 e il 1881; 400 mila, ossia il 45% in più, tra il 1881 e il 1908). Se, poi, si considera lo sforzo compiuto per l'allargamento delle zone a colture arboree specializzate e promiscue, l'opera della borghesia meridionale nel secolo scorso appare veramente imponente. Anche qui cifre sicure mancano e bisogna ragionar per induzione sui pochi dati di cui si dispone. Non si va, tuttavia, probabilmente lontani dal vero supponendo che nel . secolo che precede la prima guerra mondiale, e in massima parte - tra il 1860 e il 1880- si siano piantati più di 200 mila ettari di oliveti specializzati e 20 milioni di piante d'olivo in coltura promiscua; 600 mila ettari di vigneti specializzati (oltre alle ricostituzioni dopo l'invasione fillosserica) e più di. 30 mila ettari di agrumeti, senza contare i fruttiferi in coltura promiscua. Certamente a quest' estendimento delle colture arboree hanno partecipato la proprietà coltivatrice e i contadini legati ai contratti miglioratari; . tuttavia anche questo sforzo è stato realizzato (in massima parte) mediante l'iniziativa e l'investimento padronale. Queste poche indicazioni non soltanto testimoniano il consolidamento· su vasta scala delle imprese padronali, ma permettono di comprendere anche l'evoluzione dei rapporti dei lavoratori con la terra. Prima che questo avvenisse, per la mancanza o l'estrema scarsezza di imprese organizzate e di terre trasformate, i lavoratori agricoli trovavano solo uno scarso impiego presso le aziende altrui, mentre non si potevano chiamare veri e propri contratti agrari gli accordi di affitto per le poche terre da loro coltivate. Lo stato di servo presso altri, l'affitto di poca terra, · qualche giornata a salario, il godimento degli usi civici, la raccolta dei frutti spontanei, bastavano al miserabile sostentamento del contadino, disoccupato per una gran parte dell'anno, legato ad un tempo ai vecchi rapporti servili e alla permanente servitù dell'usura. Con l'affermarsi della nuova proprietà e delle nuove aziende, invece, si aprirono a lui nuove possibilità e, se molte terre si chiusero _aisuoi usi precari, crebbero le possibilità vicine e lontane del lavoro a salario. Bibloteca Gino Bianco I

I lavoratori agricoli, cioè, si spogliarono delle ~orme del lavoro servile e dell'impresa precaria e diventarono,/ prevalentemente in alcuni luoghi, esclusivamente in altri, salariati agricoli, il cui salario, per quanto talvolta · più basso del precario reddito di prima, era meglio distribuito nel corso dell'anno e meglio consentiva di allentare la morsa dell'usura. La prima fase della trasformazione agraria del Mezzogiorno si chiuse così, intorno al 1880, al tempo della crisi agraria e dell'inizio tempestoso dell'emigrazione. Nelle impervie zone dell'Appennino o ~ei più poveri tratti costieri i vecchi rapporti precari e servili sussistevano inalterati e talvolta aggravati; ma altrove - nelle pianure costiere ed interne, nelle zone collinari meglio adatte alla cerealicoltura, in tutte le zone ormai conquistate alle colture intensive - l'attività agricola era passata saldamente nelle mani dei proprietari imprenditori (coadiuvati _dauna efficiente categoria di medi e grandi affittuari) e le masse lavoratrici avevano assunto figura e sostanza di braccianti e di salariati. A modo suo, cioè, l'agricoltura meridionale - malgrado alcuni residui del passato, sui quali troppo ci si sofferma - aveva avuto un rapido e completo sviluppo borghese e capitalistico. La seconda fase dell'evoluzione - i cui caratteri e resultati sono, per ·così dire, opposti a quelli della prima, or ora sommariamente illustrati - ha avuto inizio appunto intorno al 1880 e si è conclusa ai nostri giorni. I fenomeni che la determinarono sono numerosi e tra loro cooperanti ·anche se contrastanti : l'emigrazione, il movimento e la legislazione sinda~ cale, il crescere in vario modo della popolazione, il subentrare _dellenuove generazioni nella proprietà borghese, il frazionamento di questa, il rispar~ mio contadino, le sue conseguenze. Con intensità di volta in volta diversa \ questi fenomeni agirono ininterrottamente dal · 1880 al 1950, sulle classi agricole, trasformando gradualmente i rapporti tra proprietari fondiari e lavoratori. Comparsi quasi tutti negli ultimi decenni del secolo scorso, questi fenomeni hanno continuato ad operare, tranquillamente dal 1900 al 1915, in modo accelerato ed intenso dal 1915 al 1933, durante la prima , guerra, la prima inflazione e la grande crisi; si sono poi, per così dire, consolidati nei pochi anni di stabilità del regime fascista, per accelerarsi ancora e quasi compiersi in qt1est'ultimo quindicennio. [r6] Bibloteca Gino Bianco

