DISCUSSIONE/LEVI DELLA TORRE territori e tanto meno la loro annessione. La solidarietà etnico/politica dei cittadini arabi di Israele con la popolazione dei territori ha fatto scricchiolare il compromesso etnico, ha fatto balenare un sintomo "libanese", una potenziale guerra civile se le tendenze politiche non avranno una svolta decisiva. I territori intesi come paraurto di fronte a un'eventuale aggressione dall'esterno, si sono dimostrati quali possibili fattori di disgregazione dall'interno. Né si tratta di scegliere se sia meglio una guerra civile che una guerra tra Stati: lo svilupparsi di una conflittualità etnica interna (tra arabi ed ebrei; tra islamici e cristiani, ed ebrei) non potrebbe che attirare una guerra dall'esterno, in un contesto internazionale sfavorevole alla parte strettamente ebraica di Israele, e agli ebrei in quanto tali. Infine, le tendenze ora operanti nella politica di Israele hanno incrinato il contesto dei suoi appoggi internazionali, e hanno indotto questo tormento, che viviamo, nei rapporti tra la "diaspora" e Israele: una tendenza di Israele a decadere almeno in parte come punto di riferimento per l'ebraismo, uno Stato-guida che minaccia di degenerare, un nazionalismo israeliano che si avvita su se stesso in cui gli ebrei delle diverse parti del mondo sapranno sempre meno rispecchiarsi. (Questi avvertimenti li lanciava Leibowitz già nel 1968.) Le responsabilità degli israeliani annessionisti e dell'opinione pubblica che li sorregge sono dunque gravi: verso la qualità ebraica e democratica di Israele; verso la sua sicurezza futura; verso i rapporti tra Israele e la "diaspora"; verso il popolo palestinese e il suo diritto all'autodeterminazione. Ti domandi: "Dove abbiamo una reale responsabilità, ossia una reale possibilità di scelta?". Qui, ad esempio, ne incontriamo una: dare appoggio e risonanza a quanti in Israele si battono nella coscienza della rottura dello "status quo", della gravità del momento e delle scelte, della necessità della svolta, ma non solo in difesa della virtù, ma della vita stessa di Israele; controbattere (col silenzio?) la collusione di fatto tra oltranzismo israeliano e giudeofobia. 2. Israele ha già pagato il prezzo dell'inerzia: l'euforia della guerra dei 6 giorni l'ha esposto impreparato all'aggressione della guerra di Kippur. Così, l'euforia della pace di Camp David l'ha indotto all'inerzia, alla coazione a ripetere, tentando e ritentando altri Camp David con qualche altro Stato arabo. Ma l'inerzia, le linee rette che si spezzano in crisi drammatiche e subìte (ora la rivolta dei territori, come già l'attacco del 1973)non sono solo dovute ad una normale debolezza umana, alla normale disposizione ad adagiarsi su qualche risultato raggiunto. Quell'inerzia, quell'affidarsi allo status quo, hanno, mi sembra, anche un'origine psicologica e ideologica: la difficoltà culturale a riconoscere la questione palestinese come una questione nazionale vera e propria, e a dare ad essa una giusta collocazione. · Ti domandi: "C'è, o c'è stata, una responsabilità, ossia una reale possibilità di scelta?". Io penso che su questo argomento ci sia o ci sia stata una responsabilità. La cultura 12 Soldati Israeliani in un quartiere arabo di Gerusalemme (foto di Richard Melloul/ Agenzia Grazia Neri) sionista, tanto di destra quanto di sinistra (laburista) mi sembra sia stata sempre restia a riconoscere nei palestinesi un'identità nazionale. Ha sempre preferito vedere i palestinesi come "arabi" della Palestina. "Fare la pace con gli arabi" era dunque l'obiettivo costante in cui era inscritto e subordinato l'accomodamento della "questione palestinese". Di conseguenza, la politica e la diplomazia israeliana hanno sempre cercato le vie per accordarsi con i paesi arabi scavalcando i palestinesi. I motivi di questo atteggiamento mi sembrano di tre ordini: psicologico, storico e politico. a) Quello psicologico consiste nella difficoltà di riconoscere che Israele, nascendo, ha contratto una colpa verso i palestinesi togliendo ad essi una terra. Quella "colpa sionista" è alla base del "mito di fondazione" dell'identità palestinese come nuova identità nazionale; mentre il "mito di fondazione" di Israele si basa sull'innocenza degli ebrei e sulla colpa altrui: nella sua funzione necessariamente apologetica, nella sua urgenza di legittimazione, resiste a riconoscere il suo versante di colpa. (Ma quanto più profonda è la Torà su questo genere di argomenti: l'identità Israel nasce in Giacobbe non nascondendo, ma anzi indicando la sua colpa necessaria verso Esau suo fratello.) Così Israele ama attribuire agli arabi, e non anche a se stesso, la responsabilità di risolvere la "questione palestinese". b) Il secondo ordine di motivi è di carattere storico: l'identità palestinese, in quanto identità nazionale, non è un dato originario, ma relativamente recente. L'antico slogan sionista sulla Palestina: "Una terra senza popolo per un popolo senza terra" poteva essere contestabile per il fatto che in Palestina esisteva una popolazione, ma forse rispecchiava una realtà più politica che demografica, per il fatto che non esisteva ancora un "popolo palestinese", un'identità distinta rispetto ad una più generica identità araba. Non basta il luogo per fare un popolo o una nazione. Come peraltro tutte le identità nazionali, quella palestinese si è formata nel corso e per effetto della storia e della sua violenza, attraverso l'attrito con il nuovo Stato di Israele da un lato e il rifiuto arabo verso Israele e verso gli stessi palestinesi come entità distinta dall'altro. L'identità nazionale palestinese prima non c'era e adesso c'è. (Così è per quella israeliana.) Ma l'impostazione tradizionale sionista ha avuto un'inerzia di fronte a questa mutazione, come affezionata al tempo della sua innocenza, quando i palestinesi potevano ancora essere visti solo come arabi di Palestina, il loro esilio come problema di profughi, la loro espressione politica nell'OLP solo come terrorismo arabo, e non anche come rappresentazione e rappresentatività nazionale. La cultura sionista "media" ha preferito non guardare in faccia una conseguenza della nascita della nuova nazione israeliana: la nascita per certi aspetti simmetrica di un'altra nazione nuova. Credo che i guasti di questa inerzia culturale e psicologica
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