Linea d'ombra - anno VI - n. 29 - lug./ago. 1988

GUARDIEELADRI George Tabori Una volta giocavamo alla rivoluzione, quasi sempre sul monte Gellért, tra rocce impressionanti, un perfetto campo di battaglia per rivoluzionari: Gellért, un vescovo tedesco, era venuto secoli prima a convertire quei pagani degli ungheresi che, per tutta risposta, l'avevano chiuso in una botte e fatto rotolare giù dal monte. Questa, diceva mio fratello Paul, maggiore di me di sei an·ni e nostro capo, era un'azione rivo- _luzionaria. Ma che cos'è esattamente un'azione rivoluzionaria, quando si hanno appena cinque anni? Far rotolare vescovi giù da una montagna o, come nel gioco del mese successivo, rubare ai ricchi per dare ai poveri? (Questo mi sembra, ancora adesso, all'età di settant'anni, uno slogan niente male per uno slogan). Fu questo che ci venne ordinato, nelle piogge torrenziali di quell'ottobre, da mio fratello Paul, lettore insaziabile di scritti rivoluzionari, e il gioco stavolta era quello di Robin Hood, e della sua piccola e coraggiosa banda, contro lo sceriffo di Nottingham. Il grasso Hugo Schmitz era lo sceriffo e io, il più piccolo, Littlejohn, il potente monaco. Inseguimmo Hugo sulle rocce, gli strappammo le bretelle dai suoi pantaloni knickerbocker così da impedirgli la fuga, e lo impiccammo a un albero. Io non volevo, ma Paul spiegò la necessità della violenza rivoluzionaria. Il mondo, disse, si divide in ricchi e poveri o, si poteva anche dire, in guardie e ladri; le guardie sono sempre i cattivi e i ladri sempre i buoni; da che parte stai tu? Io voglio essere un buono, dissi. Ancora adesso lo voglio, e non è cosa semplice, figuriamoci a cinque anni. Sempre quell'anno, mio fratello Paul propose una nuova variante dello stesso gioco. L'assegnazione delle parti era, come al solito, problematica e l'ego di ognuno di noi si sentiva chiamato in causa. Paul volle naturalmente essere Stalin, il grasso Hugo Lenin e quindi a me rimase solo lo zar. Mi rifiutai. "Sono troppo piccolo per la parte di uno zar". ,Piansi, dovetti subire pizzicotti al naso, ma la spuntai, e reclutai Paul Haas, un ragazzino magro con pochi capelli, il quale tanto fece che ottenne la parte di Lenin, mentre il grasso Hugo, allettato dalla corona di cartone e dallo scettro di gomma, finì per interpretare lo zar. Io feci Trotzki, con il pince-nez rotto del nonno. Fucilammo il grasso Hugo al tramonto e assaltammo il Palazzo d'Inverno, una roccia a forma di dente, ma a me non bastava, volevo essere io Stalin, nient'altro che Stalin, quell'uomo d'acciaio il cui vero nome suonava come il verso di una canzone d'amore, che con quella mano atrofizzata e gli stupendi occhi georgiani rapinava la carrozza della posta per aiutare i poveri. Ma un gioco è bello se dura poco, no? La fine di un gioco è sempre triste, e per questo molti di noi si rifiutano di smettere di giocare. Nel frattempo, mio fratello Paul aveva deciso che, dal punto di vista della professionalità, sarebbe stato meglio ammettere nel gruppo so- ' lo chi era disposto a pagare. Il grasso Hugo tirò fuori la sua ultima moneta, con cui avrebbe dovuto comprare il latte. La sera niente latte, e sua madre lo sottopose a un interrogatorio come solo avrebbe saputo fare la polizia. Hugo confessò. Due giorni dopo vennero a prendere me e Paul all'uscita della scuola e ci portarono in gendarmeria. I po}iziotti furo- · no molto gentili e ci offrirono una cioccolata calda. Mio fratello Paul, già all'età di undici anni un grande bugiardo, cioè un grande poeta, continuò il gioco. Non ne sapeva ancora nulla di astuzia rivoluzionaria e disse chiaro e tondo che stavamo progettando di far saltare in aria il palazzo reale e di uccidere all'alba l'ammiraglio Horthy. Due ore dopo ci mandarono a casa, e quei simpatici gendarmi arrestarono mio padre. A lui non diedero la cioccolata calda. Il giorno dopo tornò a casa senza i denti davanti. Questo è successo sessantacinque anni fa, ma il gioco non è ancora finito, un gioco di speranza e di orrore, e ancora di speranza nonostante l'orrore; e se io guardo gli scaffali della mia biblioteca, zeppi di spiegazioni serie, brillanti e tanto adulte che pretendono di dire la loro su questo secolo della speranza e dell'orrore, vedo le rocce del monte Gellért, popolate di adulti seri e brillanti che si inseguono a vicenda, ora come guardie ora come ladri. O, ancora più orribilmente, come ladri che, al pari di Stalin, si trasformano in guardie facendo diventare la speranza orrore, finché la montagna, nell'indifferenza universale, esplode. E non restano altro che note a piè di pagina. (traduzione di Maria Moderna) Copyright George Tabori 1980. ccLINEAD'OMBRA»CONSIGLIA: R. Bilenchi, Amici, Rizzoli; I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti; L. Passerini, Autobiografia di gruppo, Giunti; P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del '68, Ed. Riuniti; G. Lerner, Operai, Feltrinelli; C. Donolo, F. Fichera, Le vie dell'innovazione, Feltrinelli; A. Baricco, Il genio infuga. Tre saggi su Rossini, Il Melangolo; F. Ramondino, Un giorno e mezzo, Einaudi; V. Consolo, Retablo, Sellerio; V. Cerami, La lepre, Garzanti. U. Johnson, Un viaggio a Klagenfurt, SE; V. Makanin, Un posto al sole, E/O; C. Ozick, La galassia cannibale, Garzanti; G. Orwell, Nel ventre della balena, Sansoni; P. Brook, Il punto in movimento, Ubu; H. Arendt, Rahel Varnhagen, Il Saggiatore; J. Rifkin, Dichiarazionidi un eretico, Guarirù; D. Grossman, Il vento giallo, Mondadori. E LE RIPROPOSTE: C. Rebora, Poesie, Garzanti; G. Noventa, Versi e poesie, Marsilio; R. Frost, Conoscenza della notte, Oscar Mondadori; M. Lowry, Caustico lunare, Oscar Mondadori; M. Kundera, Amori ridicoli, Adelphi; R. M. Pirsig, Lo zen e l'arte dellamanutenzione dellamotocicletta, Adelphi; D. Bonhofer, Resistènza e resa, Paoline; A. Gide, Ritorno dall'URSS, Bollati-Boringhieri. 85

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