, Emigrazione e movimento sindacale hanno insieme contribuito a_scoraggiare le conduzioni dirette dei fondi, dissuadendo i proprietari dai rapporti di salariato e incoraggiandoli a stringere con i lavoratori gli attuali contbtti agrari. La prima mossa in questa direzione fu data appunto intorno al 1880 dal primo massiccio avvio _dell'emigrazione transoceanica e sono note e impressionanti le testimonianze dello stato d'animo, insieme di panicd e d'ira, da cui furono presi i proprietari, nel vedersi improvvisamente a corto di braccianti, costretti ad aumentare i salari, indotti a stringere con i lavoratori quei rapporti continuativi di compartecipazione, che solo pochi decenni prima, al tempo degli alti prezzi, avevano essi stessi rotto e liquidato. I movimenti sindacali per l'aumento delle mercedi, per la riduzione delle ore di lavoro, per il collocamento, per gli imponibili di mano d'opera, per quanto deboli siano stati nel Mezzogiorno, hanno operato nella stessa direzione; e così pure l'introduzione e lo sviluppo delle assicurazioni sociali per i lavoratori agricoli. Son fatti questi, le cui manifestazioni nel tempo appartengono ad epoche in parte diverse, rria che agiscono in modo analogo e che, perciò, qui si accomunano, anche se gli effetti vanno rappresentati distesi in più che un cinquantennio e non concentrati in pochi anni. Se, poi, si riflette sul movimento demografico e si ricorda come questo sia stato diverso da luogo a luogo, si comprenderà quali ne siano state le conseguenze. Dove prevalse, infatti, l'emigrazione e lo spostamento yerso le categorie non agricole l'effetto è stato appunto quello che sopra si indicava. Dove e quando, all'inverso, ha prevalso l'espansione demografica, una delle forme che la concorrenza dei lavoratori ha più di frequente assunto, è stata quella della richiesta da parte loro di terra da coltivare direttamente per avere .la certezza dell'impiego e del reddito, sebbene questo risultasse scarso e ridotto per l'accettazione di patti onerosi. Dovunque l'effetto è stato, cioè, lo stesso, anche se la spinta a passare dalle conduzioni dirette a quelle indirette mediante i contratti colonici o l'affitto, in questo caso non partisse dalla maggiore onerosità e rischiosità del lavoro a salario, bensì dalla maggiore rendita ricavabile, per effetto di quella concorrenza, dalle conduzioni indirette. Nell'emigrazione, nel movimento sindacale, negli stessi contrastanti effetti delle vicende demografiche, sta, perciò, la radice prima del muta- ·' I .Bibloteca Gino Bianco

..... mento dei rapporti tra proprietari fondiari e lavoratori, della trasformazione dei primi in redditieri e dei secondi in imprenditori diretti coltivatori. Nella stessa direzione opera anche il secondo gruppo di fenomeni, cui abbiamo fatto cenno. La nuova proprietà borghese era stata, sì, all'atto della sua costituzione e nella sua fase di consolidamento proprietà imprenditrice e il suo esempio era stato largamente seguito; ma il mestiere d'agricoltore non aveva neppure allora rappresentato per la borghesia meridionale un ideale di vita. L'aspirazione d'ognuno non era quelia di legar sè e la famiglia all'esercizio dell'agricoltura, bensì l'altra di seguir la via degli studi superiori, delle professioni, del sacerdozio, dell'emigrazione in città, a star meglio, a far star meglio i figli. Se nella prima generazione i nuovi proprietari avevano avuto sufficienti forze e ragioni .per contenere in sè queste tendenze ed aspirazioni, nella seconda e nella terza - cioè appunto a cominciare dal 1880- essi sono stati) per così dire, inevitabilmente spinti ad assecondarle, non foss'altro per il fatto che, all'atto della successione ereditaria, i patrimoni, suddividendosi, perdevano quella consistenza che sola poteva giustificare l'impegno del proprietario a dedicare la propria esclusiva o prevalente attività all'esercizio del1'agricoltura. Assecondare quelle tendenze, tuttavia, conservando la proprietà non si poteva, se non cedendo ad altri l'onere dell'impresa. E questo avvenne. Le terre organizzate in « masserie )) passarono in gran parte nelle mani di grandi e medi affittuari; quelle, sia estensive che intensive, adatte alla piccola impresa e capaci di assicurare elevate rendite di monopolio furono cedute a coltivatori diretti con piccoli affitti o colonie improprie, con o senza l'aiuto d'intermediari. Solo nei casi di oliveti ed agrumeti bisognosi di scarsi interventi, al di fuori del raccolto, la proprietà mantenne, per così dire, la gestione dell'impresa. Qualcosa di simile avvenne a più forte ragione nel caso in cui il vecchio proprietario o i suoi eredi fossero stati indotti a vendere e ad essi fossero subentrati uno o più acquirenti non diretti coltivatori, provenienti da classi non agricole, avidi di trovare per i propri risparmi minacciati dalle svalutazioni un investimento di tutto riposo. In tal caso, infatti, l'idea della diretta gestione dei fondi neppure si affacciava alla mente, tanto più che i nuovi proprietari vedevano, nei contratti agrari a canoni crescenti, doppiamente soddisfatta l'esigenza che li aveva spinti all'acquisto. Cosa sia successodella proprietà borghese nel Mezzogiorno sotto l'azio- [18] Bibloteca Gino Bianco

