IL CONTESTO della quale si è irrilevanti, sconvenienti, obsoleti. O, semplicemente, non si esiste: attraverso il ricorso a una serie di espedienti che potremmo ricondurre a quella che Perelman definisce "figura della presenza" e che agisce con maggiore efficacia proprio in quegli spazi neutri cui si è appena fatto cenno, "Repubblica" rende visibile e pertinente solo una determinata serie di tendenze, fenomeni e soggetti sociali - quella, per intendersi, "emergente" - facendo degli altri dei veri e propri desaparecidos. Letteralmente! ricordo lo sgomentò - mio e di alcuni amici - di un giorno d'estate di due anni fa quando da un articolo (mi pare di Giuseppe Turani) scoprimmo di essere irrimediabilmente esclusi dalla famiglia media italiana, quella che secondo il giornalista aveva un patrimonio complessivo di 3-400 milioni. Attraverso il ricorso a simili micromanipolazioni si respinge tutto ciò che non è compatibile con l'(mmagine del "lettore ideale" del giornale nell'ambito della irrilevanza socio-culturale, né le pur pregevoli in-. chieste su aspetti e fenomeni "eccentrici". contraddicono questo orientamento, perché la loro prospettiva è quella dello sguardo esterno su qualcosa che è comunque percepito e presentato come altro da sé. Sia chiaro: non si tratta quindi demonizzare nessuno, perché da un lato ogni giornale ha la sua "linea retorica" - oltre che ideologica - più o meno caratterizzata -'-- (riconoscibilissime ad esempio-quella del "Manifesto" o quella di "Linea d'ombra"), dall'altro testate come il "Corriere" o "La Stampa" si rivplgono a un lettore ideale non molto diverso, con il quale hanno istituito un patto comunicativo simile (anche se forse meno inten·so e coinvolgente) a quello sottoscritto tra "Repubblica" e la sua audience. La moderna e dilagante middle-élass degli anni '80 costituisce il referente principale dei giornali e della televisione, e non è certo esclusiva di questo o quel quotidiano. La peculiarità di "Repubblica" sta probabilmente nell'averne individuato prima degli altri tendenze e aspettative e nell'averle assecondate con un "eccesso di zelo" di cui le manipolazioni ricordate costituiscono secondo me esempi abbastanza significativi, ma che evidentemente risponde a bisogni diffusi e generalizzati. · Il punto cruciale del "fenomeno Repubblica" sta proprio qui, nel paradosso di un giornale pensato per la classe dirigente che raggiunge tirature popolari, che diventa l'unico giornale non di partito a diffusione davvero nazionale senza concedere niente alle istanze di quel ceto piccolo-borghese-· impiegati, studenti, insegnanti - che suppon26 gocostituiscala maggioranza dei lettori del giornale(un esempio banale: l'informazione economica"spicciola" - locazioni, fisco,pensioni- del "Corriere" o del "Sole . 24ore" è molto più ampia e accessibile di quelladi "Repubblica", che si occupa quasi esclusivamentedi fusioni, acquisizioni, scalateecc.).Al di là dell'innegabile appeal derivantedall'ottima fattura del quotidiano, il paradosso rimane ed è un paradosso sostanziatosia da quanti vi riversano la loro ansiadi promozione sociale (o perlomeno di appartenenzaideologica), sia da quanti, comeManconie il sottoscritto, intrattengono con "Repubblica" un rapporto critico e spessoconflittuale. ILCASO VECA■ALBERONI: UN PROBLEMAORALE MariaTurchetto Nel settembre 1986~Salvatore Veca ha cominciato a sospettare di non essere un "uomo" nell'accezione comune del termine, bensì "un cervello in una vasca" (cfr. SalvatoreVeca, Unafilosofia pubblica, Feltrinelli,Milano 1986,pp. 129-132). Il sospetto era pienamente fondato. Non si tratta di ipotesicervellotiche,di paradossi logici o di giochifinguistici:Salvatore Veca è_ un cervelloin una vasca. Per ragioni morali che più avantiespliciteremo, non è più possibile tacere la tragedia. Nella