Lo Stato - anno II - n. 3 - 30 gennaio 1961

t, Contro tutto questo, la Francia op– pone in Algeria - per allentare la tensione - un vasto piano di bonifica sociale, l'istituzione di organi di go– verno a larga· partecipazione indigena e il rilancio dell'economia dipartimen– tale. Se non che, si tratta di palliativi: gli Arabi sono stati diffidati dall'FL.N. dall'assumere cariche offerte dai Fran– cesi e gli Europei stanno trasferendo i loro averi nella metropoli. Il Ministro del Commercio, facendo eco al grido di allarme per questa fuga, ha annun– ciato che mentre sino al mese di ot– tobre le ditte francesi che chiedevano compartecipazioni m Algeria erano cil"Ca 130 il mese, in novembre, dicem– bre e gennaio si sono ridotte a quattro, cinque. In tali condizioni, si osserva negli ambienti economici parigini, a che serve costruire le previste 80 mila abi– tazioni, a che serve gettare miliardi di franchi in un paese che non consentirà mai il loro recupero? E' evidente che in tali condizioni le pretese dell'F.L.N. aumentino a vista d'occhio. Ed è proprio questo integrali– mio che rende la pojizione di De, Gaulle quanto mai difficile e, forse precaria: la Francia non può abbandonare l'Al– geria, non tanto per ragioni umanita– rie (il milione passa di francesi e i due milioni, circa, di mussulmani che si sono compromessi agli occhi dell'F.L.N, per i loro sentimenti integrazionisti), quanto per ragioni strategiche e minera– rie. Su questo De Gaulle non ha mai • mostrato di voler transigere. Ma queste esigenze non possono essere soddisfatte da Farhat.Abbas il quale premuto com'è dalla potente sinistra del suo governo è costretto a comportarsi come se l'ar– mistizio eventuale sia un asso piglia~ tutto. Il leader algerino sa che questa po– litica porterà l'Algeria eventualmente indipendente nelle mani del Co– munismo internazionaie, ma non può opporsi. A lui come persona sono in molti a fare un certo credito di buo– na fede, ma la realtà è che Farhat Ab– bas è guardato a vista dal gruppo che ;fa capo al Ministro degli Esten, Belkhacem e dal • Capo di Stato Maggiore della guerriglia, incaricato all'indomani del fallimento di Me– lun, proprio per dare alla rivolta un 6 tecaginobianco carattere totalitario. Se . Farhat Abbas scende daila tigre che cavalca, ne resta divorato. Se il suo estremismo ha un senso (egli, « moderato per natura», ebbe a dire.un giorno), è tutto qui: teme di fare la fine del cecoslovaccoMasàryk. In questa stessa posizione si trova chi lo ospita sul suo territorio: Bourghiba~ il quale da quando la vicenda algerina ha cominciato ad avviarsi per la china del!'internazionalizzazione, si è ritratto nel guscio. Ha dichiarato, è vero, che i suoi porti restano .a disposizione dei rifornimenti cino-sovietici e di quanti altri paesi vorranno inviarne, ma non ha voluto prendere parte alla conferenza di Casablanca (in cui si sono gettate le basi logistiche e strategiche dell'inter– vento plurimo nel conflitto algerino), né ha voluto aderire a quella indetta dalla Lega Araba prevista per il 30 gennaio. Non solo, ma nel frattempo si è dato d'attorno per riallacciare il col– loquio franco-algerino, inviando niente meno che suo figlio, ambasciatore presso la Repubblica francese, ora in rottp diplomatica con De Gaulle, a prendere contatto, in !svizzera, con un alto fun– zionario del Quai d'Orsay. Ed è tale il timore di Bourghiba che l'Algeria di– venti una « Corea mediterranea» che poco o nulla ha detto, quando giorni fa l'artiglieria francese, a norma del co– riddetto « diritto di inseguimento » ha bombardato per tre giorni consecutivi alcune basi algerine in territorio tunisi– no. Vi sono stati morti e feriti ma il Presidente, contrariamente a quanto ar:– cadde per Sidi Sakiet, ha lasciato cor– rere. E' evidente, c.he questo « centrismo » - sia in Francia, sia in Tunisia, sia nel Governo provvisorio algerino - non avrà grandi successi. Non tanto per la statura degli uomini che lo rappre– sentano, quanto per le forze che gli sono ostili. A Parigi, gli esponenti di quel 46 per cento che al recente refe– rendum ha votato contro De Gaulle. sono tanto forti che il Presidente della Camera, Chaban-Delmas, è stato in– viato in Ispagna perché persuada Salan. Lagaillard e Ortiz a non costituire il Governo del!'Algeria francese, in esilio, giacché - aggiunge qualche giornale .,olitamente bene informato come t~~ AURORE» - non è escluso che e.rperiti certi tentativi di pacificazione la situazione possa tornare ad essere fa– vorevole ad un loro ritorno in patria con tutti gli onori. Non è certo che Chaban-Delmas abbia detto questo, ma è verosimile. Egli fu quel Ministro del– la Difesa negli ultimi Gabinetti della Quarta Repubblica, che preparò il colpo di Stato con una bravura nel doppio giuoco che solo la lettura del resoconto che fa Bromberger degli avvenimenti che prepararono il 13 maggio può far apprezzare. Chaban-Delmas è stato il piccolo Talleyrand della Destra fran– cese. Non è escluso che ora senta, con quell'infallibile istinto che hanno certi gioc'Jtori d'azzardo, che la meteora del secondo De Gaulle sia per finire il suo ciclo. Chaban-Delmas non ha mai sba– gliato. Scartò Petain e puntò su De Gaulle: vinse; scartò Mollet, Schuman e Phlimlin e puntò su Soustelle e Mas– su: vinse; scartò questi e ripuntò su De Gaulle: finora ha vinto. Adesso, questo incontro con Salan, Lagaillard e Ortiz, ha sentore di bruciato. Il vecchio Ge– nerale sta male:· l'ha già detto un paio di volte anche alla radio-televisione; lo esito del referendum non lo ha ·soddi– sfatto e a malincuore, egli tutto d'un pezzo, lascia che i servizi d'informazio– ne, in Francia e al['estero, con la com– piacenza del!'apparatd propagandistico social-comunista. facciano credere che sia stata consèguita una grande vittoria. Già su certi giornali si scrive: beh, do– po tutto la guerra algerina non· costa più di quanto ci costerebbero gli aiuti a fondo perduto ad un'Algeria associa– ta alla Francia. Quanto alle vittime, De Gaulle stesso ha detto che. non supera– no quelle della circolazione stradale in un paese a bassa motorizzazione. Insom– ma, a parte certi settori dell'emiciclo po– litico (per concorrenza elettorale o per sotterranei cointeressi con la Gran Bre– tagna che vuole la cacciata della Fran– cia dall'Africa del nord, prima, e del centro-sud, poi), il resto - comunisti inclusi - non è m~lto convinto della politica di De Gaulle. Sino a ieri l'asso nella manica del demiurgo francese era l'« Algeria algerina» che le masse arabe 1-itenuteapatiche avrebbero salutato con gridolini di giubilo. Ma dopo il viaggio di dicembre in Algeria, il Presidente si è accorto che essa è un'utopia. E allora: o prendere o lasciare. Lasciare tutto, an– che il potere.

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