Lo Stato - anno II - n. 10 - 10 aprile 1961

Alessandro VI e Savonarola Dalla lettura degli ultimi scnttI di Giovanni Soranzo, su Alesandro VI e Savonarola (Vita e Pensiero, Milano, 1960), si comprendono, senza sforzo, le seguenti tesi del!'Autore. I) Papa Alessandro. VI Borgia non è stato quel perfido Papa che tutti dico– no. 2) Alessandro VI fu soprattutto un appassionato paladino dell'unità d'Italia contro lo straniero. 3) Savonarola ebbe il torto di non capire quale portento di Papa avesse di fronte e di comportarsi come peggio non avrebbe potuto, (pa– gine 161/163; 243/248). Sono tre tesi completamente false. E la dimostrazione che il Soranzo preten– de darci, procede in un ginepraio di documenti, sistemati e interpretati ad arte, in modo che il Savonarola non ne azzecchi una e finisca per essere ridi– colo e stomachevole, mentre Alessandro VI, consumato di pazienza e di longa– nimità, termini in bellezza quasi con l'aureola dei santi. Come l'Università cattolica del Sacro Cuore, che vanta tra i suoi docenti il Prof. Soranzo, e il poderoso schiera– mento costituitosi dietro di lui, di al– cuni professori del seminario di Vene– gono e dei giornalisti dell'Italia di Mi– lano e della Compagnia di S. Paolo di Alba, abbiano potuto esaltare una si– mile contraffazione della Storia, rimarrà forse a lungo un mistero. Per controbattere il Soranzo bisogne– rebbe riscrivere riga per riga la sua storia. Ci limiteremo qui a far crollare l'artificioso e calunnioso edificio, ricor– dando semplicemente quanto segue. I) La causale fondamentale per cui Savonarola venne sospeso dalla predi– cazione, scomunicato e impiccato, fu l'accusa di eresia. Anche il Soranzo lo dice (pag. 174, 203). Savonarola, però, ritenne sempre questa causale una ca– lunnia insinuata da persone a lui ben note, e perciò considerò sempre giuridi– camente inesistenti i provvedimenti a suo carico, benché muniti della firma autografa del Papa e dei sigilli apost.o– lici. Ora la Chiesa ha già riconosciuto, in tre giudizi ufficiali, che Savonarola eretico non era; e la conseguenza terri– bile è che dunque Savonarola era inno– cente e aveva perciò sostanzialmente ra– gione. I tre giudizi della Chiesa sono i seguenti: a) Nell'inverno 1495-96, l'Inquisizio– ne - Santo Ufficio - in.i;,-..i;,u~, per or- 30 bibliotecaginobianco dine di Alessandro VI, un procedimen– to contro Savonarola, per accertarne la ortodossia. L'istruttoria, iniziata dal fu– turo Beato Sebastiano Maggi, si con– cluse dinanzi a una commissione com– posta da due Cardinali, due Vescovi e dieci teologi domenicani, la quale, in– vece di condannare Savonarola, provocò il permesso di Alessandro VI a Savona– rola perché riprendesse la predicazione (Soranzo, pag. 181, 189, 190). b) Nel 1558, la Sacra Congregazione dell'Indice esaminò in modo solenne gli scritti di Savonarola, presente il Papa in persona e praticamente tutta la Sede Apostolica. Dopo acceso dibattito, l'or– todossia di Savonarola fu riconos'Ciu:fa; solo furono messe all'Indice alcune pa– gine, con la formula « donec corrigan– tur », che non è di condanna, ma di prudenza, stante i tempi agitati dalla riforma protestante. e) Nel 1900, Leone XIII fece togliere dall'Indice quelle poche cose: e nomi– niamo di proposito Leone XIII, perché fu questo Papa intelligente che lo volle di persona, a suggello delle sue note espressioni: « Lo sappiamo, lo sappia– piamo, che Savonarola è un Santo, ma ii suo tempo non è ancora venuto!». Il Soranzo mette in dubbio la portata di questi giudizi (pag. 161) e cavilla su ciò che si intese per eresia (pag. 244). Ma il Soranzo, oltre a dare qui una pa– tente dimostrazione della sua, si di– rebbe, voluta superficialità, manifesta un'ignoranza completa su quella che è la severità dei procedimenti e dei giudizi della Santa Sede in materia di orto– dossia. II) S. Caterina de' Ricci e S. Filippo Neri ebbero un'insigne devozione per il Savonarola, accompagnata da visioni, apparizioni, miracoli, attribuiti al!'« in– vitto Martire», come lo chiamava San– ta Caterina. Ora la canonizzazione dei due Santi è un'implicita approvazione della loro devozione verso Savonarola, perché se ci fosse stata la benché mini– ma difficoltà in merito, certamente i re– lativi processi di glorificazione canonica sarebbero stati accantonati. Per S. Fi– lippo, non si fece neppure la questione. Per S. Caterina de' Ricci, fu sollevata di proposito, e superata con una senten– za di non luogo a procedere contro. Il caso di S. Caterina de' Ricci e di San Filippo Neri è tanto più importante in quanto ambedue erano fiorentini e figli immediati di quella generazione che aveva conosciuto il Savonarola, sic– ché essi si fecero cultori della di lui memoria nel senso più significativo e anche polemico che si voglia intendere. Essi furono in relazione tra di loro in quello spirito, al punto che S. Filippo godette del dono della bilocazione per essere a un tempo a Roma e a Prato vi– cino alla sua compagna d'infanzia e emula di santità. Se si pone poi a confronto questa de– vozione dei due Santi fiorentini del pri– mo Cinquecento, con il quadro che il Soranzo ci ha contraffatto quattro se– coli dopo, si rimane umiliati, e ci si chiede con pensosa tristezza che cosa voglia mai dire il Soranzo quando scrive di lusingarsi di appartenere alla categoria degli storici sereni (pag. 244) e quando dichiara: « come studioso e come cattolico ritengo di compiere un dovere nell'apportare in merito, quale che sia, un lume» (pag. 246). III) Nessuno può contestare anche al più losco Machiavelli, una straordinaria sensibilità a quella che egli per primo chiamò « la realtà effettuale », il senso cioè della storia che affluisce e culmina nel momento politico, e una reale pas– sione per l'Italia. Orbene, nel « Prin– cipe », il Machiavelli scrive, al capo XVIII: « Alessandro VI non fece mai altro che ingannare uomini, né mai pensò ad altro, e sempre trovò soggetto da poterlo fare; e non fu mai uomo che avesse maggiore efficacia in asseverare, e che con maggiori giuramenti affer– masse una cosa, e che l'osservasse meno; nondimanco sempre gli succederono gli inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del mondo ». E al capo XI: « Surse di poi Alessandro VI, il quale, di tutti i pontefici che sono stati mai, mostrò quanto un papa, e con il denaro e con le forze, si poteva prevalere; e fece con lo strumento del duca Valentino (Cesare Borgia), e con la occasione della passata dei Francesi, tutte quelle cose che io ho discorso di sopra nelle azioni del duca». Quali siano poi quelle azioni del duca, ce lo dice in uno spietato giudizio fi– nale il Pastor, l'autorevole storico dei Papi della Rinascenza: « Il compito di un Papa in quel tempo era appunto di opporsi alla mondanità, a quella fiu– mana di corruzione che s'avanzava im– petuosa; ma Alessandro VI vide la sua vocazione nel provvedere alla propria famiglia, come un principe terreno alla

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