Lo Stato - anno II - n. 8 - 20 marzo 1961

Nubi sull'industria automobilistica Da circa un anno a questa parte si rincorrono le notizie, frammentarie per 10 più e non collegate secondo una realistica valutazione, in merito ad una crisi del settore automobilistico. I pn– mi cenni sono venuti dagli Stati Uniti, ma, immediatamente dopo è stata la volta della Francia, dell'Inghilterra, del– la stessa Germania. La crisi dunque è in _atto, si snoda come un serpente toc– cando questo e quel Paese, questa e quella azienda o gruppo industriale, seguendo una linea apparentemente il– lcgica, ma le cui conseguenze non van– no assolutamente sottovalutate da chi, almeno per il momento, ne è rimasto fuori. E tutto lascia credere che questo sia il caso dell'Italia. Sta a dimostrarlo la cura con la quale si pone in rilievo come la nostra produzione in questo settore non ab– bia subito la benché minima flessione, anzi sia andata invece progressivamente aumentando, raggiungendo percentuali elevatissime e senza precedenti. Il mal– celato senso di soddisfa,zione che per– mea i comunicati delle aziende e quelli degli istituti statistici nei raffronti con le produzioni estere, come pure le eu– foriche dichiarazioni di responsabili del mondo economico e politico, invitereb– bero a pensare che in Italia tutto vada per il meglio e_che non vi sia alcuna preoccupazione per il futuro. Ma quan– do la crisi colpisce aziende fino a ieri robuste e saggiamente dirette, nell'am– bito del MEC e dell'EPT A, si impone uno sguardo più attento ed analitico della situazione: ed allora ci si accorge che si tratta di una politica dello struz– zo per cui si vuole ignorare il male che ha colpito il nostro vicino di casa soltanto perché, grazie a Dio, noi stia– mo benone, almeno per ora. I licenziamenti di migliaia di operai e le massicce riduzioni di orari lavorati– vi presso le aziende della Vauxhall, 22 bib110 ecaginobianco della B.M.C., della Ford m Inghilter– ra, o della Borgward in Germania, o della Renault in Francia pongono seri interrogativi che non debbono essere la– se1att senza risposta per non trovarci impreparati di fronte ai possibili svi– luppi che fatalmente si ripercuotono presto o tardi anche sul nostro mercato e sulla nostra produzione. D'altronde, a voler bene sceverare il vero dal meno vero, e ben interpretare le cifre e i diagrammi, un primo cam– panello d_i allarme dovrebbe già essere suonato anche per le orecchie meno attente. Secondo i dati forniti dall'AN– FIA, che raggruppa le fabbriche italia– ne dell'auto, la nostra industria automo– bilistica ha nel ·1960 prodoto 644 mila 617 autoveicoli (di cui circa 598 mila Yttture) con un incremento di oltre il 28% sulla produzione del 1959. Ma nello scorso anno sono stati esportati circa 204 mila automezzi con una di– minuzione di quasi 1'8% rispetto al 1959. Di contrapposto l'importazione di autovetture estere in Italia, che nel 1959 ascendeva a meno di diecimila unità, nel 1960 si è più che raddoppiata, ed il fenomeno continua con rapida pro– gressione anche in questi primi mesi del 1961. Una flessione quindi esiste, anche se limitata al settore esportazione importa– zione, ed è un dato di fato che non può essere ignorato. Tanto è vero che, mal– grado l'uffici~le ottimismo, nelle re– centi trattative con i rappresentanti dei lavoratori, la Direzione della PIA T, ad esempio, non ha mancato di sottolinea– re come esista qualche fondata preoc– cupazione per cui l'Azienda deve agi– re con la massima prudenza e non la– sciarsi afferrare la mano da una con– giuntura che potrebbe rilevarsi del tut– to temporanea. Sta di fatto che la esportazione de– gli autoveicoli è ancor oggi una delle L'euforia nel mercato Europeo dell'automobile s'attenua progressivamen– te e, se le cose non cam– bieranno, ·rischia di mu- tarsi in pessimismo maggiori fonti di introito per la no– stra industria automobilistica: prima dellà contrazione ascendeva infatti ad oltre il 45~'6 della intera produzione. Di quì ognuno può considerare nelle sue giuste proporzioni la serietà del fenomeno, e meglio seguirci in quan-· to esporremo. La nostra esportazione è concentrata in •pochi mercati: il 40% circa in Germania, il 22% negli Stati Uniti, il rc.:stoin altri paesi europei; scarsissima l'esportazione nei paesi sud americani ed extraeuropei. Ora, dai dati in nostro possesso, risulta che la maggiore con– trazione nelle nostre esportazioni nel 1960 si è verificata sul mercato statu– nitense e in misura notevolmente infe– riore sugli altri mercati. La crisi della auto in america, che pure non è alle porte di casa nostra, ha quindi comin– ciato a colpirci. Sembra un paradosso ma non lo è. Di fronte alla invasione delle vetture europee di piccola e media cilindrata che, contro tuttte le previsioni, hanno interessato il pubblico americano, i grandi gruppi industriali statunitensi hanno in breve tempo revisionato i pro– pri programmi, impostato nuove catene di montaggio, creato nuovi modelli, ed hanno sferrato una controffensiva mas– siccia non soltanto sul piano interno ma anche sugli stessi mercati europei. Sono di ieri le prime « compacts cars > e già si parla di supercompatte del tipo tradizionale europeo da lanciare proprio sui nostri mercati. Un'abile propaganda interna inoltre, senza risparmio di mez– zi, martella quotidianamente l'opinione pubblica americana e non rifugge di ricorrere ai cosiddetti « sindacati gialli > di ben chiara fama, che esercitano pres– sioni di ogni specie sotto il pretesto che, acquistando vetture straniere, si contribuisce a spingere alla disoccupa– zione gli operai americani. Non pas-

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