Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

DANIELORME Herman Me/ville Questo racconto postumo di Me/ville mai prima, a nostra conoscenza, tradotto in italiano, è compreso in: Me/ville, Gente di mare, a cura di Massimo Baciga/upo, in uscita nella collana degli Oscar Mondadori, che ringraziamo per avercene concesso la pubblicazione. I Il nome di un marinaio così come appare nel ruolo dell'equipaggio non è sempre il"suo nome vero, né sempre indica la sua patria. Ciò premesso, diremo che il nome posto in testa a questo scritto fu per lungo tempo attribuito a un vecchio marinaio di nave da guerra delle cui vicende antecedenti si può in effetti affermare che nessuno sapeva niente tranne lui, ed era vano cercare informazioni da quest'ultima fonte. Tanto costantemente coscienzioso nell'adempiere le sue funzioni, otteneva naturalmente il rispetto degli ufficiali. E quanto ai suoi compagni, anche se nessuno aveva motivo di simpatia per uno così diverso da loro, nessuno osava prendersi con lui la minima libertà. Bastava sfiorarla e il suo occhio si faceva critico e arcigno. Alla fine, essendo avanti negli anni, da capitano di coffa fu assegnato a un grado e posto inferiore e precisamente ai piedi dell'albero maestro, dove aveva l'incarico solo di star pronto, filare e dar volta. Ma anche tale funzione, con i turni di guardia, in breve fu di troppo peso per il marinaio, ormai settuagenario. Insomma, assicura per l'ultima volta la · drizza e trova un ormeggio oscuro sulla terraferma. Quale che fosse la sua disposizione originaria, mai, almeno nei suoi ultimi viaggi, si era segnalato per socievolezza. Non che fosse scontroso come qualche acciaccato veterano marino, qé schivo e taciturno come un indiano, ma di stato d'animo prntevole, e spesso borbottava fra sé e sé. Da tali soliloqui a bassa voce a volte trasaliva con uno sguardo così particola~mente adombrato che l'immaginazione calvinista di un certJocappellano di fregata lo interpretò come autocondanna e rimorso per qualche atto oscuro del passato. I suoi tratti erano ampi, forti, come fusi nel ferro, ma, le conseguenze dell'esplosione di una cartuccia avevano coperto tutta la parte sotto gli occhi di fitte macchie nere e blu. Quando, secondo il costume, da addetto all'albero maestro si toglieva il cappello per parlare meno laconicamente con l'ufficiale di coperta, la sua fronte abbronzata appariva come la luna rugginosa d'ottobre che solleva il suo crescente sopra una nuvola minacciosa. Oltre ai suoi modi scontrosi era forse questo aspetto sinistro, mera conseguenza del caso, era questo e solo questo che aveva fatto nascere la voce fra certi uomini della poppa che in epoca giovanile era stato un bucaniere dei Kei della Florida e del Golfo, un membro della ciurma dedita alle scorrerie di Lafitte. Certo è che una volta aveva servito su una nave in missione corsara. Di statura, per quanto un po' curvo alle spalle, simile al campione di Gat. Mani pesanti e callose; unghie dei pollici come corni rugosi. Una testa forte e ispida. Una barba grigio ferro ampia come la banderuola di un commodoro, indelebilmente striata intorno alla bocca dal sugo di tabacco lasciatovi cadere sovrappensiero in tutte le sue navigazioni. Durante il turno di guardia diurno sottocoperta, accovacciato silenziosamente sul ponte dei cannoni in un anfratto fra i fusti neri, avrebbe suggerito l'immagine del grande orso delle sierre californiane, la pelliccia consunta, torvò nella sua ultima tana ad aspettare la sua ultima ora. Nei suoi ancoraggi di terraferma, che erano accanto ali' acqua nei pressi della darsena, le notti passate al coperto e la vita più agevole sotto ogni aspetto, insieme alla disponibilità di compagnia quando la desiderava, il che non avveniva spesso, gli facevano felicemente deporre gran parte della scontrosità da vecchio mastino dell'albero·maestro esposto a ogni intemperia e a una dieta a base di cavallo salato. Lo straniero che lo accostava mentre prendeva il sole su qualche vecchio pennone sul lungomare e che lo salutava cortesemente ne riceveva una risposta non accigliata, e se lo scambio andava oltre i saluti se ne partiva probabilmente con l'impressione di aver parlato con un tipo curioso, un filosofo del mare, non privo di un certo duro buon senso. Dopo che era stato a terra per un po' assumeva un comportamento singolare. A volte, quando si riteneva del tutto solo, scopriva il petto dalla sua rattoppata maglia di Guernsey e contemplava fissamente qualcosa sul suo corpo; se per . caso lo si scopriva allora, subito nascondeva tutto e ringhiava il suo risentimento. Tale peculiarità destò la curiosità di alcuni osservatori oziosi, pensionati sotto Io stesso umile tetto, ma nessuno si sentiva sufficientemente ardito per domandargli la ragione della cosa, o chiedergli cosa ci fosse sul suo corpo, sicché decisero di servirsi di un sonnifero per scoprire il segreto. In quantità moderata lo versarono di nascosto nella sua grande tazza di tè a cena. Il mattino dopo un rigattiere bisbigliò ai confidenti il risultato della sua disgraziata intrusione notturna. Prendendoli a parte in un angolo e guardandosi intorno furtivamente, "Ascoltate" disse, e raccontò una storia fantastica, cui fece seguire congetture tremebonde, certo vaghe ma care alla mente superstiziosa e ignorante. Ciò._che aveva in effetti scoperto era questo: un crocifisso indaco e vermiglio tatuato sul petto e dalla parte del cucire. Attraversava sbieca il crocifisso e ne scolorava il pigmento una cicatrice biancastra, lunga e sottile, quale poteva provocare il taglio di una sciabola non del tutto parata o evitata. Ora, la Croce della Passione si trova spesso tatuata sui marinai, di solito 57

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