Lo Stato - anno II - n. 10 - 10 aprile 1961

Ji aiildareavanti: l'edonismo, il desiderio di quieto vivere, l'economicismo ebbero certo la loro parte nel rendere lo spirito pubblico belga inadatto a questa grande impresa. La grande demoralizzazione eu– ropea crescee continua: il caso belga ne è un impres– sionante documento. Le responsabilità europee per la crisi congolese sono primarie e determinanti: ma vi è anche certo la corresponsabilità americana. Non c'è dubbio che ia cultura e la politica americana tendano a rappre– sentare qualunque volontà europea di rimanere in Africa quale deplorevole colonialismo e come vo– lontà di potenza. Fu già dimostrato, nel caso della Francia, che il bisogno di «colonizzare » risponde ad altre esigenze che quello di trovare materie prime e mercati di consumo; nel caso del Belgio, questo era non meno evidente. E che fossero gli interessi economici i più. pronti ad abbandonare il Congo, mostra quanto la descrizione marxista e paramarxista degli avveni– menti contemporanei sia lungi dall'essere una rap– presentazione della realtà. Dagli S.U., il Belgio, nell'abbandonare il Congo, non ebbe che applausi: e ciò che fu un atto inspiega– bile atto di dimissione civile, venne salutato come una testimonianza della longanimità mor:ale dello Occidente. Il triste, ininterrotto contorno di violenza, la sofferenza del Congo in tutte le sue parti, lo stato di guerra tribale in cui è precipitato un luogo prima pacifico, la tensione internazionale, l'intervento di– plomatico sovietico, la semicrisi delle Nazioni Unite sono state le conseguenze di un atto moralmente ingiusto e politicamente improvvido.. Gli S.U., sono poi stati costretti a reinterveni·re, wllecitando e organizzando l'intervento delle N.U. L'opinione pubblica del mondo cristiano non può non inchinarsi commossa dinanzi a quei soldati irlandesi, morti in difesa di una terra non loro, per la libertà e la pace del Congo. Ma non possiamo non dimenti– care che un'armata i:nternazionale, divisa in se stessa, ·non può far altro che accentuare la divisione del Congo: mentre scriviamo, non sono escluse le solu– zioni peggiori. La scelta dell'ONU continua essere in principio favorevole al riconoscere il Parlamento lumumbista di Leopoldville quale il rappresentante legittimo del Congo. La mozione dei neutrali, il cui voto è stato riconosciuto come un successodella politica americana ed un insucc-essodi quella sovie– tica (quando in realtà è cosi evidente il contrario) obbliga in tal senso.le truppe dell'ONU. L'intervento delle N.U., non risolve nulla, per– petua soltanto e rende incomponibile il dissidio con– golose. L'instabilità politica, che in Congo vuol dire guerra sanguinosa, continuerà a regnare in quel 4 10 ecaginobianco paese finché ci si illuderà di ricondurlo a unità con uno strumento che ne riflette le divisioni. L'ONU non è il quadro di una politica ame– ricana in Africa. Eppure gli S.U., hanno votato con gli stati afro-asiatici e con il blocco sovietico a fa– eore di un'inchiesta dell'ONU nell'Angola porto– ghese. E' motivo per noi di umilia·lione che il go– verno italiano abbia in tal caso rotto la solidarietà europea in una causa giusta. Ci sono molti altri Stati del mondo, e dello stesso terzo mondo afro– a.siatico,che meriterebbero molto più del Portogallo tale inchiesta. Ben pochi degli Stati che partecipe– ranno a quell'inchiesta avranno le carte in regola per giudicare. Gli S.U., si accorgeranno ben presto che le N.U., non sono una via alternativa al Belgio o al Porto– gallo: e se non si vuol far piombare l'Africa Nera nella barbarie e le classi dirigenti africane nella influenza sovietica, occorre essere presenti in Africa. L'America sarà costretta ad occupare in Africa il po– sto che ha praticamente costretto l'Europa ad ab– bandonare. Il problema dell'Africa è forse il problema più difficile della « nuova frontiera »: al centro di esso v1 è una drammatica questione che si chiama Sud Africa. Una situazione esasperata, è ben chiaro: ma che può per questo diventare gravissima. In ogni caso gli S.U., non hanno altra via in Afri– ca che una via di stretta cooperaziont con le potenze europee per garantire lo sviluppo àvile del conti– nente nero. Far ruotare la politica africana degli S.U. (e quindi della società libera) attorno al mito del– l'indipendenza invece che alla speranza dell'inte– grazione civile delle razze significa battere la via dell'anarchia ed aprire un nuovo ricco spazio di penetrazione all'infiuenza marxista ed alla tensione internazionale. I rapporti con l'URSS Uno dei rischi dei «pianificatori>> della politica estera americana è di ridurre tutto alle questioni dei rapporti con l'URSS. L'URSS non vuole la guerra: vuole però il mas– simo di vantaggi di potere possibile per se per il suo sistema, in un clima di pace fredda. Di ;tanto aumenta la capacità degli S.U., di risol– vere i problemi di equilibrio delle are-e di confine indicate, di tanto si fanno più solidi i rapporti russo-amencam. Un accordo sul disarmo è certo una cosa impor– tante, specie se condurrà ad una sorta di controllo internazionale della produzione di ordigni atomici: e tuttavia non sarà esso come tale il fondamento del– la pace atomica. Gli stocks esistenti sono da solo

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