Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

NARRARE LA SCIENZA/SHOW ' il lavoro. Permettetemi ora di iniziare con un'osservazione che in. qualche modo potrà sembrare fuori luogo. Chiunque abbia lavorato in campo scientifico conosce il piacere estetico che se ne ricava. Vale a dire, nell'attuale attività della ·scienza, nel modo di fare le scoperte, per quanto modeste esse siano, una persona non può evitare di provare un consapevole senso di bellezza. L'esperienza soggettiva, la soddisfazione estetica, sembra essere esattamente uguale a quella di chi scrive una poesia o un racconto oppure compone un pezzo di musica. Penso che nessuno sia riuscito a òperare una distinzione. La letteratura riguardante le scoperte scientifiche è piena di simili gioie estetiche. La loro migliore espressione la si trova nel libro A Mathematician's Apology di G.H. Hardy. Una volta Graham Greene disse che, assieme alle prefazioni di Henry James, questo era il migliore resoconto di una esperienza artistica che mai fosse stato scritto. Ma di casi simili è costellata tutta la storia della scienza. Il grido di trionfo di Bolyai, quando vide che poteva costruire una geometria non-euclidea; la rivelazione di Rutherford ai suoi colleghi circa la struttura dell'atomo; la lenta, paziente, timorosa convinzione di Darwin che alla fine ce l'avrebbe fatta - tutte queste sono voci differenti di una uguale estasi estetica. Non esiste una fine. Il risultato dell'attività scientifica, la parte di lavoro scientifico di volta in volta portata a termine ha un valore estetico in se stessa. Il giudizio dato in proposito da altri scienziati molto spesso viene espresso in termini estetici: "Veramente bello", "Proprio carino" (secondo la tendenza tipicamente inglese alla minimizzazione). Le estetiche dei costrutti scientifici, come le estetiche delle opere artistiche, sono varie. Noi pensiamo che alcune delle grandi sintesi, come quella di Newton, debbano la loro bellezza a una classica semplicità, ma vediamo tipi differenti di bellezza nella estensione relativistica della equazione d'onda o nella interpretazione della struttura dell'acido desossiribonucleico, forse per quel tocco d'imprevisto. Ma gli scienziati sanno riconoscere la bellezza all'interno della loro materia. Sono sospettosi, e la storia della scienza dimostra che hanno seinpre avuto ragione a esserlo, quando un soggetto si trova in stato "deforme". Per esempio, molti scienziati sono intimamente convinti che l'attuale bizzarro assemblaggio delle particelle nucleari, grottesco come una raccolta di francobolli, possa in futuro non essere definitivo. Noi non possiamo restringere i valori estetici a quello che chiamiamo la scienza ''pura''. Anche la scienza applicata ha le sue bellezze, che a mio avviso sono di identica natura. Il magnetron è stato una scoperta incredibilmente utile, nonostante fosse anche una scoperta bella, e la sua bellezza non può essere disgiunta dalla utilità, ma consisteva precisamente nel fare, in condizioni di massima economia, proprio quello che era designato a fare. Alici stesso modo nel campo dello sviluppo l'esperienza estetica deve essere quasi una realtà per gli ingegn.~ri. Quando lo dimenticano, quando cominciano a disegnaié macchinari pesanti il doppio del necessario, gli ingegneri sono i primi a rendersi conto di mancare di virtù. 60 Non ci sono quindi dubbi sulle soddisfazioni estetiche date dalla scienza, sia nella pratica che nei risultati. Ma l'estetica non ha connessioni con la morale, dicono i categorizzatori. Io non intendo ora perder tempo in questioni marginali - ma voi siete proprio sicuri che lo siano? Non è invece possibile che queste categorie siano un'invenzione per eludere le condizioni umane e sociali in cui oggi viviamo? Ma passiamo ora a,qualcos'altro, che sta al centro della attività scientifica e che nello stesso tempo costituisce la quintessenza della morale. Vale a dire, il desiderio di trovare la verità. Con verità non intendo niente di complicato. Uso la parola verità come la usa uno scienziato. Tutti noi sappiamo che una disamina filosofica del concetto di verità ci procurerebbe curiose complicazioni, ma molti scienziati sinceramente non se ne preoccupano. Sanno che la verità, nell'accezione da loro usata che è poi quella del linguaggio comune, è ciò su cui si basa la scienza. Questo per loro è sufficiente. Su di essa poggia l'intero grande edificio della scienza moderna. Essi provano una inconfessata simpatia per Rutherford, che interrogato a proposito delle basi filosofiche della scienza era solito replicare, come accadde con il metafisico Samuel Alexander: "Dimmi un po', Alexander, tu di che cosa hai parlato per tutta la vita? Aria fritta! Niente altro che aria fritta!" Ad ogni modo la verità, nel suo senso più immediato, è quello che. gli scienziati cercano di trovare. Vogliono sapere il perché delle cose. Senza questo desiderio non esisterebbe la scienza. È la forza trainante di tutta l'attività. Costringe gli scienziati ad avere un grande rispetto per la verità, in qualsiasi momento del loro cammino. Non si può mentire a se stessi, così come, a livello più basso, non si possono manipolare i risultati dei propri esperimenti. È abbastanza curioso che degli scienziati provino a comportarsi in questo modo. Poco tempo fa scrissi un racconto incentrato su un caso di frode scientifica. A uno dei miei personaggi, lui stesso un bravissimo scienziato, feci dire che, considerando le opportunità e le tentazioni, era stupefacente la scarsità di casi analoghi. Tutti abbiamo sentito parlare di almeno una mezza dozzina di casi diventati di pubblico dominio e messi agli atti per chi li vuole leggere - dalla "scoperta" delle radiazioni L al singolare episodio dell'uomo di Piltdown. Se abbiamo frequentato per qualche tempo l'ambiente scientifico, nelle conversazioni private avremo sentito nominare circa un'altra dozzina di episodi simili che per varie ragioni non sono stati resi noti. In alcuni di questi casi sappiamo il motivo della truffa - talvolta, ma non sempre, semplici vantaggi personali come il denaro o il lavoro. Ma non sempre. Più di una volta .è stato un particolare tipo di vanità. Probabilmente ai livelli più bassi di ricerca la casistica sarebbe maggiore. Devono esserci stati molti studenti che hanno ottenuto il PhD con l'aiuto di una piccola frode. Ma Ìl numero di tutte queste persone è comunque irrisorio al confron- ~ to con il numero totàle degli scienziati. Diciamo per inciso che anche gli effetti sulla scienza di tali frodi sono irrisori. La scienza è un sistema che si autocorregge. Per cui nessuna

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