Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

STORIE/ISKANDER Una mattina mi alzai prima degli altri... Uscii sulla veranda e non credevo ai miei occhi: davanti al portone c'era un cavallo, Bambola! Mustafa ripartì. Lehiq gli tenne il cavallo per la briglia. Il cavallaio si afferrò salglrnente con le mani alla sella scricchiolante e a un tratto i/irrigidì. - E se scambi.assimò lè selle? :_ disse, come se si preparasse a staccare hfsella dal suo cavallo e a portarla su quello dello zio. ' Dal melo si staccò un frutto, cadde con un tonfo sordo sull'erba e rotolò via. Bambola trasalì. Io seguii la mela con gli occhi, per poi raccqglierla. Si fermò presso la siepe, fra ciuffi d.i erbacce. - Non val la pena, Mustafa, - disse zio Kjazym, dopo averci pensato un po'. Mustafa balzò sul suo cavallo. --'- Addio, - disse, e lo toccò con lo scudiscio. - Buon viaggio, - disse lo zio e lasciò le redini solo dopo che il cavallo si fu mosso, perché non sembrasse che il padrone di casa avesse fretta di liberarsi dell'ospite. Mustafa scomparve dietro una curava della strada, lo zio entrò in casa e io mi ricordai della mela e, avvicinatomi alla siepe, scostai col piede i ciuffi di erbacce. Non c'era nessuna mela. Sulle prime mi stupii, ma poi vidi il maiale. Passeggiava dall'altra parte della siepe, attento a ogni fruscio fra le foglie del melo. Si vede che aveva affacciato il muso attraverso le verghe della graticciata e si era portato via la mia mela. Lo scacciai a sassate, ma fu inutile. Si fermò poco di- · stante, continuando a spiare non tanto me, quanto il melo, il che era particolarmente offensivo. P er tutto quel giorno lo zio restò sdr_aiatoin_came:à sua a fumare. Lungo, magro, fumava fissando 11 soffitto; e giaceva come rovesciato. Zia Manica noh si decideva a disturbarlo e sbrigava tutti i lavori da sola. Di tanto in tanto ci mandava a guardare cosa faceva lo zio. Noi passavamo nell'orto e da lì attraverso una finestrella guardavamo lo zio. Non faceva nulla, stava soltanto sdraiato e fumava, fissando il soffitto, sempre ugualmente lungo, rovesciato. - Che fa di là? - domandava la zia, quando tornavamo in cucina. - Niente, fuma e basta, - dicevamo. - Non importa, che fumi pure, - rispondeva, e, arrotolatasi in fretta una sigaretta lunga e sottile, si metteva a fumare anche lei, voltandosi a guardare la porta, perché il nonno non la vedesse. Verso sera arrivò un ragazzo del soviet rurale, e tenendo a bada i cani col bastone, tranquillamente come chi sia abituato a girare per i cortili altrui, entrò in cucina. Tutti sapevano perché era venuto, e lui sapeva che tutti lo sapevano, ma per salvare le apparenze cominciò col parlare del più e - del meno. Lo zio non uscì neppure dalla stanza, benché la zia lo mandasse a chiamare di nascosto. Alla fine il ragazzo annunciò lo scopo della sua venuta, non senza assumere l'aria compunta del messaggero di sventura. Con la stessa aria compunta prese Bambola per le redini e la condusse fuori dal cortile. La conduceva allungando le redini al massimo, quasi volesse aumentare la distanza fra sé e il cavallo, per darci tacitamente a intendere che non aveva a che fare con lui, ma con la legge. Ma forse lo faceva con troppa ostentazione, e perciò noi bambini non gli credemmo molto. Sentivamo che sulla strada fra il padrone e la legge avrebbe spilluzzicato qualcosa anche per sé. Non appena uscì dal cortile, noi corremmo nell'orto e, nascosti nel granoturco, lo spiammo. E infatti avevamo ragione. Non lontano d~lla casa si fermò vicino a un masso, vi si arrampicò prudentemente e da lì saltò sul collo del cavallo. Bambola s'impennò, ma non riuscì a sbalzarlo di sella. Dalle nostre parti troppa gente sa cavalcare bene. - Mobilitazione! - gridò, non so se per incitare il cavallo o per giustificarsi, e partì al galoppo. Il soviet rurale distava cinque chilometri. Aspettammo ancora un poco, finché non tacque il rumore degli zoccoli del cavallo, e poi tornammo in cortile in silenzio. Alcuni giorni dopo che lo zio fu preso per l'ammasso del. legname, nella conca di Sabid un orso sgozzò una vacca del vicino. La povera bestia muggì a lungo, forse chiamando aiuto, ma non c'era nessuno che potesse scendere. Tutti noi ci affollammo sul margine della conca, in ascolto. Più di un'ora durò quel muggito atroce, soffocato dal buio della conca e dal nostro terrore. Poi cominciò a farsi più debole e prolungato. Sembrava che la voce della vacca non cercasse più di raggiungere la gente di sopra, ma colasse insieme àl sangue sul fondo della conca. Poi si tramutò in un gemito appena udibile, e quel gemito era ancora più spaventoso del muggito. Restammo ad ascoltarlo a lungo con particolare tenacia, cercando di non confonderlo con gli altri suoni della notte e soprattutto di non lasciarcelo sfuggire, quasi che potessimo allontare il momento della morte con l'acutezza del nostro udito. Finalmente tutto tacque, e poi. i sentì il rombo lontano della guerra oltre il valico. Per diversi giorni poi il bestiame, passando vicino al luogo in cui era stata sbranata la vacca, muggiva, allungava il muso e annusava le tracce di sangue. Sembrava che le bestie volessero dare l'estremo saluto alla loro compagna uccisa. Quindi la pioggia lavò le tracce di sangue, e si calmarono. Tornato a casa, lo zio tese un agguato nel bosco e per diverse notti restò appostato in attesa dell'orso, che però non si fece più vedere. Passarono i giorni. Del cavallo lo zio non parlava, e in sua presenza noi non lo nominavamo mai, perché così la zia ci aveva raccomandato. Già di natura non troppo ciarliero, egli divenne ancor più taciturno. A volte il cancelletto sbatteva dietro di lui, la zia lo guardava allontanarsi, e sospirava: "Il nostro padrone sente la nostalgia". Una mattina mi alzai prima degli altri, perché la vigilia avevo adocchiato sull'albero alcuni fichi che avrebbero dovuto maturare durante la notte. Uscii sulla veranda e non credetti ai miei occhi: davanti al portone c'era un cavallo. - Bambola! - gridai, impietrito. - Non può essere! - rispose gioiosa la zia dall'interno, come se non aspettasse altro che la mia esclamazione. 40

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