ne ripetuta di questi motivi di frazionamento della proprietà è dimostrato da infiniti dati. La statistica del numero degli articoli di ruolo dell'imposta sui terreni indica come più intenso che nel rimanente del paese sia stato .n. el Mezzogiorno e in Sicilia il processo di frazionamento della proprietà fondiaria (1 ). Qualche indagine particolare dimostra, d'altra parte, come tale processo non interessi soltanto il fenomeno della crescente, graduale formazione della proprietà coltivatrice, bensì anche il frazionamento della proprietà che resta in mani borghesi (8 ). In molti casi la proprietà borghese si è ridotta ad un tale stato di frazionamento da non poter più costituire la base per la formazione anche. della più piccola azienda agraria e da escludere, perciò, la convenien~a di qualsiasi investimento. Quanto più è piccola la proprietà borghese, (') In mancanza di una serie di indagini ripetute sulla distribuzione della proprietà fondiaria, la statistica del numero degli articoli dj ruolo dell'imposta sui terreni rappresenta l'indice più valido del fenomeno del frazionamento. Ecco j dati relativi alle regioni meridionali per quattro dei sessantacinque anni .tra il 1889 e 1953 (in migliaia): Regioni Abruzzi-Molise . . . . Campania . . . . Puglia . . . . . Basilicata . . . . Calabria . . Sjcilia • . . Sardegna . . . . Sud-Isole . . . . . . . . . • Italia . . . . . . . 417 5°4 278 173 258 691 240 2.561 5.691 588 652 472 212 234 823 266 3·247 6.968 719 697 598 235 454 1.114 3°9 4.125 9.078 1953 776 848 793 301 512 1.329 358 4·917 10.467 1889==100 Indice al 1953 186,0 168,1 285,0 174,0 198,1 192,4 149,0 191,9 184,7 • i ~. ( 8 ) In Sicilia i « latifondi » di estensione superiore ai 200 ettari, che occupavano nel 1907, al tempo dell'Inchiesta Lorenzoni, Ha 718 mila circa, erano ridotti nel 1927, quando un altro stu<lio fu eseguito al riguardo (Molè), ad Ha 540.700; erano stati, cioè, frazionati, in vent'anni, 177 mila ettari, pari a circa il 25 o/o del totale. In Campania il confronto tra l'indagine catastale eseguita da Alessandro Brizi (Rapporti tra proprietà, impresa e mano- d'opera: Campania-, Roma, 1931) nel 1930 e la corrispondente indagine dell'I.N .E.A. del 1947 dimostra come le proprietà di ampiezza inferiore ai 25 ettari si siano estese, in soli 15 anni, su di una superficie parj al 5-10% di quella occupata dalle proprietà di maggiore ampiezza. Bibloteca Gino Bianco

