Lo Stato - anno II - n. 15 - 30 maggio 1961

POLITICA ESTERA -L'A·L G E R I A E IL PETROLIO I giacimenti maghrebini sono tali da poter mettere in crisi il circuito idrocarburico mediorientale e quello caraibico: cioè, Gran Bretagna e Stati Uniti. L'altro vertice del trian– golo è l'Unione Sovietica che lavora su due direttrici, come sempre : sta per l'indipendenza algerina proprio per poter un giorno mettere in crisi i petroli anglo-americani e nel frattem– po penetra nei mercati occidentali con massicce forniture di grezzo. In Italia, attraverso l'ENI, è già giunta a co– prire il 13,1 per cento del fabbiso– gno petrolifero e il 75 per cento di quello dell'olio combustibile. Questi i termini della questione. Tutto il resto è anacronismo nazio– nalistico, reso più tragico dallo stra– bismo divergente di molte forze del– l'Occidente che guardano a destra per vedere in realtà a sinistra. Ecco cos'è la con/ erenza di Evian. Infatti, non si sta discutendo se le turbe indigene debbano essere rappre- • se~tate in un modo invece che in un altro: si sta discutendo se il Sahara debba considerarsi algerino - e non lo è mai stato, anche perché l'Algeria non esiste - o se debba rimanere indipendente, com'è infatti adesso. Al– la discusione, interviene sottobanco, anche il Marocco potenziale concor– rente dell'Algeria per assicurarsi una fetta dei giacimenti. Naturalmente, ·consulente petrolifera è la Gran Bre– tagna. A Ginevra in questi giorni gli emissari della British Petroleum e del– !' ENI, della Standard Oil e del Sovuz– nestexport, ruotano come sparvieri. Nel frattempo Bourghiba a Washin– gton fa da mediatore petrolifero tra la Francia e gli Stati Uniti, i quali a loro volta hanno messo in ginocchio De Gaulle: prima aiutando ChaUe a Lo STATO t:\.,;a inobianco insorgere, poi mollandolo in corsa quando De Gaulle si era sufficiente– mente ridimensionato. Su questo non vi sono più dubbi : basta aver seguito la letteratura giornalistica francese di queste ultime settimane, e valga per tutti quello che ha riassunto Augusto Gtterriero su « Epoca » della penul– tima settimana di maggio, un lucido centone documentario che nessuna gazzetta italiana ha avuto fegato ba– stante da echeggiare. No: bisogna che l'opinione pubblica creda che Challe e gli altri fossero semplicemente dei fascisti. Ma tutto ciò che oggi è docu– mentato, noi lo intuimmo in un arti– colo su un quotidiano romano della sera, intitolato « PERCHE'?», il 22 aprile, cioè poche ore dopo il colpo di mano di Algeri, che cominciava con queste parole : « L'Algeria non c'en– tra... ». E, infatti, non c'entra. Si vuole im– pedire f.lll' Europa di r~tornare ad essere un grande blocco militare ed economi– co. Altrimenti, è inutile averla battuta per tante volte, specie ,l'ultima. Oggi, è necessario più che mai impedir– glielo : perché c'è il pericolo che essa realizzi l'Euro-Africa, formida– bile blocco geo-politico che segnereb– be il declino di altri bacini econo– mici. Ecco perché, c'è chi tenta di abbas– sare le sbarre del passaggio a livello mediterraneo, ad impedire che l'Eu– ropa tenda all'Africa e viceversa. La manovra è quasi riuscita per intero : basta ora abbassarle anche in Alge– ria, come è accaduto in Egitto, in Li– bia, in Tunisia, nel Marocco. Più in là, a sud, c'è l'altro passaggio a livel– lo: quello dell'uranio congolese, pre– cluso ormai alla Francia comunitaria da quando il socialista Spaak è andato al potere in Belgio. Infatti, Ciombè è stato subito tolto di mezzo, mentre l'ONU e il filo-americano Kasawubu sono sulla cresta dell'onda. Ora sia detto chiaro che questa po– litica non può continuare. Quando parlano di rafforzare l'Occidente, gli anglo-americani bisogna che ridimen– sionino il concetto di colonialismo. Se ritengono che i popoli debbano esse– re liberi di governarsi da sé, siamo d'accordo; se invece, libertà debbono essere accordate agli indigeni perché disponendo dei propri rancori escano da un'orbita per entrare in un'altra, allora le cose cambiano. Il petrolio alge– rino è di chi lo ha scovato, non di chi ci ha camminato sopra per millen– ni. Noi crediamo nel diritto del lavoro, non in quello della na– scita. Non si può a Roma, Parigi, Lon– dra spregiare il nobile aristocratico, parassita, dalle mani impreziosite, per forma e anelli, dall'ozio del casato, e, poi, esaltare il cannibale o lo sceicco di turno che dice : fuori sporco bian– co, questa è terra mia perché ci sono nati mio padre, mio nonno e il padre di mio nonno. Di questo passo resti– tuiamo New York ai pellerossa e fac– ciamoci ridare le otto punte di freccia che gli Olandes,i pagarono per otte– nerla; rendiamo alla malaria, al tra– coma, alla lebbra tutto quello che ab– biamo loro strappato in Brasile, in Ar~entina; riconsegnamo, il Messico a Montezuma, eccetera. I popoli si ag– girano sulla terra secondo le loro ca– pacità di lotta e di lavoro : e -nessuno di essi risiede oggi dove si trovò ieri. I popoli camminano per un fenomeno che le scienze naturali chiamano tro– pismo, quella proprietà che è così evi– dente nel girasole. Chi li ferma, li uccide. 7

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