primavera del 1981 il globo orbitale su cui Salvatore Veca vi~ggiavainsieme ad altri undici terrestri si scontròcon un'astronave proveniente da ProximaCentauri. Tutti i passeggeri rimasero spappolati, ma i tecnici alieni - che hanno concezioni della vita, della morte e del rapporto tra corpo e mente molto diverse dallenostre - riscontrarono nei resti di SalvatoreVeca una lieve onda cerebrale: rigeneraronoi principali tessuti neurali, li nutrironocon sostanze fisiologiche e ottennero funzionicerebralisignificative (cfr. Philip K. Dick // casoRautavaara, in "Urania", febbrai~ 1988,pp. 98-106). "Un cervello in una vasca... posto in un liquido nutriente ... collegatoconun computer che trasmette impulsi" (S.Veca, Unafilosofia pubblica, cit., p. 129): è esattamente quanto i tecnici di ProximaCentauri restituirono alla Fondazione Feltrinelli. Allalucedi questi fatti, molti aspetti della recenteelaborazione teorica di Salvatore Vecasichiariscono.Si può comprendere, per esempio,come mai nel citato Unafilosofia pubblica alcunealternative logiche abbastanza ovviesiano formulate in termini carichi di angoscia esistenziale: così la "collisione" tra "fisicamente possibile e concettualmente possibile", o la "tensione" tra il "punto di vista da nessun luogo (impersonale) e quello dal 'nostro luogo', interno alle nostre vite (personale)"; ancora - e particolarmente significativo - il problema di ciò che "è distinto dalla mera continuità fisica e psicologica (un cervello, un corpo)" (cfr. S.Veca, Unafilosofiapubblica, cit., p. 129ep. 131). Sta parlando - occorre tenerlo sempre presente - un sistema nervoso centrale mutilato dal sistema· periferico, e impegnato nell'allucinante ricerca di una coscienza di sé. Più in generale, l'emotività che pervade le categorie concettuali vechiane, la "felicità" invocata a proposito di assunti teorici (cfr. ivi, p. 128), tutto ciò non può più stupire se si pensa alla terribile odissea psichica del "cervello in una vasca". Anche i repentini mutamenti di paradigma, le brusche correzioni teoriche, il susséguirsi di abiure e conversioni che Salvatore Veca ha esibito negli ultimi anni diventano comprensibili in quest'ottica: i tecnici di Proxima Centauri hanno confermato, sulla base della loro più vasta esperienza di rigenerazioni neurali, che -un '·'cervello in vasca" si comporta a lungo, prima di assestarsi, come una bussola impazzita. La straordinaria vicenda non è ancora conclusa. Verso la fine del 1987, nel corso di ricerche sperimentali finalizzate alla campagna per il rilancio dello zucchero di barbabietola come dolcificante, "un celebre studioso dei movimenti collettivi e dei sentimenti umani" (F. Alberoni-S. Veca, L'altruismo e la morale, Garzanti, Milano 1988, quarta di copertina), certo Francesco Alberoni, ha versato due cucchiaini di zucchero semolato nella soluzione organica in cui è immerso il cervello di Salvatore Veca. Il risultato è stato sorprendente: Salvalore Veca è diventato buonissimo. Detto tecnicamente, prendendo a prestito la precisa terminologia utilizzata da Fiona Diwan per descrivere il fenomeno, si sono "coagulati i frutti di una riflessione sull'intreccio inseparabile fra le regole sociali, il bene comune e i sentimenti umani" (Fiona Diwan, Morale laica: nel nome dell'uomo chiunque, in "Grazia", maggio 1988, p. 75). Il volu e L'altruismo e la morale, presentato nel sottotitolo come "il manifesto del nuovo illuminismo", costituisce appunto il precipitato della coagulazione catalizzata dallo zucchero. Anche se i pignoli scoveranno qualche peccatuccio d'orgoglio nel citato sottotitolo e in certi passaggi della quarta di copertina (peccati veniali, in ogni caso, e molto probabilmente ascrivibili agli addetti al marketing della casa editrice Garzanti), il
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