perciò, tanto maggiore è divenuto il disinteresse e l'assenteismo effettivo del proprietario, anche se spesso più esosa è la sua pretesa nella riscossione .dei canoni e degli altri diritti contrattuali. Più ancora che per volontà, per forza di cose la proprietà borghese ha perduto, perciò, il car;ittere di proprietà imprenditrice (9 ). Esattamente il processo inverso è stato percorso ·dalle categorie contadine. I contadini d'ogni parte del Mezzogiorno non hanno, infatti, assistito inerti al processo di trasformazione della proprietà borgl1ese e non banno semplicemente accettato i nuovi rapporti che quella offriva loro, ma li hanno sollecitati e consolidati con la tenacia del loro lavoro e del ✓ loro risparmio. Non si può certo dire che un aiuto a questo fine sia loro venuto dal1' esterno. Il commercio dei prodotti agricoli si è conservato in forme decisamente contrarie agli interessi dei piccoli produttori; e così si dica per l'industria trasformatrice dei pro~otti stessi. Il credito è stato loro negato .di fatto, lasciandoli senz'alcun aiuto nella morsa dell'usura, progressivamente attenuata, ma mai scomparsa. Il peso degli inattivi e dei disoccupati è venuto continuamente crescendo sulle loro spalle, senza possibilità alcuna di attenuarlo ricorrendo alla pubblica assistenza. La loro posizione, infine, rispetto ai proprietari nell'applicazione dei contratti - sebbene sia progressivamente migliorata per quanto riguarda i residui ser~ili dei contratti stessi - non è affatto migliorata, anzi è peggiorata, per quanto ( 9 ) Secondo l'Indagine I.N.E.A. sui tipi d'impresa (G. Medici: / tipi d'i.mpresa n·ell'agricoltura italiana, Roma, 1952), la proprietà non coltivatrice nel Mezzogiorno e nelle Isole si divideva nel seguente modo in relazione all'ampiezza: piccola (meno di L. 10.000 di reddito imponibile) . . . . . . . media (tra L. 10.000 e L. 100.000 di reddito imponibile) . . . . grande ( oltre L. ·•100.000 di red,dito imponibile) . . . . . . . . (1000 Ha) % ,1.873 5o,9 1.352 36,'7 454 12,4 3.679 100,0 Poichè 10.000 lire d'imponibile corrispondono a circa 25 ettari nelle zone intensive, con una media di L. 400 d'imponjbile per ettaro, e a· circa 60 ettari in quelle -estensive, con una media di L. 150 d'imponibile per etta;o, ciò significa che oltre la metà della proprietà non coltivatrice ha un'ampiezza inferiore a quei limiti, e che in notevole parte ha un'ampiezza incom·patibile con la costituzione di un'organica .azienda agraria. Bibloteca Gino Bianco •

riguarda la sostanza del rapporto, .ossia l'onere dei canoni e della spartizione dei prodotti (10 ). Ciononostante la loro posizione d'imprenditori si è sempre meglio definita, le capacità tecniche sono cresciute, i capitali di esercizio in loro mano hanno preso consistenz~ e una notevole quantità di terra è stata da loro direttamente comperata. Anche qui non è facile dimostrare con le cifre ciascuna di queste affermazioni, ma le prove sono a portata di tutti. Chiunque entri in un vigneto o in un agrumeto - dove un tempo trovava, figure distinte, lo zappatore, il potatore, l'innestatore, ciascuno dei quali, finita la giornata, perdeva ogni rapporto col fondo - trova oggi un contadino, stabile sul fondo, indipendente o quasi dall'intervento padronale, più o meno esperto in ciascuna delle operazioni richieste; e lo stesso può dirsi per altri tipi di agricoltura, anche se, naturalmente, è questa una realtà rispetto alla quale· i contadini hanno raggiunto le nuove posizioni in misura diversa e hanno tutti ancora molta strada da percorrere. Quanto alla consistenza dei capitali di esercizio in loro mani, non si ,. ( 10 ) Uno studio ·metodico al riguardo non mi risulta che sia stato fatto, ma la verità dell'affermazione è dimostrata dalle infinite notizie che si possono raccogliere nella letteratura economico-agraria. Cito soltanto, perchè capitate per prime tra le mani, due testimonianze relative alla Campania, l'una, di venti anni fa, del Brizi (Rapporti tra proprietà, impresa e man-o d'opera: Campania, 1931), l'altra recente, tratta dall' « Annuario dell'agricoltura italiana » dello scorso anno. Il Brizi (pag. 150), parlando dei contratti agrari del Beneventano scriveva: « Nell'immediato dopoguerra,_ anche qui, in regime di svalutazione monetaria e di alti prezzj dei prodotti, la concorrenza nella richiesta ·di terre in fitto (ai vecchi contadini affittuari si erano aggiunti in questa rjchiesta anche i già salariati), e la viva richiesta di piccole terre in acquisto (sia da parte di contadini già piccoli proprietari, sia da parte di contadini che potevano aspirare a divenire piccoli proprietari) avevano prodotto elevazioni di canoni,. inasprimenti di appendizi, tendenza al pagamento dei canoni in natura, fitti di breve durata, patti di agricoltura stazionari. Fondi ad agricoltura estensiva, affittati con canone in derrate, erano arrivati a rendere al proprietario più di fondi a coltura attiva,. affittati in denaro ». E nell'•«Annuario» (pag. 207 del vol. VII) è detto: « In Campania i canoni di affitto stipulati sono statj, di solito, più alti rispetto a quelli equi stabiliti dalle Commissioni provinciali. Tale aumento, a volte di lieve entità, è stato, invece, fortissimo nelle zone a più alta concorrenza fra gli affittuari, come nell'Agro. Nocerino e nella zona vesuviana, dove hanno raggiunto valori quattro-cinque volte· superiori a quelli equi. Anche qui, raramente si è ricorso alle Commissioni competenti >>.. Bibloteca Gino Bianco

