Linea d'ombra - anno VI - n. 30 - settembre 1988

- Ecco, adesso ti metti pure a piangere ... - Io non sono umiliata, io lo amo. - Ma smettila! Per rimproverare'Ja rimproverava, ma d'altra parte Vika desiderava sinceramente la felicità di Dasen'ka; e si spremeva la testa nel tentativo di aiutarla, cercando di trovare un modo di sistemare le cose, di trovare il suo "tallone d' Achille''. Per tallone d'Achille Vika intendeva quello che avrebbe permesso la vittoria. E dava dei consigli a Dasen'ka. - Devi tentare di accalappiarlo con la femminilità. E spiegava: - Lavagli le camicie. Stiragliele. Metti in ordine la sua tana. Deve essere agghindato come un figurino ogni giorno, ogni minuto. E aggiungeva ulteriori consigli: - Spediscilo dal barbiere. Fagli fare il bagno più spesso. Naturalmente lui è cresciuto in una stalla, ma forse è ancora possibile farne un uomo ... - Lui non è uno sciattone ... - Gli uomini sono tutti scjattoni. La domenica successiva la madre domandò a Dasen'ka: - E il tuo corteggiatore, dov'è sparito? (Perché oggi te ne stai a casa?) ... È partito? - È fuori per lavoro, mamma. - Per lavoro, - la madre storse le labbra. - Ma che bel tipo! Dasen'ka tacque. In questi casi la tattica migliore è quella di rimanere in silenzio, in modo da non dovere accatastare una bugia sull'altra, come fanno i bambini con i cubi. - Cara la mia Daska, - disse la madre, ma senza durezza. - Tu·sei magari convinta che tua madre sia una stupida, ma tua madre non lo è affatto, anche se non ha studiato. Bambina mia, che fine ha fatto il tuo pudore di ragazza? Dasen'ka taceva. - E come ti senti adesso, eh? - lo sguardo penetrante e concreto la osservò dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. - Bene, mamma. Le apprensioni della madre erano infondate. Ma lei la interrogava e la scrutava in modo diverso dal solito, si preannunciava un colloquio spiacevole. È pur vero che non era la prima volta. Per fortuna suonarono alla porta; era arrivata Vika. - Salve. Ciao. Sono passata a farvi.una visitina, non mi aspettavate, eh? Poi sussurrò a Dé!sen'ka: - Sono venuta a insegnarti come si fanno i dolci. Il mio impasto è speciale, ci si possono fare anche delle focaccine; vedrai gli piaceranno! Vika era un'ottima padrona di casa, cucinava benissimo e faceva anche degli ottimi dolci. Continuando a parlarsi sottovoce, si diressero in cucina; lei fece la pasta, preparò il ripieno, ed ecco che il forno cominciò a buttar fuori dalle sue viscere una serie di pasticcini, uno più invitante dell'altro. Alla finestra illanguidivano nuvole estive. Vika accanto alla. STORIE/MAKANIN • stufa indossava un grembiulino vivace. E ripeteva a Dasen- 'ka parole d'oro, le diceva che la via più breve per il cuore di un uomo passa attraverso il suo stomaco. Poi proprio lì, in cucina, Dasen'ka e Vika sedettero nella penombra. Senza accendere la luce, sedettero una accanto· all'altra e parlarono della vita. A momenti scherzando e a momenti versando ._qualchelacrima. Alla fine delle vacanze Andrej, che fino a quel momento non aveva dato segni di vita, spedì un telegramma-lettera, mezzo di comunicazione molto comodo e veloce (infinitamente più veloce di una lettera), in cui inoltre si possono infilare un m cchio di parole. In verità non è che Andrej ce ne avesse infilate moltissime: "Dasulja, il mare è spl~ndido, un vero paradiso. Sii gentile, e per il mio ritorno, metti in ordine la mia tana. Le chiavi sono dal vicino di casa sullo stesso pianerottolo. Baci". Quando Andrej tornò, si sposarono. Con il matrimonio coincise (proprio nello stesso giorno) un altro piacevole e importante avvenimento: Andrej era stato preso a lavorare nel laboratorio di Brusilov. Il concatenarsi delle circostanze lo turbò come un segno del destino. Tutta, o quasi, la prima notte di nozze la passò a girellare dalla cucina alla camera e dalla camera alla cucina borbottando turbato: - Si è avverato, il mio sogno si è avverato. Ora la cosa più importante è di non rimanersene con le mani in mano. Mettersi a sfacchinare e poi ancora a sfacchinare. Erano le tre. Andrej sfregò al buio un fiammifero per accendersi una sigaretta e ripeté: - Sfacchinare ... Mi ascolti, Dasulja? Chi ha una bicicletta deve pedalare, non è così? Dasen'ka naturalmente era d'accordo. Contin~ava a fa- - re cenni d'assenso trattenendo il fiato. Era un po'· infreddolita: Si era rincantucciata in un angolo del letto e (senza farsi scorgere da Andrej, nel buio) piangeva senza sapere bene il perché. La felicità era qualche cosa di inatteso, piovuto dal cielo: lei e Andrej, una famiglia, una vita fianco a fianco, ancora non riusciva a crederci del tutto. Era al suo posto di lavoro ma con il pensiero era accanto a lui: Andrej in quel momento eseguiva il suo primo esperimento nel nuovo laboratorio. " ... Nel villaggio scese la notte. Stormivano le tremule. Abbaiavano ai passanti i cani", leggeva il suo testo Dasen- 'ka, e il capo le si abbassava sempre più, gli occhi le si chiudevano. Lì accanto leggeva il suo testo Tamara. E più avanti Sonja. E ancora più avanti Vika. E tutte assieme farfugliavano e quasi farneticavaf!Ocollettivamente: "Zz ... zz... zz... ". Mentre tornava a casa in filobus, Dasen'ka capì di essersi ammalata. A casa si mise a letto. Andrej fu sollecito e pieno di attenzioni, le preparò il tè con la marmellata di lamponi, corse in farmacia, ma nel corso della malattia divenne sempre più chiaro il fatto che lui non sopportava nel modo più assoluto il disordine in casa. Si era 37

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