va certo lontani dal vero supponendo che almeno 4 mila delle 11 mila trattrici in uso nel Mezzogiorno siano di imprenditori contadini, e così pure almeno 500 mila capi bovini sul milione e 200 mila, e 800 mila capi equini sul milione e 200 mila totali. Non siamo, cioè, lontani dal constatare che è in mano dei contadini-. proprietari, coltivatori diretti o imprenditori legati a contratti agrari - oltre la metà delle consistenze di capitale agrario del Mezzogiorno e delle Isole. Quanto alla consistenza della terra comperata dai contadini del Mezzogiorno in quest'ultimo mezzo secolo, non si va probabilmente lontani dal vero supponendo che, dei 3 milioni circa di ettari di superficie coltivabile, oggi di proprietà dei contadini, 1.500 mila siano di vecchia formazione, risalgano cioè al secolo scorso o ad epoca più antica, e l'altro milione e mezzo di ettari sia stato acquistato, per un terzo nel periodo precedente la prima guerra mondiale, per un terzo in quello precedente la crisi del '30, e per il rimanente negli ultimi vent'anni (11 ). Sebbene molta sia ancora la str~da da percorrere, storicamente l'evoluzione può già considerarsi così conchiusa: i contadini sono divenuti imprenditori e i proprietari redditieri. È ora giunto il momento di trarre le conseguenze da questo fatto. Quali debbano essere queste conseguenze è, tuttavia, lungo da dire; e bisognerà, perciò, rinviare il discorso a un successivo articolo. ( 11 ) L'unico dato, che si basa su dj un'indagine effettiva, è quello relativo alla formazione di proprietà coltivatrice nel primo dopoguerra (indagine eseguita dal1'I.N .E.A., sotto la guida di G. Lorenzoni - vedi sua Relazione finale, pubblicata dal1'I.N.E.A., Roma, 1938, e una larga mia recensione ripubblicata nelle mie « Note di economia e politica agraria», Roma, 1949). GH altri dati rjsultano da induzioni e congetture variamente basate. . Bibloteca Gino Bianco

-La Sicilia alla vigilia delle elezioni di Vittorio De Caprariis La storia politica della Sicilia negli ultimi dodici anni è più intensa, complessa e ricca di quella del Mezzogiorno continentale: l'isola è anchè essa passata attraverso le molteplici esperienze che quest'ultimo ha vissuto, 1na ne ha ~vute in più delle altre, che hanno contribuito talvolta a modificare non poco quelle stesse che essa divideva con le altre regioni me~idionali. Qui infatti le forze di estrema destra, che nel Mezzogiorno continentale si affidavano nel '46 ai monarchici e ai qualunquisti, hanno agitato in primo luogo il vessillo del separatismo; qui la lotta contro il banditismo è diventata addirittura un fatto politico - e per qualche momento un fatto di rilievo e d'importanza nazionale - per la collusione accertata di certi settori· dell'opinione politica con la mafia; qui il fatto stesso dell'esistenza di una Regione, con un suo parlamento e un suo governo, ha contribuito a rendere più febbrile la vita politica, ma anche a falsare certi dati, a impicciolirlì o ingrandirli contro la realtà, e a presentarli dunque come riflessi da uno specchio deformante; o, peggio, ha contribuito a rendere possibili certi schieramenti di forze che sul piano nazionale risulterebbero calami- . tosi; qui finalmente s'è fatta la prova della validità di certe formule politiche, e la si è fatta in anticipo, sì che dai risultati che si sono avuti si può agevolmente misurare l'efficacia di esse. Per certi versi, la Sicilia, dunque, pur con le sue peculiarità, è una sorta di grande riserva di esperimento: le conseguenze di una determinata azione in Sicilia si ripercuotono immediatamente sul piano nazionale; quando si muove 4ualcosa nello schieramento siciliano, questo movimento 110npuò non avere ripercussioni sul continente. È per questo che appare assurda la pretesa di coloro che vogliono trattare le prossime elezioni reBibloteca Gino Bianco -

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